My beautiful Yule Ball || Cedric Diggory
Ad una persona speciale, mia fidata compagna di scleri, che mi ha sempre inconsapevolmente dato tanta ispirescion per le mie fanfiction 🌝
Alla mia cara Mad_Mark
Perché spero che passi un magnifico compleanno, e che questa OS possa farla sorridere :3
Ancora tantissimi auguri, Annetta! 🌺
•~•~•~•
Hogwarts, 1994.
In tutta la mia vita non ho mai avuto grandi ambizioni.
Sì, sapevo di essere una maga niente male quando frequentavo Hogwarts, ed i miei buoni voti da brava secchiona lo dimostravano, ma non ero certo una di quelle che se ne vantavano, andando in giro per la scuola sculettando come se stessero percorrendo la passerella dell'Olimpo. Anzi, tutt'altro.
Forse perché facevo parte dei Tassorosso, la casa dei cosiddetti sfigati, o forse perché già di mio non ero abbastanza estroversa, o ancora perché ero per metà coreana e con quegli occhialoni da vista che mi coprivano mezza faccia avevo davvero l'aria da nerd, fatto sta che all'interno della mia scuola, a patto che non servisse usare il cervello, venivo quasi del tutto emarginata dai gruppetti dei popolari e non.
O, peggio, da alcuni dei miei compagni venivo addirittura additata come la nerd asociale della scuola, che sarebbe rimasta zitella per tutta la vita, dal momento che dedicava sempre tutto il suo amore ai libri e allo studio.
«La Smith ha un cuore talmente freddo che non lo scoglierebbe nemmeno un incendio!» era una delle intensissime frasi poetiche di Joy Kennedy, una popolare Corvonero della mia età.
«Avete sentito l'ultima? In giro si dice che la Smith si sia scambiata gli anelli di fidanzamento col suo libro di Incantesimi!» se la rideva sempre Draco Malfoy, un biondino stronzetto che aveva due anni meno di me, ma che quanto a scaltrezza superava di gran lunga cert'uni del settimo anno.
«Eveline Smith, con quegli occhiali enormi, quel naso a patata e quegli odiosi occhi a mandorla sembri davvero una befana! Non troverai mai il ragazzo!»
Tutti questi erano solo degli assaggini di quello che in realtà mi toccava sentire quotidianamente, senza filtri nè censure.
Ma non era così, no. Non lo era affatto. Tutti loro si sbagliavano di grosso, se pensavano veramente che il mio cuore fosse una pietra e che io non avessi mai provato sentimenti per nessuno.
Perché in realtà qualcuno c'era, eccome se c'era, ma io ero talmente timida ed insicura che quasi non avrei osato confidarmi neppure con la mia amica più fidata.
Una cotta colossale fin dal primo anno, che col passare del tempo si era trasformata in qualcosa di più ampio, incontenibile, fino ad arrivare al sesto anno, quando finalmente decisi di farmi coraggio e di provare a cambiare le cose.
Beh, a dire il vero fu la mia migliore amica a spronarmi a farlo, perché senza di lei, senza i suoi più sinceri consigli, non so se tutto quello che è successo sarebbe stato possibile.
Ricordo benissimo di come lei si interponesse nelle contemplazioni della mia cotta, a dirmi che non serviva a niente sognare ad occhi aperti, e che se avessi mai desiderato che accadesse qualcosa concretamente, avrei dovuto farmi avanti.
In particolare, fu proprio nel periodo antecedente al Ballo del Ceppo, al nostro sesto anno, che con le mie azioni (che ora reputo assai sconsiderate) segnai una singolare svolta degli eventi.
Era il 19 dicembre, ed in due giorni si sarebbe tenuto il famoso Ballo del Ceppo, poco prima che quasi tutti gli studenti di Hogwarts se ne tornassero dalla propria famiglia per le vacanze di Natale.
Tutti erano così indaffarati nel trovarsi un partner, o a sognare ad occhi aperti in qualunque momento di essere invitati, mentre io ero invece così indifferente a riguardo che mi pareva di essere l'unica che in quei giorni stesse veramente attenta durante le lezioni, con tutti i miei compagni che avevano il naso per aria o gli occhi sognanti.
Pure lui, la mia cotta colossale, che normalmente era un ragazzo dilgente e brillante, sembrava essersi trasformato in un'anima con gli occhi sempre per aria, in quei giorni.
Spiandolo fugacemente da sopra la Gazzetta del Profeta nella sala comune dei Tassorosso, di sera, mi accorgevo che con i suoi amici continuava a ridere e scherzare tranquillamente come sempre aveva fatto; tuttavia, nei pochi momenti di solitudine, sembrava quasi essere perso nel vuoto.
Perso come io lo ero per lui, ma con una piccola differenza.
Io gli morivo letteralmente dietro, mentre lui non sapeva nemmeno della mia esistenza, o, se lo sapeva, avrà avuto sicuramente un'opinione negativa su di me... come tutti, del resto.
Quel giorno, insomma, il 19 dicembre 1994, qualcosa, anzi, qualcuno interruppe la mia quotidiana routine di lettura (o meglio, spionaggio-post-pranzale) sulla poltrona sotto al quadro di Tosca Tassorosso, poggiandomi da dietro una mano sulla spalla.
Sussultai, ancor prima di voltare il viso e rendermi conto che si trattava di nient'altri che Ariel, Ariel Carter, la mia migliore amica.
«Eve» esordì, fissandomi dritto negli occhi.
«Sì?» risposi io, ripiegandomi il giornale sulle ginocchia con finta nonchalance.
«Che cosa stai aspettando? Vuoi anche un caffè con dei pasticcini?» continuò lei, aggirando la poltrona e fermandosi esattamente di fronte a me, a braccia conserte.
Sollevai un sopracciglio, facendo finta di non capire ciò che in realtà era palese.
«Cosa?»
«Eveline Smith, sveglia!» esclamò allora lei, sventolandomi una mano davanti alla faccia. «Non vorrai mica fartelo soffiare via da qualcun'altra anche quest'anno!» aggiunse poi, dopo aver ammiccato in direzione della mia cotta colossale, situato a una decina di metri di distanza da noi.
Mi persi nei suoi occhi, anche se essi ovviamente non mi stavano guardando, e mi incantai inconsapevolmente per qualche secondo.
Stava ridendo, passandosi una mano fra i setosi capelli castani, mentre, seduto anch'egli su una morbida poltrona rossa, teneva sulle ginocchia un giornale aperto; anche i suoi amici ridevano, sporgendosi verso di lui; una risata bonaria, spontanea, ma la sua risata era l'unica che spiccava fra tutte.
«Lo vedi? Continuerai a morirgli dietro per non so quanto ancora, se non ti muovi» constatò Ariel beccandomi in fragrante, e scosse la testa.
«Ariel, avanti... ne abbiamo già parlato. Mi hai vista? Sono brutta, sfigata, timida, senza un briciolo di coraggio. Guarda invece lui: bello, popolare, circondato da amici... Pensi davvero che sia il ragazzo giusto per me? Perché io dico di non avere speranze» sussurrai piano, iniziando a deprimermi, come facevo ogni volta che dovevo mettermi a confronto con lui.
«Uhm.. mettiamola in questi termini, se ti sfagiola di più: lui è uno spasso, e tu no. Quindi vi completate a vicenda!» esclamò lei, divertita, gettandomi inconsapevolmente nel baratro della disperazione per quel che aveva detto.
«Hmpf, grazie tante» bofonchiai, con la testa fra le mani.
Ariel alle volte faceva un po' troppe battute per i miei gusti, e davvero, ogni tanto non riuscivo nemmeno a capire se fosse seria o se stesse scherzando. Ma nonostante questo era pur sempre la mia migliore amica, quindi era inutile offendermi per così poco, non essendo per di più un tipo permaloso.
Passò qualche secondo in cui nessuna delle due disse nulla, ma dopo un po' Ariel si decise a continuare con i suoi incredibili lavaggi del cervello:
«Allora, Eve, sei veramente pronta a lasciartelo scappare anche quest'anno?»
In quell'attimo, con la sua ennesima domanda uguale a tutte le altre, scattò qualcosa dentro di me che mi fece cambiare idea.
«E va bene. Ci andrò.»
Rividi nella mia mente tutti gli attimi passati a contemplarlo silenziosamente da lontano, per ben sei anni, a sognare ad occhi aperti un futuro insieme, a pensare a lui anche quando non avrei dovuto... e di colpo mi alzai in piedi, gettando con forza il giornale sulla poltrona.
