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Capitolo 56



Mi sveglio nel silenzio della mia piccola stanza, l'aria calda del mattino mi opprime. Le finestre sono aperte, ma non tira un filo di vento qui, nei dintorni di Arusha. In lontananza si sente solo il rumore del villaggio che inizia a muoversi. Mi alzo dal letto e ne approfitto per aprire le finestre sgangherate della mia piccola cameretta. Mi sarebbe potuta andare molto peggio, Thomas ha insistito nel cedermi la sua purché io fossi il più comoda e a mio agio possibile. È diventato il mio angelo custode.
Ripiego le coperte del letto e mi vesto con le poche cose che mi sono portata qui. Oltre i pantaloni che hanno ormai superato la 38 da due mesi, non mi entrano più nemmeno le poche maglie che mi rimangono. Non ho avuto il tempo di girare i negozi della città, il poco tempo libero che ho lo passo a fare escursioni alle cascate, Safari e visite all'orfanotrofio della città. Una donna che ho conosciuto in paese è stata così gentile da regalarmi delle gonne lunghe insieme ad abiti freschi e soprattuto larghi, che nonostante il pancione si adattano bene alla mia corporatura esile. Uno stile molto lontano da quello che avevo a Chicago. Indosso una canottiera che evidenzia alla perfezione la curva del mio ventre, che accarezzo ammirandolo allo specchio. I miei piccolini crescono sani e forti. Lavorando in un ospedale non mi è difficile tenerli sott'occhio, nonostante non possiedano nemmeno lontanamente le tecnologie di cui disponiamo in America. Per fortuna, sia io che Thomas, siamo dei medici in grado di svolgere ecografie ed eventuali esami, e una volta al mese passo nello studio della ginecologa, a pochi passi dal nostro reparto: pediatria. Lego il cordino della gonna celeste alla vita e mi dirigo in cucina. Come sospettavo Thomas sta ancora dormendo, rimane sveglio fino a tardi a leggere e ogni mattina devo svegliarlo io. Dopo svariati tentativi lo smuovo bruscamente e apre gli occhi.

<<Cinque minuti>> grugnisce lui girandosi dall'altra parte. Di tutta risposta gli tiro una cuscinata in faccia. Mi fulmina con lo sguardo alzandosi di scatto e venendomi in contro.

<<Sei una vera guastafeste Victoria Young, stavo facendo un sogno bellissimo>> dice raccogliendo il cuscino per tirarmelo contro.

<<Oh sentiamo, cosa avrei interrotto?>> dico prendendo al volo il suo "dardo".

<<Non posso dirtelo. Posso solo assicurarti fosse molto piacevole>> mi guarda con quel suo solito sorrisetto sghembo. Alzo gli occhi al cielo andando a preparare la colazione.

<<Fermo così, non voglio sapere altro>> lui mi raggiunge sedendosi al tavolo.

<<I dettagli ti piacerebbero, o almeno, tre anni fa li apprezzavi molto>> sta veramente alludendo alla nostra vita sessuale quando ancora eravamo una coppia?

<<Meglio se mangi i tuoi cereali>> dico porgendogli la confezione con le ciambelline al miele, anche se non sembra prestarvi attenzione.

