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5

Un improvviso dolore al fianco mi costringe ad aprire gli occhi. Soffoco un gemito e mi metto a sedere.

«Finalmente! Sai, non è mica tanto facile svegliarti.»

Cosa? Mi sento confuso, così volgo lo sguardo verso la voce estranea che mi ha parlato.

«Ehi, amico, sono qui!»

Ora la vedo. È appoggiata al tronco di un albero, una figura sottile e snella, aggraziata. Una donna.

«Chi, chi sei?» domando io, con la bocca impastata e la voce rauca. Mi alzo in piedi e aspetto la sua risposta. Lei se ne sta lì, immobile. Ha qualcosa fra le mani, ma non vedo cosa.

«Nemesi. Mi chiamano così.» La donna ha una voce forte, decisa. Mi ricorda un po' mia moglie Anna, quel timbro sicuro, forte, ma dolce allo stesso tempo.

«Nemesi? Un nome strano.» Perché l'ho detto? Dal suo sguardo capisco subito di aver sbagliato. I suoi occhi freddi mi scrutano nel profondo e sono costretto a distogliere lo sguardo, imbarazzato.

«Chi sei?» chiedo, stavolta un po' timidamente.

«Potrei farti la stessa domanda», risponde lei visibilmente seccata.

«Perché mi hai svegliato allora? Sei stata tu vero? Dimmi almeno questo.»

Non mi risponde. Qualcosa sembra aver attirato la sua attenzione. Si scosta dall'albero, si guarda intorno, lancia profonde occhiate al folto della foresta.

Non posso fare a meno di chiederle: «Che cosa c'è?» La mia voce è uscita con un tono preoccupato e quasi me ne vergogno. Quella donna, invece, non sembra aver paura e la sua non è nemmeno preoccupazione, ora l'ho capito. È attesa.

«Vuoi dirmi per favore cosa sta succedendo? Perché non rispondi a nessuna delle mie domande?»

Nemesi mi guarda, un'espressione talmente infastidita che decido di rimanermene zitto. Lei si muove come un gatto, avanza tra i cespugli, lì vicino, scruta tra gli alberi. I suoi passi non producono rumore, anzi, sono stranamente silenziosi.

Mi avvicino a lei, ma mi ferma con un'occhiataccia. Indica le mie scarpe. Fanno forse troppo rumore? Faccio un altro passo. In effetti, le foglie scricchiolano sotto i miei piedi, ma non pensavo potesse essere importante.

«Fermo! Non hai capito? Non devi fare rumore.» Nemesi avanza ancora, ma non si allontana molto e torna indietro subito. Si accuccia per terra, guarda le foglie, il terreno. Sembra stia studiando qualcosa.

«Dobbiamo andare.»

«Andare dove?»

«Via di qui. È pericoloso stare fermi.»

Si volta dall'altra parte e cammina, veloce, verso quello che penso sia il nord. Solo adesso comincio a rendermi conto delle sue stranezze.

Nemesi è vestita poco, come un'amazzone. La osservo mentre la seguo, camminando veloce per cercare di tenere il suo passo svelto. Una specie di gonnellino di tessuto sottile, marrone scuro, le copre appena il fondoschiena. Niente più che uno straccio allacciato ai suoi fianchi stretti. Ha una vita molto sottile, gambe lunghe e snelle. Non posso fare a meno di guardarla. Noto solo ora i suoi capelli. Sono tagliati corti sulla nuca, scuri come la notte in questa foresta.

Adesso che ci penso, non ha molto in comune con Anna, ci sto ripensando.
«Lo senti?» chiede lei, catapultandomi all'improvviso nella realtà.

«Cosa?» non so proprio di cosa stia parlando, io non sento niente.

«Questo rumore.» Nemesi si ferma, di scatto, guarda dietro di noi. Io seguo il suo sguardo, ma non c'è nulla che non va. Vedo solo alberi, foglie e ancora alberi.

«Stanno arrivando.» Nemesi riprende a camminare, sempre più veloce. In pratica stiamo correndo, non so perché e non so per dove. “Che lei sappia uscire da questa foresta?”, penso, con un barlume di speranza. Sono piuttosto confuso.

«Chi sta arrivando?» chiedo, impaziente di ricevere delle risposte.