Forse questa volta sarebbe stata la volta buona per far cambiare le cose, forse sarei veramente uscita dalla mia opprimente bolla di timidezza, che mi fagocitava fin da quando ero bambina.
«Eve! Veramente tu..? Oh mio Dio, ma è fantastico!»
Ariel stava per gettarsi fra le mie braccia al settimo cielo, ma con un rapido movimento della mano la bloccai.
«Però tu devi aiutarmi» specificai seria, scrutandola negli occhi.
Ariel ebbe un guizzo di eccitazione nei suoi occhi, evidentemente emozionata al solo pensiero di poter contribuire alla realizzazione del mio desiderio, e mi rispose che sarebbe stata pronta a tutto pur di aiutarmi.
Soprattutto abbellirmi da capo a piedi, neanche fossi diventata all'improvviso un albero di Natale vivente.
Fu così che, terminate le lezioni pomeridiane di Rune Antiche ed Incantesimi, quando stavo già per cambiare idea dall'agitazione, Ariel mi trascinò controvoglia in camera nostra, e, dopo essersi assicurata che nei paraggi non ci fosse anima viva, chiuse la porta a chiave con un incantesimo e cominciò il suo lavoro di sistemazione.
«Prima cosa essenziale: niente occhiali» sentenziò, dopo avermi girato attorno risoluta, una mano sotto al mento e lo sguardo sottile.
Sobbalzai, scuotendo la testa. Sebbene senza occhiali fossi una vera e propria talpa, Ariel sapeva benissimo quanto io detestassi le lenti a contatto; non c'era niente di più fastidioso che tenersele addosso anche solo per pochi minuti.
«Ehhh cara mia, chi bella vuole apparire, un po' deve soffrire!» se ne uscì lei con uno di quei vecchi proverbi, mentre si avvicinava lentamente e, dopo avermi portato uno specchio, mi aiutò ad infilarmi quei maledetti aggeggi negli occhi.
Terminata la strage di lacrimoni incontenibili, dopo aver sprecato chili di mascara che venivano puntualmente spazzati via dal mio pianto - non so se per il male fisico o per l'agitazione - Ariel passò ai capelli.
«Capelli del genere dovrebbero essere enfatizzati molto di più. Tenuti in questo modo sembrano spaghetti!» commentò, prendendomi una ciocca di capelli dalla mia immancabile coda di cavallo ed esaminandola con attenzione.
«Io dico di lasciarli così. Non devo mica andare ad un appuntamento galante» ribattei, sbuffando.
«Non ancora! Eve, vuoi che ti aiuti a darti una sistemata o no?» sbuffò, incrociando le braccia.
Probabilmente era più nervosa di quanto già non fossi io, ma il suo stato d'animo non era neanche lontanamente paragonabile al mio, che stavo morendo dentro al solo pensiero che avrei dovuto invitare Cedric Diggory al Ballo.
Primo perché per tradizione, ad ogni ballo che si rispetti, sono i ragazzi ad invitare le ragazze, e non viceversa.
E secondo, io in sei anni non avevo mai rivolto la parola a Cedric se non per il minimo indispensabile, quando in classe ci si divideva in gruppi e ci si doveva confrontare fra di noi per lavori scolastici. Ma il bello è che io puntualmente arrossivo, e non riuscivo mai a fare niente di più che non fosse balbettare o rispondere a monosillabi.
L'unica cosa che mi confortava in tutto ciò era il fatto che lui non mi ridesse mai in faccia, a differenza di molti altri, ma questo non mi portava di certo ad escludere che potesse farlo alle mie spalle, o anche solo pensarlo, senza temere di rovinare la sua immagine di gentleman popolare.
«Ariel, io... io credo di non sentirmi a mio agio ad andargli a parlare così.» sussurrai, guardandomi allo specchio, una volta che Ariel mi ebbe sciolto e pettinato i miei lunghi e lisci capelli ramati.
«Eve.» parlò lei, piazzandomisi di nuovo davanti.
«E se poi... voglio dire, e se poi non accettasse nemmeno l'invito? Anzi, sono certa che non lo accetterà, visto che potrebbe permettersi molto di meglio che una sfigata come me, ed i suoi amici lo prenderebbero in giro a vita, quindi perché darsi tanta pena per-» tentai di dirle, a sguardo basso e sopraffatta dallo sconforto, ma lei mi interruppe.
«Eve, guardami.» ripetè, fissando le sue iridi grigio-verdi nelle mie, color nero pece.
La scrutai attentamente, senza sapere che cosa avrebbe potuto dire o fare in quel momento se non continuare a consolarmi.
«Eve. Sai che potresti ricevere a breve la corona per la ragazza più testarda del pianeta? Non devi aver paura. Sei bellissima già così, e vali tanto quanto gli altri. E poi lo sanno tutti che Cedric, sebbene sia popolare, non è il tipo che andrebbe a spiattellare in giro certe cose solo per far sì che ti deridano ancora di più. Quindi, se è del rifiuto che hai paura, non devi. Intesi?» mi rassicurò.
Sospirai, indecisa sul da farsi. Mille pensieri mi tormentavano la mente, e mi immaginavo con chiarezza la scena: ora pensavo che sarei riuscita nel mio intento, ora che invece sarebbe stata un'utopia pazzesca anche solo il fatto di pensare che Cedric mi avrebbe rivolto la parola.
Del resto, il fatto che io fossi più propensa verso la seconda alternativa non era così straordinario, visto che io non ero la tipa giusta per lui, nè lui il tipo giusto per me.
Mi asciugai una lacrima scesa inconsapevolmente a causa della mia irritante iper sensibilità, e non risposi.
«Eve? Eve, mi stai ascoltando?»
Scossi la testa. Non so che diavolo mi prese in quel momento, fatto sta che in quattro e quattr'otto mi allontanai da lei, mi diressi alla porta chiusa a chiave, la aprii e scappai di corsa.
«Ehi, ma dove vai?!» sentii dire dalla mia amica, alquanto scioccata e confusa.
Ma le parole di Ariel risuonavano ormai come un'eco lontano per le mie orecchie.
Sul serio, come poteva una ragazza della mia pasta anche solo pensare di avere qualche possibilità con Cedric?
Semplicemente non poteva, perché infatti di possibilità ce n'erano meno di zero.
Sì, ne ero certa. Avevo fatto una pazzia soltanto a pensare che gli avrei chiesto di venire al ballo con me. Piuttosto, avrei continuato a sopportare il mio cuore spezzato in silenzio per un altro anno.
Del resto, l'avevo già fatto per ben sei anni... che cosa sarebbe cambiato continuare a farlo ancora un po'?
***
Il giorno dopo, il 20 dicembre 1994, fu il giorno in cui accadde la famosa svolta. Erano precisamente le nove di sera, ma partiamo dal principio e seguiamo l'ordine degli eventi.
La giornata fu pressoché ordinaria, anzi, direi un po' troppo ordinaria, per essere l'ultimo giorno di lezioni prima delle vacanze natalizie.
Ariel continuò a starmi accanto tutto il giorno, silenziosamente, senza osare intromettersi nei miei pensieri, che vorticavano nella mia testa come impazziti.
Credo che ormai avesse rinunciato ad insistere sull'argomento "ballo", vedendomi più silenziosa del solito, con una mano sotto al mento mentre a cena mangiavo di malavoglia gli spinaci sul piatto davanti a me.
I nostri compagni di casa affianco a noi invece producevano un brusio assordante col loro interminabile chiacchiericcio. Erano tutti emozionati per l'imminente ballo.
Terminata la cena, dopo aver gustato un budino al cioccolato niente male, stavamo tutti per alzarci e tornarcene ai rispettivi dormitori.
Improvvisamente, però, una familiare voce roca fece calare il silenzio nella Sala Grande. Era Silente, avvicinatosi al centro del tavolo dei professori a braccia aperte, che stava per fare un discorso rivolto a tutti noi.
«E ora, ho delle comunicazioni da rivolgere a tutti gli studenti di Hogwarts. A quelli che partecipano al Ballo del Ceppo con un partner, si comunica che chi vuole la foto ricordo dovrà iscriversi, presentando il proprio nome e quello del partner, sul foglio appeso alla porta proprio lì» esordì, indicando l'enorme porta esattamente dalla parte opposta, e facendo voltare tutti i visi degli studenti più curiosi verso il foglio affisso.
