3 ~ Reagire
Appena Annabeth tornò cosciente, seppe. Non le importava nulla del fatto che fossero fuori, vivi, salvi. Non le importava di respirare aria pulita, non le importava della luce del Sole che le scaldava piacevolmente la pelle. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era quella cosa. Cosa? Non avrebbe saputo dirlo, non ad alta voce. In un angolino della coscienza, però, sapeva perfettamente cos'era successo. Ogni tassello era già andato al suo posto, ogni cosa le quadrava perfettamente grazie al suo cervello da figlia di Atena.
Peccato che quel cervello avesse e avesse sempre avuto un grande svantaggio: comprendeva le cose, non aiutava a metabolizzarle. Era freddo, obbiettivo, senza una possibile via di fuga dalla razionalità più assoluta. Ma quando la razionalità semplicemente non è accettabile, bisogna pur trovare un modo per sopravvivere. E Annabeth aveva trovato il suo.
Un attimo dopo aver aperto gli occhi, registrò una strana scena, che fu attenta ad analizzare come al suo solito. Nico e Will si stavano muovendo verso di lei a passi incerti. Dietro di loro, si stendeva quello che sembrava un parcheggio. A sinistra, una stradina con la gente che andava e veniva. La folla sembrava festosa, e molti reggevano buste di vario tipo. Dietro la folla, un muro di pietre squadrate che culminava in dei grandi edifici sulla sommità. Sembravano antichi. Un po' troppo antichi per essere americani. Su uno di essi era affissa una scritta con il disegno di una porta in stile romano e una freccia che indicava come raggiungerla. Siamo in un paesino europeo, capì Annabeth. Fu questo il suo ultimo pensiero cosciente.
Dopo, gli eventi degli ultimi minuti le si rovesciarono addosso come una valanga. La sua razionalità la colpì così forte da farle perdere la presa sulla realtà. E fu allora che la coscienza scivolò via: la Ragazza Saggia scollegò completamente il cervello. Non pensava fosse possibile smettere di pensare, non per una come lei. E infatti, non smise di pensare. Si limitò a scollegare il mondo reale dalle sue fantasie e riflessioni, schierandole e dividendole con un muro, come una trincea su un campo di battaglia. Una battaglia tra fantasia e razionalità. E lì, nella terra di nessuno, c'era solo lei, in compagnia di un'unica immagine: il suo Testa d'Alghe, sporco ed emaciato, che la guardava con amore un'ultima volta; lui, quei suoi occhi verde mare e il sorriso sarcastico sempre accennato, che la faceva impazzire d'amore e di benevola rabbia. Le sensazioni neanche venivano più dal mondo esterno: l'unica cosa che sentiva erano le labbra di Percy premute contro le sue... era un bacio dolce, con quell'accenno di sale marino che non mancava mai... era un ultimo bacio, un bacio d'addio, un bacio che non aveva neanche fatto in tempo a ricambiare per quanto era stato breve, ma che si era comunque impresso sulle sue labbra con una forza e una delicatezza tale da permetterle di sentirne ancora il sapore...
Will si accovacciò accanto ad Annabeth e provò a scuoterla per un braccio. - Annabeth... - la vide alzare gli occhi verso di lui. Inizialmente, il medico riuscì solo a pensare menomale, dai, è viva. Solo dopo qualche secondo si rese conto che qualcosa non tornava. La ragazza non aveva reagito nel vederlo, pareva non rendersi conto di cosa stesse accadendo; lo stava fissando con un'espressione strana, vacua e sperduta. Anche confusa, sì; tuttavia, quell'espressione non sembrava rivolgergli nessuna domanda, quasi avesse dimenticato come si fa. - Annabeth... mi... mi senti? - domandò incerto. Era praticamente sicuro di sbagliarsi. Era sicuro che ora Annabeth si sarebbe alzata di scatto. Avrebbe capito, si sarebbe disperata insieme a loro; poi tutto sarebbe passato, piano, con calma e con dolore, ma sarebbe passato.
