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Parte Quattordicesima

(Piccolo consiglio prima di iniziare: se non vi infastidisce, vi consiglierei di leggere il capitolo con il video allegato su in sottofondo, almeno fino all'asterisco che vi lascio a metà pagina. Sempre se vi va. Grazie e buona lettura.)

Pov Kai.

Quando aveva ripreso coscienza di sé, si era risvegliato su qualcosa di morbido avvolto tra le coperte. Alle sue narici aveva avvertito l'odore pungente del sangue e immediatamente, come un flashback gli era tornato tutto in mente: lui che veniva azzannato da quel cane, il dolore lancinante che lo aveva portato allo svenimento; quell'assurdo posto con quelle strane creature e alla fine, la voce della ragazzina che recitava un incantesimo.

Si era messo a sedere immediatamente, sentendosi stranamente bene, forse un po' spossato ma bene. Constatando spiacevolmente di essere ancora sotto forma di gatto nella casa dei Reyes.

Aveva notato la strega dai capelli rossi intenta a leggere qualcosa sul quell'antico Grimorio che gli aveva suscitato curiosità, ed era così concentrata da non essersi accorta del suo risveglio.

L'aveva fissata chissà per quanti minuti, ponderando sul perché lei gli avesse salvato la vita.

Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere con lui, anzi, se ci fossero state alte possibilità di farlo fuori, chiunque, compresi la strega Bennet e la Congrega Gemini lo avrebbero fatto fuori in un battito di ciglia. Eppure, quella ragazzina lo aveva salvato.

Perché?

Lui non aveva dato modo di essere cortese nei suoi confronti, al contrario, aveva cercato di rubarle la magia, il suo posto di Leader della Congrega e di volerla uccidere. Perciò per quanto si sforzasse di capire non ci riusciva.

Che lo avesse risparmiato perché voleva servirsi di lui per qualche scopo? Non lo sapeva, forse sì.

Lui lo avrebbe fatto al suo posto.

Quando lei si accorse di lui, si avvicinò iniziando a fargli una ramanzina di quelle che blaterano le madri con i propri figli.

Una seccatura.

Quando la sentì alzare la voce alterata, rimproverandolo di essere stato imprudente per aver rischiato la vita inutilmente Kai avvertì una strana sensazione, o meglio due contrastanti.

La prima, la più semplice, era il fastidio. Odiava essere rimproverato per qualcosa che faceva perché lui aveva sempre agito per uno scopo, non per futilità, per cui quella ragazzina non aveva alcun diritto di giudicarlo.

Miagolò, cercando di farle capire quanto fosse scocciato, ma lei continuò a fissarlo con quello sguardo severo, incastonando le sue gemme viola nelle sue blu; ed è qui che entrava in gioco la seconda sensazione.

Non riusciva a descriverla. Era la stessa sensazione che aveva provato quando l'aveva attratta a sé, la sera in cui aveva tentato di rubarle la magia; la stessa che aveva provato, seppur leggermente, nel Limbo in cui si trovava poche ore fa.

Era debole in confronto alle altre sensazioni che gli divoravano le viscere, eppure era lì, che galleggiava minuscola e indisturbata in mezzo alle altre, ansiosa di farlo impazzire e confondere ancor di più.

Sembrava molto simile al senso di colpa, quella sensazione che ti attanaglia le viscere per poi farti sentire le palpitazioni accelerate. Ma non era possibile per un sociopatico come lui provare rimorso.

Come aveva appena affermato, lui non aveva nessun motivo per sentirsi in colpa perché non aveva sbagliato. Lui agiva per un motivo ben preciso.

Eppure, nonostante le sue convinzioni si ritrovò ad abbassare lo sguardo per un secondo, distogliendolo da quegli ipnotici occhi viola.

Cercò di farle capire di aver afferrato il concetto, ritrovandosi ad alzare la zampa come un coglione.

Miagolò cercando di dirle: ''Ok, va bene, fly down tesoro''.

Ma la scena doveva sembrare parecchio ridicola, poiché lei soffocò una risatina scuotendo i lunghi boccoli rossi.

Ed eccola di nuovo. La stessa sensazione del senso di colpa che prepotente gli torceva le budella, seppur per pochi secondi. Gli stessi secondi del sorriso di Ruby.

