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Capitolo 26

“Alec credo che questo non sia esattamente l’edificio che mi hai mostrato anche perché non ce affatto un edificio!” La rabbia che provava in realtà mascherava la frustrazione. Possibile che nonostante la loro pianificazione alla fine non abbiano mai nulla a loro favore?

“Non è colpa mia se lo hanno demolito, tesoro” il tono stizzito di Alec fece voltare Magnus.

“No, ma una ricerca più approfondita poteva ovviare a questo insignificante contrattempo”

“Mi stai dando dell'incompetente Bane?!” Non lo chiamava mai così a meno che non fosse adirato e questo era uno di quei momenti.
Ma lui non ne aveva alcun diritto!

“Invece di perdere tempo ad incolpare me perché non pensi ad una soluzione? Sono sempre io quello che deve risolvere le situazioni vero?! Tu sei solo bravo a lamentarti”

“Se avessi fatto bene il tuo lavoro adesso non saremmo in questa situazione”

“Se avessi fatto bene il mio lavoro adesso saresti morto!”

“Vuoi dire che sono vivo solo per tua gentile concessione?”

“Sai Magnus, per casi come questi ho sempre un piano. Adesso dovrei essere su di una barca diretta a Capo Verde! Sarei in costume da bagno a bruciarli al sole facendo il bagno con le tartarughe! Forse ho fatto la scelta sbagliata” quelle parole lo colpirono facendogli mancare il respiro. Una volta gli avevano sparato in pieno petto e la sensazione che provava adesso era la stessa. Un vuoto incredibile e l’impressione di non riuscire più a respirare. Avrebbe voluto ribattere ma il rumore di un elicottero in avvicinamento lo fecero desistere. Il segnalatore di posizione doveva aver fatto contatto, indicando dov’erano prima ancora di aver scelto il terreno di battaglia. O meglio in teoria dovevano già essere in posizione pronti ad accogliere chiunque li avesse attaccati. Ma adesso da predatori erano diventati prede.

“Andiamo, ce un magazzino poco lontano, visto che risolvo sempre i problemi?” senza aspettarlo si diresse verso dove aveva indicato.

Avevano trovato un nuovo terreno di caccia.
Più che magazzino era un vero e proprio centro commerciale di quelli che vendono di tutto, da roba per la casa ad attrezzi da giardino passando per vestiti e occhiali da sole. Alec aprì con maestria la porta di servizio con gli strumenti da scasso entrando poi dalla porta senza tenerla aperta per il marito che lo seguì a ruota con tutti i borsoni. Magnus ringhiò a denti stretti quando vide chiudersi in faccia la pesante porta.
Possibile che quel ragazzo fosse così… dannatamente bello quando era arrabbiato?! Gli si illuminava lo sguardo.

Quanto ti odio Alexander George cioè Gideon Lightwood!

“Vuoi darti una mossa oppure vuoi attenderli tenendogli pure la porta aperta?” la faccia da saputello con tanto di sopracciglio alzato.

“Sarebbe un gesto troppo gentile non trovi?!”

Trovi pane per i tuoi denti Alexander. Non provocarmi.

“Già, va riservato solo alle persone a cui tieni.”

Colpo bassissimo!
Magnus stava per dare sfogo al suo repertorio di insulti quando una piccola detonazione lo fece trattenere.

“Sono nell'edificio.”

Non mi ero accordo! Ma come farei senza di te dolcezza!

Si trattenne a stento, litigare in questo momento non era la cosa più costruttiva da fare quindi decise di chiudere momentaneamente la rabbia dietro la porta e di pensare in maniera costruttiva.

“Alec” il moro lo guardò in principio spazientito ma seguendo il suo sguardo comprese l’idea del marito il quale fissava gli abiti dei manichini.

“Alcune volte ho delle idee costruttive anch’io non credi?!” passavano meglio inosservati, di certo non si aspettavano di incrociare persone vestite con un semplice completo da lavoro grigio, almeno non dei killer pronti a farli fuori.

