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Mostrami come trovare il Sole

« Throw down those weapons
And I ensure you'll be spared
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[Odysseus - EPIC: The Musical]



La fine inizia con il sibilo di una freccia.

Il rigurgito strozzato di un ultimo respiro. Un corpo che precipita inerme tra i piatti pregiati.

Il peso delle membra morte ribalta scodelle di cibo. I calici si rovesciano e il vino impregna il legno dei tavoli, colando giù, esile, sul pavimento di pietra in stilli man mano più deboli.

La fine inizia con un arco che scocca; dodici asce che nemmeno tremano, violate da una punta di metallo; cento otto voci azzittite all'unisono e la notte che improvvisamente inizia a puzzare di sangue.

La sento, la fine, che mi raggiunge e mi si spande lenta in corpo dal centro del petto, come una ferita aperta.

Quella freccia potrebbe aver colpito me. Forse l'ha fatto, e sto per morire.

C'è solo una colonna di marmo, a separarmi dalla sala del trono proprio lì sotto. La balconata corre in alto lungo il perimetro, ma le tenebre in cui è immersa contrastano con il bagliore ambrato delle torce, allineate alle pareti sottostanti, celandomi come un ladro agli occhi dei principi.

Hanno trascorso la notte beandosi di atrocità, mentre io venivo reclamato dai sussurri oltre il mare. Vedo ancora vivido, davanti a me, il volto duro di Menelao, al fianco di quello freddo e pallido di Elena. La luce del sole di Sparta, tesosi in dita rosate dalle grandi finestre, le incendiava i capelli come saette.
Somigli a tuo padre. La voce della regina era il tramestio delle foglie smosse, ma quelle parole erano un colpo di freccia. Proprio sul cuore.

Forse sono già morto, prima ancora che il palazzo si riempisse di urla.

– Preparati, sta montando una tempesta, sulla via di Itaca.

Ero affacciato al parapetto, lo sguardo in bilico sulla linea dell'orizzonte, quando Pisistrato mi aveva raggiunto e posato una mano gentile sulla spalla.

Avevo alzato la testa verso prua e l'isola mi era comparsa agli occhi inghiottita di nero. Una nube d'inchiostro impenetrabile si contorceva sulle sponde di casa come una bestia viva. Sembrava un fenomeno divino. Un cattivo presagio.

– Non mi piace – gli avevo risposto – Facciamo il giro largo, sperando non ci insegua.

Non l'aveva fatto, ma era rimasta a scrutarci da lontano, come una creatura abbarbicata sulla scogliera, a grattare la pietra con onde impetuose e stracciando l'aria con lamenti spaventosamente umani.

Passandoci accanto, era impossibile distinguerne il nucleo, ma nei vortici di pioggia mi era quasi sembrato di scorgere due sagome vaghe dimenarsi nella lotta. Una, quella di un uomo; l'altra, grottesca, contorta, sbagliata.

– Non c'è niente, lì – mi aveva rassicurato Pisistrato, quando gliel'avevo fatto notare – Sei solo stanco.

Mi ero fatto passare una mano lungo il volto, spostando indietro i capelli spazzati dal vento.

– Lunga giornata, scusa, inizio a vedere cose che non ci sono.

L'amico mi aveva tirato una gomitata leggera, mentre la nave virava verso la spiaggia laterale e il ruggito della tempesta spariva oltre il reticolo di scogli.

– Rallegrati, Mico, magari qualcuno ti ha cucinato una torta di bentornato.

Gli avevo rivolto un'occhiata sarcastica.

– Non usavi quel soprannome da una vita – avevo riso – Però avrei voglia di una torta.

Cucciolo, forze oscure infestano la notte imminente.

Una civetta aveva spiccato il volo sopra la nave, nata dall'unione di un ricciolo di nuvola e un raggio di luce. La sua ombra, per un momento, aveva coperto il sole.

Aspetta il tramonto, prima di attraccare, fidati di me. Afferra la lancia. Non mollare la presa.

