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Quanto tempo? Quanto tempo è passato? Sono rimasto lì a terra forse qualche ora di troppo, tra quella sabbia che ormai mi avvolgeva come un sudario.
Non sono morto, non una seconda volta. Sono ancora qui, in questo infinito deserto. Ma non mi sono arreso, voglio sapere, scoprire dove mi trovo, perché se questo è il paradiso, allora non mi piace per niente.
U
n passo, un altro passo, un passo ancora.
Ho i piedi in fiamme, ma vado avanti. stamattina ho avuto un miraggio, uno di quelli che ti fa sentire un verme. C'era acqua, una donna nuda dalle forme morbide, che mi aspettava all'ombra di una palma.
Ho persino corso, come un matto, poi sono arrivato, ho provato ad afferrarla, stringerla tra le mie braccia, ma lei non c'era più. L'acqua non c'era più. Non è questione di sete, sono morto quindi non ho bisogno di bere, ma di normalità. Tutto questo è troppo strano e comincia davvero a stancarmi.
Ho sempre pensato al riposo eterno, quand'ancora ero in vita e lo pensavo quasi invidiando i morti. E sarebbe questo? Dio si sta proprio sbagliando sul mio conto. È vero, non sono stato una brava persona, però non ho ucciso nessuno. Non ho anch'io diritto ad un po' di pace?
È buio quando arrivo finalmente a un'oasi. Sogno, miraggio, non lo so, ma sto bevendo acqua vera e, anche se ormai non ho bisogno di ombra, anche gli alberi sono una buona consolazione. Stanotte dormirò su un giaciglio d'erba fresca e magari domattina farò colazione con cocco e rugiada.
Sono di buonumore stamattina e mi piace ammetterlo. Finalmente un giorno decente dal mio arrivo qui.
Sto finalmente uscendo dal deserto e ne sono sicuro, perché la vegetazione comincia a farsi strada tra la sabbia bollente. Fa anche meno caldo e la notte è più mite. Forse Dio, ogni tanto, ascolta. Anche perché cominciavo seriamente a pensare che fosse sordo.
È davvero un canto quello che sento? Mi avvicino, incuriosito. Ora ci sono pietre sotto i miei piedi. Un po' taglienti, lo ammetto, ma dopo tutta quella sabbia non posso lamentarmi. E c'è qualche alberello timido, che tutto sommato mi fa un po' di compagnia. Ma da dove viene questo canto?
Sono voci serene, squillanti. Sembrano voci di donne, un coro un po' triste che viene da laggiù, in mezzo agli alberi.
Ora sono vicino. Le vedo. Sono donne, circa una trentina e cantano. I loro sguardi sono vuoti, spenti, i loro occhi grigi, non hanno capelli. E sono nude, tutte nude. Nonostante sia da un po' che non vedo una donna nuda, davanti a me, mi trattengo e mi avvicino lentamente per non spaventarle. Sembrano timorose di qualcosa, forse per la loro virtù o per la vergogna, chi lo sa?
«Salve… io, beh», esordisco un po' malamente, mentre mi affanno a cercare le giuste parole per presentarmi. Che cosa posso dire? “Salve belle signore, che poi belle non siete, sono Geremia e sono morto. Sapete per caso dove posso trovare il Paradiso?”
Tutto questo è assurdo, parecchio assurdo. Così sto zitto e aspetto che parlino loro.
Una donna mi guarda. Sembra un demone moribondo. La sua pelle è chiazzata di sporco, le manca un orecchio e i suoi occhi sono chiari, talmente da sembrare bianchi.
Capisco che è cieca, eppure è l'unica che mi sta guardando. Distolgo lo sguardo, a disagio dal suo strano fissarmi. Tutte continuano a cantare, come se nulla fosse. Non cambiano espressione, ne tonalità della voce. Qui è tutto così monotono. Anche questo canto mi ha stancato.