“Alcune volte si, te lo devo riconoscere.” Cedette Alec lanciandogli un sorriso sghembo mentre spogliata il manichino. La tuta stretta che indossavano era studiata apposta per essere portata sotto i vestiti.

“Buona caccia Magnus” augurò Alec infilandosi gli occhiali a lenti gialle che proteggevano gli occhi.

“Anche a te Alexander” pronunciò quel nome con il suo miglior tono infilandosi a sua volta gli occhiali lanciando un'occhiatina al marito, la sua reazione nel sentire il proprio nome era stata quella sperata, nonostante la giacca che gli copriva le spalle poté vedere chiamare il brivido che gli aveva percorso la spina dorsale. Imbracciò con un sorriso la pistola e seguendo il marito cominciarono la danza muovendosi perfettamente sincronizzati quasi lo facessero tutti i giorni. Schiena contro schiena proteggendosi le spalle a vicenda. Magnus apriva la fila e Alec di spalle lo seguiva a ruota. Svoltarono un angolo, nessuno. Precedettero oltre. Il leggero cigolare della gomma contro il pavimento li avvertì dell’arrivo del primo invitato alla loro piccola festa per la libertà. Senza troppi complimenti Magnus sospinse Alec contro la parete ricevendo un’occhiata fulminante.

Non sono mica una pulzella in pericolo!
Pensò Alec contrariato dal comportamento del marito. Magnus uscì dal nascondiglio colpendo in pieno volto l’uomo in nero con il calcio della pistola ed Alec lo stese colpendolo sul collo con la sua pistola per dare prova del fatto che non fosse affatto da sottovalutare. L’uomo si afflosciò come un palloncino sgonfio e loro per far silenzio lo adagiarono al suolo il più delicatamente possibile. Non era solo, si avvicinarono silenziosamente agli altri due ospiti attesi, Alec mirando con la pistola e Magnus… beh optò per qualcosa di più silenzioso e altrettanto efficace. Prese con disinvoltura una pinza a pappagallo enorme e la abbatté sulla nuca del primo e prima che il secondo se ne accorgesse anche lui era a terra colpito sul volto. Peccato che cadendo uno dei due avesse fatto cadere un sostegno in metallo che Magnus afferrò al volo con il piede visto che aveva le mani occupate dalle chiavi. Scampato il pericolo lo adagiò a terra ricevendo un’occhiata di rimprovero da Alec sostituita da un sorriso trattenuto dopo che Magnus aveva imitato un ninja giocando con le chiavi. Nonostante il fatto che erano già armati fino ai denti ogni corpo che lasciavano dietro di loro lo disarmavano.
Se fossero rinvenuto meglio a mani vuote no?!
Ripresero la danza, il loro piano in principio era quello di organizzarsi piazzando le armi in punti strategici dell’edificio ma era andato in frantumi quando il terreno di caccia era cambiato. Tutte le armi che avevano portato erano risultate inutili visto che non avrebbero potuto piazzarle da nessuna parte, non avevano avuto il tempo per farlo quindi ogni possibile arma a loro disposizione era più che accetta. Non potevano portarsi dietro tutte quelle armi, li avrebbero resi goffi e lenti cosa che non potevano permettersi.
Il clangore di una porta che si apriva annunciò l’ingresso nel locale di altri agenti.
Meglio accorgerli in maniera calorosa. Si acquattarono dietro un bancone della cucina. Una veloce sbirciata per vedere quanti erano. Non sapevano che loro erano lì, il vantaggio era ancora dalla parte dei coniugi e così doveva rimanere per il maggior tempo possibile. Magnus si preparò per sparare ma Alec aveva da sempre un debole per le così dette armi bianche e che cosa si trova di solito in cucina?! Dei fantastici set di coltelli super affilati. Questa volta non li avrebbe usati per affettare le verdura per il brodo ma per affettare qualcun altro…
Posò il fucile e si tolse la giacca, Magnus lo fissò incuriosito.

Ti sembra questo il momento dolcezza?

Era ciò che il suo sguardo trasmetteva ma Alec accarezzò con amore le armi contundenti sorridendo al marito.