Ma perché doveva sentirsi in colpa?! Dannazione, più si sforzava e più non ci capiva nulla.

Ed ora era in cucina, da solo, dopo che quella streghetta dalle mille risorse lo aveva incatenato a un ridicolo incantesimo di confinamento con uno stupido collare per gatti.

Si sentì più frustrato che mai. Non solo doveva convivere con quella ragazza in una forma felina, sorbendosi tutte le sue chiacchiere ma si era ritrovato ad essere nuovamente imprigionato in una fottuta casa come un animale!

Cosa c'era di così peggiore al mondo?

La morte forse sarebbe stata meglio. Forse avrebbe dovuto lasciare che quelle ombre lo uccidessero piuttosto che continuare a mangiarsi quello schifoso tonno in scatola.

Un ticchettio rimbalzò verso la finestra di vetro che si affacciava sulla cucina. Alzò il musetto, dirigendosi con un favoloso equilibrio verso la finestra schiacciandoci quasi il naso contro.

Stava diluviando, e anche bello forte, di nuovo.

Più che diluviare a giudicare dal fracasso delle enormi gocce, dedusse si trattasse di grandine.

Non si stupì molto poiché erano in piena stagione invernale e non si sarebbe di certo stupito il giorno dopo se una volta svegliato, si fosse ritrovato a fissare il paesaggio innevato. La neve era frequente così come la grandine.

Si meravigliò nel sentire i muscoli rilassarsi nell'udire il ticchettio frangente della grandine contro l'asfalto. Non si era mai soffermato ad avvertire le sensazioni di quei suoni così soft; per lui la pioggia aveva sempre rappresentato una seccatura dove ritornare a casa zuppo e infreddolito era l'unico problema.

«Ti piace la pioggia?» mormorò qualcuno alle sue spalle.

Per poco non fece un salto di trenta metri.

Ma da quando era lì quella stupida a fissarlo in silenzio? Voleva per caso fargli perdere tutti gli anni di vita vissuti nel mondo prigione?

Lei ridacchiò, sedendosi sul davanzale di marmo della cucina, a pochi palmi da lui e volse il capo, fissando anche lei la grandine fuori dalla finestra.

Kai non seppe per quale motivo, ma si ritrovò a fissarla affascinato. Non solo per la bellezza, ma per lo sguardo carico di tristezza e malinconia che trasudavano i suoi occhi viola. Guardarla in un certo senso, gli ricordava se stesso e quello che aveva passato; tutte le ingiustizie e il dolore, soffocati dalla rabbia e dalla frustrazione.

Aveva dovuto chiudere tutte le altre emozioni in un cofanetto e seppellirle nel profondo del suo essere, in un posto dove non sarebbero mai più emerse per poter raggiungere i suoi scopi. Eppure, ora che la fissava dal basso della sua statura felina, gli parve di sentirle riaffiorare, e gli sussurravano che quella ragazza riusciva perfettamente a capirlo, in ogni sua forma e sfaccettatura.

Lei sentendosi osservata, distolse lo sguardo dalla buia finestra illuminata solo dalla luce dei lampioni, e lo focalizzò su di lui.

«Che c'è? Sei ancora arrabbiato con me?» mormorò dolcemente, con una vocetta che avrebbe dovuto tanto irritarlo ma che stranamente non lo fece, non con quella atmosfera strana in sottofondo.

Arrabbiato? In quel momento non riusciva a provare più nulla in realtà. Era sempre stato difficile per lui provare sentimenti che non fossero l'odio, la rabbia e la tristezza, ma in quel preciso momento sembrava essersi tutto azzerato, come un blackout totale e non riusciva a capire il perché.

Forse la colpa era della grandine che gli rilassava le membra e la mente, oppure la causa era lei con i suoi dannatissimi occhi viola che trasudavano emozioni da tutti i pori tanto da schiacciare i suoi al secondo posto.

Un momento. Lui, Malachai Parker stava davvero mettendo da parte per un secondo le sue emozioni, i suoi pensieri, per interessarsi a quelli della ragazzina?

Stava completamente uscendo fuori di senno?

Scosse il capo velocemente, cercando di scacciare quegli stupidi pensieri. Non poteva assolutamente comportarsi come un idiota in quel momento!

