Parte Settima
Pov Ruby.
Ore 20:17
L'immenso capannone della Congrega.
Il salone era pieno di gente, il vociare di sottofondo riempiva l'intera area per non parlare dell'umido odore di pioggia che aleggiava all'interno.
Stava diluviando e il ticchettio delle gocce creavano un'atmosfera ancora più lugubre.
Le luci chiare del capannone riflettevano sui volti amareggiati dei presenti: c'era chi indignato ingaggiava una disputa con altre persone esprimendo il suo disappunto per l'accaduto e chi invece se ne stava in silenzio. Coloro che non erano d'accordo erano proprio gli uomini più adulti della congrega, mentre i giovani provavano ad esprimere la loro opinione.
«Possiamo trovare una soluzione. Noi siamo la nuova generazione e come tali possiamo unire le forze per contrastarla!» Esclamò un ragazzo sulla ventina, dalla corporatura massiccia, biondo come il grano.
«No, William. Voi non siete all'altezza, non sapete con chi avete a che fare» Gli rispose il padre, scuotendo il capo.
Tra il brusio di sottofondo, uno degli anziani si fece largo.
«Non possiamo fare nulla. Per diritto di nascita è lei il Leader della congrega. Con il suo ritorno, il nostro destino è nelle sue mani e francamente, dopo tutto quello che le è stato fatto, escluderei un trattamento di gentilezza» La voce invecchiata e lo sguardo severo dovuto alla sua veneranda saggezza, fece zittire i ragazzi.
« Il signore ha ragione» Improvvisamente una voce fece sussultare i presenti.
Il ticchettio degli stivaletti con il tacco fece concorrenza con le gocce di pioggia che si infrangevano con prepotenza sul tetto.
Una bella ragazza dai capelli rossi fece la sua entrata ad effetto, ottenendo lo sguardo di tutti puntato su di sé.
La ragazza avanzò facendosi più vicina alla grande massa di gente.
«Adoro quando c'è qualcuno che utilizza davvero il cervello. Dovreste provare a usarlo» disse stuzzicando il ragazzo biondo. Quello indurì lo sguardo, fissandola irritato.
«Ad ogni modo - Fece battendo entrambe mani- credo che sappiate già per quale motivo sono qui, dunque ritengo che non ci sia motivo per dare una spiegazione o sbaglio?»
Fece vagare il suo sguardo violaceo sui presenti e sorrise compiaciuta quando alcuni di loro, facevano di tutto per non fissarla negli occhi.
«Bene -sorrise- quindi, c'è qualcuno che per qualche motivo a me sconosciuto non è d'accordo?» fece annoiata, gesticolando in modo sbrigativo.
Il silenzio regnò completamente nell'edificio, sovrastato dal suono della pioggia in sottofondo.
Fissò i presenti, orgogliosa di essere riuscita a prendere il controllo così facilmente della situazione, ma mancava qualcosa: era stato davvero troppo facile. Aveva pensato che di sicuro qualcuno si sarebbe ribellato o avrebbero cercato di ucciderla, ma nulla. Erano tutti spaventati, sembravano un branco di pecore a cui mancava il pastore e una volta che questo gli si presentava davanti, fuggivano via impaurite.
Era un po' delusa in effetti e pensare che voleva divertirsi.
«Io non sono d'accordo» fece una voce.
Ruby ghignò, spostando lo sguardo sul biondino dalla folle voglia di morire.
Un lampo di gioia si impossessò dei suoi occhi e lo fissò.
«Di grazia, posso sapere per quale motivo?» Si girò verso di lui con la sua immancabile postura diritta e fiera, fissandolo a mento alto, come quando si guarda un insetto da schiacciare.
«William!» Il padre gli afferrò il braccio muscoloso.
«Non fare sciocchezze!» Lo fissò severamente, ammonendolo con lo sguardo, ma il ragazzo si divincolò dalla presa.
«No papà, ho voce in capitolo quanto tutti voi, e sono libero di dire che non accetterò mai una donna al comando della congrega!» La fissò in cagnesco, l'irritazione evidente sul suo volto.