Un brivido. Un presagio. Un segno.

Dietro di noi, la tempesta aveva iniziato a disperdersi.
Atena, che significa?

Lotta, piccolo lupo, e non abbassare la guardia. Sarò al tuo fianco, mentre la storia si riscrive.

Avevo provato ad afferrare la sua voce, a trattenerla nella testa giusto un momento, il tanto che bastava per sentire la carezza calda delle sue piume lungo la guancia. Ma l'istante dopo la clessidra si era rigirata bruscamente, il tempo aveva ripreso a scorrere, e tutto quello che stringevo era un pugno di promesse e il silenzio di un sole nudo.

Atena, richiamo ora, nella mia testa, mentre una sagoma incappucciata avanza nella quiete maledetta della sala del trono, cosa sta succedendo?

Volevi i mostri, cucciolo, il tocco famigliare della sua mano ad assicurare la mia presa, sull'impugnatura della lancia, e stanotte li vedrai risorgere.

Stringo gli occhi.

Le torce gettano ombre sinistre attorno alla figura dello sconosciuto. Si amplificano sui muri, ingigantendosi ad ogni passo che la creatura compie nell'immobilità attonita dei presenti. Il palazzo intero è invaso di lui.

Il corpo di Antinoo, a terra, è un groviglio di arti deformi. Lo sconosciuto gli passa accanto, calciando il calice di vino che il principe stringeva in pugno un istante prima che la freccia gli trafiggesse la gola. Ha il cappuccio calato, ma il mantello lentamente si scosta, per mostrare il luccichio delle frecce nella faretra.

L'arco nelle sue mani, teso, è grande e terribile come l'arma di un dio.

– Vent'anni – la sua voce raschia le pareti dell'inferno. C'è un miscuglio instabile di ira e piacere, nel modo in cui quelle parole riecheggiano, come il principio delirante di una risata – Per vent'anni ho subito pene e dolori. Ho la rabbia degli dei impressa sulla pelle; porto sulle spalle, come un fardello, le grida dei morti. Vent'anni per tornare a casa – prende un lungo respiro, mentre i principi ascoltano muti, in una schiera di maschere bianche – E tutto ciò che trovo è un branco di animali, che depredano il mio regno come il mio esercito saccheggiò le ceneri di Ilio. Trovo bestie – alza la voce, mentre mi si spezza il fiato – bestie denudate di onore, che osano toccare mia moglie, ferire il sangue del mio sangue, il mio vino a bagnare loro le gole.

La sua risata è un tuono, un uragano, una grotta che crolla su se stessa, il mondo che si infrange.

– Ho tollerato fin troppo.

Atena...

Cucciolo mio.

La sua mano, da che era stretta e sicura sulla mia, scivola verso il mio viso, sovrapponendosi alle scie bollenti delle lacrime che ora, inevitabili, si rincorrono sulle guance.

Atena, è...

Mi si fa vicina. Non è reale, ma posso sentire il tramestio del suo respiro, l'odore metallico della sua armatura. Sento il tepore con cui la dea costruisce l'illusione di un abbraccio, mentre quella clessidra si rovescia e raddrizza e rovescia ancora infinite volte, soppiantando il battito tra le mie costole.

Cucciolo mio, respira. La notte è ancora giovane.

Urla scontente bruiscono tra gli uomini seduti. Iniziano ad alzarsi, a protestare, a cercare vendetta. Ma è il tempo di un respiro, di un battito di ciglia bagnate di lacrime, di una goccia di vino che ticchetta sulla pietra, e la figura al centro della sala è già svanita nel buio, accolta nel ventre di un palazzo troppo a lungo privato del proprio re.

– Prendiamolo.

– Ha ucciso Antinoo.

– Ha teso l'arco.

– È davvero lui?

Sento come in un incubo la voce di Melanzio sollevarsi sopra le altre:

– Idioti, prendete le armi – ringhia, alzandosi in piedi – Trovatelo. È solo un uomo.