«Non ho finito! Chi invece non avesse trovato un partner, o non avesse semplicemente voglia di partecipare al ballo, ma desiderasse comunque rendersi utile in qualche modo, può decidere di aiutare i professori organizzatori diventando anch'egli o anch'ella membro dello staff. In caso ci siano persone interessate, esse comunichino tramite una lettera il proprio nome a me o alla professoressa McGranitt, per maggiori informazioni.» aggiunse Silente, tenendo sempre le braccia larghe.
«Lo farò» sussurrai io, ricevendo una lieve gomitata da parte di Ariel, che mi guardò in cagnesco.
Caspita, lei era stata invitata da quel figo di Joe Hamilton dei Corvonero, tre giorni prima, quindi era ovvio che non avrebbe potuto accettare da me il fatto che diventassi un membro dello staff.
Troppo da sfigati, stava sicuramente pensando. A costo sarebbe stato meglio restare chiusi in camera.
«Ariel, ho trovato la mia occasione. Membro dello staff! » mormorai, anche se mi uscì con un tono di voce piuttosto amaro. Perché in realtà ero tutt'altro che felice.
Sapevo che Cedric non avrebbe mai accettato il mio invito, anzi, sicuramente aveva già la ragazza con cui andarci, per cui avevo tentato in tutti i modi di mettermi il cuore in pace e di continuare ad osservarlo da lontano, costruendomi filmini mentali come avevo sempre fatto.
E per non avere costantemente a tormentarmi il pensiero fisso di lui che ballava con un'altra - pensiero che mi sarebbe frullato in testa tutto il tempo senza mai andarsene - avrei dovuto tenere in qualche modo occupata la testa con qualche altra mansione.
Inoltre, anche se il mio cuore alla fine non fosse riuscito a riappacificarsi, avrei pur sempre avuto qualche soddisfazione nell'aiutare coi preparativi del ballo. Chissà se non mi avrebbe giovato un qualche distintivo extra.
In ogni caso, mi ero decisa a non seguire i consigli di Ariel del giorno precedente, ma di agire di testa mia.
Silente comunque non aveva ancora finito il suo discorso, perché, da ultimo, aggiunse qualcos'altro.
«Infine, a tutti quelli che vogliono passare una serata diversa dalle altre, visto che oggi sono particolarmente in vena, ho preparato un torneo di scacchi magici, nella stanza accanto. Mi raccomando come sempre, in ogni caso, di non uscire dalle mura della scuola. I Dissennatori potrebbero sempre pensare di attaccarvi, se non sono particolarmente in vena.»
Terminato il discorso di Silente, infatti, una grande massa di studenti si diresse verso la porta d'ingresso per segnare il proprio nome e quello del partner, per avere una foto ricordo della serata, Ariel compresa.
Fra quella grande folla non riuscii a scorgere Cedric, ma ero quasi sicura che fosse lì da qualche parte anche lui.
Infondo, ormai, mancava solamente un giorno al ballo.
Io invece cercai di svignarmela come pochi altri, nell'anonimato, a passi felpati, verso la Sala Comune.
Avrei scritto quella lettera a Silente, per iscrivermi come membro dello staff.
Se non potevo avere l'ammirazione dei miei compagni, allora avrei avuto quella dei professori. Sì, volevo rendermi utile in qualche modo anch'io, volevo smetterla di fare il pesce lesso, stando a guardare gli altri che ballavano mentre dentro di me morivo lentamente.
No, quell'anno sarebbe stato diverso. Mi sarei impegnata in qualcosa di concreto.
«Allocco» pronunciai la parola d'ordine una volta arrivata, e il quadro cominciò lentamente a scostarsi. Mi ci infilai ancor prima che si fosse aperto del tutto, e scattai velocemente in camera per trovare carta e penna.
E carta e penna di fatto li trovai, ma solo dopo mi accorsi che mancava una cosa essenziale. Il mio topo.
Di solito se ne stava tutto il tempo lì, a ronfare sulla scrivania beato, di giorno e di notte, svegliandosi solo per cibarsi e fare i bisogni, a meno che non dovesse recapitare messaggi importanti di Ced, la mia civetta grigiastra, e tenerli sotto stretta custodia.
Ma quando indirizzai lo sguardo verso il comodino vicino al mio letto, scoprii con mia grande preoccupazione che Ric era sparito.
«Ric? Ric, dove sei?!» lo chiamai, urlando il suo nome a squarciagola più di una volta e setacciando la camera in ogni singolo angolo, ma nulla.
Ric era improvvisamente sparito, e non avrebbe potuto trovare tempismo migliore per farlo; già, perché i miei genitori - specie mio padre, nato da una famiglia di maghi - ci tenevano particolarmente a che io non smarrissi mai nulla, specie se quello doveva essere il mio animale.
Girai in lungo e in largo per tutta la Sala Comune, ancora vuota. O erano tutti a far baccano nella Sala Grande, o a giocare a scacchi. Quale sfigato sarebbe già salito su in Sala Comune così presto? Solamente io, ovviamente.
Ma in quel momento le mie priorità erano ben altre: avrei dovuto ritrovare a tutti i costi Ric, o non l'avrei passata tanto liscia con i miei.
Il mio primo pensiero fu quello di chiedere aiuto ad Ariel, l'unica che non mi avrebbe deriso per la mia sbadataggine, così sfrecciai di nuovo verso il quadro d'uscita della Sala. Con mio grande stupore, però, esso si aprì prima che io finissi di pronunciare la parola d'ordine.
Lì per lì non ci feci molto caso, e continuai a correre frettolosamente verso l'uscita, ma quando mi scontrai contro qualcuno e caddi, capii che forse era per quello che il quadro si era aperto prima del solito: qualcun altro da fuori doveva entrare, e aveva pronunciato la parola d'ordine prima di me.
Cercai di ricompormi veloce, ma invano. Nell'urto avevo perso i miei occhiali, e inutile dire che tutt'intorno a me non vedevo nient'altro se non ombre molto sfocate.
Tastai con la mano in giro, ancora accasciata a terra, ma niente.
«Tutto bene?»
D'un tratto una voce maschile mi fece sobbalzare, e intravidi qualcosa della forma di una mano avvicinarsi a me.
«I.. i miei occhiali» biascicai, ignorando la mano e continuando a tastare a terra, ma d'un tratto notai che la figura si abbassò al mio livello, sentii il rumore di un oggetto che veniva raccolto e sperai con tutta me stessa che fossero i miei occhiali.
Attesi qualche secondo per vedere che cosa avrebbe fatto il ragazzo, ma sentivo solo i miei respiri affannati risuonare per tutta la stanza.
«Accidenti, le lenti si sono rotte» mormorò infine lui, e mi parve di scorgere che li stesse esaminando, rigirandoseli fra le mani.
«C-come?» mormorai, ancor più terrorizzata di prima all'idea che oltre ad aver perso Ric, avessi anche rotto i miei preziosi occhiali.
Giuro che non provai mai tanto imbarazzo in vita mia.
«Aspetta» mi disse lui in tutta risposta, tirando fuori un qualcosa di scuro, stretto e lungo dalla tasca della tunica nera e gialla, presumibilmente la sua bacchetta.
«Reparo!» esclamò poi, scoppiando a ridere sollevato non appena la magia - a quanto pare - gli riuscì senza provocare ulteriori danni.
Sospirai sollevata. Ma non avrei mai pensato di ricevere qualche attimo dopo un colpo dritto al cuore quando sentii pronunciargli il mio nome.
«Ecco a te, Eveline»
Il ragazzo disse il mio nome, e non il mio cognome, utilizzato sempre come dispregiativo da parte della maggioranza degli studenti.
Nessuno mi chiamava usando il mio nome, a parte Ariel.
«G-grazie» balbettai, mentre lui mi sistemava delicatamente gli occhiali tornati come nuovi, ma un attimo dopo ebbi un altro infarto, molto più potente del primo.
Davanti a me, anzi, a pochi centimetri di distanza da me, c'era Cedric.
Cedric Diggory. Proprio lui, in carne ed ossa.
Troppo concentrata sui miei occhiali, non avevo neanche lontanamente immaginato che potesse essere lui. Anche perché aveva pronunciato il mio nome, e la cosa mi rendeva confusa assai.
Mi diedi un pizzicotto, mentre il mio colorito stava diventando rosso come un peperone. Non stavo sognando, era la realtà.
Non appena si rimise in piedi e mi porse di nuovo la mano per aiutarmi ad alzarmi, persi un battito. Anzi, mentre lui mi stringeva la mano - soltanto per un misero secondo - avrei giurato che di battiti ne avrei persi più di uno, perché da quanto batteva forte, sembrava quasi che il mio cuore fosse impazzito.