Invece, lei continuò semplicemente a fissarlo. Will provò a muoversi un po' verso sinistra, e gli occhi della ragazza seguirono il suo movimento, guardandolo curiosi e innocenti. Il figlio di Apollo non poté fare a meno di notare la somiglianza con lo sguardo del gattino che aveva trovato a vagare per il Campo qualche tempo prima. - Will... ha qualcosa di strano. - fece ovvio il figlio di Ade al suo fianco, fissando la ragazza. - Già, direi di sì. - ribatté lui. In effetti, questo era davvero strano.
Annabeth non sembrava morta dentro o cose del genere. Non era come se le avessero portato via un pezzo di anima. Era come...come se le avessero strappato la capacità di ragionare. Provò a scostarle una ciocca di capelli dal viso, e lei lo guardò impassibile per un attimo. Poi si ritrasse di scatto, come improvvisamente impaurita. Il battito cardiaco accelerò, e la ragazza tentò di mettersi in una sottospecie di posizione di difesa. Will e Nico la guardarono a bocca aperta. Nico parve anche un po' scocciato. - Bene... - bofonchiò. - Non ci riconosce. Ci mancava solo questa. - si volse verso la ragazza e fece per parlare. Nello stesso istante, accaddero diverse cose, cose che Will metabolizzò troppo tardi per agire.
Un latrato possente squarciò l'aria. Lo schiamazzare della folla si spense, sostituito da urla di terrore puro. L' istante dopo, il cielo sopra il tre ragazzi era completamente coperto. Il Sole appena ritrovato li aveva abbandonati di nuovo; a coprirlo, un'ombra grande quanto camion... se i camion avessero avuto zanne, teste di cane, pinne e arti semiumani deformati in artigli. Il telchino si fiondò su di loro con un altro urlo spaccatimpani; ma prima che potesse fare qualsiasi cosa (e per qualsiasi cosa si intende divorare i tre ragazzi in pochi bocconi) un'altra ombra, più piccola, passò sopra le loro teste e si avventò sul mostro, mandandolo a sbattere poco lontano. Will ci mise un secondo a capire che quella era Annabeth. Un altro secondo per capire che dovevano agire. Un altro secondo per vedere se il figlio di Ade, ora alle sue spalle, si fosse già mosso per fare qualcosa. E ancora un istante per vedere che era rimasto pietrificato quanto lui più dall'aggressività improvvisa della figlia di Atena che dall'attacco...
Troppi secondi di attesa.
La ragazza, appena aveva visto quel coso fiondarsi su di loro, era scattata. La guerra che premeva al suo interno si era trasformata in una forza bruta, cieca, animale. Un balzo, ed era sulla creatura. Non aveva neanche svelto il pugnale, stava combattendo con le unghie e con i denti. Non le importava più nulla: tutto ciò che le importava era perdersi, perdersi nel brivido della battaglia; era trascinare quella sua guerra da dento a fuori, per non patirla più, e allo stesso tempo dimenticare il presente. Era riempirsi gli occhi delle immagini del proprio sangue e dell'icore del nemico, per non vedere ancora e ancora il volto dagli occhi verde mare atteggiato ad un lieve sorriso.
Forse per abitudine, forse per un riflesso ormai istintivo, quando si trovò a due centimetri dal muso del nemico Annabeth sguainò il pugnale e glielo inflisse nella gola pelosa. Il telchino ci mise mezzo secondo a dissolversi. Ma tanto bastò. Grazie a un movimento che aveva già cominciato prima di essere pugnalato, il mostro fece un arco con l'artiglio e glielo piantò alla base della schiena. Poi si dissolse in polvere.
Normalmente, colpita in quel punto, la ragazza non sarebbe morta. Non subito, almeno. Eppure, ora che quello era il suo punto fatale...
Annabeth non sentì i suoi amici gridare. Se li sentì, comunque non metabolizzò. In un attimo, aveva smesso di sentire tutto. Il mondo si era colorato di un candore intenso e puro, dopo quell'attimo di dolore. La guerra al suo interno, e così la sua sete di sangue, erano cessate improvvisamente. Non c'era né più uno schieramento né più l'altro, né la realtà né l'ombra di un pensiero. C'era solo lei, ancora nella terra di nessuno, e che ancora fissava quell'immagine infinita di lui che le sorrideva. Ma mentre quel sorriso, prima, era di addio, ora era di benvenuto. Ora staremo di nuovo insieme, pareva che le dicesse. E così, mentre anche quell'ultima immagine scivolava via insieme alla sua vita, Annabeth sorrise.