«Loro, ti basti sapere questo.»

Aggrotto la fronte, perplesso. Perché non mi dice nulla? sono stato svegliato alle prime luci dell'alba, da una donna sconosciuta vestita come un'indigena, che mi dice che qualcuno o qualcosa ci insegue. No, non ha per niente senso.         
 
Corriamo per un tempo che mi pare infinito. Molte volte mi sono trovato costretto a fermarmi, per non rischiare di farmi venire un infarto. Certo che sono già morto, ma negli ultimi giorni un senso di sopravvivenza si è insidiato dentro di me e non ho intenzione di lasciarci le penne perché sono inseguito da qualcosa che magari nemmeno esiste.                     

È una giornata umida, piuttosto fresca, ma la mia nuova compagnia di viaggio non sembra risentirne. Che sia anche lei morta? Io, però, morto o no, il freddo lo sento. Così, dato che sta anche calando la sera, raccolgo della legna per accendere un fuoco.   

«No, niente fuoco.» Nemesi, o qualunque sia il suo nome, mi blocca prima che io possa anche solo cercare di accenderlo. Così mi ritrovo lì, con due pezzetti di legno in mano con l'intento di strofinarli tra loro al fine di procurare una scintilla, con lo sguardo di lei che mi rimprovera silenziosamente. Tutto ciò mi provoca non poco disagio.

«Perché?» lascio cadere a terra i due legnetti e, irritato, mi siedo con la schiena poggiata al tronco d'albero più vicino.

«Perché il fuoco può uccidere.» Un'altra delle sue risposte secche ed emblematiche.

«Almeno dimmi chi sono loro. Sarebbe utile saperlo.»

Nemesi è seduta poco distante da me, le gambe e le braccia incrociate. Ha qualcosa che rigira tra le mani, stessa cosa che aveva già notato. «Cos'è quello? Quella cosa che tieni in mano.»

Forse non avrei dovuto chiederglielo, ma qualche risposta me la dovrà pur dare, no?
Lei, com'era ovvio, scuote la testa con disappunto. «Non puoi saperlo, è una cosa mia.»

La risposta non mi piace, ma non insisto. Scruto il suo sguardo. Stavolta sono io ad osservarla e questo mi dà soddisfazione, perché noto che anche lei si sente in imbarazzo quando viene fissata. Una piccola vittoria. Sono una persona a cui piace sapere con chi ha a che fare.

Nemesi non è bella come credevo. Sono un po' deluso. Ha un viso strano, anche se da un certo punto di vista potrebbe sembrare la classica faccia da cavallo. I suoi occhi grandi, dal taglio leggermente allungato, potrebbero essere belli se non fossero così freddi. Ha il naso stretto, sottile e visibilmente storto e le sue labbra sono leggermente inclinate verso il basso.

Storce un po' la bocca mentre la guardo e questo la fa apparire più attraente, ma il risultato, alla fine, è sempre lo stesso. Nemesi è particolare, una di quelle bellezze non da tutti apprezzabili.

Sicuramente è giovane, si capisce dai suoi tratti quasi completamente privi di rughe. Non ha più di trent'anni, solo che è difficile darle un'età perché i suoi lineamenti forti e decisi non lo consentono.

«Perché mi guardi?» mi chiede lei, tutt'a un tratto.

«Non c'è altro da fare, non pensi? A meno che non hai deciso di rispondere alle mie domande.»

Lei assottiglia lo sguardo, rendendo i suoi occhi ancora più freddi. «Tu vuoi sapere tutto, ma quello che in realtà non sai, è che, a volte, è meglio non sapere niente.» Con queste parole, Nemesi si alza e si allontana.

«Ehi, dove stai andando?» La chiamo, più volte, ma lei è già sparita.
 
Mentre aspetto che il sonno mi colga, ripenso a ciò che mi ha detto quella strana donna. “A volte è meglio non sapere niente.” Che sia vero? Io non ne sono tanto sicuro. Meglio una verità difficile da gestire, che la serenità basata su menzogne e omissioni. Solo che, se la verità è davvero così terribile, forse si sta meglio senza saperla. Era questo che voleva dire Nemesi?

In ogni caso, mi addormento prima di poter formulare, nella mia testa, una risposta plausibile.
 
 
 

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