La fine si stende sulla notte di Itaca come una ragnatela di crepe. Frantuma il buio con le urla. Si dirama. Una per volta, divora le luci.

Il palazzo intero sembra diverso, mentre corro lungo i corridoi macchiati di sangue. Il palazzo è vivo. Le colonne strisciano come teste di serpente. Le finestre sono drappelli di occhi ciechi.

E c'è un nome.

Un nome che si spande e avvelena la tenebra.

Entra nelle ossa. Uccide. Sulla sua scia, c'è il sangue di chi aveva osato dimenticarlo.

Le grida si propagano lungo le ali del palazzo, inseguite e spezzate sul nascere dal sibilo di frecce impietose.

Schivo per un soffio un cadavere disteso, in mezzo al corridoio esterno. Ha un foro in petto, gli occhi sgranati e vuoti.

– Atena, come è possibile che sia lui? – per poco non inciampo, continuando a correre, la lancia tenuta stretta al fianco. La civetta vola in linea parallela ai miei passi, separata da me dal susseguirsi fitto delle colonne di pietra che divide il portico dal cortile.

Lo saprai. Adesso, nascondi quelle armi, prima che si riorganizzino per andare a recuperarle.

– Sono passati vent'anni. Sono cambiate tante cose, io non sapevo cosa aspettarmi, certo, ma... – prendo un respiro strozzato – Ecco, lui non è...

Lui non è più tante cose, cucciolo, mi interrompe la dea. L'unico occhio argentato della civetta mi studia dalle aperture tra le colonne, confuso con il frullio delle stelle dietro di lei, ma è ancora tuo padre.


C'è un nome, che annienta le speranze di chi cerca salvezza.

Si diffonde a fior di labbra, tra chi sopravvive, catturato dalle pareti fino a renderlo parte della notte.

Non vedo colui che gli uomini invocano. Evita. Svanisce. Colpisce. In qualche modo, è ovunque. È ombra, fantasma, mito.

Datemi sirene, ciclopi, giganti, idra...

Datemi i mostri.

Strizzo gli occhi, trattenendo le lacrime. Il sangue appiccica, sotto le suole.

Non era questo che volevo.

Boccheggio, lanciando bruscamente una cumulo di armi in un angolo dell'armeria, che atterrano una sull'altra in un clangore terrificante. Ma non ho tempo di badare alla furtività, mentre il palazzo pullula di uomini pronti a farmi a pezzi. Mi catapulto fuori dalla stanza e le mani tremano, ghiacciate, quando chiudo a chiave la porta.

Stanno arrivando, cucciolo. Non farti vedere qui.

Vedo i bagliori ondeggianti delle torce avanzare dal lato opposto del corridoio. Il mio cuore salta un palpito e, rapido, mi dileguo dal lato opposto. Ficco goffamente la chiave alla cintura, estraendo la lancia.

– Dovrei combatterli, Atena – sussurro – Posso farcela.

Lo so, Telemaco. Ma non è ancora il momento.

Svolto a sinistra, su per le scale. Altri due corpi sono riversi uno sopra l'altro. Un taglio alla gola, una freccia sulla schiena. L'odore acre della morte mi aggredisce i sensi e io trattengo un conato.

– Dov'è? – chiedo alla dea, mentre rafforzo il pugno sulla lancia – Dov'è mio padre?

È a casa.

– Sì, ma...

– Antico re, perdonaci!

Odo una voce implorante risuonare nella grande sala occidentale, su cui si affaccia la balconata che sto percorrendo. Mi sporgo dall'oscurità giusto quanto basta per vedere la sagoma disarmata di Eurimaco, a braccia spalancate, al centro del grande tappeto dai decori dorati. È circondato da cadaveri. La luce di una torcia solitaria si riflette sulle tracce lucide del pianto, lungo i suoi zigomi.

