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Capitolo 1


L'ansia continua a prendere il sopravvento su di me. Sono così agitata al pensiero di dover affrontare il mio primo vero colloquio lavorativo.
<<Ciao Tori a domani! E buona fortuna per il colloquio>> mi saluta la mia compagna di corso, Melinda.

<<Ciao Meli, grazie mille, speriamo bene, ho davvero bisogno di questo lavoro>> la saluto guardando allontanarsi verso l'uscita della classe la sua folta chioma rossa.

Prendo i miei libri e li ripongo velocemente dentro lo zaino insieme all'astuccio, estraendo una mela che addento voracemente. A pensarci oggi non ho fatto nemmeno colazione, ecco tutto quel brontolio della mia pancia, ma cosa ci posso fare... vita da universitaria. Prima di dirigermi al colloquio per il lavoro passo in biblioteca a consegnare un libro in prestito. È ora di affrontare il mio primo vero e importante colloquio di lavoro, come babysitter, in una vera grande azienda, tale Foster Enterprises, pare che i genitori della bambina, che hanno da quello che ho capito un ruolo direttivo nell'azienda, abbiano bisogno di una persona che si occupi di loro figlia, e quale persona se non me per ricoprire questo ruolo?! Ovviamente scherzo, la verità è che ho bisogno davvero di un lavoro per coprire il costo dell'affitto e delle spese universitarie, lavorare come cameriera in una tavola calda non basta più. Ho bisogno di un lavoro che mi permetta anche di studiare per prendere questa dannata laurea, ho faticato così tanto in questi anni, e non voglio fallire ora, devo fare di tutto per avere questo posto. Poi, certamente, oltre alla responsabilità del lavoro io amo davvero i bambini, e sono entusiasta all'idea di poter lavorare a tempo pieno con uno di loro. Non per nulla sto studiando per diventare neuropsichiatra infantile.

In poco tempo, tutto l'entusiasmo e l'allegria di prima vengono spazzate via da un'ondata di ansia e preoccupazione alla vista dell'imponenza di questo enorme edificio, alto come minimo trecento metri. Guardo le persone entrare e uscire affannate dalle porte in vetro, chi intento a telefonare, chi a tenere ben stretta la pila di fogli che ha in mano e altri che portano sacchetti di cibo e caffè per la loro pausa. Ok, ce la puoi fare Tori, hai affrontato cose ben peggiori. Giusto. Fisso il mio riflesso sulle vetrate delle porte e noto che potevo fare molto meglio questa mattina mentre sceglievo i vestiti da indossare. Una maglia lunga verde militare con sotto dei collant neri abbinati a un paio di Doctor Martins con suola alta non sono il massimo dell'eleganza. Sorvoliamo che è meglio. Mi sistemo il cappotto ed entro dentro piombandomi alla reception in attesa che una delle ragazze si liberi.

<<Mi dica>> si rivolge una ragazza bionda regalandomi un cordiale sorriso.

<<Salve, sono qui per il colloquio da babysitter con->> vengo interrotta da lei.

<<Il signor Foster>> mi completa lei.

<<Si proprio lui>> aggiungo io.

<<Purtroppo il signore ha avuto un contrattempo e non potrà esserci oggi, la seguirà la sua assistente personale, Veronica Sanchèz>> non so perché ma questo mi tranquillizza un po' di più.

<<Perfetto, allora dove devo andare?>> domando smarrita io.

<<Cinquantottesimo piano, gli ascensori sono infondo a destra>> detto questo la ringrazio e faccio quello che mi dice.

Nell'ascensore sistemo la coda disordinata che raccoglie la mia folta chioma ondulata e metto un po' di burrocacao per nascondere quanto più possibile le mie labbra screpolate, pulisco gli occhiali ed esco dall'ascensore.
Mi fanno attendere in una sala molto elegante, con vista sulla città più bella del mondo: Chicago. Dire che sono innamorata di questa città è poco, credo che niente la superi, la sua architettura, le sue luci, la quiete degli immensi parchi, le persone e l'aria tra i capelli che ti sfiora a North Avenue Beach, non c'è niente di più inebriante e rilassante, tranne il profumo della ragazza che si è avvicinata a me, mi sta asfissiando, credo proprio che abbia fatto cadere qualche goccia di troppo di Chanel questa mattina.

