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Capitolo 2 - Melrose Avenue

Cassiopea

Eccomi qui! Melrose è la mia nuova casa. Ho scelto un condominio fighissimo, con tanto di piscina comune e grande giardino per tutti.

Sono stata assente dalla mia città natale per tanti anni. Dopo il liceo sono volata a New York per studiare e, visto che mi sono distinta molto tra quelli del mio corso, dopo un breve stage lì per Valentino Garavani, sono subito stata chiamata qui a L.A. per lavorare con Dior.

Ancora non mi sembra vero, è come se stessi vivendo un sogno. Ad oggi mi sento così lontana da quella ragazzina magra come un chiodo, spigolosa e secchiona che nascondeva la sua essenza dietro codini e treccine e due grossi occhiali che le ricadevano spesso sul viso.

Mi vestivo in modo da non essere mai notata perché, a quell'età, non mi vedevo affatto bella.

Il mio viso, per la pubertà, si era riempito di odiosi brufoli e l'apparecchio ortodontico non aiutava la mia scarsa autostima.

Nella mia camera, però, quando nessuno poteva vedermi, giocavo a fare la stilista coi miei vecchi vestiti e, durante il giorno, disegnavo modelli immaginando di diventare una grande stilista e di aprire un'azienda di moda tutta mia.

Chissà, magari un giorno...

Oggi direi che sono pienamente soddisfatta di dove sono arrivata. Dior! Da non crederci.

La paga è favolosa, tanto da permettermi un appartamento qui a Beverly Hills, precisamente a Melrose Avenue. Per quanto piccolo, il mio monolocale lo adoro! È bello essere indipendente e poter contare solo sulle proprie forze.

Con un grosso pacco nelle mani e le chiavi di casa poggiate su di esso, guardo dal basso le scalette che conducono al mio monolocale.

Mi sembra di essere stata catapultata nel telefilm degli anni '90 Melrose Place.

Sospiro felice e salgo le scale per portare il primo pacco al piano di sopra.

Ne ho un'infinità, oltre a due valigie, una lampada altissima, tre borsoni e la vaschetta con Trilly, la mia tartarughina acquatica.

Non ce la farò mai da sola! Forse avrei dovuto pagare qualcuno per farmi aiutare, invece è arrivato tutto con una ditta aerea di trasporti da New York che, una volta all'aeroporto, ha dato le mie cose a un piccolo camion che ha scaricato sotto casa mia ed è andato via.

Solo Trilly ha viaggiato con me e non vedo l'ora di trovare, per lei, una sistemazione perfetta.

Avevo chiesto a mio fratello Arthur di aiutarmi ma è fuori città per lavoro e tornerà solo tra un paio di giorni.

Ad ogni modo non è un problema, me la caverò. Sono abituata a fare tutto da sola.

«Eccoci qui. Casa dolce casa» dico, accendendo la luce e posando il primo pacco per terra, rovesciando la mia borsa sul divanetto e andando subito ad aprire per far arieggiare.

Ho affittato questo appartamento da lontano e firmato il contratto senza aver mai visto la casa dal vivo.

Avrei potuto far venire mio fratello a dare un'occhiata ma non volevo perdere l'occasione e siccome questa zona è molto richiesta, ho subito bloccato il monolocale.

Avevo una sensazione positiva e ora che sono dentro sono felice di non essermi sbagliata.

Il mio sesto senso è infallibile!

Il posto è piccolo ma carinissimo. L'arredamento è nuovo, ben curato.

Il tour a distanza che ho fatto con l'agente immobiliare che, attraverso una videochiamata, mi ha mostrato il tutto, è stato utile perché mi ha fatto, più o meno, capire gli spazi.

Inoltre ho avuto diversi video dell'appartamento, ripresi da più di un'angolazione che mi hanno fatto compiere la mia scelta a cuor leggero.

«Ecco, lo sapevo che ci avevo visto giusto. La lampada sarà perfetta qui» dico tra me e me, guardando un piccolo angolino all'ingresso, all'opposto del piccolo attaccapanni in dotazione, dove avevo già deciso di mettere il mio abat-jour.

Osservo la divisione del ristretto ma funzionale spazio in cui vivrò.