– Hai ucciso il nostro leader, perdona chi rimane! Mostra clemenza a chi ti promette fedeltà dopo tanta attesa, te ne prego! – ha una bandana stretta attorno alla fronte. Gli estremi annodati gli colano sulla nuca come rivoli di sangue, mentre gira piano su se stesso, gli occhi febbricitanti a setacciare il nulla, in cerca di spettri – Saggio re di Itaca, invece di uccidere, apri le tue braccia e...

Dalla macchia di buio alla mia destra, un arco impossibile da tendere scocca. Un sibilo. In un fremito, trafigge la tenebra.

Gli occhi dell'uomo si rovesciano, una freccia conficcata in fronte. La bandana si spezza.

– No.

Quella voce...

– Aspetta! – ma, quando mi spingo verso le ombre, la mano tesa, le mie dita affondano nel vuoto.

Un'altra freccia viene scoccata. La torcia si spegne.


Dov'è? Dov'è? Dov'è l'uomo che si proclama salvatore di Itaca?

Dov'è l'uomo che sa tendere quest'arco?

Dove...?

Papà.

Spesso lo chiedo al Sole, com'era il tuo sguardo.
Lo chiedo alle civette. Lo chiedo alle nuvole. A chiunque fosse abbastanza antico da ricordare come sorridevi.

Ho passato anni a lanciare invano domande, come frecce, verso un cielo che potesse coglierle e portarle fino a te. Le ho scagliate sperando che un vento ridente potesse giocarci e guidarle dove le avresti udite.

Sognavo te. Sognavo la tua voce. Chiedevo al Sole se somigliasse alla mia.

Lo sai, papà?

Che per anni ho voluto essere come te. Un eroe. Sconfiggevi i mostri e indossavi le tue leggende come una corona.

Sconfiggevi i mostri. E quando i mostri sono arrivati davvero – assetati di vino, voraci di carne, di tutto ciò che ti è stato sacro – io ho guardato il Sole e gli ho chiesto dove fosse chi li avrebbe sconfitti.

Dov'è? Dov'è?

Ma ora gli uomini lo chiedono a bassa voce, con il cuore che pompa impazzito nel petto, atterriti dal se concederai loro il privilegio di un altro respiro.

Dov'è? Dov'è il mostro?

Qual è la differenza tra uomo e mostro? Quando, uno diventa l'altro?

L'hai capito, re di Itaca?

Papà.

Papà...?


– La chiave.

La realizzazione mi colpisce come un fulmine. Il panico mi investe, le mie mani a palpare inutilmente i fianchi alla ricerca della chiave dell'armeria, che ero certo di aver infilato alla cinghia durante la fuga lungo il corridoio.

Ero certo.

Ero certo...?

Soffoco un'imprecazione.

– Atena, io ti assicuro che...

Lo so, cucciolo.

– E adesso loro... – penso alle spade, agli scudi, agli archi, stretti nelle mani sbagliate. Penso al sangue lungo le cosce delle ancelle, gettate via come oggetti, e alle loro voci inascoltate. Penso a mia madre. Ad Euriclea. Penso all'orrore nei loro occhi lucidi, mentre le mani degli uomini si chiudono sui loro polsi.

Penso a me, che non saprei proteggerle.

Per un attimo, il tempo si ferma.

Atena, cosa faccio?

Sono con te, Telemaco. Distruggili, la notte è tutta tua.

L'ultima volta che l'hai detto sono finito a terra con il naso spaccato.

L'ultima volta non lottavi per uccidere.

Una clessidra si rovescia e il tempo, arrancando come un ragazzo che corre tra mura insudiciate e visioni di morte, riprende a scorrere.

Corro.

Corro, e mi sembra che i dettagli del mondo si moltiplichino, i sensi acuiti. Il buio mi si spalanca attorno mentre sento gli occhi brillare d'argento. È questo che si prova ad avere le ali?

– È più astuto di quello che pensavo.

Origlio i loro confronti, mentre mi accosto alla porta socchiusa dell'armeria.

– Ha nascosto le nostre armi qui dentro, mentre noi eravamo occupati a discutere di sotto – uno sbuffo, il sibilo di una spada estratta dal fodero.