<<Non potrai evitarmi per sempre. So che ti piaccio>> rimango in silenzio. Vorrei tanto potergli dire di sì, lo vorrei con tutta me stessa, ma sfortunatamente il mio cuore è rimasto incatenato ad Andrew. Benché mi abbia tradita con quella serpe di Lenore non riesco a dimenticarlo, tanto meno ad odiarlo. Per quanto abbia sempre ritenuto Thomas il ragazzo dei miei sogni, e quello di chiunque altra, non è Andrew. Non è il padre dei bambini che porto in grembo. Forse è questo il motivo per cui mi sento così tanto connessa a lui, il suo sangue cresce dentro di me, è qualcosa difficile da intendere a parole, ma è reale. Siamo in qualche modo connessi. Credo sia il motivo per cui non riesco a lasciarmelo alle spalle. Sono consapevole che un giorno dovrò affrontarlo, non lascerò crescere i suoi figli lontano da lui per mio puro egoismo. Ciò però non significa debba succedere in un futuro troppo vicino. Ora me la posso cavare da sola, o meglio, insieme a Tommy.
<<Ehi, scherzavo>> dice abbozzando un sorriso tirato, ma quel velo di tristezza che cerca di nascondermi lo tradisce, lo conosco troppo bene. So che è innamorato di me, che non mi ha dimenticata e vorrei esserlo anche io, proprio come lo ero una volta, sarebbe tutto più semplice, e meno doloroso... Non avessi mai incontrato Andrew con tutta probabilità ci saremmo rimessi insieme. Mi sento in colpa, come se stessi approfittando della sua bontà, ma non riesco a immaginare queste giornate senza di lui. È tutto quello che ho, mi sto aggrappando a lui come se fosse la mia unica fonte di pace, la mia ancora. <<Ti starò vicino sempre, è una promessa>> stupidi ormoni impazziti, mi fate sempre piangere! <<Io ti aspetterò sempre. Te>> dice toccando il mio cuore con l'indice <<E loro>> mi accarezza il ventre. Senza indugiare oltre lo abbraccio come se potesse essere l'ultima volta. Mi culla accarezzandomi i capelli. Sei la mia salvezza, e io non ti merito.

Grazie a lui l'aria torna presto leggera. Mi intrattiene per tutto il viaggio con racconti o barzellette e mi lascia il sorriso stampato in faccia tutta la mattinata. Lui come al solito ha da fare il suo giro per controllare i pazienti del reparto neonatale, nel mentre che io mi occupo di quelli di pediatria. La prima della giornata è Saida, un'adorabile bimba di cinque anni in cura da diversi mesi per guarire dalla tubercolosi. Le somministro come ogni mattina i medicinali, scambiando due chiacchiere con lei. È estremamente vivace, con una forza d'animo da vendere. Non vede l'ora di guarire per tornare a casa dalla sua mamma e i suoi fratelli. Ha perso il padre di malaria, e da allora la madre si occupa di loro quattro da sola. Vivere le storie difficili e la maggior parte delle volte strazianti di così tante famiglie, mi ricorda quanto io sia fortunata ogni giorno. Vorrei fare tanto di più per queste persone, se solo avessi fra le mani quello che avevo prima passerei la mia intera esistenza a darlo ai più bisognosi. Darei di tutto per regalare loro quello che io ho sempre avuto e dato per scontato. Saluto la piccola ricciolina proseguendo il giro.
Arrivo da Adil, un giovane bimbo di nove anni. È molto simpatico, e ama fare scherzi, lo dico per esperienza in quanto sono stata vittima di diversi suoi giochetti. Eseguo i soliti controlli misurando temperatura e saturazione, entrambe regolari. Oggi è giornata di analisi del sangue, ci siamo accordati che se mi farà fare la puntura, lo porterò personalmente a fare un giro in giardino nella pausa pranzo. Così, come promesso, alle 12:30 spaccate lo porto fuori per la nostra passeggiata. Ho avuto chiaramente l'autorizzazione dai responsabili del reparto. Concordiamo che stare un po' all'aria aperta è la cosa migliore. Poso il camice nell'appendiabiti della sua stanza e scendiamo insieme.

<<Hai il pancione enorme, tra quanto nascerà il bebè?>> sorrido guardando la mia pancia. Se è così grossa ora, non oso immaginare al nono mese.

<<Nasceranno tra poco più di quattro mesi>> rispondo tenendolo per mano.

<<Ce n'è più di uno?>> domanda stupito strabuzzando i suoi occhioni neri. Io annuisco.

<<Sono grandi come una cipolla>> dico mimando la grandezza dell'ortaggio. Lui apre la bocca meravigliato.

<<E come li vuoi chiamare?>> continua con le domande. Nel frattempo ci sediamo su una panchina per mangiare quanto portatoci in stanza.

<<Per ora rimarranno senza nome, visto che non vuole sapere il sesso>> s'intromette Thomas sedendosi affianco a noi. Adil si alza e gli salta addosso. Lui posa il suo piatto e lo prende in braccio. Assurdo come tutti i bambini lo adorino. <<Come stai piccolo?>> domanda accarezzandogli i riccioli bruni.

<<Bene! Ce l'hai il lecca lecca?>> gli chiede speranzoso. Thomas fa finta di pensarci qualche secondo e poi lo tira fuori dalla tasca del camice <<Yee!>> esclamo entusiasta. Lo afferra e lo inizia a leccare.