<<Salve, sono Veronica Sanchez, ma tu mi puoi chiamare signorina Sanchèz>> d'accordo... Era una ragazza, o meglio, una donna, bellissima. Aveva chiari tratti latini, con una carnagione olivastra e capelli corvino, raccolti in uno chignon ordinatissimo, perfetto. In effetti la perfezione si trovava in qualsiasi cosa all'interno di questo posto.

<<Piacere, signorina Sanchèz, io sono>> e vengo nuovamente interrotta.

<<Victoria Young, lo so>> mi guarda dall'alto verso il basso. Non mi piace questa qui, ha troppo la puzza sotto il naso, ma chi si crede di essere? Forse una ragazza con un ottimo lavoro in una delle aziende più di successo dell'intera America, dall'aspetto perfetto e portamento impeccabile? Questo non la giustifica.

<<Venga mi segua>> si incammina lei con una postura da far invidia, dev'essere un'impresa camminare su quei trampoli dentro a quel tubino stretto nero che indossa.

<<Certo signorina Sanchèz>> devo dire la verità, la sto prendendo in giro.

Entriamo in un ufficio dove la prima cosa che noto è una telecamera puntata su una sedia in pelle beige. A cosa dovrebbe servire?!

<<Si sieda pure signorina Young>> dice indicando la sedia di prima, e così faccio.

<<A cosa dovrebbe servire la telecamera?>> domando curiosa alla ragazza intenta ad azionarla.

<<La registreremo, il capo vuole vedere il colloquio di persona e perciò la filmeremo per tutta la durata del colloquio>> ok, questo mi mette ancora più ansia. Mi porge una liberatoria che firmo.

<<Possiamo iniziare?>> mi domanda.

<<Si certamente>> rispondo io.

<<Dunque>> prende dei fogli e inizia a sfogliarli <<il suo nome è Victoria Elizabeth Young, è nata in Texas e ha 23 anni e frequenta l'ultimo anno alla University of Chicago, giusto?>>

<<Esatto, sono nata più precisamente a San Antonio, texana nel cuore>> sorrido un momento pensando alla mia città <<ho ricevuto una borsa di studio per la U of C e con tutto l'appoggio dei miei genitori mi sono trasferita in questa meravigliosa città>> accenna un falso sorriso e continua. Che antipatica.

<<Sa una seconda lingua oltre all'inglese?>> domanda lei.

<<Si, parlo correttamente lo spagnolo e il francese>> annuisce indifferente.

<<Cosa vuole fare dopo l'università?>> continua lei.

<<Dopo la laurea in medicina inizierò la specializzazione in neuropsichiatria infantile>> rispondo sicura e orgogliosa di me.

<<Ammirevole... ora passiamo alla domanda fondamentale: perché vuole questo lavoro?>> la fatidica domanda.

<<Sarò sincera, ho bisogno di denaro per pagare le spese che riguardano l'università e l'affitto, ma dico anche che non farei mai un lavoro dove non potrei dare qualcosa di me ad un'altra persona, se ho scelto questo di fare la babysitter è perché sono certa di potercela fare, so che ho le facoltà e la responsabilità giusta per dare amore e cura ad un bambino. Li amo, lavorerò con loro un giorno, ed iniziare da questa esperienza sono sicura mi darà insegnamenti apprendibili solo sul campo>> mi meraviglio delle mie parole.

<<Lei sarebbe disposta, in caso di assunzione, a fermarsi la notte a casa del signore? Ad accompagnarlo in viaggi lavorativi o in vacanza? Ed esserci in caso di necessità da parte della bambina?>>

<<Si certamente>> annuisco io.

<<D'accordo abbiamo terminato>> conclude lei spegnendo la camera.

<<Bene>> sintetizzo io.

<<Il suo colloquio posso dire che è stato uno dei migliori, ma la scelta finale spetta al signor Foster, come può ben immaginare lei non è l'unica ad aver fatto richiesta di lavoro>> mi rivela lei accompagnandomi all'ascensore.

<<Allora speriamo in bene>> dico io incrociando le dita.

<<La chiameremo noi qualora lei avesse ricevuto il lavoro>> wow, lo spero proprio. La saluto ed esco dal grande edificio, imboccando la strada di casa.