– Difficile credere che il re sia stato tanto stupido da lasciare la chiave nella toppa, non credi? – quella voce è ruvida come una pietra strofinata su un'altra pietra. Melanzio.

– E quindi? – Anfinomo gli risponde quasi con sufficienza – Abbiamo le armi, siamo in maggioranza. Possiamo farla pagare a quel bastardo. A lui, al figlio, a quella puttana di sua moglie.

Rabbia. Odio. Voglia disperata di giustizia dopo venti anni di silenzio.

Colpiscilo. Adesso.

La porta si spalanca.

– Dietro di te!

Ma l'avvertimento di Melanzio cade nel vuoto.

La lancia affonda fluida nella carne protetta solo da una tunica, e il sangue di Anfinomo mi schizza caldo sulle mani. Ritraggo l'arma, calciando le reni dell'uomo morente, che si accascia con un ultimo gemito.

– Mettete giù quelle armi.

La stanza è immersa nella penombra, le sagome dei proci si confondono tra loro, sullo sfondo. Sono tanti. Sono i sopravvissuti. I loro ghigni ammiccano come mezzelune.

– Arrendetevi, e prometto sarete risparmiati – sbatto a terra una delle due estremità acuminate della lancia. Le ali baluginano dietro di me e le sento aprirsi, mentre le mani di Atena mi sorreggono, salde sulle mie spalle.

– Non oseremmo – sputa Melanzio, indietreggiando dalla pozza di sangue che si sta spandendo dal cadavere di Anfinomo – Non dopo aver visto di cosa è capace il tuo re.

– Non voglio farvi del male – rispondo, asciutto.

Non voglio uccidervi.

Sono sincero. Me ne rendo conto ed è come uno schiaffo.

Dopo tutto quello che mi hanno fatto. Dopo venti anni di reclusione nella mia stessa casa, a pregare l'arrivo di un segno, di un eroe, di una forza che non ho mai trovato... Dopo un'intera infanzia strappata via e dominata dalla paura... ancora non voglio spargere sangue inutilmente.

Dopo tutto quello che mi hanno fatto, non diventerò come loro.


Telemaco, non dimenticare perché sei qui.

Atena. Dov'è il buono, nell'uccidere, quando la pietà è una virtù che gli uomini hanno dimenticato?

Cucciolo, non...

Dimmelo, Atena! Non so più cosa sto facendo. Non so più se sto sbagliando.

So che sei spaventato. Non devi avere paura.

Lo sono ogni giorno, però. Ho ucciso. Ucciderò ancora. Come si va avanti? Come fa, un uomo, a vivere, dopo aver trascinato così tanti altri con sé, giù, dove si sentono solo urla? Come fa un uomo a decidere di diventare il mostro della propria storia?

Non sei un mostro, Telemaco. Sei una brava persona, per questo puoi farlo. Sei incredibile. Sei tutto ciò che mi resta.

Mio padre ha spento la luce in se stesso, non è vero, Atena? Ha scelto di chiudere il proprio cuore e guarda cosa è successo. Cosa sta succedendo. Posso davvero essere parte di questo?

Puoi, cucciolo. Puoi vincere. E puoi uscirne forte.

E allora spiegami perché, invece della forza, ho oceani nei miei occhi? Perché mi sembra che ogni mio colpo finisca a vuoto o a ferire chi amo?

Non piangere, cucciolo, ti prego. Sono qui con te. Non ti lascio. Non farò lo stesso errore una seconda volta.

Ho combattuto...

E non sei morto. Lotta, piccolo lupo. Vivi, piccolo lupo. Ancora e ancora e ancora. Finché sorgerà l'alba. Finché non scoprirai che sei molto più grande di quello che credi.


– Non voglio farvi del male. Ma, fidatevi, posso difendermi.