«G-grazie mille» fu l'unica cosa che mi venne in mente di dire, una volta in piedi, anche se in realtà sarei stata capace di coprirlo di scuse e ringraziamenti allo stesso tempo.
Di tutta risposta, lui sorrise. Quel sorriso che mi mandava in brodo di giuggiole ogni volta, a cui ero incapace di restare indifferente.
E difatti arrossii violentemente, costrigendomi ad abbassare lo sguardo e a trovare una scusa per andarmene il prima possibile.
Sì, avrei desiderato continuare a vivere quel momento come nient'altro al mondo, ma purtroppo, una volta lì, le mie emozioni si erano trasformate qualcosa di incontrollabile.
Tuttavia, proprio mentre stavo pensando a come svignarmela, intervenne Cedric.
«Ti è successo qualcosa? Sai, prima ti sentivo gridare»
A quel punto, incapace di spiccicare parola, arrossii ancora di più; era evidente che se Cedric mi aveva sentito gridare "Ric", sarebbe potuto arrivare benissimo alla conclusione del motivo per cui avevo chiamato così il mio topo. Tuttavia non ci sarebbe stato nulla di cui preoccuparsi, finchè non avrebbe saputo di Ced, la civetta.
«Eveline? Sicura che sia tutto okay? Vuoi che ti porti un po' d'acqua? Non mi sembri molto in forma» aggiunse, con aria preoccupata.
«E-ecco, vedi, io... ho p-perso il mio topo» mi costrinsi ad ammettere, imbarazzata più che mai, sempre a testa bassa, chiedendomi ancora l'arcano motivo per cui mi stava chiamando per nome, e parlando per di più come se fossi una sua amica.
«Oh, caspita... mi dispiace.» disse, con un tono d'amarezza nella voce.
Restammo per due o tre secondi in silenzio, quando riecco che lui si affrettò a parlare di nuovo.
«Non so com'è fatto, ma se me lo descrivi posso aiutarti a cercarlo» si offrì molto gentilmente, cosa che trovai incredibilmente romantica.
«Non... non c'è bisogno che ti disturbi» risposi, scuotendo la testa, anche se ero certa che in quel momento il suo aiuto mi si sarebbe rivelato più utile che mai.
«Gli scacchi possono anche aspettare» affermò con mia grande sorpresa, mentre aspettava che gli parlassi del topo.
A dir la verità non ero mai stata tanto ferrata con le descrizioni, e maggior ragione in quel momento, in cui avevo nientemeno che Cedric Diggory in persona davanti a me, mi riusciva un tantino difficile formulare frasi che non fossero semplici monosillabi.
«E-ecco... è grigiastro, c-con una macchia nera sul muso, e ha una collanina rossa attorno al collo, con scritto... con scritto il suo nome» provai a descriverglielo, bloccandomi proprio all'ultimo pezzo di frase.
Era un topo più che bizzarro, lo sapevo bene, ma descriverlo a qualcuno che non l'aveva mai visto sembrava renderlo più singolare di quanto già non fosse.
«Uhm.. bene. E come si chiama?» chiese, una mano sul mento, pensieroso.
«R-ric» risposi, alzando finalmente lo sguardo su di lui per vedere la sua reazione, che fortunatamente non arrivò.
«Okay, perfetto. Hai già provato a cercare in camera tua?»
Annuii, con un'espressione arresa, aspettandomi che mi avrebbe detto di cominciare a cercare assieme a lui in Sala Comune, ma non fu così.
Con mia grande sorpresa, Cedric salì invece senza vergogna le scale in direzione del dormitorio femminile, e vi si fiondò seguito da me.
«Dove stava di solito?» mi domandò, quando io ero ancora accasciata allo stipite della porta col fiatone per la lunga corsa.
«Lì» risposi, indicando il comodino vuoto.
Mentre Cedric perlustrava l'area circostante dieci volte più velocemente di quanto avessi già fatto io prima di lui, e si accingeva ad aprire il primo cassetto del mio comodino, venni colpita da un dèja vu.
Dentro il terzo cassetto tenevo, ben nascosta sotto la mia divisa di ricambio, una foto di Cedric che faceva l'occhiolino, delle dimensioni di una piccola agenda, ritagliata dall'annuario dello scorso anno, e di colpo venni assalita dal terrore che Cedric, frugando fra i miei vestiti, avesse potuto vederla.
Non ci sarebbe potuto essere niente di più imbarazzante, così mi affrettai ad avvicinarmi a lui e a farmi forza nel bloccargli il braccio.
«N-non può essere lì, ho già controllato» mormorai, ricevendo un'occhiata indecifrabile da parte sua.
Lui si bloccò per un attimo, le mani ancora dentro il cassetto, e poi, all'improvviso, si ricompose e scosse la testa.
«Oh... Mi dispiace di aver frugato con tanta foga fra le tue cose personali, scusami. È che... sai, quando ho pensato al tuo topo, mi è tornato in mente... mi sono ricordato del... Insomma, voglio dire... ti capisco benissimo» disse, abbattuto, interrompendosi qua e là per una ragione a me sconosciuta.
«Che... che cosa vuoi dire?» gli chiesi, senza capire, allontanandomi di due passi da lui, poiché non riuscivo a reggere tanta vicinanza per un tempo maggiore ai dieci secondi senza emozionarmi.
«Anche io avevo un topo, a cui peraltro ero molto affezionato, fino a quando frequentavo il quarto anno. Purtroppo, però, un giorno non lo trovai più. Cercai in lungo e in largo per il dormitorio per giorni interi, anche di notte, ma di lui non ne seppi più nulla.» mi raccontò, noncurante del fatto che in quel momento fosse proprio difronte a me.
Già, perchè se c'era un'emozione che in quel momento era riuscita a sovrastare la mia ansia, quella era certamente lo stupore.
Lo stupore di aver visto Cedric diventare rosso e asciugarsi una timida lacrima con la manica della divisa, per poi emettere un sospiro sommesso, carico di pathos.
Non avrei mai immaginato che si sarebbe spinto a tanto in mia presenza, dal momento che con i suoi amici era sempre così allegro e sorridente, a volte anche leggermente snob.
Tuttavia, prima che potessi fare qualsiasi mossa, Cedric si ricompose e, dopo aver dato due colpi di tosse, si abbassò all'altezza del pavimento, vicino al mio letto, cercando di capire se Ric si fosse nascosto da quelle parti.
Io mi distesi poco distante, per fare lo stesso, anche se in realtà avevo già controllato prima, con esito negativo.
Dopo qualche minuto, vedendo che la nostra ricerca non stava affatto avendo successo, Cedric si alzò, e mi chiese di seguirlo in Sala Comune, vagamente speranzoso che avremmo potuto trovarlo lì.
Quando però mettemmo sottosopra ogni cosa senza ricavarne nulla, Cedric mi guardò sconsolato, come se ormai non ci fosse più nessuna speranza di trovarlo.
«Eveline, mi dispiace. Sono davvero mortificato.» sussurrò, dopo essersi pulito i pantaloni impolverati.
«N-non importa, tu... è il pensiero che conta. Mi sei comunque stato di grande aiuto, e te ne sono molto grata. Non so se sarei riuscita a mantenere la calma senza di te, anzi, probabilmente sarei andata in palla senza capirci più un tubo» mormorai, ma non appena mi resi conto del significato dell'ultima frase che avevo appena pronunciato, mi tappai la bocca.
La vergogna che provai in quel momento davanti a Cedric, fu tale da impedirmi perfino di continuare a respirare.
Cedric, dal canto suo, parve ritirarsi invece nelle sue profonde riflessioni, la mano sotto al mento, per poi illuminarsi improvvisamente.
«Ma certo, le tubature! Deve essere sicuramente passato di lì! Vieni, presto!» esclamò, tirandomi per un braccio verso non so dove.
Correva alla velocità della luce per i corridoi deserti, sembrava completamente impazzito, quasi invasato.
Dopo quelle che mi sembrarono infinite ore di cammino - anche se in realtà erano passati solo pochi minuti - arrivammo in una zona squallida, semi buia, che puzzava di sudiciume.
Davanti a noi c'era una porta grigia, vecchia, che aveva tutta l'idea di quelle porte che, all'apertura e alla chiusura, emettono sempre dei cigolii poco raccomandabili.
Io ero semplicemente terrorizzata. Avevo perso la cognizione del tempo e dello spazio.