«Beh, allora meglio così» continuò lei, portando nuovamente lo sguardo alla finestra.

Cosa?

Sbatté le palpebre confuso, illuminandosi subito dopo aver fatto mente locale.

Giusto, la ragazzina pensava che fosse arrabbiato con lei, e lui aveva scosso la testa, perciò doveva aver frainteso.

Beh, poco gli importava.

«Sai, anche a me piace molto la pioggia». Il tono di voce era basso, e la debole luce dei lampioni lì fuori le sfiorava la parte sinistra del volto.

Erano entrambi al buio. Il sole era tramontato da poco, ed erano solo le diciassette del pomeriggio, ragion per cui l'inverno si faceva sentire più che mai poiché le giornate si accorciavano in un batti baleno.

«La trovo rilassante. -mormorò- e in un certo senso, credo che lei rappresenti un po' uno stato d'animo. Un misto tra malinconia e tristezza che scivolano via dal cielo, come delle lacrime che cadono giù dal viso di una persona liberandola da un enorme peso. Per questo ad alcune persone piace molto perché rispecchia proprio ciò che provano dentro» Inclinò la testa di lato, spostando nuovamente lo sguardo su di lui.

«Non trovi?».

Kai non rispose. Si limitò a fissare la finestra sciogliendo il contatto tra i loro sguardi non sapendo proprio cosa pensare.

La pioggia lavava via i sentimenti? Se fosse stato vero allora molte persone ci farebbero il bagno alla prima occasione pur di scrollarsi di dosso quelle disgustose sensazioni che logoravano il petto.

Anche se fosse stata solo una metafora in quel momento avrebbe dato qualunque cosa pur di togliersi di dosso quell'assurdo senso di colpa che riaffiorava nuovamente in superficie, rendendolo un completo ebete perché non riusciva a capirne il motivo.

Lei sospirò dopo un lungo silenzio.

«Quanto avrei voluto che le cose fossero andate diversamente».

A quelle parole, Kai sollevò lo sguardo. La voce di Ruby sembrava così maledettamente triste e malinconica, quasi sull'orlo di un pianto. Ma lei non aveva gli occhi lucidi, stava lottando con tutta se stessa nel essere forte, senza riuscirci totalmente.

Nonostante la spessa corazza di freddezza e stronzaggine come la sua, aveva anche lei dei momenti di debolezza, proprio come lui. E lo stava dimostrando proprio in quel momento, accanto a Kai, non preoccupandosi minimamente della sua presenza; forse, perché in quel momento non lo riteneva una minaccia oppure, aveva completamente dimenticato la sua presenza.

I suoi occhi violacei parvero urlare disperazione; richiedevano urgentemente un'àncora di salvezza in quel enorme mare in tempesta di tristezza che la stava lasciando affogare molto lentamente.

Kai avvertì nuovamente le budella torcersi sotto la fitta lancinante che lo aveva appena attraversato da parte a parte, miagolando di disapprovazione.

Ma cosa gli prendeva? Che si stesse ammalando?

«Beh! - fece improvvisamente, balzando giù dalla cucina- ormai è andata così. Che ne diresti di mangiare qualcosa?» E accese la luce, facendogli dannatamente male agli occhi.

La fissò con disapprovazione, mentre lei tutta tranquilla si affrettava ad offrirgli la sua gustosissima cena.

Arricciò il muso.

Iniziava a odiare quel maledetto tonno.

°°°°°

Pov Ruby.

Dopo aver cenato con quello che c'era in frigo, decise di andarsi a fare un bel bagno caldo per sciogliere la tensione ed eliminare quei tristi pensieri che grazie alla pioggia erano riemersi in superficie.

Guardò Kai, avvisandolo delle sue intenzioni, disturbandolo dal suo lavaggio del viso con la zampetta. Lui per tutta risposta emise un miagolio secco e corto, facendole capire che non gliene fregava proprio nulla.

Abbozzò una risatina, scuotendo i lunghi boccoli rossi dirigendosi su per le scale, mischiando il ticchettio della pioggia con quello dei suoi stivaletti con il tacco.

Entrò in camera, chiuse la porta e si spogliò; gettando svogliatamente i vestiti sul letto sfatto che non aveva voglia di sistemare.

