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2 ~ Comprendere

Questo è un po' corto, ma è solo di passaggio.

Nico tossì un po’ e si tirò su. Si guardò intorno, e la prima cosa di cui si rese conto fu che tutto attorno a lui era decisamente troppo luminoso. – Will, abbassa la tensione, mi stai accecando… - borbottò mettendosi una mano sugli occhi a mo’ di visiera. Capì che qualcosa non andava quando il compagno non gli rispose. Battendo più volte le palpebre per schiarirsi la vista, il ragazzo delle ombre si guardò attorno: da quanto riusciva a vedere, si trovava vicino a uno strano scoglio di un rosso acceso. Era circondato da altri scogli di vari colori… colori un po’ troppo intensi perché gli scogli fossero di pietra, notò. Fu quando si rese conto del calore benevolo che gli baciava la pelle che capì: alzò la testa, e sopra di se vide un celo limpido e terso, dominato da un Sole abbagliante. Spalancò la bocca per la sorpresa; poi, guardandosi meglio attorno, osservò che quelli non erano scogli, ma auto. Era in un parcheggio. Era fuori.

Non era possibile, era davvero fuori! Dopo giorni passati nel baratro, davanti a lui c’era il Sole, c’erano segni di vita. Ora che ci faceva caso, in effetti, i segni della vita che scorre, lì, erano molti: il rumore sporadico di qualche auto, il chiacchiericcio dei pedoni, un uomo che urlava a squarciagola per pubblicizzare un qualche tipo di merce, la sagoma di un uccellino che si stagliava nel cielo terso. Nico osservò distrattamente il piccolo volatile, e ci mise poco a capire che non era né piccolo né un volatile. Era un cavallo volante, forse un pegaso, ma era troppo in alto per definirlo meglio. Avrebbe anche potuto essere un’arpia, o un’altra minaccia… no, no, quello era un cavallo, Nico ne era abbastanza convinto. Anche se aveva qualcosa di strano… prima che il figlio degli Inferi potesse capire bene cosa, l’essere volò ancora più in alto e sparì.

Distolto da quello strano spettacolo, Nico tornò alla realtà. Piano, si mise a sedere. Non si era nemmeno reso conto di essere sdraiato, né tantomeno di dove fosse sdraiato, ma ora ci fece caso: ciottoli bianchi, non proprio regolari. Vi passò le dita per capire se fosse solo una qualche illusione, e quando esse registrarono l’asperità tra un mattoncino e l’altro, non ebbe più dubbi: era davvero fuori, non si trattava di un sogno. Seguì con lo sguardo la linea dell’acciottolato, senza sapere bene il perché. La cosa più evidente da osservare era la strada che si stendeva subito affianco al parcheggio, ornata di figure che si muovevano frenetiche su e giù per la calca, reggendo buste di vario tipo. Dietro, delle mura fatte di grosse pietre, tra i cui spazi si intravedevano piccole piante che avevano battuto la durezza del cemento e resti della spazzatura di qualche incivile. Con la coda dell’occhio, Nico aveva notato che poco lontano da lì c’era una bancarella di noccioline tostate, appartenente al tizio che aveva sentito urlare prima; tuttavia, non gli importava di nulla di tutto questo. L’unica cosa di cui gli importava era la figura accasciata al suolo al limitare del parcheggio, nascosta alla folla da una macchina nera come la pece. Quel nero evidenziava ancora meglio i lineamenti abbronzati e i capelli biondo platino del figlio di Apollo svenuto. – Will! – Gridò Nico, alzandosi di scatto per raggiungere il fidanzato. Appena mise un piede avanti, sentì una strana energia pervadergli il corpo, toccando corde profonde dei suoi sentimenti e del suo radar anti- guai. Era certo al cento per cento che in quel punto ci fosse una frattura del terreno diretta la Tartaro fino ad un attimo prima. Volgendo gli occhi verso terra, il ragazzo poté quasi vedere la leggerissima sbiancatura del terreno, come una grossa cicatrice. Fu in quel momento che realizzò: lui e i suoi amici erano usciti da lì, la quella grossa chiazza leggermente più bianca che percorreva tutto il parcheggio (e ovviamente, i mortali non si erano accorti di nulla). Ma come era stato possibile? L’ultima cosa che stavano facendo era combattere e… piano, ricordò. Ricordò di come, all’improvviso, Annabeth l’avesse gettato nel fiume insieme al figlio del Sole. Ricordò di non aver realizzato subito cosa stesse succedendo, non prima di sentire una morsa allo stomaco, come se la gravità si fosse appena invertita. Prima di sciogliersi nelle acque del fiume, aveva stretto la mano di Will, e aveva quasi potuto sentire la mano aurea di quello stesso ragazzo che lo tirava per la catena del suo Tallone d’Achille. Privo di fantasia, aveva scelto lo stesso punto che, aveva sentito dire, era stato anche quello di Luke: un minuscolo puntino sotto l’ascella. Poi la gravità era tornata apposto. L’ultima cosa che aveva visto prima di perdere i sensi erano stati proprio quegli stessi ciottoli bianchi.

