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3


Faccio una pausa, sono stanco.

Ho trovato un sasso in mezzo alla sabbia, mentre camminavo e questo mi ha risollevato lo spirito. Non so cosa ci farò di utile, con un sasso, ma almeno non dovrò scrivere sulla sabbia con le dita.

Sono seduto, intento a scrivere una frase di una mia vecchia poesia, quando si alza un vento improvviso da est.

Scatto in piedi, scruto l'orizzonte. Le nuvole sono scure, raggruppate.

“Che venga un temporale?” penso aggrottando la fronte con perplessità.
Un po' di pioggia non mi dispiacerebbe, ma dove potrei ripararmi qui?

Il vento si fa più forte, così decido mi mettermi in cammino. Mi allontano in fretta,mentre le mie parole disegnate sulla sabbia scivolano via insieme a quei granelli dorati.                                    

...Noi uomini non siamo altro che monete, che cadendo decretano il futuro...

“Tutte sciocchezze”, mi dico continuando ad avanzare senza voltarmi indietro. Eppure, dentro di me, una tenera malinconia per quella poesia permane, indissolubile come il caffè con panna che mi facevo ogni mattina.  
 
Fatico a camminare, da quanto è forte il vento. È come un tornado, che tenta di trascinarmi via. Devo resistere, devo farlo. Così continuo ad avanzare, mentre la sabbia mi vola attorno, entrandomi negli occhi e occultando la mia vista.

Mi strofino le palpebre, nella speranza di far uscire la sabbia. Gli occhi bruciano, fanno male. Il vento fa un rumore terribile, scuote le dune in lontananza. È uno spettacolo spaventoso. A guardarlo così, pare un mare giallo in burrasca. Sembra quasi che il deserto innanzi a me, si stia dissolvendo al passaggio del vento. Mi dissolverò anch'io?

“Forse avevo ragione, è un incubo e adesso sto per svegliarmi.” 

Crollo in ginocchio, mi riparo gli occhi con le mani. Il vento, attorno al mio corpo, continua con la sua danza di morte. Alzo appena la testa e vedo un'enorme, altissima onda di sabbia sollevata dal vento. Una parete dorata che sta per venirmi addosso.

Mi rannicchio, aspettando la fine.
Sento la sabbia abbattersi su di me con violenza, tutta la forza del vento schiacciarmi. Per un attimo, mi sembra quasi di essere in mare. Sto ancora affogando, sto per morire.
 


 
 
* * *
 
 
 
Quando apro gli occhi, quasi non ci credo. Sono vivo. O sono un morto che cammina? Penso di essere più quest'ultimo, anche se mi piace definirmi ancora un essere vivente. Lo ammetto, sono ancora un po' confuso e adesso lo sono ancora di più.

È tutto calmo attorno a me. Non tira una bava di vento, nemmeno un debole filo d'aria. Il sole cocente scalda i miei capelli sottili, minaccia di arrostire la mia pelle. Non osso crederci; sono sopravvissuto a una tempesta di sabbia.

Tasto con la mano destra la tasca dei miei pantaloncini; e lo sento. Il sasso. Sorrido; almeno quello c'è. 

Alla fine mi sono arreso. Le dune di questo mare di sabbia hanno vinto. È domenica, ne sono sicuro anche se realmente non posso provarlo con certezza. Se è vero che sono passati sette giorni, però, deve essere così. Il giorno in cui sono morto era domenica. Domenica, il giorno del Signore. Un bel giorno per morire, di nuovo.

Non sono mai stato religioso, ma nell'inferno ora ci credo.

Passo dopo passo, mi sono trascinato sempre più avanti, finché le mie gambe non hanno più retto. E mi sono ritrovato a pregare, senza nemmeno conoscere le preghiere. Anna pregava e andava in chiesa tutte le domeniche, con il suo vestito buono e i capelli lunghi raccolti sulla nuca. Era bellissima, come un angelo senza le ali caduto in Terra per me.

Non ce l'ho fatta a rialzarmi, dopo che le mie ginocchia hanno toccato la ruvida sabbia bollente, così mi sono seduto a gambe incrociate e ho lasciato che il vento che seccasse la pelle con le sue terribili sferzate.

Non mi ricordo nemmeno di essermi addormentato. Penso di aver passato la notte sveglio, ma l'unica cosa che rammento è il freddo e il sibilo del vento gelido che mi congelava le ossa.
 


* * *
 
Tossisco. E mi chiedo se si possa ammalarsi una volta morti. In un primo momento penso di no, ma un secondo colpo di tosse mi fa cambiare idea. Magari lo prenderò un raffreddore e la febbre mi ucciderà un'altra volta. Mi ritroverò in paradiso e tutto questo sarà finito.                        

Sono ancora qui immobile, seduto sulla sabbia cocente. Ormai non mi muovo più da due giorni. Voglio vedere se si può morire due volte, perché sono stanco, stanco della solitudine, del sole, della sabbia. Sono stanco di continuare a sperare invano.

Tossisco ancora, la gola mi fa male. “Magari funzionerà”, mi dico chiudendo gli occhi gonfi e abbandonandomi a terra.

Accanto a me c'è un sasso bianco. Lo toccò con una mano. È diverso, strano, era da un po' che non sentivo qualcosa che non fosse tutta quella polvere dorata. Se ne avessi ancora la forza, forse potrei sorridere.                             

Continuo a non avere fame, né sete, ma la spossatezza che mi avvolge in questo involucro di sabbia basta e avanza per abbattermi. Non sono mai stato molto ottimista. Ricordo la prima volta in cui fui licenziato, sì, la prima, perché non è stata l'unica volta in tutta la mia vita. Ricominciai a bere fiumi di alcol, nei bar, dietro l'angolo di casa, in bagno di nascosto.

Era un inferno. Lei era lì, accanto a me, mi guardava sempre anche quando io non la vedevo. Non mostrava mai delusione, né rabbia e nemmeno sconforto o compassione. Mi sorrideva e beveva a piccoli sorsi dal suo bicchiere d'acqua, lei beveva sempre e solo acqua ogni dieci minuti. Con le sue dita sottili tintinnava sul bordo cristallino producendo quel rumore allegro e ritmico che m'incantava.

Anna, la mia dolce Anna, quanto amore mi dimostrò in quei momenti difficili duranti i quali io vedevo solamente buio. Forse nemmeno si accorgeva di tutto quello che faceva per me, magari nemmeno sapeva di essere la mia luce, l'unica via d'uscita che vedevo quando il dolore si prendeva il  mio cuore. Lei era la stella delle mie notti senza fine, il sole dei miei incubi che mi risvegliava baciandomi il viso.          

Penso a lei mentre, ancora una volta, mi abbandono allo sconforto e riesco persino a farmi sfuggire una lacrima nonostante questo giorno bollente mi abbia prosciugato e disseccato come una foglia d'autunno. E resto lì, fermo come l'aria calda che ha smesso di torturarmi i capelli e ora giace immobile come l'acqua di uno stagno, come me che muovo più nemmeno un dito.

Fisso il vuoto, senza battere nemmeno le palpebre. Vedo Anna, quei suoi occhi limpidi e brillanti come raggi di sole sull'acqua, che mi sorride. Forse sto davvero morendo di nuovo. E questa volta è assai più dolce.
 
 
 

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