Alla mia sinistra una piccola cucina che ha tutto e, al centro, un tavolo per quattro persone poco distante dal divano di stoffa beige su cui ho lanciato la mia borsa. Di fronte ad esso c'è un televisore a muro e, alla mia destra, una piccola porticina che nasconde il bagno.

Metto in moto i piedi e lo raggiungo in un baleno, visto quanto è piccola la casa.

«Carinissimo!» commento, sorridendo da sola come un'idiota. Esco da lì e sbircio la stanza da letto, minuscola ma adorabile come una bomboniera.

Una porticina la divide dalla zona giorno e ho spazio a sufficienza per le mie cose tra le scaffalature a muro nella stanza, il piccolo ma capiente armadio nella zona giorno e il letto che si apre a cassettone e che può contenere una miriade di roba.

Ho anche una piccola scarpiera accanto alla tv e, in cucina, una lavasciuga di tutto rispetto.

Non mi manca niente.

Il bagno è piccolo ma ha abbastanza spazio per contenere detersivi e quant'altro, oltre che una minuscola armadiatura a muro ricavata appositamente per conservare scope, palette e similari.

«Adoro!» dico guardando un'ultima volta la casa e, tornando di sotto per recuperare la vaschetta con Trilly.

Risalgo di sopra e la sistemo in cucina, poi scendo di nuovo e osservo le mie cose per decidere cosa portare per prima.

Sorrido, nonostante sia piena di roba da sistemare. Mi sento felice come una bambina, appagata e fiera di me e del grande passo che ho compiuto.

Non è stato facile, nonostante tutto, lasciare New York. Ormai la mia vita era lì, così come le mie amicizie.

La fortuna, però, ha voluto che la mia migliore amica Meredith, che lavora nel campo del web marketing, ricevesse, contemporaneamente, un'offerta di lavoro qui a L.A. dall'azienda che ha sempre sognato e che ha corteggiato per anni.

È stato una specie di segno del destino. Lasciare la grande mela assieme a lei è stato di sicuro più leggero e sapere che l'avrò al mio fianco per la nostra nuova avventura californiana, mi fa sentire al settimo cielo.

A differenza mia, Merry non conosce nessuno qui e io potrò farle da Cicerone, oltre che presentarle i miei vecchi amici. Non che me ne siano rimasti molti, in realtà. Al liceo non ero certo una popolare e con un gruppo folto. Inoltre Denise e Vincent, i miei migliori amici in assoluto dell'epoca, si sono trasferiti fuori dopo la scuola, ma conosco due ragazze che studiavano disegno come me con cui sono ancora in buoni rapporti.

Poi c'è mio fratello e sono sicura che per lui non sarà un problema presentarci qualcuno.

E poi, qui a L.A., c'è...

«Serve una mano?»

Una voce mi fa sussultare e, voltandomi, scopro che l'oggetto dei miei pensieri è proprio di fronte a me, a breve distanza.

Sta scendendo le scale di un altro pianerottolo, sorride e mi viene incontro.

«Cazzo!» impreco tra i denti, sperando non se ne sia accorto.

Chissà che ci fa uno come lui qui. Dominque Tracker, Dom, per tutti... The Exterminator.

Ha inseguito il suo sogno e ce l'ha fatta. Gioca per i Los Angeles Rams ed è diventato una stella del football.

Famoso e desiderato da tutte le donne, riempie le copertine con i suoi successi sportivi e le sue conquiste.

Un giorno una modella, un altro un'attrice, il giorno dopo ancora un'influencer, oppure una donna comune. Mai storie serie, solo passatempi che riempiano le sue giornate.

Nessuna può conquistare davvero The Exterminator. Parole sue, giuro!

Mi raggiunge e sorride, guardando tutta la mia roba.

«Wow, quante cose! Si è appena trasferita?» chiede e io lo guardo stranita.

Possibile che non mi abbia riconosciuto? Sono passati tanti anni, è vero, e io sono cambiata parecchio, però... cavolo, abbiamo passato giornate intere insieme.

«Io... ehm...»

«Su, forza, le do una mano.»

Afferra la mia valigia più grossa e se la carica in spalla come fosse piuma.