Torno un po' indietro e aggiro il gruppo di donne standomene accanto agli alberi. Solo in quel momento mi accorgo che c'è una bambina tra loro. È piccola, non può avere più di dieci anni. Mi avvicino. Lei mi guarda.
«Ehi piccola, che ci fai qui?» la bambina smette di cantare. Tutte le donne, all'improvviso, smettono di cantare. Mi guardano. «Mm, io, non volevo disturbarvi. Ecco, volevo solo chiedere…»
Un brivido mi assale. La donna dagli occhi bianchi si sta staccando un braccio a morsi, un'altra si graffia la pancia gonfia. Guardo la bambina. Si sta avvicinando a me e, nel contempo, si succhia il pollice della mano destra. «Io… me ne stavo andando.»
Un rumore secco. Il pollice della bambina si stacca, il braccio di “Occhi bianchi” cade a terra con un tonfo, la pancia dell'altra donna si squarcia. Ma loro non urlano, non emettono nemmeno un lamento. Il sangue cola ai loro piedi, nero e viscoso, viscido come la bava di una lumaca.
Senza pensarci un attimo, mi volto e corro. Continuo a correre finché non sento il canto ricominciare, come prima, uguale, lugubre. E adesso le loro voci non mi sembrano serene. No, sono solo vuote, senza tono, senza nulla.
Mi immergo nel folto del bosco. Bosco? Avrei giurato che prima non ci fosse. Pochi alberelli e un ammasso di rocce, erano, all'improvviso, divenuti un bosco con tanto di foglie cadute a terra.
Si vedevano i segni dell'autunno. Tutto era color bronzo e rame, giallo e rosso, gli alberi erano pini altissimi e scuri e il terreno era scivoloso, come se avesse piovuto da poco. Io la pioggia non ricordo ci sia stata,da quando sono qui. Penso proprio mi stiano prendendo in giro.
Continuo a correre per un po'. Quelle donne mi hanno lasciato dentro uno strano senso d'inquietudine. Non riesco a togliermi dalla mente il modo in cui mi guardavano, con quegli occhi spenti, morti, quasi come fossero in qualche modo invidiose di me. Forse, comunque, non hanno completamente torto.
Una cosa di cui sono sempre più convinto, è che questo posto è assai strano.
Con l'arrivo del buio mi accampo in una zona abbastanza raccolta, con gli alberi a ripararmi dal vento che si sta alzando da nord. Mi sento al sicuro qui, anche se è difficile abituarmi a tutti questi alberi dopo il mare di deserto che ho dovuto affrontare.
Decido di accendere un fuoco. Se qualcuno vedrà il fumo magari penserà che è ora di aiutarmi a morire di nuovo, questa volta veramente.
* * *
Sto camminando da un po'. Mi ci devo abituare. Qui è tutto diverso. Cammino su un letto di foglie morte, dove è facile scivolare ma i piedi non si scottano. Le foglie sono umide, fresche ed è tutto più piacevole.
Qualche raggio di sole ogni tanto mi raggiunge, ma senza disturbare troppo la mia vista.
Qualcosa sta cambiando nel mio corpo. Ho una sensazione di vuoto nello stomaco, che forse non può chiamarsi proprio fame ma sicuramente è qualcosa. Ho provato a soddisfarla con dell'acqua presa stamattina da alcune foglie. Rugiada, penso e aveva un sapore piuttosto insipido ma comunque dissetante.
Mi oriento grazie al sole, talvolta al muschio, ma non me ne intendo molto di orientamento. Ci vorrebbe una bussola, così mi sentirei come uno degli avventurieri di un film alla Indiana Jones.
Comunque penso di essermi già perso. È solo che non ha tutta questa importanza, perché non ho una meta precisa, non so nemmeno in che razza di mondo sono. Hanno un nome questi luoghi?