«Soprattutto se quella donna è un abominio». E con quelle parole parve essersi tolto un peso dal petto, dando voce a ciò che probabilmente pensavano tutti, ma il suo attimo di gloria cessò, quando improvvisamente si accasciò al suolo in preda ai dolori. Un sussulto generale prese il possesso della situazione, tutti si soffermarono a fissare il biondino.
Sembrava soffocare ma contemporaneamente si teneva la testa.
L'odio di Ruby si intensificò non appena quelle parole si insediarono nella sua testa e si susseguirono in un loop costante.
Non avevano imparato proprio nulla dai loro errori e mai l'avrebbero fatto.
L'unica certezza nel farsi rispettare era fargli capire chi avessero di fronte e se avesse dovuto usare la violenza, allora la violenza e la paura sarebbero state le sue armi.
«No! William!» L'uomo si inginocchiò, cercando di calmare il figlio e non riuscendoci si voltò verso di lei, supplicandola con lo sguardo.
«Ti prego. E' il mio unico figlio!»
Ruby aveva la mano tesa, l'anello della madre infilato nel dito medio e fissava i due con sguardo disgustato.
«Anch'io ero una figlia e ora i miei genitori non ci sono più. Se c'è qualcuno in questa congrega che non è d'accordo sulla mia autorità di Leader, beh, allora quel qualcuno non mi è di alcuna utilità». Pronunciò con rabbia le ultime parole e con un gesto secco della mano fece cessare le sofferenze del giovane.
Il ragazzo smise di muoversi e di respirare.
Il padre lo afferrò, stingendoselo al petto iniziando a lagnarsi per la perdita.
«Questo è ciò che accadrà al prossimo che oserà opporsi a me. Sono stata chiara?» Un silenzio tombale prese il sopravvento, spezzato solo dai lamenti di dolore di quell'uomo.
«Bene. Potete tornare a casa» La tranquillità e la dolcezza con la quale pronunciò la frase sorprese perfino se stessa. Come se l'omicidio appena commesso non fosse per nulla accaduto.
Era inevitabile. Se pensavano che se ne sarebbe stata zitta e benevola avevano sbagliato di grosso. Non era di certo tornata per farsi insultare ma per riprendersi ciò che era suo di diritto e ora che lo aveva ottenuto, nessuno doveva osare contrastarla, anche se questo significasse perdere delle vite. Ma dopotutto loro non si erano fatti scrupoli a sterminare la sua famiglia, per cui, perché lei avrebbe dovuto mostrare pietà?
Fece per andarsene quando si voltò verso l'uomo che ancora stringeva il cadavere del figlio.
«Sono stata magnanima a non incenerirlo seduta stante. Almeno tu potrai seppellire tuo figlio, cosa che io non ho potuto fare con i miei genitori». Così dicendo, dopo aver lanciato uno sguardo di ghiaccio ai presenti, si voltò andandosene via e lasciando il resto della congrega ammutolita.
°°°
Ore 21:30
Casa Reyes.
Tornare a casa le sembrava uno dei tanti sogni avvenuti nella sua prigione.
Aveva desiderato a lungo questo momento e mai come ora si sentì sopraffatta dalle emozioni.
Gli occhi si fecero lucidi quando posò il suo sguardo sulla poltrona dove di solito suo padre leggeva il giornale.
Si morse il labbro mentre sfiorava la stoffa morbida. E una lacrima le scivolò dal volto quando le tornarono a mente tutte le volte in cui i suoi bisticciavano: come sua madre che tormentava suo padre per gettare via quella vecchia poltrona ormai consunta e vecchia per l'arredamento. Si era persino creata la sagoma del sedere.
Sorrise al pensiero.
E suo padre che di rimando ribatteva dicendole che apparteneva a suo nonno e per tanto era un vecchio cimelio di famiglia, impuntandosi così tanto da affermare che qualora desiderasse gettarla via, avrebbe dovuto buttare anche lui.
Un'altra lacrima sfuggì al suo controllo. Quei ricordi così inutili a quei tempi, che a tratti l'avevano fatta irritare, in quel momento rappresentavano l'unico legame con i suoi.