*  *  *

Tre settimane. Sono passate tre cavolo di settimane da quel colloquio di lavoro. 21 giorni. Non una telefonata, non una email, assolutamente nulla, e io che ci speravo così tanto, ero sicura, per non so quale motivo, che mi avrebbero presa; che illusa. Ed ora sono qua spaparanzata come un tricheco su questo divano a trovare un nuovo lavoro. Clicco su un'altro sito quando sento il telefono suonare, speranzosa lo afferro e mi affretto a vedere chi è. "Mamà" leggo nel display, tirando un sospiro di delusione rispondo alla chiamata.

<<Ciao mamma>> la saluto mascherando il velo di tristezza che mi opprime. Ma ovviamente fallisco miseramente.

<<Mi amor, que pasa? Perché questo tono triste? È successo qualcosa?>> domanda preoccupata mia madre.

<<No mamma, niente di che; fra due settimane c'è l'esame di riabilitazione cardiorespiratoria, perciò sono un po' agitata>> mento. Certo, l'esame lo terrò, ma non sono preoccupata per quello. Non voglio mettere peso ai cuori dei miei genitori, loro sanno che non possono darmi una maggiore somma di denaro per contribuire alle spese dell'università ed è per entrambi un grande peso, inoltre sono così orgogliosi di quello che ho raggiunto, non voglio deluderli, voglio farmi carico delle mie responsabilità e andare avanti indipendentemente dalle altre persone.

<<Tori, andrà bene come tutti i precendenti esami, non c'è di cui preoccuparsi>> mi rassicura lei amorevolmente. Quanto ti voglio bene mamma.

<<Grazie mamma>>

<<Ma sicura che non c'è qualcos'altro?>> è possibile che alle mamme non si possa mai nascondere nulla?!

<<Si mamma, mi passi papà?>> cambiamo discorso che è meglio.

<<Mh d'accordo>> dice infine titubante mia madre.

Li saluto entrambi e mi alzo per mangiare qualcosa. Che strazio, non c'è nulla in frigo. E nemmeno in dispensa, mi ci mancava la spesa. Peccato io abbia duecento dollari fino alla fine del mese. Sono le dieci e mezza di sera, potrebbe essere pericoloso uscire a quest'ora. Pace. Prendo una banana e la sbuccio, per fortuna non è marcia. Mi siedo sul tavolo e inizio a prendere gli appunti della lezione di oggi. E lettera dopo lettera vengo trasportata nel mondo dei sogni.

La mattina successiva mi sveglio di soprassalto sul tavolo della cucina. Ieri mi sono perfino dimenticata di mettermi nel letto. Lasciamo perdere. Mi lavo e mi vesto velocemente con i primi jeans che trovo abbinati ad un maglioncino verde oliva. Metto gli stivali, tiro su i capelli in una crocchia arruffata, prendo la borsa ed esco fuori di casa indirizzandomi alla fermata della metro. Appena arrivo al campus prelevo un caffè dal bar e raggiungo la classe per l'ora di biomedicina molecolare. Appena finiscono le lezioni vado in biblioteca per completare una relazione. Immersa dal lavoro vengo interrotta dal suono del mio cellulare, tutti gli studenti presenti nella stanza si voltano verso di me infastiditi dalla mia suoneria che affretto a spegnere, chiedo scusa ai presenti e ritorno a scrivere. Ma rieccoci, l'ennesima figuraccia del giorno, non bastava aver già interrotto precedentemente la quiete della biblioteca e aver pestato il piede ad un vecchietto con le stampelle in metro stamattina, no, mi ci voleva il colpo di grazia! Rispondo al telefono il più velocemente possibile.

<<Pronto >> sussurro evitando le occhiatacce delle persone intorno a me.

<<Salve, è lei la signorina Victoria Young?>> mi domanda una voce a me familiare.

<<Si sono io>> rispondo piano.

<<La chiamo per conto del Signor Foster, sono la sua segretaria, ci siamo conosciute al colloquio>> oh Mio Dio. Lo sapevo che mi avrebbero presa! Ma se eri depressa e senza speranze ieri sera?! Mi ricorda la mia vocina nella testa, ma ora ha poca importanza.

<<Si ricordo, lei è la signorina Veronica Sanchèz>> come dimenticare il suo charme. Ovviamente sono ironica.

