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Epilogo

Realizzare i propri sogni dovrebbe essere la massima aspirazione di chiunque nella vita; fin da piccoli ci insegnano a darci da fare per raggiungerli e quando ti ritrovi ad averne realizzati una buona quantità, non puoi che essere soddisfatto di ciò che hai. Se poi li condividi con chi ami, è ancor più meraviglioso.

Dopo nove lunghe ore di volo, io e Sofia ci apprestiamo a testare la camera d'hotel, buttandoci sul letto come due ragazzini, lanciandoci uno sguardo d'intesa. Si mette a sedere incrociando le gambe, guardandosi attorno, allora la seguo: la stanza è ben arredata, ma molto minimale. Il nostro letto matrimoniale è circondato da due comodini in legno moderno, un televisore grande quanto basta, una scarpiera bianca, una piccola scrivania e alcuni dipinti raffiguranti la Grande Mela. Alla nostra destra la luce del sole, che proviene da una grande finestra panoramica, mette in risalto un piccolo salotto con due divani e un piccolo tavolino, su cui sono poggiati alcuni fiori finti e due bottiglie d'acqua. Il bagno è interamente bianco e azzurro, incredibilmente spazioso, ma riempito solamente da una doccia e un lavandino che funge anche da armadietto per gli effetti personali. Ma la parte migliore di tutto ciò, è sicuramente la vista; Times Square è a due passi da noi, a portata d'occhio, in tutta la sua bellezza, che aspetta solo di essere visitata e fotografata.

«Non ci credo che siamo davvero a New York!» Esclama mia moglie estasiata, fiondandosi a godere del panorama. «È un sogno che si avvera.»

«Lo so, per questo ho pensato di organizzare il nostro viaggio di nozze qui» affermo, affiancandola. «Se non sbaglio, hai nominato parecchio gli Stati Uniti, da quando ci conosciamo.»

«Ti amo anche per questo, marito!» Esclama sorridente, lasciandomi un sonoro bacio sulle labbra.

«Ti amo anche io, moglie, ma questo lo sai già. Ciò che ancora non sai, è che siamo circondati dall'architettura, perciò che ne dici di fare un giro a scattare due fotografie?»

«Ci sto, al diavolo la sistemazione delle valigie! Siamo in America, cavolo!»

La guardo trotterellare per la stanza allegra come non mai, come una bambina totalmente spensierata e il cuore, ogni volta che la vedo così, mi si riempie di gioia. Anche perché un po', della sua felicità, ne faccio parte anche io.

Ci dirigiamo verso il punto di nostro interesse, venendo totalmente inghiottiti dai grattacieli che ci sovrastano e circondano assieme ai numerosi negozi e ai colori delle insegne che caratterizzano una città così turistica, appena mettiamo piede a Times Square. Mi rendo conto di quanto possiamo apparire come piccoli puntini insignificanti in mezzo a tutta questa imponenza; persino i cartelloni pubblicitari appesi sui palazzi appaiono più grandi dei pullman a due piani che ci affiancano lungo la strada.

«Non è meraviglioso?» Chiede Sofia retoricamente, incantata a osservare la punta lontana dell'Empire State Building, illuminata, mentre il sole inizia a calare.

La guardo sorridere, estrarre la macchina fotografica e iniziare a scattare fotografie a ogni particolare; se potesse, fotograferebbe persino il profumo di Brezel che caratterizza il posto. Un po' come me, del resto.

Riprendo i grattacieli dal basso in tutta la loro altezza, quando il mio occhio viene poi attirato da un personaggio particolare: un signore di mezza età, vestito di semplici boxer con la bandiera americana stampata, che suona la chitarra sull'imponente scalinata rossa, luogo di ritrovo e riposo, ormai diventata anch'essa un monumento turistico.

«Amore, guarda lì.» Faccio cenno a Sofia verso il tizio, immaginando che voglia scattargli una fotografia anche lei.

«Beh, sicuramente è più originale dei grattacieli, no?» risponde con un occhiolino, prima di rivolgere l'obiettivo verso di lui.

Mentre mi guardo attorno alla ricerca di qualsiasi cosa attiri la mia attenzione, come se fossi stato catapultato in un'altra realtà, noto ciò che di più banale potessi mai notare, ma a cui non posso rinunciare; un'insegna a forma di chitarra in lontananza mi fa brillare gli occhi, è più forte di me.

«Amore!» esclamo, fomentato.

«Che succede?» Mi chiede Sofia, con espressione corrucciata.

«C'è l'Hard Rock Cafe! Dobbiamo farci un salto, assolutamente!»

«Certo che sì! Però, la prossima volta, evita di dirlo come se stessi per avere un infarto!» Ironizza, avvicinandosi per abbracciarmi.

«Quando hai ragione, hai ragione» ammetto.

La stringo forte, godendo del suo affetto spontaneo. Prima di prenderci per mano e attraversare la strada, le lascio un lungo bacio a fior di labbra e, a tradimento, scatto una fotografia con la fotocamera interna del mio cellulare. Sembriamo due fidanzatini ai primi mesi di relazione, forse; ma tornare indietro nel tempo con la mente a quando eravamo ragazzini, non sempre è così terribile.

«Se dobbiamo fare i piccioncini, dimmi che almeno non ho la faccia schiacciata!»

«No, guarda, sei sempre bellissima» le faccio notare, mostrandole l'ennesimo, piccolo, ricordo del nostro amore.

«E tu sei sempre il solito romanticone» mi fa notare, schioccandomi un altro bacio casto. «Andiamo, va!»

Ci accolgono due giovani commesse all'entrata dell'Hard Rock, sorridenti e a proprio agio nella loro scura divisa da lavoro, abituate a vedere numerosi turisti differenti ogni giorno. Mentre una cameriera ci indica un tavolo libero in cui accomodarci, do uno sguardo veloce all'ambiente e rimango letteralmente stregato: distese di vere chitarre appese adornano le pareti con i loro colori sgargianti, assieme a fotografie ritraenti grandi artisti della musica rock e alcune locandine americane di New York che lo rendono caratteristico, differenziandolo dai suoi simili presenti in altre grandi città.

Un grande schermo appeso al centro dei tavoli manda in onda un video musicale dei Guns 'N Roses, in linea con Welcome to the jungle, la canzone in sottofondo che mia moglie inizia distrattamente a canticchiare mentre mi sorride. E nel momento in cui sorride, ogni volta, io ancora dopo anni al suo fianco non lo capisco cosa mi succede, ma so per certo che mi fa stare bene. Allora inizio a canticchiare parole sconnesse, seguendola, pur non conoscendo alla perfezione il testo; talmente preso dal momento, dalla sua voglia di vivere, dalla voglia di viverci accompagnati da buona musica, molto amore e qualche fotografia. E ancora una volta, nient'altro ha importanza.

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