Gli sorrido forzatamente e lui mi indica con la mano il cammino da seguire.

«Prego.»

Gli passo avanti, afferrando un paio di borsoni e sento il suo fiato sul collo. È esattamente dietro di me.

Cazzo, fa uno strano effetto!

Arrivati di sopra, Dom lascia la valigia all'ingresso e si guarda attorno.

«Però! Carino qui. Non ci ero mai entrato. Prima ci abitava una maga che era matta da legare» racconta ridendo e io sorrido, anche se a fatica.

«Sì, il posto è perfetto. Non posso proprio lamentarmi.»

Lo squadro e lui sorride con aria da marpione. Credo che mi abbia preso per una di quelle fan timide che non ha il coraggio di chiedergli un autografo o una foto.

Si inumidisce le labbra e, pulendosi le mani sul jeans, allunga il braccio verso di me.

«Io comunque sono Dominique Tracker. Lei è?»

Lo fisso inebetita. Sta giocando o crede sul serio che io sia una semplice fan impacciata?

«Non mi hai riconosciuta?» chiedo, scuotendo il capo e lui stringe gli occhi, come a osservarmi bene.

«Hai un'aria familiare, in effetti, ma... non so. Locali, feste? Magari a casa di un amico.»

Trattengo una risata e penso al modo più carino e simpatico possibile per dirgli chi sono.

Poi, una stupida idea mi balena alla mente.

«Aspetta» dico e mi volto per recuperare delle cose dalla mia borsa.

Di spalle rispetto a lui, inforco i grossi occhiali che, oggi, per l'aspetto che ho, mi danno un'aria più sexy che ridicola, come invece era quando avevo quattordici anni.

Rovisto tra le cose in cerca di due elastici e mi lego due codini alla bell'e meglio, sperando che questo lo aiuti.

Sorrido, sospiro e poi mi giro.

«Ta-dà!» strillo, in una scenetta ridicola degna delle più orribili soap operas americane.

Lui strabuzza gli occhi, spalanca la bocca in un sorriso.

«Non ci posso credere! Cassie!»

In un attimo è contro di me e mi abbraccia, alzandomi da terra e facendomi volteggiare.

Rido, poi lui mi posa a terra.

Cristo, la testa mi vortica vertiginosamente, e non solo per il giro.

Possibile che, dopo tutti questi anni, debba ancora farmi lo stesso effetto?

Beh, è diventato un figo da paura peggio di prima, Cassie Silver. Credevi di essere immune al suo fascino? insinua una voce nella mia testa e io provo a scacciarla.

«Dio, che figura! Io non ti avevo proprio riconosciuta. Sei...»

«Cresciuta?»

«Cambiata. Insomma... guardati. Sei completamente diversa.»

«Già.» Mi passo la lingua sulle labbra e tolgo gli occhiali, sciogliendo di nuovo i capelli e buttando tutto sul divano, tornando con gli occhi su di lui.

«Da quanto sei qui?» chiede.

«Sono arrivata stamattina presto da New York. Ho recuperato le chiavi da Mindy, dell'agenzia immobiliare, e atteso qui il furgone che doveva portare tutte le mie cose. Ho preso lavoro da Dior e mi sono trasferita di nuovo» racconto e lui mi guarda.

Sembra felice. Sorpreso e felice. Non so decifrare bene i suoi occhi.

«Capito. Dai, mi fa piacere. Allora saremo vicini» dice e io strabuzzo gli occhi.

«Abiti qui?» chiedo, appoggiandomi col corpo allo schienale del divano.

«Sì, nell'appartamento più grosso di tutti. Il mio compagno di squadra Pablo vive nell'appartamento accanto. Un po' più piccolo del mio, ma ugualmente da megalomani.»

Sorride, ma le mie orecchie percepiscono una sola parola.

«Pablo? Perez? Vive con te?»

«Sì, nell'appartamento accanto al mio» dice, fissandomi come a studiare una mia reazione.

«Wow, grandioso» commento, pensando alla faccia che farà Meredith quando glielo dirò.

Anche se a distanza, ho sempre seguito le partite dei Rams perché mi faceva piacere vedere Dominque in campo come quando ero una ragazzina e andavo a scuola a fare il tifo per lui e Arthur.