Sì, mi sembra esattamente questo il momento migliore.

Magnus gli sorrise e annuì.

Ottimo piano dolcezza.

Magnus contò alla rovescia con le dita e allo zero i due si separarono. Magnus con la pistola e Alec con i coltelli. Alec era un vero cecchino, lanciava coltelli con una precisione quasi irreale e quanta grazia nei movimenti. Magnus rimase affascinato mentre colpiva sulla nuca un altro uomo in nero. La leggera distrazione però non gli fece notare i due uomini alle sue spalle ma vedendosi lanciare addosso due coltelli in rapida successione dal marito si scansò guardando ammirato andare a segno ogni colpo. Anche il terzo andò a segno peccato che il bersaglio però fosse la sua coscia. Serrò la mascella e guardando contrariato il marito

“Dolcezza?” con un pizzico di rimprovero.

“Scusa” disse Alec oscillando leggere sui piedi. Non sembrava molto dispiaciuto.
Magnus serrò lo sguardo guardandolo con sospetto mentre Alec si avvicinava armato sfilandogli di fronte e quando fu a portata d’orecchio gli sussurrò a denti stretti

“Ne parliamo più tardi” ma Alec era già andato oltre senza fermarsi.

Magnus storse il naso e sfilò con uno strattone il coltello dalla gamba soffocando un urletto di dolore. Lasciò andare il coltello sul pavimento, tanto non era una gran ché come lanciatore, non gli sarebbe servito a molto, e seguì il marito imbracciando il fucile. Ricominciarono la danza ma la non consueta goffaggine di Magnus tornò all'attacco.
Possibile che capitasse solo quando aveva nei paraggi Alexander? Voltandosi aveva urtato dei barattoli di vernice che tintinnarono sonoramente al suolo.

“Diavolo, Magnus!” si era appena riconquistato il diritto di essere arrabbiato con Alec dopo che lo aveva trafitto e adesso era di nuovo in svantaggio.

“Non ho toccato niente!” cercò di difendersi Magnus ma non attaccava. Non cadono mica da soli i barattoli!

“Si invece!” lo rimbeccò Alec.
Addio effetto sorpresa.
Cominciarono a sparargli addosso con le mitragliatrici. Non dovevano più preoccuparsi di fare silenzio, tanto ormai li avevano localizzati. Cominciarono a sparare alla cieca verso la direzione da cui provenivano gli spari. Per il momento dovevano solo fare del fuoco difensivo, e mettersi al riparo. Correndo e sparando attraversarono la sala fiondandosi dentro l'ascensore. Le porte si richiuderla facendo da scudo dai proiettili e chiudendo fuori il suono assordante degli spari sostituito da quelle stupide musichette che si sentono negli ascensori, quelle che non fanno altro che aumentare l’imbarazzo tra due persone chiuse insieme in un ascensore o che fanno crescere la rabbia per quanto siano dannatamente irritanti. Attensero pazienti che l’ascensore si fermasse al piano successivo sistemando, nell’attesa, la presa sui fucili e Magnus cominciò a muovere la testa a tempo con la musica facendo serpeggiare un sorriso sul volto di Alec.
Il tin che annunciava l’apertura delle porte fu subito inghiottito dagli spari che provenivano sia da parte dei cattivi che dei buoni. Al caos generale si andò ad aggiungere il rumore di vetri infranti. Altri uomini in nero si calarono dal tetto rompendo le vetrate che fungevano da tetto. Sapevano che dovevano combattere solo due persone oppure si aspettavano l'esercito? Avevano esagerato mandando anche i mission impossible che si erano calati dal tetto. Avevano affrontato missioni contro molti più uomini con meno dei nostri. Erano considerati a quanto pare più pericolosi di trafficanti di armi russi o cartelli colombiani!
Rientrarono nell’ascensore, erano troppo scoperti. Si richiusero le porte ed ecco nuovamente la fastidiosa musichetta anche se, in confronto al fatto di sentirsi sparare addosso quella canzoncina no era affatto male…

“Scusa per…” cercò di dire Alec ma Magnus lo interruppe

“Evita per favore” Alec annuì tacendo all'istante. Si riaprirono le porte e questa volta non furono accolti dagli spari.