Mi chiedo molte cose, come i pericoli che potrei incontrare. Ci sono serpenti velenosi in questa foresta? O animali selvatici? Oppure tribù di indigeni mezzi nudi che si dipingono la pelle e ballano attorno al fuoco?
Non so proprio cosa dovrei aspettarmi e questo non mi piace affatto, ma in qualche strano modo, forse per una qualche ragione emotiva, mi spinge ad andare avanti, a esplorare e camminare verso questa meta imprecisa e, forse, irraggiungibile, che è il Paradiso. Perché è lì che sto andando, no? O all'inferno? Nessuno sa veramente dove vanno le persone morte, quindi come faccio a sapere dove mi sto dirigendo?
Quante domande… tutti pensieri che mi affollano la mente e tutto sommato mi tengono anche impegnato. I miei stessi problemi, oltre a farmi compagnia, mi sono anche di sollievo. Cosa farei senza i miei pensieri?
È la seconda notte che passo qui, nella foresta. Ora mi è chiaro che non può essere un bosco, quindi vegetazione controllata dall'uomo, ma non è altro che una distesa di alberi che comincia tanto ad assomigliare al deserto che mi sono lasciato alle spalle. La differenza è che prima era una distesa di sabbia, ora lo è di alberi e foglie secche.
Gran bella differenza, certo, ma pur sempre un ammasso di qualcosa che non fa che ostacolarmi, come questo corpo che mi ritrovo e che non riesco più a capire.
Ho fame, e forse un po' di sete. La notte è nera e fredda, sono senza coperte e i miei abiti non sono altro che stracci. Ho acceso un bel fuocherello con un po' di legna raccolta qua e là, per tenermi al caldo, ma non ho nulla da cucinare.
Forse è meglio se domani comincio a procurarmi del cibo, se non voglio morire di fame. Ma che dico? Come posso morire se sono già morto? Eppure, sono pronto a giurarlo a questa intera foresta, non mi sono mai sentito così vivo in vita mia.
La luce del sole mi sveglia in modo un po' traumatico. Apro gli occhi e li strofino per svegliarmi. Avrei preferito dormire ancora un po', ma è meglio rimettermi in viaggio. Prima o poi, ne sono sicuro, arriverò da qualche parte. Questo è il massimo del mio ottimismo.
Un po' di rugiada da una foglia ancora verde, uno sguardo al sole di primo mattino che ha osato svegliarmi, così in modo violento, e mi metto in cammino senza tante cerimonie. Mi piace guardarmi intorno mentre avanzo tra gli alberi. Non sono un esperto, ma qualche albero lo so riconoscere. Ci sono querce, tante querce e piante dalle chiome folte e foglie seghettate e giallastre.
Non è di certo una foresta tropicale, ma nemmeno nordica, perché non è una pineta. Magari sono anche al nord, ma di certo non sono in montagna. Solo che non so cosa questo significhi. Qui non sono sulla Terra, almeno credo, quindi come posso sapere se sono al nord o al sud?
La risposta è ovvia. Non posso saperlo per certo. Tutto sommato, però, oggi fa abbastanza caldo e questo mi ricorda quel dannato deserto che sono riuscito a oltrepassare.
Chi lo sa cosa mi riserverà il futuro; magari un altro deserto, o questa foresta infinita. Magari il Paradiso… ma se ci sono già in Paradiso? Spero proprio di no. Sarebbe una grande delusione.
* * *
Sto camminando, tranquillo, sempre con la mia fame e con la disgraziata voglia di dormire, quando sento delle urla provenire da una qualche direzione. Non sembra un canto, per fortuna, e questo un po' mi tranquillizza. Subito però, mi chiedo se ci può essere davvero qualcuno qui, oltre a me.
Le urla continuano. Ora sembrano più vicine. Non sono di dolore, mi pare, ma nemmeno le urla di qualcosa che sembra pericoloso. Più che altro assomigliano a una qualche richiesta di aiuto. Continuano, imperterrite, ora cominciano a spaventarmi.