Era sicuro quel luogo? Ma soprattutto, dove caspita stavamo andando a cacciarci?
«Ehm... Cedric?» mi feci coraggio e lo chiamai per nome, prima che potesse avvicinarsi ancor di più, aprire la porta e varcare la misteriosa soglia.
«Mh?» fece lui, voltandosi.
«C-cosa... v-voglio dire... dove stiamo andando esattamente?» balbettai, mantenendomi sempre a debita distanza da lui.
«Aspetta un secondo» mi disse di tutta risposta, mentre stava puntando la sua bacchetta verso la porta.
«Alohomora» esclamò dopo, facendo aprire la porta, per poi riporre via la bacchetta.
«Cedric...?» azzardai, prima che si avviasse.
Fu allora che lui si rigirò, mi prese le spalle con entrambe le mani e mi guardò dritto negli occhi, occhi che nella penombra brillavano come non mai, e si decise finalmente a spiegarmi tutto. Ero quasi sicura che l'avrebbe fatto, ma poi, vedendolo così invasato, avevo quasi perso ogni speranza.
«Sai, ci sono molti corridoi segreti qui ad Hogwarts che sono esclusivamente di dominio di Gazza. E.. beh, è una lunga storia, ma in qualche modo io ho scoperto l'esistenza di questo. E questa porta qui è una di quelle che dà sul cortile esterno di Hogwarts, a lato, per cui da qui si può uscire fuori senza essere visti»
«V-va bene, ma.. come mai stiamo andando fuori?» balbettai, confusa.
Giuro che stavo morendo. Sia dalla confusione mentale, sia di paura, sia perché il viso di Cedric si trovava a così pochi centimetri dal mio che i nostri respiri affannati si stavano quasi mischiando in una cosa sola.
«Presumo con il 90% di possibilità che Ric sia passato per il condotto d'aerazione del dormitorio, che sfocia in giardino, quindi deve trovarsi lì da qualche parte. E con un po' di luce dovremmo riuscire a trovarlo. Sai più o meno che ora era quando l'hai visto per l'ultima volta?»
Non riuscivo a seguire i suoi ragionamenti, seppur semplici, ma nonostante ciò cercai comunque di rispondere lucidamente alla sua domanda.
«Era... giusto poco prima di cena. Dovevano essere circa le 19.00» affermai, quasi sicura, mentre lui annuiva comprensivo.
Poi mi diede le spalle, e mi intimò di seguirlo fuori, al buio e al freddo di quell'anonima serata invernale.
Fuori, in certi punti del prato, c'era soltanto un filo di neve, trasformatosi ormai in ghiaccio, visto che nei giorni precedenti c'era stato quasi sempre il tempo bello.
Faceva veramente freddo, e non potei fare a meno di provare a scaldarmi sfregandomi le mani sui bicipiti, e muovendo velocemente le gambe, dal momento che non avevo indosso nemmeno una sciarpa o una tunica.
Cedric, mentre camminava affianco a me, lo notò, e per qualche secondo restò a fissarmi come un ebete.
Infine, senza che gli chiedessi nulla, si sfilò la sciarpa di sua spontanea volontà e me l'allungò.
«Tieni, copriti... o ti prenderai un malanno, con questo freddo» disse, voltando la testa dall'altra parte.
Avrei osato dire che fosse quasi imbarazzato, ma ritirai subito quel pensiero; non era nemmeno minimamente probabile che Cedric si imbarazzasse a fare un gesto del genere con una come me. Anzi, tutt'altro, avrebbe dovuto aver paura che gli infettassi la sciarpa con una qualche malattia strana, come ad esempio, che so, la secchionìte - neologismo inventato ovviamente da quel genio di Draco Malfoy.
«Grazie» gli sussurrai, non riuscendo a trattenere un impercettibile sorrisetto, mentre lui accelerava il passo e mi precedeva di circa un metro.
Ci avviammo così sull'erba, dopo aver pronunciato l'incantesimo Lumos e aver illuminato la punta delle nostre bacchette, per far luce tutt'intorno, ma, pur chiamandolo più volte, di Ric ancora nessuna traccia.
Il rumore del vento che sferzava contro gli alberi e gli arbusti era abbastanza chiassoso da coprire i nostri passi sull'erba, ma in ogni caso, sebbene ci fossimo divisi l'area da perlustrare, tenendoci sempre bene d'occhio, Ric non si vedeva ancora.
Fu dopo qualche minuto, quando sentii improvvisamente uno squittio familiare provenire da dietro un arbusto, che mi si drizzarono le orecchie, così chiamai a gran voce Cedric, che in teoria avrebbe dovuto trovarsi alle mie spalle.
«Cedric, credo di averlo trovato!» esclamai, avvicinandomi all'arbusto con la bacchetta alzata, sempre sull'attenti.
Nessuna risposta.
Mi voltai indietro: Cedric era sparito. Non c'era più nessuno nel punto in cui, un attimo prima, Cedric frugava fra l'erba.
«Cedric?» ripetei più volte, a gran voce, indecisa se tornare indietro e voltare l'angolo per vedere dove fosse finito Cedric, o se avanzare un altro po' verso l'arbusto - distante giusto un paio di metri da me - per recuperare quello che avrebbe dovuto essere Ric.
Tuttavia, non ebbi nemmeno il tempo per pensarci, che sentii un altro suono, che era ben altro che lo squittio di un topo.
Era un suono strozzato, qualcosa che mi fece accapponare la pelle. Un urlo disumano, ma allo stesso tempo familiare.
Sgranai gli occhi, immobilizzandomi dal terrore, non appena mi venne di colpo in mente una cosa di fondamentale importanza a cui prima, assai stupidamente, non avevo nemmeno fatto caso.
«I dissennatori.» biascicai, scattando su come una molla e correndo a perdi fiato verso la fonte di quell'urlo.
Svoltai l'angolo posteriore della scuola, dietro una delle innumerevoli torri, e mi ritrovai davanti l'inevitabile.
Uno stuolo di dissennatori si trovava tutt'intorno a Cedric, accasciato con la schiena contro il muro esterno, la bacchetta accanto a lui, quasi del tutto privo di sensi.
Il cuore mi balzò in petto, mentre continuavo ad avvicinarmi di corsa, e mi resi immediatamente conto che avevo in mano una responsabilità ben più grande del non perdere gli oggetti magici che i miei genitori avevano tanto faticato a pagare.
Qui c'era in ballo una vita umana, ma non una qualsiasi: era la vita di Cedric Diggory.
E io, sebbene fossi una semplice studentessa con le sue stesse capacità, avrei dovuto assolutamente salvargli la vita, non importava affatto se nel farlo avrei perso la mia.
L'importante ora era scacciare quei maledetti dissennatori, era assicurarmi che Cedric sopravvivesse a tutto questo, sano e salvo.
Così, sebbene mi costasse uno sforzo immane, e non fossi ancora in grado di evocare un Patronus vero e proprio durante le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure, con un respiro profondo mi riempii di quanta forza avevo in corpo in quel momento e chiusi gli occhi, pensando a qualcosa di positivo, di estremamente positivo; un ricordo felice, che mi avrebbe permesso di scacciare quegli schifosi dissennatori dal corpo quasi esanime di Cedric.
Dopodiché urlai, con quanto fiato avevo in corpo, la bacchetta puntata verso di loro:
«Expecto Patronum!»
Riaprii gli occhi: un qualcosa di azzurrino, dalla forma umana, vagamente simile a Cedric, seppur difficilmente identificabile in mezzo a tutta quella confusione, si stava dirigendo alla velocità della luce in direzione dei dissennatori; schermò il corpo di Cedric e sparpagliò i dissennatori qua e là, fino ad allontanare da lui anche l'ultimo rimasto, che, intorpidito, si diresse in alto in aria, vagando senza meta come tutti gli altri.
Ormai senza fiato dall'agitazione, mi precipitai sul corpo di Cedric incespicando fra l'erba, mi abbassai alla sua altezza e presi a scuoterlo per le spalle, cominciando a piangere.
«Cedric... Cedric, ti prego, svegliati!» gridai, più di una volta, al limite della disperazione, quando finalmente, dopo tre o quattro richiami, vidi i suoi occhi riaprirsi.
«Eve... grazie» biascicò, sorridendo e allungando debolmente un braccio verso di me, la cui mano andò a posarsi sulla mia guancia e mi asciugò una lacrima.
«Cedric.. stai bene?!» continuai a chiedergli, ignorando il suo gesto e tenendolo per le spalle, per aiutarlo a tirarsi su.