A distoglierlo dai suoi pensieri fu un mugolio proveniente dal figlio di Apollo. Dimenticandosi di controllare che non ci fossero pericoli, Nico si slanciò verso il ragazzo, questa volta senza esitare. Ignorò la sensazione che gli trasmetteva ogni passo percorso su quella sorta di cicatrice, la gravità che si appesantiva e pareva volerlo ancora trascinare giù, nonostante non ci fosse più alcuna crepa. Questo era quanto rimaneva dell’influenza di Tartaro in quel luogo… be’, a parte i ragazzi sbucati fuori dal nulla, ovvio.


Will aprì lentamente gli occhi, posando lo sguardo in quello del figlio di Ade, che gli si era inginocchiato affianco. Si passò una mano sul viso, cercando di mettere a fuoco quanto aveva attorno. Tutto era così luminoso e chiaro… sentiva con sollievo la pelle scaldarsi, mentre si ricaricava come un pannello solare sotto i raggi del Sole… Sole?! Si alzò così di scatto da dare una testata a Nico, facendolo cadere all’indietro sull’acciottolato. Gli ci volle qualche secondo per riordinare i pensieri: i mostri, lo Stige, la mano aurea di un Nico inesistente che lo afferrava per il Tallone D’Achille, scelto per la fretta proprio nello stesso punto di quello originale (bene, pensò con un angolino di coscienza, ora dovrò stare costantemente attento a dove metto i piedi…); ricollegò i pezzi di quanto era successo, e finalmente capì. – Siamo fuori… - disse in un soffio. Guardò Nico come per avere conferma, come se non fosse già abbastanza ovvio che erano effettivamente usciti dal Tartaro. Lì fuori era tutto diverso: il terreno non più composto di schegge nere, la gente che schiamazzava, l’aria pulita… un po’ troppo pulita… di sicuro non siamo in una grande città, realizzò mentre cercava di incrociare gli occhi con quelli del ragazzo delle ombre. Ma non riuscì a completare quel pensiero, perché la sua attenzione fu catturata dallo sguardo preoccupato di Nico, che dopo la testata si era seduto e aveva preso a guardarsi in giro. I suoi occhi si soffermarono un attimo su un punto in particolare, poco lontano. Seguendo la direzione del suo sguardo, il biondo vide Annabeth, accasciata contro una Panda bianca.

Aveva gli occhi chiusi, ma respirava e sembrava illesa. Will tornò a guardare il suo ragazzo, che si era girato verso di lui con una ruga di preoccupazione sulla fronte. Il figlio di Apollo lo squadrò, interrogativo: perché preoccuparsi tanto? Loro due stavano bene, Annabeth non pareva avere nulla di particolarmente grave a prima vista, e… un attimo, ma dov’è… - Dov’è Percy? – gli chiese d’un tratto Nico, completando la domanda che gli si stava formulando nella mente ancora un po’ intorpidita. Anche Will prese a guardarsi intorno, ma non fece molto caso a ciò che c’era. Era concentrato solo su quella domanda. Già, dov’era Percy? In pochi secondi, la risposta gli arrivò chiara, precisa e terribile. Percy era riuscito a trasportarli fin lassù, e ciò significava che non poteva aver affrontato le acque dello Stige e la maledizione di Achille durante quel processo complicato (almeno, presupponeva che una cosa del genere comportasse un bello sforzo). Perciò…


Nico guardò Will, speranzoso. Sperava, sì, sperava con tutto il cuore che il figlio del Sole non fosse arrivato alla sua stessa conclusione. Eppure, quando il ragazzo fece per parlare, la sua espressione appariva tutt’altro che rassicurante. E di fatti: - Nico… Percy… - Dopo qualche secondo di pausa, Will ridusse la voce ad un sussurro. – È rimasto… - bastarono quelle parole. Nico cominciò a boccheggiare. Non sentiva più l’aria nei polmoni. Non sentiva più il calore rassicurante del Sole, o l’aria fresca. Gli sembrava di essere di nuovo nell’Abisso, con le membra che bruciavano per il calore asfissiante e la fatica, discordanti con il gelo innaturale della paura nelle vene. Quel gelo, però, questa volta non pareva procurato da una qualche entità mostruosa nei paraggi. Nico ci mise poco a riconoscere quella sensazione: quello non era il gelo della paura, no. Quello era il gelo della morte, il gelo che provava quando l’anima di qualcuno che gli era vicino abbandonava il proprio corpo.

E così, la sua ultima speranza che Percy Jackson potesse essere ancora vivo svanì tra le ombre.

- Philo_Sophia08

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