Così, con la mia amica Meredith le partite erano diventate un appuntamento fisso. L'ho fatta appassionare a uno sport di cui non conosceva niente. E si è anche presa una bella cotta virtuale per Pablo Perez, il running back dei Rams.

«Ti interessa Pablo?» chiede, ridestandomi dai pensieri.

«A me? No, no. È che la mia migliore amica ha una cotta per lui» spiego, ridacchiando

«Oh, ok. Bene. Sarà sicuramente contento.»

Ridiamo insieme e poi ci fermiamo, restando un istante di troppo a fissarci.

Lui fa un passo nella mia direzione, ma la mia voce lo ferma.

«Dovremmo tornare di sotto. Ho un mucchio di roba ancora da portare su.»

«Certo, sì, ti do una mano.»

«Non voglio disturbarti. Magari dovevi fare qualcosa.»

«Niente di importante. Ci tengo.»

«Ok, grazie.»

Scendiamo di sotto e, più veloce del previsto - grazie alla forza e all'agilità di Dom – portiamo tutto a casa mia.

Ora non mi resta che congedarlo gentilmente e sistemare il tutto.

«Ehm... grazie della tua gentilezza, Dominque. Ti offrirei qualcosa, ma... non ho niente» spiego, scusandomi con lo sguardo.

«Ma no, scherzi. Ad ogni modo, da quello che so, Mindy lascia sempre qualche bene di prima necessità in frigo, ai nuovi ospiti. Acqua, forse un paio di bibite e qualche tramezzino.»

«Oh, wow, grazie.»

Incuriosita, vado verso il frigo e lo apro, trovandoci dentro esattamente quanto ha elencato Dom. Ci sono tre bottigliette d'acqua, un paio di tramezzini e una soda.

La afferro, gelata come piace a me, e la punto verso di lui.

«Vuoi?»

«No, grazie. Dissetati pure, sarai stanca.»

Annuisco e la apro, scolandomela lentamente.

Il liquido fresco e gasato scende dolcemente lungo la mia gola, facendomi provare una sensazione di benessere.

Con la coda dell'occhio, scopro Dom a fissarmi in un modo...

Ok, basta, devo darmi un contegno.

Poso la soda, quasi finita, sul lavabo e torno da lui.

È arrivato il momento di congedarlo.

«Grazie ancora dell'aiuto. Sei stato carino. Se non ci fossi stato tu avrei perso il triplo del tempo.»

«Non ringraziarmi. È stato un piacere. D'ora in avanti saremo vicini, quindi... di qualsiasi cosa dovessi avere bisogno...»

«Ti ringrazio.»

«Se vuoi, da me, ho molto più che una soda e un paio di tramezzini. Se ti fa piacere...»

«Magari un'altra volta» lo interrompo, troncando questa cosa - qualunque essa sia - sul nascere. «Devo sistemare un bel po' di roba e farmi una doccia.»

«Doccia, giusto» ripete, sgranchendosi il collo e sorridendo.

Che gli prende? Si comporta in modo strano. È come se non avesse mai visto una ragazza.

Sembra impacciato e... eccitato?

«Ehm... se non ti dispiace andrei a fare tutte queste cose. Più tardi ho il mio primo appuntamento di lavoro e vorrei essere puntuale.»

Indietreggia, chinando il capo.

«Ma certo, sì. Anzi, scusa se ti ho trattenuta più del dovuto.»

«Ma no, scherzi, mi hai aiutata! E poi... è stato bello vederti» mi esce, in maniera spontanea, anche se non avrei dovuto dirlo.

Dom sorride, si passa una mano tra i capelli.

«È stato bello anche per me, Cassie.»

Va verso la porta e poi si gira un'ultima volta per guardarmi.

«A presto, genietto» mi saluta, chiamandomi col vezzeggiativo che usava con me quando ero una bambina.

«A presto, campione» dico di rimando, ricordando il modo in cui io, invece, mi rivolgevo a lui.

Se ne va, lasciandomi una strana sensazione addosso. Eccitazione mista a paura.

Perché quando Arthur saprà chi è il mio vicino di casa, per me saranno guai.

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