<<Non hai toccato il riso!>> lo rimprovero io. Thomas è sempre il solito.

<<Dopo lo mangio>> si giustifica lui <<C'è Rashid!>> urla lui, a momenti prendo un coccolone per lo spavento. Avvisto anche io il bambino, è insieme ai suoi genitori, anche lui è in cura qui da parecchi mesi <<Tori, posso andare a giocare con lui? Per favore?>> ci penso qualche secondo. La mamma di Rashid mi fa un cenno per rassicurarmi che lo guarderà lui e che rimarranno vicino a noi.

<<Vai>> gli concedo sorridendo.

<<Allora, anche io sono curioso>> riprende il ragazzo in bianco affianco a me addentando il suo pranzo.

<<Di cosa esattamente?>> so molto bene a cosa si riferisce, il sesso dei bambini. Tasto dolente.

<<Quando vorrai scoprire il sesso dei bambini? Hanno bisogno di essere chiamati per nome, lo sai?>> insiste che sia importante parlargli e riferirsi a loro con il loro nome.

<<Credo che se li chiamo patatini o cipollini a loro vada bene lo stesso>> ridacchio ironizzando e dando due pacche leggere al mio pancione.

<<Victoria>> mi chiama perché lo guardi negli occhi, verdi e luminosi <<I figli sono tuoi. Lascia perdere quel coglione. Lui non c'è, non conta nulla>> e qui che si sbaglia. Conta eccome, almeno per me.

<<Non c'è solamente perché a escluderlo sono stata io. I figli sono miei quanto suoi>> ribatto risoluta. Ecco che torna il nodo alla gola. Il senso di colpa mi sta lentamente logorando, la consapevolezza di star rubando questi momenti a lui. Si meriterebbe di peggio dopo quello che ha fatto, ma è più forte di me. Ciò che desidero più di ogni altra cosa è scoprire il sesso del bambino al suo fianco. Vorrei gioire con lui, fantasticare sui nomi insieme, commuovermi con lui accanto per poi abbracciarlo e non lasciare più le sue labbra... Perché desidero ancora tutto questo? Perché lo amo ancora?!

<<Ci sono io al tuo fianco. Andiamo insieme>> mi prende le mani tra le sue. Io distolgo lo sguardo.

<<Tommy io->> mi interrompe.

<<Volevo aspettare a chiedertelo, ma ora penso sia il momento più adatto>> la voce è titubante ma decisa allo stesso tempo. <<Posso riconoscerli io>> cosa? Riconoscere i gemelli come suoi? <<Io ti prometto>> si mette una mano sul cuore stringendo la mia con l'altra <<Che non ti farò mancare mai nulla. Ti tratterò come una regina, loro come se fossero figli miei, non farò mai distinzioni, te lo giuro su cosa ho di più caro. Lavorerò sodo per darti la casa dei tuoi sogni, per pagargli il college, le vacanze migliori...>> fa un respiro profondo <<Ti voglio dare tutto. Ti amo come non ho mai amato nessuna>> il mio cuore perde un battito.

<<Tommy i-io non>> che cosa dovrei dire?

<<Non devi rispondermi ora. Lo so che provi qualcosa per me, lo vedo nei tuoi occhi, nei tuoi sorrisi. Prenditi del tempo>> si alza dalla panchina e prima di andarsene mi lascia un bacio sulla tempia. Rimango senza parole. So molto bene che lui si prenderebbe cura dei miei piccoli insieme a me, ma potrei mai fare una cosa del genere a Andrew? Non sarebbe corretto, per lui e per loro. Ma come sarebbe più semplice tutto quanto?
Se dovessi rincontrare Andrew, Lenore, il loro bambino. Sarebbe autodistruttivo. Con Thomas invece, potrei creare la famiglia che ho sempre sognato, lontano dalle sofferenze del passato. Una vita normale, lontano da quel mondo che tanto mi ha ferita, messa da parte e fatta sentire una nullità. Sarebbe un segreto per il loro bene. O per il mio?