“Io volo.” Disse Alec schizzando via per prendere posizione sulla struttura di metallo del contro soffitto.

“Io faccio l’esca.” Lo informò Magnus restando con i piedi per terra.

“Giro in senso orario, attento alle mie sei. Coprimi.” proseguì Magnus cominciando il giro. Svoltò il primo angolo e già cominciò a sparare. Nel frattempo Alec si sistemò nel punto con la visuale migliore e prese la mira. Sistemò il mirino puntandolo sulla nuca bruna di Magnus spostandolo poi sul tizio alle sue ore sei. Sembrava tiro al bersaglio. Un proiettile, un caduto. Non lo aveva mai battuto nessuno in questo, gli uomini cadevano come birilli però ven'erano troppi. Spostarono la loro attenzione e il fuoco incrociato da Magnus ad Alec costringendolo a fuggire, si sollevò in fretta camminando sul sostegno metallico il più in fretta possibile sfuggendo ai proiettili ma il piede gli scivolò facendolo volare da tre metri e mezzo di altezza.
Magnus seguì la scena impotente, il cuore gli volò in gola veloce come Alec nel percorrere, cadendo, lo spazio che lo separava dal pavimento. Corse verso il punto in cui era caduto sparando agli uomini in nero che continuavano ad infierire su suo marito non lasciandogli nemmeno il tempo per mettersi al sicuro. Lo vide arrancare lentamente verso un rifugio, sparava colpi per tenerli lontani, sul volto una smorfia di dolore. Doveva essersi ferito nella caduta. Sparò alla cieca per tenerli lontani, svuotando il caricaore. Doveva raggiungerlo, andare da lui il più velocemente possibile. Doveva aiutarlo. Si fiondò al suo fianco soffrendo con lui vedendolo tenersi il fianco e gemere per il dolore. Gli avvolse un braccio intorno alla vita per aiutarlo a rimettersi in piedi. Dovevano andare via da lì!

“Ti tengo io vieni” si passò il suo braccio intorno al collo e quasi portandolo di peso lo trascinò lontano da lì. Con un braccio lo sorreggeva, con l'altro sparava. Alec impugnava ancora la pistola sparando colpi qua e la che andavano a segno anche se non più con la stessa precisione di prima. Una raffica li costrinse a separarsi, Alec gli sfuggì dalla presa. Alec lo aveva sospinto per fargli evitare di essere colpito beccandosi dei proiettili vaganti nella spalla. Aveva spostato lui ma per fare questo non aveva messo in salvo se stesso. Adesso divisi arretrarono, furono colpiti più e più volte, il fiato corto, il cuore che pompata adrenalina e la paura di non avere più al proprio fianco il proprio partner. Quando si ritrovarono dopo aver percorso un corridoio, separati da una corsia di prodotti per il giardino si abbracciarono e stramazzarono, sospinti dai colpi, dentro una casetta per gli attrezzi in legno. Restarono a terra per pochi minuti, riprendendo fiato per quanto i colpi si proiettili potevano permettere. Le protezioni avevano fatto il loro lavoro ma questo non sottraeva lo sventurato a cui avevano sparato lividi blu e ammaccature alle ossa! Neanche chiusi li dentro osarono smettere di sparare, una raffica costrinse Alec ad alzarsi e andare a chiudere la porta. Alla cieca non avrebbero sparato.
Erano in trappola e gli avversari lo sapevano. Non dovevano fare altro che aspettare che uscissero. Cominciarono a togliersi quei pochi brandelli di stoffa che una volta erano giacca e camicia. Scoprirono le tute si protezione ammaccate, come i loro proprietari ma ancora resistenti. Avevano smesso di sparare, non era affatto un buon segno. Mentre Magnus faceva un inventario di quanto ancora gli restasse di munizioni Alec diede una sbirciata da uno dei fori formati da un colpo di pistola. Nonostante il piccolo spiraglio li fuori sembrava di essere in un formicaio! Tanti piccoli omini in nero che zampettavano laboriosi di qua e di là mettendosi in posizione. Erano circondati! Alec si voltò aiutando il marito a stringere una benda di fortuna intorno al bicipite ferito.