Melanzio ride, facendo ora un mezzo passo avanti nonostante la pozza scura ai suoi piedi, giusto il necessario perché la luce dell'unica torcia gli scolpisca i tratti con spigoli di ombre.

– Sciocco – mi canzona – La tua presenza ha condannato il re, giovane principe. Non aspettarti lealtà, da noi.

Gli uomini alle sue spalle si spostano come uno sciame, seguendo un ordine muto. Li sento spostarsi e circondarmi per tagliarmi ogni via di uscita, riempire le pozze di vuoto tra le colonne e popolare l'oscurità. In un momento, l'armeria diventa una prigione.

– Fermi!

Ma nessuno mi ascolta, mentre i principi mi si avventano contro in simultanea, come un branco di cani.

– Compagni, il giovane erede ha deciso di farci compagnia! – Melanzio ride. La sua voce è grave, crudele, vittoriosa – Ha lasciato l'armeria aperta, il piccolo! La chiave già nella serratura per permetterci di entrare.

La chiave? Ma io non... Allora chi...?

La lancia mi danza tra le mani senza che io debba nemmeno pensarci. Atena segue i miei gesti, come uno specchio d'argento. Affondo, parata, indietro, mi giro, affondo di nuovo.

La punta della lancia squarcia la gola di Euriade, si conficca nella spalla di Leocrito, lacera il volto di Anfimedonte. Cadono a terra, coperti di sangue, ma altri continuano ad arrivare. Più grandi. Più forti. Più infuriati.

Incastro la lancia alla giugulare di un uomo che nemmeno vedo in faccia e il suo collo mi si spezza tra le mani in un suono raccapricciante.

– Combatti, piccolo lupo! Muori, piccolo lupo! – Melanzio lo sbraita divertito da qualche parte, alla mia destra – Catturatelo, è la nostra occasione!

– Lasciatemi! – attacco, mi ritraggo, il volto imperlato di sudore – Lasciatemi!

– Immobilizzatelo, perché non si muova più. Abbattiamo il principe, costringiamo il re ad arrendersi!

– Lasciatemi! – c'è puzza di sangue. I volti si confondono, come macchie di grigio nella visuale tremolante – Lasciatemi! – una spada mi incide un taglio lungo il braccio e mi scappa un grido. Mi distraggo, e un'altra lama mi disegna una scia scarlatta sulla guancia.

Mi gira la testa, i movimenti sempre più deboli.
Lacrime di rabbia mi appannano la vista, ma quando una scarpa inclemente mi colpisce alla schiena, so che le ali non ci sono più. La lancia mi scappa via dalla presa e cado carponi, ansante, i capelli come una tenda scura e fradicia davanti agli occhi.

– Tenetelo fermo! – sputa Melanzio – E se non obbedisce, gli romperò le mani.

Qualcuno mi afferra i polsi e li annoda con una corda che azzanna la pelle. Mi dimeno, ma per poco. Non ho più forze.

– Bastardi! – urlo, mentre Melanzio mi sovrasta. Il sorriso dell'uomo è come una crepa, sul viso sporco di rosso – Lasciatemi andare!

– Sei finito, piccolo lupo – ha un coltello, in mano. Sento una pressione gelida sulla gola, quando si china per alitarmi in faccia – Finirò quello che Antinoo ha iniziato. Sei stato premuroso, a lasciarci la porta aperta. Siamo tutti qui, adesso, non vedi? Armati e pronti, con un ostaggio prezioso – inghiotto un gemito quando il filo della lama mi accarezza il collo, spalancando un taglio che scotta come acido – Tutti qui per te, piccolo lupo. Sei nostro.

Tutti qui per me.

Tutti qui.

Loro sono...

La realizzazione mi colpisce come un fulmine.

Mezzo secondo dopo, ho il volto inondato di sangue.


Lo chiedevo al Sole, com'era il tuo sguardo.

Ho sognato il suo sorriso.

Volevo essere come te, desiderando che arrivassi. Che ci salvassi. Eri l'eroe delle mie storie, la leggenda che dava senso al mio sangue. Per vent'anni ho guardato il Sole, pregando che tu mettessi fine a ogni cosa.