Passo il resto della giornata a rimuginare sulla sua confessione. Se vado avanti così mi scoppierà la testa. Per fortuna che la giornata sta giungendo al termine, ho un dannato bisogno di riposo. Arrivata a casa mi rilasso con una bella doccia, rigorosamente fredda, perché la casa non dispone di acqua calda. Thomas come ogni mercoledì rimarrà in ospedale fino a tardi. Mi ha accompagnata in auto fino a casa ed è tornato in ospedale. Un viaggio breve e soprattuto silenzioso, come sempre ha cercato di alleggerire la tensione ma non c'è stato verso, sono tesa come la cordicella di un violino. Lego un asciugamano sopra al seno e infilo un pigiama improvvisato con dei pantaloni leggeri in lino che sono costretta a tenere a vita bassa, lego un top bianco al collo, libera da quel reggiseno infernale diventato ormai troppo piccolo. Tutta la pancia rimane fuori, ma meglio così, ho troppo caldo e non disponiamo nemmeno di un ventilatore.
Metto a riscaldare delle verdure con del chapati, un pane sottile tradizionale, accompagnato con del pollo al curry, la mia nuova ossessione. Accendo la piccola tv sgangherata risalente probabilmente a vent'anni anni fa e cerco un film da vedere. Quanto mi manca Netflix, o meglio, una rete stabile a casa. In paese non arriva Internet e i pochi giga che ho non prendono praticamente mai. Sono riuscita per miracolo a chiamare Christina qualche giorno fa, nonostante non si sentisse benissimo. Mi sento scollegata dal mondo intero, perché in parte lo sono, ma questo è un lato positivo per il percorso interiore che sto cercando di fare. In ospedale prende ben tre tacche, ma sono troppo occupata a lavorare per usare il cellulare.
È da un'ora che sono incollata a questa tv e ancora non ho capito di cosa parla questo dannato film, ho solo capito che i due protagonisti si odiano. La mia mente è spenta, o meglio, non riesce a pensare ad altro se non la proposta di Tommy. Rimango tutta la notte a rimuginarci sopra, tanto che il giorno dopo arrivo in ospedale come una mummia. Negli spogliatoi cerco di sistemare la faccenda con del correttore mezzo secco rimasto in borsa. Aggiungo un po' di mascara e lo ripongo nella sacca che lascio nell'armadietto. Inizio il mio solito giro tra i letti dei piccolini. Oggi mi devo occupare degli esami del piccolo Juma, affetto da malaria. È stato portato d'urgenza qualche giorno fa dai genitori, anche loro sono stati ricoverati per prevenire il peggioramento della malattia nel caso ne fossero stati infetti.
Adesso sta ancora dormendo, preparo i medicinali da somministrargli e lo sveglio dolcemente.

<<Ehi piccolo>> gli lascio una carezza sulla fronte e apre gli occhi.

<<Voglio dormire, sono stanco>> ci credo, non oso immaginare cos'abbia passato in questi ultimi giorni.

<<Potrai riposare non appena avrai mangiato colazione e avrai preso i tuoi medicinali>> gli dico aiutandolo ad alzarsi. Lui fa come gli ho detto e sgranocchia il suo pane con marmellata. Gli verso dell'acqua e lo aiuto a bere.

<<Dottoressa Young, mi lasci fare a me>> è Fatima, l'infermiera del reparto. Nonostante vorrei rimanere qui con lui lascio fare il proprio lavoro a lei. So che i dottori servono per cose più utili che far mangiare un paziente. Saluto Juma ed esco dalla sua stanza.

<<Grazie Fati>> dico prima di chiudere la porta.

Eccolo che ritorna, il mal di testa. Una fitta forte mi annebbia per qualche secondo. Ho bisogno di una pausa. Vado a cercare Tommy nel suo reparto così da prendere un caffè insieme a lui, non essendo tornato stanotte sarà rimasto a dormire qui. Svolto l'angolo non lasciando l'appoggio alla parete. Alzo lo sguardo e mi pietrifico alla visione che ho davanti. I suoi occhi sgranati poggiati su di me. Lui. Andrew è qui.
Mi volto d'istinto non reggendo il suo sguardo. Poi, il buio.

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Ciao ragazzi! Dopo tanto ritardo sono tornata. Vi ringrazio della vostra pazienza, come sempre vi chiedo di scrivere cosa ne pensate, mi fa sempre un sacco piacere leggervi. Un bacio e a prestooo

LeleMiuss

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