“Cosa ne pensi?” Alec prese tempo

“È una passeggiata” un sinonimo non molto azzeccato per indicare: se usciamo da quella porta molto probabilmente sarà l’ultima cosa che faremo.
Ma di certo non potevano restare lì. Armeggiarono con le armi che avevano distribuendosele  in maniera equilibrata.

“Attento, questa tende ad incepparsi.”

Non sapevano che dire, potevano essere le loro ultime parole. Magnus disse la prima cosa che gli passò per la mente, stemperare la tensione fino alla fine.

“La vedrei bene adesso quella barca per Capo Verde…” ecco dove lo aveva trascinato, verso morte certa. Quanto era stato stupido, doveva lasciarlo andare o forse doveva solo farsi sparare. Se fosse morto adesso Alec non sarebbe in questa situazione ma lui gli aveva dato la possibilità di farlo e lui non l’aveva colta. Diavolo, perché non erano finiti in una dannata fiaba? Perché non potevano avere il loro lieto fine?

“Piove molto in questo periodo dell'anno.” Disse sorridendo Alec senza guardarlo negli occhi.
Magnus si voltò cercando i sui occhi, voleva forse dire che…? Alec sbuffò una risata e così anche Magnus sorrise nonostante il dubbio che fosse diventato matto gli serpeggiò nel cervello.

“Non ce un altro posto in cui vorrei stare se non qui, con te.” Il sorriso da appena accennato divenne stile lo stregatto. Stava per dire qualcosa ma Alec lo precedette

“Non fiatare.” Anche lui sorrideva e si infilò nuovamente gli occhiali con le lenti gialle.
Si giocavano il tutto per tutto e lo facevano fianco a fianco.
Insieme.
Si alzarono imbracciando le armi, pronti ad affrontare il destino che li attendeva dietro quella porta di compensato.

“Insieme?” bisbigliò Magnus
“Insieme” rispose senza esitazione Alec e vatcarono la soglia.

La scena fu epica, sembrava di essere in un film d’azione di Hollywood, tutti che sparavano contro tutti. Proiettili che volano da un lato all’altro della stanza finendo tutti a segno (quelli sparati dai protagonisti) e tutti rigorosamente a caso (quelli sparati dagli uomini in nero) anzi non proprio a caso, dal putiferio che c’era si sono sparati anche addosso omini in nero con omini in nero. La danza trai i due era perfetta, ogni gesto, ogni azione. Si abbassava uno e l'altro sparava, non c’erano punti scoperti. Sparavano schiena contro schiena, petto contro petto. Si proteggevano come fossero un tutt'uno. Uno spettacolo per gli occhi. Schivarono proiettili, bombe a mano.
Fu un massacro.
Uno splendido massacro.
Uomini che cadevano sotto il feroce fuoco della passione.
Come risvegliati da un sogno realizzarono, era tutto finito. Avevano sconfitto un intero esercito di agenti distruggendo un magazzino ed erano ancora vivi.
Erano insieme.
Una sensazione di irreale si impossessò di loro. Non potevano avercela fatta, forse erano in paradiso o la loro mente diceva che era finita, che avevano vinto quando invece erano boccheggianti al suolo mentre guardavano ciechi il punto in cui il compagno era caduto. Non poteva essere altrimenti. Abbassarono le armi, la battaglia era finita. Schiena contro schiena Alec allungò una mano incerta verso il marito. Le dita si toccarono e si strinsero. Non si sarebbero più lasciati.
Le loro paure erano fondate, anche se ciechi si erano ritrovati prima di chiudere gli occhi per sempre su questa vita.
L’inizio e la fine.
Insieme.

Spazio a me

Siamo giunti al penultimo capitolo di questa storia. Prima di lanciarmi pietre e di farmi scavare la fossa da sola con una pala in una notte buia e tempestosa vi prego di attendere il prossimo capitolo.

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