In intimo si avviò nel bagno personale nella sua stanza; era piccolo, ma abbastanza spazioso da contenere un piano doccia proprio accanto al lavandino. Più a destra vicino al muro c'era una vasca antica a zampa di leone che occupava quasi tutto lo spazio che personalmente adorava alla follia. A sinistra c'era il water con il bidet, e di fronte a loro c'era il mobile del lavandino completamente bianco, risaltato dalle mattonelle di color pesca.

Aprì l'acqua e lasciò che il calore del vapore riempisse la stanza, riscaldandola piacevolmente. Si spogliò del tutto e attese al centro della stanza, sfregando i piedi sul tappeto peloso color pesca, per via del leggero freddo.

Lo aveva preso tempo fa per evitare di scivolare e rompersi l'osso del collo; ancora ricordava le storie di sua madre completamente in disaccordo per la scelta. Ma alla fine aveva vinto lei, come sempre.

Si immerse nella vasca sospirando di sollievo quando l'acqua calda le avvolse il corpo. Il sapone che aveva gettato al suo interno aveva creato delle dolcissime bolle che le coprivano la visuale del suo corpo.

Lasciò che i suoi capelli si bagnassero completamente e chiuse gli occhi, beandosi di quel piacevole tepore. Il temporale in sottofondo la fece rabbrividire nonostante fosse immersa nel caldo; non sapeva per quale motivo ma la pioggia sin da piccola le suscitava la pelle d'oca.

Chiuse gli occhi e si lasciò scivolare completamente nell'acqua.

Sua madre aveva sempre soddisfatto i suoi capricci; forse, lo faceva semplicemente perché era sola e non aveva motivi per cui essere felice, nonostante non si ritrovasse quasi mai d'accordo con lei, cercava in tutti i modi di strapparle un sorriso.

Era dolce, coraggiosa, saggia e tremendamente testarda, motivo per cui suo padre glielo rinfacciava di continuo.

Era sempre pronta a dar battaglia e non le era mai importato di risultare inadeguata agli occhi della congrega, anzi, contrariamente a ciò era molto rispettata per questo.

Ruby la rispettava. Le doveva la vita e nonostante le avesse fatto un gran torto inconsapevolmente, sua madre non glielo aveva mai fatto pesare, anzi, l'amava con tutta se stessa e la difendeva quando ce n'era bisogno; la incoraggiava ad essere più forte, a lottare e a non lasciare che i sentimenti le offuscassero la ragione.

Le doveva tutto.

Chiuse gli occhi, lasciando che l'acqua le entrasse nelle orecchie e che la schiuma in superficie le oscurasse la visuale del soffitto. [ * ]



''Il sole era molto cocente quel giorno, tanto da scottarle la pelle candida. Si sentiva bruciare e immediatamente corse alla ricerca di un'ombra sotto l'albero più vicino.

Era pieno Luglio e le giornate iniziavano ad essere più afose, non si faceva altro che boccheggiare e sudare, farsi una doccia e ricominciare di nuovo.

Indossava un semplice pantaloncino di jeans e una canotta bianca che metteva in risalto i piccoli seni ancora acerbi.

I capelli rossi erano corti, tenuti in ordine da un cerchietto il quale le permetteva di sembrare decente, secondo sua madre.

Sbuffò annoiata, mentre calciava un sasso. Era Domenica e i suoi erano con la Congrega rinchiusi in quella scatola di metallo che chiamavano Capannone, al caldo a fare chissà cosa.

Non le importava molto di cosa facessero lì dentro, ma le importava che la lasciassero sola in piena mattina, annoiata e senza nulla da fare.

Aveva promesso a sua madre di non allontanarsi e si era addentrata nei pressi del bosco seguendo il sentiero, e ad una certa aveva iniziato ad avvertire talmente caldo che aveva dovuto trovare riparo.

Avere la pelle troppo bianca non era affatto un vantaggio per una come lei, o la ''pel di carota'' come la chiamavano gli altri.

Agli inizi non ci aveva badato molto, aveva semplicemente pensato che fosse una cosa strana, che forse gli altri ragazzi volevano solo scherzare con lei, ma poi era diventata una routine chiamarla così e adesso si sentiva semplicemente brutta.