A ripensarci adesso è strano che non sia morta direttamente quella sera per la troppa emozione accumulata durante quei momenti, ma in un certo senso posso ritenermi fortunata di essere sopravvissuta, perché quello che fece Cedric poco dopo mi segnò permanentemente.
«Eve.. l'ho.. l'ho trovato» mormorò, facendo sprofondare la mano libera nella tasca laterale del mantello della divisa ed estraendone qualcosa di molto piccolo. Una palla di pelo grigia, con la catenina rossa al collo che sbrilluccicava alla luce della luna.
«Ric... oh, Ric, sapessi quanto mi hai fatto patire! Sarai anche un topo pigrone, ma sai quanto la tua padrona ti sia affezionata!» mormorai, singhiozzando dalla felicità, mentre Cedric me lo porgeva con un sorriso.
Lì per lì non potevo credere ai miei occhi, e, una volta preso in mano il mio Ric, dire che lo inondai di lacrime sarebbe dire poco.
Ma mi emozionò ben di più ciò che successe dopo.
Con mia grande sorpresa, dopo che ebbi riposto Ric in tasca, Cedric mi guardò dritto negli occhi, avvicinandosi sempre di più al mio viso.
«Eve...» ripetè il mio nome, e solo allora mi ricordai che non l'avevo ancora ringraziato a dovere, dopo tutto quello che aveva passato, dopo aver rischiato la vita, e questo solamente per un misero topo di cui ancora stentavo a credere che gli importasse qualcosa.
Quindi, incapace di intendere e di volere, non sapendo che altro fare per ringraziarlo, mi avvicinai cautamente a lui, gli scostai la mano dalla faccia e lo cinsi in un abbraccio più che impacciato, mormorandogli mille volte grazie.
Il suo corpo, al contrario di quel che pensavo, non si irrigidì al mio tocco, anzi, Cedric ricambiò l'abbraccio, incastrando la testa sopra la mia spalla.
Chiusi gli occhi, beandomi dell'unico, primo e ultimo momento che avremmo passato insieme, ovvero questa breve ma intensa avventura, e stavo quasi per staccarmi, quando qualcosa mi bloccò.
La mano di Cedric si alzò fino a posarsi dietro la mia nuca, e mi trascinò lentamente verso il suo viso, fino a far combaciare le nostre labbra in uno splendido ed indimenticabile bacio.
Mi posò nuovamente una mano sulla guancia, ed io feci lo stesso, dopodiché cominciò a coinvolgere le nostre lingue in una vorticosa danza, accarezzandomi i capelli e mischiando il suo respiro col mio.
Non so descrivere per certo le mie emozioni di quell'attimo. Voglio dire, innanzitutto era il mio primissimo bacio in assoluto, e poi, dentro di me, fino a quel momento, si stavano scatenando talmente tante emozioni negative, quali paura, preoccupazione, inquietudine... che grazie a quel bacio vennero finalmente spazzate via, lasciando il posto ad un'eccessiva dose di felicità, tranquillità, e anche appagamento.
Provai un senso di pace mai sperimentato prima, mentre tenevo gli occhi chiusi e mi godevo appieno quel momento unico.
Cedric Diggory mi stava baciando. Stava baciando proprio me, Eve, Eveline Smith, la secchiona sfigata che gli moriva dietro sin dai tempi del primo anno, e che finalmente, per la prima volta nella sua vita, si stava sentendo pienamente realizzata.
Cedric profumava di lavanda, proprio come me l'ero sempre immaginato, e fu così terribilmente romantico.
In lui avevo riposto un futuro irrealizzabile, un desiderio che non si sarebbe mai avverato, e non avrei di certo immaginato di potermi trovare veramente lì, quel giorno, in quel preciso istante, a vivere quel magnifico momento in prima persona.
Ero talmente assorta, che non mi passò nemmeno per la testa di chiedergli come mai l'avesse fatto. Troppo concentrata sui miei pensieri, su quelle sensazioni reali, che per una volta decisi di risparmiarmi quella domanda la cui risposta avrebbe potuto spazzare via tutti i miei sogni.
Quando Cedric si staccò io ero ancora incantata, stavo ancora sognando ad occhi aperti, col cuore che mi batteva a mille, ma lui mi sussurrò qualcosa che mi risvegliò dal mio torpore.
«Non avrei mai pensato che una come te... voglio dire, la Eveline Smith su tutti ripongono sempre così tanti pregiudizi, sarebbe stata un giorno la mia salvatrice»
Dopodiché sorrise di nuovo, quel sorriso da togliermi il fiato, che finalmente riuscivo a vedere sotto una luce diversa, secondo quello che era il vero Cedric, il Cedric che avevo potuto finalmente conoscere - in una serata non del tutto piacevole, ma pur sempre indimenticabile.
«Sul serio, ti sarò debitore a vita... per tutto questo» aggiunse, continuando ad accarezzarmi i capelli.
Non ci stavo capendo più niente dall'emozione.
Feci dei lievi movimenti con la testa che non sapevo nemmeno io se significassero accordo o diniego, tanto ero al settimo cielo, ma non feci in tempo a dire neanche una parola, se non sussurrare il suo nome, perché Cedric avanzò una domanda che mi colse di sorpresa.
«Posso chiederti.. a che cosa avevi pensato? Voglio dire... per il patronus» sussurrò, con un'aria inaspettatamente curiosa.
Arrossii immediatamente dall'imbarazzo, anche se per fortuna lui non potè capirlo, dal momento che fuori era buio, e cercai di temporeggiare.
«Ehm.. ecco, io.. n-non lo so, non mi ricordo. Ero talmente agitata che ricordo solo di aver chiuso gli occhi e aver pronunciato l'incantesimo» mentii, cercando di alzarmi e spolverarmi i pantaloni imbarazzata, quando in realtà sapevo benissimo che il mio patronus non era stato altri che il ricordo di Cedric stesso.
Di certo però non gliel'avrei confessato così facilmente, nemmeno dopo che mi aveva baciato.
«Serve una mano?» gli domandai subito dopo, allungando un braccio verso di lui, che vi si aggrappò senza esitare per poi alzarsi.
Ma, una volta in piedi, non lo mollò.
«Puoi... puoi aiutarmi? Sai, non vorrei cadere con la faccia a terra per il troppo barcollare» ridacchiò, mentre io gli annuivo sempre più stranita.
Stranita da quel che era successo, dai dissennatori, da ciò che Cedric aveva fatto, ma soprattutto... dal fatto che tutto questo fosse accaduto soltanto grazie al mio stupido topo.
Per fortuna Cedric era ancora abbastanza lucido dal ricordarsi la strada per ritornare alla Sala Comune, anche se, a parte il darmi indicazioni su dove guidarlo, trascorremmo il viaggio interamente in silenzio.
Che fosse l'imbarazzo per il bacio di poco prima, o la troppa emozione per la consapevolezza di essere usciti sani e salvi anche dopo un attacco del genere, io non lo so; fatto sta che l'unica cosa importante in quel momento era che fossimo entrambi vivi e vegeti.
Cedric forse un po' meno di me, ma era comunque rimasto in grado di intendere e di volere.
Al nostro arrivo in Sala Comune, con Cedric che ancora si reggeva con un braccio attorno alla mia spalla, trovammo mezza dozzina di persone ad accoglierci.
Magari perché il torneo di scacchi era già terminato, o magari perché loro non vi partecipavano proprio e avevano già finito di spettegolare davanti al foglio di iscrizioni per chi voleva la foto di coppia al ballo.
«Uhuhuh, pare che abbiamo la nuova coppietta dell'anno! Tanti auguri e figli maschi a Diggory e alla Smith!» esclamò qualcuno, ridendo, seguito a ruota da altri miei compangni di Casa, nessuno dei quali è degno di nota da parte mia.
Di certo però il gruppetto di amici di Cedric non era nei paraggi, altrimenti, vista la loro affinità, dubito che avrebbero esitato nel venirmi a soccorrere, dopo aver visto Cedric ridotto in quello stato.
Ad un certo punto, con mia grande sorpresa, da una delle tante poltrone della sala si alzò una figura femminile che, voltatasi, si rivelò essere Ariel, che mi corse incontro assai preoccupata.
«Eve! Mio Dio, dov'eri finita?! Mi stavo seriamente preoccupando!» esclamò, dopo l'affannata corsa - pigrona com'era, si stancava anche dopo aver fatto due passi.