Nico e Will non ebbero tempo per metabolizzare. In poco tempo, furono circondati da mostri di ogni tipo, la gente per strada si era ripresa dallo spavento iniziale e continuava a chiacchierare, ignara di tutto; mentre menava fendenti a più non posso, nella mente di Nico risuonava un solo pensiero, come un'eco che rimbalza in una stanza vuota, perdendo pian piano il senso: sono morti per salvarci. Ora dobbiamo vivere, per loro. Will doveva pensarla similmente: combatteva come una furia, utilizzando le frecce come fossero piccole lance per il corpo a corpo, con una violenza decisamente non da lui.
Una volta abbattuta la prima schiera di mostri, Nico riuscì a girarsi verso Will, per un solo istante, e lo vide trasfigurato. Il volto era contratto in una smorfia di puro dolore, mentre lacrime di rabbia gli colavano giù per le guance. Della sua solita espressione pacata non era rimasto nulla, e Nico, per la prima volta da quando lo conosceva, ne fu spaventato. Il figlio di Apollo, dopo un istante, ricambiò il suo sguardo; dovette notare il suo sconcerto, perché cercò di addolcire l'espressione, che però divenne più preoccupata che serena. Nico non poteva guardarsi in faccia, ma sentiva gli occhi pizzicargli. Non potendo reggere un altro combattimento senza crollare, di scatto alzò una mano e afferrò l'altro ragazzo per il polso. Sapeva che lui non era d'accordo, sapeva che l'uscita dal Tartaro li aveva spossati tanto da farli svenire (erano svenuti per questo, non per il colpo sull'acciottolato: dopotutto, erano indistruttibili), eppure al momento aveva bisogno di andare via da lì. Il medico fece appena in tempo a chinarsi e afferrare il corpo di quella che era stato una dei loro migliori amici, prima che il figlio di Ade si spostasse sotto l'ombra di una macchina.
Un attimo dopo, erano tutti e tre all'ombra di un grande palazzo dalla foggia antica, forse medievale, seduti a ridosso di un parapetto. Davanti a loro si stendeva una piazza cittadina, anch'essa antica; l'edificio, a giudicare dal campanile che svettava sopra di loro come una scogliera bianco sporco in un mare altrettanto bianco, era una chiesa. Ancora stordito dal viaggio, Nico alzò lo sguardo su Will, poi sulla piazza, che con il riflesso del sole appariva come una grande e antica ciotola di latte.
- Ci vorrà un po' perché ci raggiungano - riuscì a sussurrare. Will, cercando di riacquistare la lucidità, si aggrappò al parapetto per tirarsi su. Lanciò uno sguardo distratto oltre il muretto, e ciò che vide lo lasciò senza fiato.
Decine e decine di alberi si susseguivano sotto di loro, a delineare una piccola via sterrata che scendeva fino a un giardinetto, da quell'altezza grande come lo schermo di un portatile. Dietro di esso, una strada che si perdeva nel panorama, tra le decine e decine di abitazioni di tutte le fogge che si stendevano sotto di loro come un manto colorato, quasi fin dove l'occhio poteva spingere lo sguardo. Le case, però, non erano sistemate in modo regolare e ordinato, come nelle città degli USA: disposte tra campi agricoli grandi come francobolli e abbarbicate su collinette, alcune di esse sembravano spuntare direttamente dal folto degli alberi, dalla natura che le circondava. Eppure, non si trattava di un paesaggio del tutto rurale: pur che non mancasse mai una macchia di verde ovunque lo sguardo si concentrasse, erano visibili grandi strade asfaltate serpeggianti tra le varie strutture, di cui una sembrava davvero molto trafficata. In lontananza, una fabbrica alquanto moderna si stagliava sulle altre costruzioni, tutte molto basse rispetto a quelle di New York. E tutt'intorno, montagne. Parevano circondare ogni cosa ed estendersi all'infinito, in procinto di dominare il cielo limpido e terso; eppure, erano in armonia col resto del paesaggio, quasi volessero abbracciare e proteggere la schiera di case che si stendeva ai loro piedi.