Continuo per la mia strada, accelerando il passo. Poi qualcos'altro si unisce a quelle urla disperate. All'inizio non capisco cosa sia, poi, però, lo sento. Un rumore, sempre più forte, sempre più vicino. Mi fermo e resto in ascolto, l'angoscia che sale ad attanagliarmi la gola. Non sono mai stato molto coraggioso, devo ammetterlo me la sto facendo sotto.
Il rumore è assordante, ora, e sembra quello che potrebbe produrre una mandria di bufali inferociti che corre dietro a qualcosa. O a qualcuno. Questa improvvisa rivelazione mi sconcerta. Animali grossi, pericolosi, i bufali. Difficili però, da trovare in una foresta come questa.
“E se fosse qualcos'altro?” penso mentre mi metto a correre. Lo faccio, corro veloce verso una qualche direzione, senza neanche rendermi conto di averlo deciso. È il mio cervello che avverte il pericolo? Non lo so, comunque ciò che è chiaro è che sto agendo d'istinto e questo un po' mi spaventa.
Quando si agisce d'istinto, allora non si ha tempo di ragionare e questo, spesso, può salvarti la vita, ma anche provocare guai seri.
Ho davvero bisogno, poi, di salvarmi la vita? Quante, troppe, cose non so. Tutta quest'ignoranza mi fa quasi male, più della consapevolezza di essere morto.
Corro, continuo a correre, ma il rumore si fa sempre più vicino. Qualunque cosa sia, si sta avvicinando. Forse è davvero ora di preoccuparsi seriamente. Sarò anche morto, ma non intenzione di farmi spiaccicare o divorare da un qualche branco di bestie affamate. No, se c'è la possibilità che io possa morire di nuovo, allora voglio decidere io come, dove, e perché.
Gli alberi m'intralciano, rischio di scivolare sulle foglie umide che ricoprono il terreno, ma continuo a correre. Mi faccio strada a forza tra i rami che mi graffiano la pelle, tra le radici enormi che spuntano dalla terra. Il rumore si avvicina.
Mi fermo un momento, per riprendere fiato. Il cuore mi martella il petto come un tamburo. Mi guardo attorno, con ansia crescente. Non c'è nulla, a parte gli alberi e qualche debole, pallido, raggio di sole che spunta tra le chiome dorate e rossastre.
Poi quell'urlo, di nuovo, quello che per primo aveva attirato la mia attenzione. Ed è vicino, lo sento. Stavolta non corro, attendo immobile, mentre nella testa mi frullano migliaia di pensieri negativi. Perché non sto scappando? Dovrei andarmene, ma sono qui ad aspettare. Cos'è che davvero sto aspettando?
«Aiuto! No, no, aiutatemi!»
Mi volto verso la direzione di quella voce. Le ho sentite davvero? Parole umane, nella mia lingua e le ho capite. Non sono solo. Senza pensarci mi metto anch'io ad urlare. «Ehi! Sono qui! Ehi!»
La voce, però, non si fa più sentire. Non ne ho capito la direzione, perciò aspetto un po' lì fermo. Non arriva nessuno.
Sconsolato, decido di rimettermi in cammino. Poco dopo però, il sole comincia a tramontare, lo vedo, quel rossore sparso, tra gli squarci degli alberi. Mi accampo accanto a un albero grosso, ma non mi accendo il fuoco come ho fatto le altre notti. Ho paura.
È vero che se c'è davvero una persona, con il fumo potrebbe vedermi, ma quel rumore, che prima mi ha fatto correre come un matto, ancora mi preoccupa. In un certo senso, non voglio essere trovato, non dalle persone o dagli animali sbagliati.
Passo la maggior parte della notte insonne. Non riesco a dormire, per la paura, per il freddo, per questo senso d'angoscia e d'inquietudine che mi spinge a sentirmi in pericolo.
Quando chiudo gli occhi, non mi accorgo nemmeno di non essere solo.
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