Non era come le altre ragazze, bella con i seni già grandi, i capelli lunghi e luminosi, brillante, divertente e interessante. No, era semplicemente magra, forse troppo magra, senza curve somigliando più ad uno stuzzicadenti; i seni ancora in fase di crescita, i capelli corti di un rosso carota che tanto odiava e per ultime, quelle odiosissime lentiggini spruzzate su tutto il viso che la rendevano orribile.

Le odiava, odiava tutto di se stessa.

Perché era nata così?

Per non parlare dei suoi strani occhi viola che nessuno aveva nella congrega. La facevano sentire in imbarazzo, e ogni qual volta Thomas Clark, il ragazzo per il quale aveva una cotta la guardava, lei desiderava solo essere bella come Alicia Robinson, la figlia dei signori Robinson, dagli occhi azzurri e i lunghi luminosi capelli biondi.

Era simpatica e aveva un sacco di amici, e ovviamente Thomas le rivolgeva la parola.

Ma con lei non ci parlavano, nessuno in realtà le rivolgeva la parola, tranne che per la scuola, a parte Nicolas Baker, Charlie Phillips e James Patel, il trio dei simpaticoni. Ovviamente per ''rivolgerle la parola'' si riferiva all'offenderla chiamandola con quello stupido nomignolo che aveva imparato ad ignorare.

Agli inizi, alla tenera età di dieci anni, lottava contro la voglia di piangere evitando di far scivolare le lacrime dal viso per non sembrare più ridicola di quanto lo fosse, ora invece, nei suoi pieni quindici anni, lottava contro la voglia di sputargli in un occhio tanto era il rancore che provava nei loro confronti.

Ma se solo lo avesse fatto sua madre si sarebbe arrabbiata molto. La sua educazione le imponeva di essere perfetta e composta come una vera signorina Reyes, futura erede della Congrega Gemini, e non una ribelle maleducata che se ne andava in giro a picchiare i ragazzi solo perché la insultavano.

Già futura erede, perché lei fin dalla nascita era destinata ad essere la Leader della Congrega. Molti non sembravano d'accordo a giudicare dagli sguardi che le rivolgevano ogni qual volta si faceva vedere con i suoi genitori.

E non poteva nemmeno biasimarli, dopotutto il trambusto che aveva causato nei confronti di sua madre; ma il bello era che lei, nemmeno voleva diventare la Leader! Non le importava nulla di comandare tutte quelle persone che non la consideravano che un mostro. Non voleva essere responsabile della protezione della Congrega, di supervisionare tutte le tradizioni, di garantire l'ordine e il futuro agli eredi. A lei non importava tutto questo.

Voleva solo essere libera di vivere come una normale ragazza, di poter affrontare i semplici drammi adolescenziali come le cotte e i litigi con gli amici, di studiare in una scuola normale e perché no, farsi degli amici umani.

E invece no, doveva studiare la storia delle streghe, le lingue antiche, i simboli storici, gli incantesimi, i rituali, tutti i nomi delle creature angeliche e demoniache più il bestiario dei mostri.

Erano troppe cose da imparare, troppo da studiare. Come poteva una ragazza come lei fare tutto contemporaneamente?

A cosa serviva studiare tutto, se poi nemmeno le sarebbe servito un giorno? Tipo la storia delle streghe; era interessante certo, ma che cosa se ne faceva lei nel sapere che Thomas Jefferson, il terzo presidente degli Stati Uniti d'America, è stato il fondatore della prima Church of the Night?

Alzò gli occhi al cielo, scocciata dai suoi stessi pensieri.

Certo, era importante sapere che esistessero dei posti specifici nascosti agli occhi degli esseri umani dove streghe e stregoni di ogni luogo potessero incontrarsi senza il timore dall'essere scoperti, ma farne addirittura cinque capitoli dedicati a quei luoghi le sembrava un tantino esagerato.

Non poteva starsene buono quel Jefferson?

Si ritrovò a sospirare mentre girava alla sua sinistra, iniziando a incamminarsi svogliatamente non prestando minimamente attenzione a ciò che la circondava. Finché qualcosa di duro la colpì sulla spalla facendole un male assurdo.