Will restò letteralmente a bocca aperta; tanto che Nico, dopo un po' che non lo sentiva parlare, si costrinse ad alzare lo sguardo anche lui. Quando si mise in piedi e vide lo spettacolo, la prima sensazione fu la meraviglia più totale. Poi, nel giro di qualche secondo, arrivò lo shock, e lo sconcerto. Vedere quel paesaggio era come guardare un ricordo. Aveva già visto una cosa del genere, ma dove?
Ci mise un po' a ricollegare. Ma alla fine, ricordò cosa c'era di tanto diverso tra il suo ricordo e quel paesaggio, e capì: l'ultima volta era molto più in alto, per la precisione su una certa nave volante. - Siamo... in Italia? - disse con un filo di voce. Con la coda dell'occhio, vide Will girarsi interrogativo, per poi tornare a guardare il paesaggio, per cercare di capire come avesse fatto il figlio di Ade a dedurre una cosa del genere. Ma Nico non fece caso alla reazione del ragazzo: la sua mente era già lontana.
Sembrava che i suoi pensieri lavorassero su due piani diversi della realtà, creati dalla conclusione cui era giunto: da una parte, il fatto che ora si spiegavano tutti quei mostri che li avevano attaccati. E si spiegava anche quel telchino gigante, quello che aveva ucciso Annabeth... Annabeth Chase e Percy Jackson, morti...
Dall'altra, tutti i ricordi che l'Italia gli riportava: sua madre, sua sorella...
Morti, capì. Ovunque guardo nella mia vita, ci sono solo morti. Fu in quel momento che tutto il dolore gli esplose nel petto. Ma giusto un attimo prima di chiudersi in se stesso, come aveva sempre fatto nei momenti difficili, sentì la mano di Will sfiorare la sua. E allora, non capendo bene il perché, si lasciò totalmente andare, cominciando a piangere a dirotto. Ad un certo punto, smise anche di pensare ad Annabeth, a Percy, a tutti i suoi fantasmi, e si abbandonò totalmente a un pianto liberatorio, e all'abbraccio di Will che lo teneva stretto, per consolare entrambi.
I due furono presto costretti a fuggire dalla piazza per non essere beccati dai mortali insieme al corpo di una ragazza. Non potevano pensare di portarla con loro se volevano sopravvivere, così Nico decise di farle un piccolo funerale mentre lui e il figlio del Sole si nascondevano in un boschetto a valle. La seppellirono usando i poteri del figlio di Ade, in modo da non lasciare tracce visibili ai mortali, poi si avviarono. Per dove? Non lo sapevano bene, non avevano un piano preciso. Eppure, in qualche modo, se la cavarono. Quando Nico ebbe recuperato abbastanza le forze, prese a fare viaggi ombra di lunghezze epiche, tra cui la traversata dell'Atlantico in un colpo solo (di nuovo), per riportare lui e il suo compagno a casa. Subito dopo sveniva, ma Will ci metteva poco a curarlo e assicurarsi che non svanisse tra le ombre. E così, dopo non sapevano quanto, ci riuscirono: tornarono al Campo. Dopo essere sconsideratamente partiti per il Tartaro da soli senza neanche aver ricevuto una profezia, solo perché Nico sentiva delle strane voci che lo chiamavano da lì; dopo aver scoperto che quelle voci non erano altro che arai desiderose di vendetta (come sempre); dopo essere stati salvati da Percy e Annabeth, che avevano dato la vita per loro; dopo tutto questo, erano tornati a casa. E nonostante all'inizio non potessero neanche chiudere gli occhi senza vedere le immagini dei due ragazzi morti, nonostante entrambi (soprattutto Nico) se ne dessero la piena colpa, erano felici di essere vivi, e salvi, insieme, pronti a vivere per se stessi e per non rendere vano il sacrificio dei loro amici.
Ma ciò che non sapevano, è che quel sacrificio non era stato totale...
- Philo_Sophia08
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