<<Esatto. La chiamo per informarla della sua assunzione per il ruolo di tata per la signorina Emma Foster, figlia del signore>> e in questo momento che sbatto il gomito sul tavolo dopo averlo mosso in segno di vincita verso il petto. Che male!

<<Ma è fantastico, sono così contenta, e quando si inizia?>> domando curiosa.

<<Il signore esige la sua presenza domani mattina alle otto in punto a casa sua>> esigente questo signor Foster.

<<D'accordo e dove si trova casa del signore?>> chiedo interdetta.

<<111 W Wacker Dr, ultimo piano, il capo vuole un abbigliamento rigoroso, si ricordi di portare i suoi documenti e sia puntuale>> non so perché ma sto qua non mi va molto a genio, sarà il fatto che vive nell'attico di uno dei condomini più lussuosi e rinomati della città, nel quartiere più esclusivo dell'intera metropoli. Questo significa che sarà una famiglia schifosamente ricca con la puzza sotto il naso.

<<C-capito. Domani sarò puntualissima e con tutto ciò che è necessario, impeccabile>> concludo io.

<<Le auguro buona fortuna e buona giornata signorina Young>> finisce lei chiudendo la chiamata, ma non mi ha nemmeno lasciato controbattere. Valle a capire le persone...

* * *

Sono le 6:03 e sono imbambolata davanti a questo cavolo d'armadio da più di venti minuti indecisa sull'abbigliamento "rigoroso" che il mio nuovo capo voglia che io indossi. Facciamo il punto della situazione, sono la tata di una bambina, ho 23 anni e non 87 e non sono ricca da potermi permettermi un tubino di Dior, perciò indosserò una maglietta nera con dolcevita, una gonna beige che mi arriva poco sopra il ginocchio e un paio di stivali sopra i collant scuri. Classico. Mi finisco di preparare facendo un resoconto di tutte le cose che dovevo fare... ah, i documenti, che idiota, li prendo e mi avvio verso il mio nuovo lavoro. Lungo il tragitto mi guardo sul vetrino del cellulare ventimila volte, e noto ogni volta un nuovo difetto. Sono paranoica lo so, ma ci tengo alla prima impressione.

Appena arrivo davanti al grattacielo rimango a fissarlo per qualche minuto. È giganorme, e anche bellissimo. Grazie Victoria, sei davanti al OneEleven, uno dei palazzi residenziali più lussuosi e rinomati della città. Sono davvero curiosa di vedere gli interni, non mi resta che entrare per scoprirlo. Le porte mi vengono aperte da due portieri, varco la soglia e mi dirigo verso la reception della hall. Accidenti, se soltanto la hall è così, non oso immaginare gli appartamenti, non ho mai visto tanto lusso in vita mia.
Dopo essermi presentata al receptionist, ed aver fatto tutti i controlli necessari, un anziano gentile signore mi accompagna all'ascensore riservato al residente dell'attico, rimango di stucco appena ci entro, una cosa così l'avevo vista solo nei film! Saluto il signore, che ho scoperto chiamarsi Barclay, e le porte si chiudono davanti ai miei occhi. Ora l'agitazione sì che sale. Appena le porte si riaprono la visione davanti a me rivela un enorme salone con la vista skyline della città, che meraviglia, non avevo mai visto Chicago a questa altezza. Faccio qualche passo in avanti e l'ascensore si chiude dietro di me, non si torna più indietro ora. Mi giro intorno ma non vedo nessuno, controllo l'ora e segna le 8:01, sono in orario. Ne approfitto per curiosare attorno, nel grande salotto si trovano due grandi divani in pelle bianca girati verso una parete in mattoni chiari con un grande televisore sopra ad un camino orizzontale in pellet spento. Dalla parte opposta si trova un pianoforte a coda nero lucido, vicino ad un muro che divide il salone dalla sala da pranzo. Faccio qualche passo in avanti per sbirciare la lunga scalinata che porta al piano di sopra, e noto una figura muoversi nella cucina. Deve essere la signora Foster, mi avvicino di poco all'entrata ma sento una possente voce che richiama la mia attenzione immobilizzandomi all'istante.

<<Non le hanno insegnato a farsi gli affari suoi signorina Young?>> mi volto e vengo travolta dalla serietà e dalla freddezza dell'uomo più bello che io abbia mai vist.

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