Strillò improvvisamente, toccandosi il punto dolente. Scattò con lo sguardo puntandolo alle sue spalle, voltandosi immediatamente.

«Guarda, guarda chi abbiamo qui!» fece una voce dannatamente odiosa.

Un biondino dai capelli rasati sui lati della testa, sbucò di soppiatto dal retro di un albero.

Era gracilino per la sua età e non era per niente sviluppato di muscoli rispetto a Thomas Clark, bello, moro dai capelli un po' lunghi sulla nuca e di costituzione più robusta.

In confronto, Nicolas Baker sembrava uno stuzzicadenti per troll, tanto era alto e snello. Sapeva solo fare il galletto assieme a quei due cagnolini che si portava con sé, solo perché la sua magia era più potente rispetto agli altri.

«Ciao Pel di Carota, che cosa ci fai qui tutta sola soletta?» Sogghignò, guardandola divertito.

Ruby si massaggiò la spalla, guardandolo torvo quando questo si fece più vicino a lei.

«Che ti frega, Baker. Sono fatti miei, evapora » sibilò acida, non premurandosi dal mostrargli un'espressione disgustata.

Lui si fece più vicino, fissandola divertito con quegli occhi piccoli e marroni.

«Uhh! Guarda come tremo. Credi di fare paura solo perché hai gli occhi viola?» Rise, fermandosi a soli tre metri da lei, schiacciando disinvolto un ramo sotto la sua scarpa.

Stava giocando con una pietra facendola rimbalzare sul palmo della mano come una pallina da baseball e la fissava con uno sguardo malizioso, facendole intuire che fosse stato lui a colpirla.

Ruby lo fissò torva.

«Invece ti conviene averne » Lo minacciò, cercando di sembrare più sicura possibile.

Tutti avevano paura di lei, perfino lei stessa ne aveva perché non riusciva a controllare bene quel maledetto potere che aveva manifestato fin dalla nascita. E quegli idioti lo sapevano benissimo così come il resto della sua Congrega, ecco il perché la evitavano come la peste. Ma nonostante ciò loro continuavano a tormentarla e lei non sapeva fin quando sarebbe riuscita a mantenere la calma.

Lui trattene una risatina.

«Secondo me quegli idioti esagerano. Hanno tutti il timore che tu possa fargli qualcosa di brutto, ma io ti ho osservata. - inclinò la testa di lato, fermando la pietra a mezz'aria con la magia- Tu, non sei nient'altro che una stupida sfigata che non è capace nemmeno di far volare questa pietra». Il suo tono di voce era saccente, spocchioso e irritante alle orecchie di Ruby, talmente tanto da farle stringere le nocche dalla rabbia.

«Sarò anche una sfigata, ma un giorno sarò io quella che ti darà gli ordini e tu da bravo pezzente obbedirai». La rabbia e il rancore parlarono per lei, facendole sputare quelle parole come una serpe velenosa.

Fin da piccola era sempre stata una persona molto diretta, diceva in faccia ciò che pensava e per questo sua madre aveva dovuto istruirla più del dovuto, usando metodi rigidi i quali avevano dato i loro frutti. Purtroppo però, in certe situazioni la sua lingua lunga d'accordo con la sua rabbia si accoppiavano per farle sputare fuori ciò che pensava, mettendola in situazioni rischiose.

Nicholas assottigliò gli occhi irritato, perdendo subito quel sorrisetto strafottente dalle labbra.

«Come osi, brutta stronzetta che non sei altro». E in un battito di ciglia le scagliò contro la pietra che Ruby non fece in tempo a fermare. Questa si schiantò violentemente contro la sua fronte, facendola strillare dal dolore e dalla sorpresa.

Immediatamente avvertì qualcosa colarle in faccia e pulendosi in fretta scoprì che fosse sangue.

Trattenne un singhiozzo.

L'aria iniziò a mancarle e una strana sensazione si impadronì del suo petto, facendola sussultare e deglutire spaventata.

No, non di nuovo.

La conosceva bene la sensazione.

Fece per andarsene, dando le spalle a Nicholas ma si ritrovò faccia a faccia con Charlie Phillips e James Patel.