Non ebbi la forza di replicare, ma Ariel ovviamente mi precedette con un altro interminabile fiume di domande, non dopo aver notato qualcuno avvinghiato al mio collo.
«E lui...? Cedric Diggory?! Ma come..? Che cosa..? Eve, che cosa significa tutto questo?!»
Pareva veramente confusa, più confusa di me quando, qualche minuto prima, mi ero ritrovata in quella situazione romantica con Cedric.
«Ti spiego tutto dopo, Eve» fu l'unica cosa che mi venne in mente al momento per rassicurarla.
«Ora ha solo bisogno di riposare» aggiunsi poi, accennando con la testa al Cedric mezzo morente attaccato a me, mentre la maggior parte degli studenti all'interno della Sala Comune continuava a fissarci con aria sbalordita.
«Ehm.. non è che mi daresti una mano? Sai, non sono ancora diventata mr. Muscolo» azzardai sottovoce, vedendo che Ariel continuava a starsene lì impalata davanti a me come un pesce lesso.
«Uh.. giusto. Dammi qua, ti aiuto» farfugliò, confusa, prendendo l'altro braccio libero di Cedric e facendo in modo che lui lo poggiasse dietro il suo collo, per poterlo reggere con maggior comodità.
Una volta arrivate alla camera di Cedric, arrancando ed incespicando, scoprendo che fortunatamente era ancora vuota, poggiammo Cedric sul primo materasso che ci capitò sotto mano, aiutandolo a stendersi.
Dopo aver tirato un profondo respiro a causa della fatica, stavamo per andarcene, quando il debole richiamo di Cedric ci bloccò.
«Eve... Eve, non te ne andare, ti prego» biascicò, protendendo una mano verso di me.
Allora, sotto lo sguardo più che basito di Ariel, mi riavvicinai di nuovo a Cedric e gli lasciai una carezza sulla fronte, sorridendogli.
«Va tutto bene, ora, Cedric. Vedrai che ti basterà una bella dormita a riprenderti, per farti dimenticare la brutta esperienza»
E non solo, aggiunsi mentalmente, mentre mi riallontanavo verso la porta.
Forse avrei dovuto chiamare qualche professore ad assisterlo, o semplicemente portarlo da Madama Chips, ma il fatto era che poi avrei dovuto raccontare - a chiunque fosse - tutta la verità. E si sapeva benissimo che ad Hogwarts ci fosse il divieto di uscire dalla scuola dopo una certa ora, qualunque fosse la ragione, per cui non ci tenevo a rischiare che i professori dovessero penalizzare scolasticamente Cedric e me per colpa mia.
Chissà poi che cosa avrebbero pensato tutti gli altri, che già mi criticavano senza che avessi fatto loro nulla?
Avrebbero forse pensato a quanto fosse stata stupida la Smith a mettere in serio pericolo la vita del celebre Cedric Diggory esponendolo ad un attacco di dissennatori?
Si sa, in generale la gente tende spesso a modificare l'interpretazione degli eventi, a maggior ragione se in ballo c'era una come me.
E comunque, per un qualche motivo, ero convinta che Cedric l'indomani sarebbe stato bene.
Ed effettivamente non mi sbagliavo.
«Buongiorno, Eve» mi salutò infatti in Sala Grande da lontano, il giorno dopo a colazione, facendomi arrossire più che mai.
Io ricambiai il saluto, imbarazzatissima, mentre in realtà cercavo di far finta di nulla, sotto lo sguardo attonito di Ariel.
«Eve... sappi che mi devi delle spiegazioni» mormorò lei, facendomi annuire rapidamente per poter liquidare in fretta la situazione.
Già, perché non le avevo ancora spiegato nulla dei fatti della sera prima, anche se prima o poi sapevo benissimo che avrei dovuto farlo... e quel momento venne infatti non appena ce ne tornammo in camera per prendere i libri, consapevoli del fatto che quello sarebbe stato finalmente l'ultimo giorno di scuola.
«Quindi ti ha veramente baciata? Voglio dire, lui a te?!» esclamò Ariel, lasciando cadere per terra dallo stupore la pila di libri che teneva in mano.
«Per la millesima volta in un minuto, Ariel... sì. Sì, va bene?» le risposi, alquanto spazientita dalle sue continue domande tutte uguali.
Inutile specificare che Ariel si mise a sclerare come una ragazzina in piena crisi ormonale, ma fortunatamente questo momento venne interrotto da Ced, che, dopo essere andato a sbattere contro il vetro della finestra (che io gli aprii immediatamente dopo) mi lasciò una lettera sul comodino, per poi volare via verso dove era venuto.
«Uhhhh, aprila!» battè le mani Ariel, ancora in fibrillazione.
«Tsk.. sarà mia madre, con le sue solite storie» sbuffai, mentre la scartavo.
Tuttavia, con mia grande sorpresa, una volta aperta vi lessi qualcosa di molto più piacevole di quel che m'aspettavo.
"Eve, verresti al Ballo con me stasera?
- Cedric"
Questo breve ma intentissimo bigliettino fu la causa di numerosi scleri e urli da parte mia e di Ariel, la quale quasi era sul punto di svenire dalla contentezza per me.. e insomma, diciamo che io non ero da meno.
Dopo essere stata per dieci minuti buoni a ridere e sorridere come una pazza con Ariel che mi stritolava le braccia felice, ovviamente gli risposi di sì, e per tutto il giorno, durante le lezioni, non feci altro che stare a guardarlo con quello sbrilluccihio di speranza e desiderio negli occhi... un desiderio che finalmente si sarebbe realizzato, quella sera stessa.
E insomma, dopo ore e ore passate a lezione, mentre morivo letteralmente al solo pensiero di come sarebbe stata quella serata, giunse finalmente il fatidico momento, in cui ancora - da quanto ero emozionata - non riuscivo a spiegarmi perché Cedric avesse scelto proprio me come compagna.
Ariel quella sera mi vestì come una vera e propria principessa, mentre io lacrimavo di gioia, sorridendo e piangendo allo stesso tempo in ogni momento, e sfregandomi fra loro spasmodicamente le mani tutte sudate per l'ansia.
Sarei stata alla sua altezza? E visto che a quanto pare lui mi aveva veramente invitata, sarei riuscita a mantere la calma senza scoppiargli a piangere in faccia dalla contentezza?
Scossi la testa, cercando di scacciare quei pensieri negativi che, vista la mia tremenda fortuna, in quella serata non avrebbero nemmeno dovuto esistere... ero solamente io che mi facevo inutili paturnie.
E non avrei dovuto, poichè mi ero anche agghindata a dovere. Indossavo un vestito azzurro, lungo fino alle ginocchia, e Ariel mi aveva acconciato i capelli arricciandomeli con dei bigodini, in modo da renderli leggermente mossi. Avevo pure lasciato che mi truccasse e che mi mettesse le lenti a contatto, senza oppormi, perché ero talmente felice che ormai poco mi importava di avere una maschera di trucco in faccia o qualche brufolo. Ciò che veramente mi importava era godermi appieno la serata, poiché sapevo che molto probabilmente non avrei mai più potuto beneficiare di un altro momento unico come quello per il resto della vita.
Quando finalmente la preparazione terminò, io e Ariel scendemmo lentamente i gradini in direzione della Sala Grande, col cuore che ci batteva all'impazzata.
Fra pochi minuti avrei ballato veramente con Cedric, e non riuscivo ancora a crederci.
Nemmeno quando la sua figura elegantissima si parò davanti a me, riuscivo a credere che fosse reale.
«Sei bellissima, Eve» mi salutò Cedric, avvicinandosi sempre di più a me.
Lo osservai ipnotizzata, non sapendo cosa dire. Fino a ieri, questa scena mi sarebbe sembrata nient'altro che un sogno, mentre adesso... beh, adesso era diventata la realtà.
«Anche.. anche tu lo sei, Cedric» mormorai dopo qualche secondo, abbassando lo sguardo.
Ariel non riuscì a trattenere una risatina soddisfatta, per poi darmi una pacca sulla spalla, salutarci e dirigersi verso il suo principe azzurro.
Ora eravamo solo noi due... Cedric e io, io e Cedric. L'assortimento che nella mia immaginazione avevo sempre reputato il più perfetto di tutti.
Già, perché uno come Cedric avrebbe potuto rendere perfetto chiunque stesse al suo fianco.
«Allora... vogliamo andare?» mi propose ad un tratto lui, porgendomi il braccio.
Annuii con un sorriso, e posso giurare sull'incolumità di Ric che in quel momento, dopo che fummo riusciti a varcare la soglia della Sala, il mio braccio incastrato saldamente in quello di Cedric, mi sentii veramente al settimo cielo.