Ma la fine sei tu, papà.

Combatterò i ciclopi, re di Itaca. Combatterò le sirene, le idra, sconfiggerò Cerbero. Combatterò i mostri e ti troverò, papà.

Perché sarai tra loro.


Non c'è il Sole, mentre la mia lancia, in mani estranee, trafigge da parte a parte il ventre di Melanzio.

Non c'è luce, nel modo in cui i tuoi occhi incrociano infine i miei, da sotto il cappuccio. Ci separa il corpo di un uomo, che sputa sangue mentre lo strattoni di lato, senza staccare lo sguardo dal mio.

Mi guardi, papà. Ma non sei più tu.

– Pie... Piet... – un lamento soffocato evade dalle labbra di Melanzio, un istante prima che la lancia venga ritratta dalle sue membra e il principe venga spinto a terra come un animale.

– Pietà? – quella parola, con la tua voce, scava una voragine verso l'Ade – Pietà? – getti la lancia al mio fianco e, con la stessa velocità con cui vedo un sorriso folle allargartisi sulle guance, una nuova freccia compare sulla corda dell'arco.

Scocca. Un uomo si accascia nelle tenebre.

Si levano le urla. Voglio solo chiudere gli occhi e stringerli forte, ma non posso, mentre Itaca ride e si distorce tutt'attorno a te. È un incubo. E l'odore della morte mi penetra. La nausea mi prosciuga il colore dal viso. Ma non posso muovermi, gli occhi spalancati invasi di lacrime.

E tu intanto incocchi. Trafiggi. Incocchi. Uccidi.

Uccidi. Uccidi. Uccidi ancora.

C'è l'Olimpo, che osserva. La Storia ci ruota attorno sempre più veloce, fino a smarrire l'inizio e la fine nel confuso lamento degli uomini e l'ascesa di quello che essi diventano quando perdono se stessi.

In una pioggia di schegge, la clessidra si infrange.

– È morta, la mia pietà, per riportarmi a casa. Sono annegato, per tornare a toccare queste rive. L'ho portata giù con me.

Osservo, attraverso il velo del pianto, la vita spegnersi negli occhi di chi ti è nemico. Cadaveri precipitano dalle balconate. Corpi senza volto. Sono spogliati di nome, perché l'unico che sento è il tuo.

Osservo, immobile, pieno di sangue, pregando in silenzio il sorgere del Sole.

La tua voce si innalza come tempesta. È ovunque. Ovunque, mentre io non ci sono più. Sento il battito del mio cuore risuonare nelle orecchie tanto forte da fare male.

Avete ordito alle mie spalle. Avete tramato di uccidere mio figlio. Stuprare mia moglie.

Il tuo respiro è quello del buio.

Avete riempito il mio cuore di odio, disonorato la memoria del vostro re! Ora...

Papà.

Chi sei?

Cosa sei...?

Itaca intona il tuo nome, al fianco dei morti, mentre infine cade il cappuccio e i tuoi occhi rilucono come le braci di una città distrutta.

Morite.


Il buio esplode, lacerato da fuoco e grida.

Ma nella mia testa cade il silenzio.

C'è solo il lento e distante battito del mio cuore.


Papà.


Papà...?


Dove sei?


Cover credits: @ / makshin_ su ig

NdA:

Buongiorno. Tutto bene? Volete una tisanina calda?

Scherzi a parte, grazie sinceramente a chi è ancora qui. Sono stata presa da tantissime cose, in questi mesi. L'uni mi ha holdthemdown-ato, ma una parentesi su Telemaco in Odysseus la volevo scrivere da tantissimo tempo. Soprattutto dopo che, nell'ultima shot, l'avevo mezzo bullizzato.

Aveva bisogno di redenzione, il mio piccolo raggio di luce <3

Voti e commenti di ogni genere sono accolti con amore, grazie infinite a chi è qui <33

Coss

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