Charlie le sorrideva come tutte le volte in cui aveva incrociato il suo sguardo, ma non era un sorriso dolce, bensì uno cattivo, come se ci traesse piacere a vederla in quello stato. Lui era più grande di Nicholas e James, eppure faceva da lacchè al biondino, con la sua statura massiccia prendendo a pugni chiunque disubbidisse agli ordini di Nicholas con le sue dita cicciose.

«Per favore..» fece rivolta a James, l'unico silenzioso del gruppo supplicandolo con lo sguardo. Era più basso rispetto a Nicholas, dal fisico asciutto. Il suo stile da emo risaltava esattamente la sua personalità, così come il suo aspetto.

Gli occhi azzurri di James contornati dalla matita nera, la scrutavano annoiati. Non fece una piega né disse nulla, si limitò ad osservare Charlie che scrocchiava le dita cicciose guardandola con un ghigno preoccupante.

«Io devo andare via..» continuò lei, fissandoli entrambi cercando di fargli capire che non poteva assolutamente restare lì o sarebbe successo di nuovo.

«Tsk! Tu non vai da nessuna cazzo di parte se prima non vieni qui e mi chiedi scusa» fece la voce irritata di Nicholas alle sue spalle.

Ruby deglutì. L'ansia per la paura, l'adrenalina per il nervoso e la rabbia, stavano combattendo tra di loro su chi avesse dovuto avere la meglio mentre lei era lì, a stringersi le mani al petto con il volto rivolto verso il basso cercando di tranquillizzare il respiro.

Doveva restare calma altrimenti sarebbe stato peggio.

«Hai sentito cosa ho detto, o sei anche ritardata?» continuò il biondo.

La risatina di Charlie la fece sentire tremendamente sbagliata, un mostro.

«Smettila, sta' zitto!» Gli urlò ad occhi chiusi, respirando più profondamente.

''Resta calma. Resta calma''

Si ripeteva continuamente nella testa.

Improvvisamente si sentì strattonare per un braccio. Lo scatto improvviso e brusco la fece sussultare per lo spavento. Alzò subito lo sguardo verso Nicholas e fu proprio in quel momento che la sua vita si complicò ulteriormente.

«Tu ''sta' zitto'' lo dici a qualcun altro, hai capito stronzetta, EH?!» La scosse con rabbia, fissandola in cagnesco con i suoi occhi marrone scuro fissi in quelli viola di Ruby.

Fu un quel momento che Ruby desiderò ardentemente di fargli male, ma molto molto male. Un desiderio così viscerale da mandarle il cervello in vacca e farle dimenticare il raziocinio.

L'adrenalina dettata dal nervoso si propagò nelle sue budella per poi irradiarsi per tutto il corpo. Una piacevole sensazione di sazietà le invase il petto e fu come se avesse appena mangiato qualcosa di estremamente buono in un periodo di dieta ferrea.

Schiuse le labbra godendosi la magnifica sensazione di appagamento mentre tutto attorno a lei si fece ovattato. Non riusciva a sentire più nulla se non la piacevole sensazione di piacere; non sentì nemmeno le urla di disperazione, né le voci attorno a lei che le urlavano di fermarsi. Fu tutto veloce e confuso poi il buio.









Spazio autrice:

BEH! Che dire...

Capitolo un po' lunghetto lo so, per questo ci ho messo un bel po' a scriverlo, spero di non aver mancato qualche errore di battitura nella revisione, in caso contrario fatemelo notare. ;)

Per quanto riguarda il capitolo, ci stiamo avventurando lentamente nei ricordi di Ruby per scoprire che cosa l'ha resa così triste, arrabbiata e rancorosa. Il passato è turbolento e per questo sarà presente in vari flashback durante i capitoli. Questo sarà importante perché vi farà entrare in empatia con lei, e spero vivamente di riuscirci.

Il nostro Kai è sempre più confuso e finalmente sta iniziando a provare sentimenti che non siano rabbia, tristezza e odio. Chissà che cosa farà più in là, e che cosa succederà a queste povere anime che convivono sotto lo stesso tetto a causa mia, lol.

Che dire, se vi sta interessando la storia lasciate una stellina, mi farebbe molto piacere. In più vorrei ringraziare tutti coloro che sono arrivati fino al quattordicesimo capitolo, le vostre visualizzazioni mi fanno molto felice.

Alla prossima :)

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