Sospirò. Quel pomeriggio aveva deciso di tornare nella sua casa trovandola in uno stato pietoso.
Nessuno si sera premurato di ristrutturarla o pulirla, l'avevano lasciata così com'era.
C'erano perfino ancora delle gocce di sangue rappreso sul tappeto.
Dopo aver pianto rannicchiata sul pavimento ed aver rotto qualche vaso pervasa dalla rabbia e dalla frustrazione, aveva ripulito tutto. E dopo aver fatto un grosso sospiro guardando le foto dei suoi genitori, gli aveva promesso che non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da quei bastardi.
Poi si era preparata ed era uscita, diretta al capannone della congrega.
Ora che era riuscita nel suo intento, nella sua vendetta, si sentiva strana, incompleta. Come se la sua esistenza in quel momento non avesse più senso.
Non poté far altro che ripensare alle parole di Oneida: ''La vendetta lascia un vuoto dentro'' E aveva ragione.
Improvvisamente il suo anello sembrò vibrarle, attirando la sua attenzione e distogliendola dai suoi pensieri.
Corrugò le sopracciglia.
C'era decisamente qualcosa che non andava.
Istintivamente si girò nella direzione opposta, cercando di mettere a fuoco qualsiasi cosa o di percepire una forma di magia.
Nel buio, attraverso quella poca luce che filtrava, riuscì ad individuare una sagoma vicino alla cristalliera nella quale era riposto il Grimorio di Oneida.
Spazientita e irritata accese le luci con un incantesimo non verbale, ritrovandosi davanti il ragazzo che l'aveva liberata dalla sua prigionia, Kai.
Sollevò un sopracciglio curiosa.
E lui che cosa ci faceva nella sua casa, al buio?
«Che cosa ci fai in casa mia?»
Lui sorrise. Era appoggiato con la schiena rivolta alla cristalliera e teneva le braccia incrociate, sembrando alquanto tranquillo.
«Sono venuto a congratularmi con te. Sei stata incredibile lì dentro». Ammiccò, guardandola con un sorrisino divertito.
Ruby sbatté le palpebre.
«Tu eri lì? Fai parte della congrega Gemini?» chiese sorpresa. Il ragazzo sembrava tranquillo, tuttavia non giustificava il motivo per il quale si era introdotto in casa sua e del perché il suo anello vibrasse.
Assottigliò lo sguardo, fissandolo per bene: era bello, non poteva metterlo in dubbio.
I suoi occhi azzurri erano limpidi come il cielo di primavera, tuttavia il suo sguardo sembrava cupo come l'inverno, anche se non voleva dimostrarlo. C'era qualcosa nel modo in cui la guardava che le diceva di stare attenta e tutto si fece più intensificato per via del suo anello di protezione che non aveva smesso un secondo di vibrarle leggermente.
«Diciamo di sì». Con un colpo di reni si staccò dalla cristalliera avviandosi verso di lei lentamente.
«Non ero a conoscenza della tua storia. Mi dispiace. Posso solo dire che io e te siamo simili. Anch'io ho subito lo stesso trattamento da quegli ipocriti». Ora era abbastanza vicino da poterlo ammirare meglio.
I suoi occhi azzurri la scrutavano intensamente e Ruby incatenò i loro sguardi. Il suo naso era perfettamente dritto e le labbra erano a cupido con il labbro inferiore più carnoso del superiore.
Indubbiamente erano perfette da baciare.
Riuscì perfino a vedergli la piccola cicatrice al centro delle due sopracciglia e istintivamente si leccò il labbro inferiore.
Gesto che non sfuggì agli occhi del ragazzo che non le staccava gli occhi di dosso.
La voce di lui stonava con il suo sguardo cupo, era calda, convincente e per un istante ebbe l'impulso di afferrarlo per la nuca e spingerlo verso le sue labbra.
Forse erano gli ormoni, o forse semplicemente era troppo frustrata e arrabbiata da tutto quello che le era capitato che sentiva l'impulso di volersi sfogare con qualcosa o qualcuno.
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