La Sala era stata decorata al meglio, e trasmetteva un'atmosfera così suggestiva che mi sarei sciolta in brodo di giuggiole anche solo per le decorazioni, pur non essendo io un tipo così sensibile.
O almeno questo credevo, visto che, appena partì la prima canzone, Cedric mi prese con confidenza in vita e cominciò ad esibirsi in un magnifico ballo, con me che gli stavo dietro a fatica.
Dire che mi colse di sorpresa è dire poco, tanto che per i primi secondi stetti a fissarlo attonita, mentre muovevo i piedi a caso per l'agitazione e, ovviamente, per la mia tremenda goffaggine.
«Cedric, ecco, io... non sono brava a ballare» gli sussurrai piano, vedendo che invece lui continuava a sorridermi, convinto più che mai.
«Oh, non preoccuparti... solo, segui i miei passi» mi rassicurò lui con un occhiolino, lo stesso occhiolino che aveva fatto per la foto dell'annuario che tenevo segretamente nascosta in uno dei cassetti di camera mia.
Feci un cenno affermativo poco convinta, cercando di stargli dietro, e vidi che, dopo una ventina di pestaggi di piedi involontari seguiti dalle mie immancabili scuse e dalle risate di Cedric, la cosa cominciava a divertirmi sul serio, nonostante a ballare fossi proprio una frana.
Davvero, non so se in tutta la mia vita passai mai una bella serata come quella. Era qualcosa che desideravo da così tanto tempo che qualunque cosa fosse successa sarebbe stata comunque perfetta, perché c'era Cedric al mio fianco.
E non mi importava affatto di tutti gli sguardi storti che ricevetti durante il Ballo, perché sapevo che in realtà erano solamente dei gran invidiosi... che sicuramente non avevano idea di quanto tempo io avessi passato a sognare di poter ballare con Cedric negli ultimi anni della mia vita.
Ma il bello più assoluto della serata venne quando, dopo una lieve pausa per farci riprendere dall'affanno dell'aver ballato con molta verve, Silente fece partire con nostra grande sorpresa un lento, che rese ancor più suggestiva l'atmosfera natalizia che aleggiava nella Sala.
Fu allora che io e Cedric rientrammo in pista, anche se io stavo già cominciando ad avere le palpitazioni per il fatto che - come tutte le coppie presenti al ballo - ora saremmo stati più vicini che mai... con pochissimi centimetri di distanza a separare i nostri visi, proprio come era successo ieri.
«Sai, Eve..» esordì Cedric a ballo cominciato, con un sussurro appena percettibile, guardandomi dritto negli occhi come se volesse farmi una confessione importante.
«Sì...?» lo incalzai io, a testa bassa per il troppo imbarazzo, anche se in realtà avrei desiderato rimanere così per il resto della vita.
«So che potrà sembrarti alquanto strano, ma vedi, io... io questa sera ti ho invitata al ballo perché volevo dirti una cosa molto importante» continuò lui, con fare evasivo, mentre il mio cuore stava scoppiando.
Sarà stata l'atmosfera romantica, o la musica, o il fatto di trovarmi proprio davanti a lui, o forse tutte queste cose messe insieme... fatto sta che in quel momento pendevo letteralmente dalle labbra di Cedric, in attesa che pronunciasse quelle parole che per me fino a quel momento erano state solamente un sogno irrealizzabile.
Ma magari non le avrebbe proprio dette, magari tutto questo era soltanto frutto della mia immaginazione e Cedric mi aveva invitata soltanto per... soltanto per ricambiare il favore di ieri.
Di colpo mi gelai sul posto, facendomi invadere da una nube indistinta di pensieri negativi; quanto ero stata stupida, come avevo fatto ad arrivarci soltanto adesso?
Diamine, era super ovvio che non avrebbe avuto altre ragioni per farlo, visto che non mi aveva mai rivolto un briciolo d'attenzione durante gli anni precedenti!
D'altronde, però, c'era stato anche quel bacio... a cui ora non riuscivo proprio a dare alcuna spiegazione. Che l'avesse fatto perché era ancora mezzo stordito, senza sapere che cosa stesse effettivamente facendo?
La testa mi stava scoppiando nel pensare a tutto ciò, tanto che quando Cedric riprese con il suo discorso, mentre stavamo ancora ondeggiando lentamente in pista, sussultai.
«Io... io sin dal primo anno ho sempre provato una sorta di attrazione nei tuoi confronti, ma... come dire, mi è sempre stato difficile darlo a vedere, ti ho sempre osservato da lontano senza mai esprimere nulla di ciò che provavo, continuando a mascherare quei sentimenti che tanto mi tormentavano, e..»
Anche soltanto dopo aver ascoltato questa prima parte, giuro che stavo già andando in paradiso. Cioè, anche se lo seppi con molto ritardo, tutto ciò mi rese talmente tanto felice che avrei fatto i salti di gioia davanti a tutti, se solo non ci fosse stata tutta quella confusione.
Ma soprattutto, ora tutti i miei inutili pensieri di poco prima sparirono nel nulla, per lasciare il posto ad un'euforia alle stelle, ed una gioia immensa, fuori dal comune.
«E beh, vedi... è molto difficile per me farti questa confessione, e spero mi perdonerai per essermi mosso solamente adesso, ma... sono sempre stato innamorato di te» mi confessò di punto in bianco Cedric, sollevandomi il mento con un dito per stabilire un contatto visivo con me.
Il mio cuore subì uno, due, tre palpitazioni, e ancora, ancora uno, fino a che Cedric non mi prese una mano e me la poggiò all'altezza del suo cuore, che scoprii che stava incredibilmente battendo ancor più veloce del mio.
Sgranai gli occhi, alternando lo sguardo fra i suoi occhi e il suo cuore.
Non riuscivo a crederci, ma era la realtà. Un sogno finalmente realizzatosi dopo sei anni di inutili insofferenze.
«Senti... senti che cosa provo?» continuò lui, mentre continuavamo a muoverci lentamente tenendoci per mano con le mani libere. Il suo cuore batteva all'impazzata, molto più velocemente del mio.
«I-io... Cedric, io...» balbettai, pronta a ricambiare quella confessione, che ora avrebbe dovuto essere molto più facile da fare... anche se, effettivamente, trattandosi della mia prima confessione in assoluto, non fu affatto semplice.
Presi un respiro profondo, chiusi gli occhi e finalmente trovai dentro di me la forza di parlare.
«A dire la verità... credevo di essere io l'innamorata sfortunata, perché... vedi, ho continuato ad amarti da lontano dal primo giorno in cui ti ho visto... perché anche io... io ti amo»
Non so con che coraggio mi uscirono quelle parole di bocca, fatto sta che alla fine riuscii - bene o male - nel mio intento, lasciando Cedric più che attonito.
Era ben evidente che non se l'aspettava, come del resto era più che palese il fatto che non me l'aspettassi io, nello stato sociale da sfigata in cui mi trovavo a scuola.
Ebbene, nonostante questo, Cedric parve pian piano riprendersi dalla confessione appena udita, i suoi occhi brillarono nuovamente di una intensissima luce e, poco prima che la musica finisse, tenendo gli occhi fissi su di me, avanzò una domanda piuttosto inaspettata.
«Anche tu, Eve...? Dopo tutto questo tempo?» mi domandò con aria incredula, quasi più confuso di me per il fatto che lo ricambiavo.
A quel punto non potei far altro che annuire come un'ebete, perdendomi nel suo romanticissimo sguardo, nel suo sorriso disarmante, cullata fra le sue braccia protettive, ringraziando il cielo per aver fatto avverare il mio sogno più grande, mentre dentro di me si faceva già strada l'immagine di Cedric e me che ci tenevamo mano nella mano, a camminare nei prati innevati di Hogwarts, circondati da un'atmosfera da veri piccioncini.
Proprio come avevo sempre sognato... e forse, a giudicare dalle nostre reciproche confessioni, adesso il mio più grande desiderio si sarebbe veramente realizzato.
«Sempre» gli risposi allora senza esitazioni, con un sorriso sincero, un attimo prima che Cedric si avvicinasse nuovamente al mio viso per unire le nostre labbra in un dolce e tenero bacio... quel bacio che, ancora oggi, anche se lui non c'è più, fu l'inizio di un grande, splendido, magnifico amore.
"Ti amo, Cedric, e ti amerò per sempre."
~The End~
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro