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Prologo - La nascita nella nascita - (Prima Parte)

"Non è la materia che genera il pensiero,

è il pensiero che genera la materia.

Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi.

Nascendo in questo mondo, cadiamo nell'illusione dei sensi;

crediamo a ciò che appare.

Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura

e dimentichiamo che siamo divini,

che posiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco"

Giordano Bruno 1548-1600

Nessuna luce. Nessun suono distinto. Nessuna vera percezione sensoriale di spazio-tempo, se non quella onirica. 

Così fu l'origine di quel recondito flebile pensiero emotivo!

Solo un'apparente sospensione fluttuante, in una bolla di liquida oscurità calda ed accogliente. Senza un nessun reale bisogno primario, se non quello della bolla stessa.

Senza una vera consapevolezza conscia e razionale di come poter fluttuare nella maniera giusta, dentro quella tenebra ancestrale avvolgente. Ma solo un istinto intuitivo, di come andava esattamente fatto.

Quella bolla inizialmente vasta e buia come l'infinito spazio profondo, ma che si era fatta via via sempre più piccola e sacrificata. Qualcosa era decisamente cambiato tutto attorno e la situazione continuava ancora a mutare ed evolversi, in quella maniera ignota e già nota al tempo stesso.

Anche quelle ondose sorde vibrazioni già avvertite al suo interno, erano in parte decisamente cambiate. Alcune di esse in particolare erano diventate come ovattosamente più percettibili, e autoteliche.

"Quasi una fantasia" idilliaca, proveniente come da un'altra dimensione metafisica e parallela a quella della bolla. Diventata ora di pari passo, al mutare di quelle ondose vibrazioni, sempre meno comoda ed accogliente. Senza un nessun reale bisogno primario, se non quello adesso di liberarsi finalmente della bolla stessa.

Senza una vera consapevolezza conscia di come poter orientarsi nella maniera giusta, per uscire da quella liquida oscurità diventata adesso così opprimente. Ma solo un istinto intuitivo, di come andava esattamente fatto.


Era la mattina del trentuno Dicembre millenovecentottantuno, quando la signora Lucia Magni in De Paolis al suo nono mese di gravidanza, fu ricoverata nel reparto di maternità dell'ospedale Santo Spirito di Roma. 

Verso le ventuno gli iniziarono le doglie e così fu portata in sala travaglio, poi da li gli inservienti la trasferirono in sala parto poco prima della mezzanotte. Dopo che a Lucia gli si erano rotte le acque, mentre il suo devoto marito Dario passeggiava nervosamente su e giù nella sala d'attesa dell'ospedale.

Diventare padre per la prima volta nella vita, genera decisamente felicità ed apprensione per lo più in tutti gli uomini di buona coscienza. Fortunatamente fu un parto naturale, e decisamente poco doloroso per la signora Lucia. Ed esattamente nella notte di San Silvestro a mezzanotte ed un minuto in punto, mise alla luce il suo primogenito Alessandro De Paolis.

Mentre a Roma e nel resto del Mondo si festeggiava il capodanno, tra schiamazzi, feste, e fuochi d'artificio, per salutare scaramanticamente l'avvento del nuovo anno. Il neonato Alessandro De Paolis, emetteva i primi frugali gemiti della sua nuova vita.

Alessandro risultò essere anacronisticamente, il primo bambino partorito in Italia in quell'anno. Così gli fu dedicato nella cronaca del quotidiano romano il Messaggero, come vuole la tradizione giornalistica. Un trafiletto con la foto di sua madre felice, che lo teneva amorevolmente in braccio stretto a se. 

Un piccolo ritaglio per lui in quel momento decisamente inconsapevole, di notorietà nazionale privo di un reale significato. Ma che per sua madre invece, rimase un bel ricordo di quel tanto atteso giorno agognato.

Anche perché a livello familiare quell'evento così riportato sul giornale, contribuì a far riconciliare i genitori di Alessandro con alcuni loro parenti. Dove i rapporti familiari si erano un po' incrinati, a causa di alcune divergenze abbastanza comuni in tutte le famiglie. Le liete nascite hanno anche questi gai poteri, i bambini innocenti in effetti essendo tali a volte sanno riconciliare con la loro presenza, dove gli adulti invece sanno solo dividere purtroppo.

La tradizione astrologica ellenica, in base alla posizione e l'allineamento degli astri celesti, al momento della nascita di Alessandro. Volle il Capricorno come suo segno natale, e la Bilancia come suo segno Ascendente. 

Questo al piccolo Alessandro mentre accedeva per la prima volta, al suo subconscio mondo onirico. Dormendo sereno dentro la sua culla nel reparto di maternità, non aveva poi un così grande significato in quel dato momento.

Un momento così roseo, privo di reali e gravi consapevolezze per lui. Quelle consapevolezze che anche su quest'altro particolare astrologico, gli iniziarono a maturare in mente nell'età adulta. Quando tra le altre cose di suo interesse intellettuale, si accostò anche allo studio di una pseudo-scienza come l'Astrologia, basata sull'ancestrale e millenario zodiaco ellenico. 

Soprattutto quando carpì il significato intrinseco, del suo personale tema astrale. Ricavato dal giorno, mese, anno, ora della nascita, e dalla città natale di un individuo.

Dove in alcuni particolari aspetti delle sue congiunzioni planetarie, vi trovò delle stupefacenti coincidenze sincronicizzate. Su caratteristiche e sentimenti che solo lui sapeva appartenere al su vero io, sin da quando era un bambino. Almeno fu questo che egli intuì dentro di se, comunque la cosa successe molti anni dopo. 

Alessandro trascorse la sua infanzia in armonia, con la sua amorevole famiglia e gli anni felici in cui la visse intensamente. Di tutto questo rimarranno in lui, solo dei felici ricordi di vita.

Cosa che purtroppo anche in questo XXI secolo, non possono dire così di aver vissuto tutti i bambini di questo Mondo. Anche se è pur vero quel detto popolare per così dire "karmico", che c'è chi ride prima e chi piange dopo. Un detto che ha valenza anche in senso contrario a volte, ed in effetti le cose ad Alessandro, andarono un po' cosi nel trascorso della sua esistenza.

In Italia c'è sempre stata la tradizione popolare, di dare ai figli i nomi dei propri genitori, o dei parenti stretti scomparsi in loro memoria. Ed infatti ad Alessandro fu dato questo nome in memoria di suo nonno materno, morto quando sua madre aveva soli venti anni. 

La signora Lucia era molto affezionata a suo padre, e la sua morte prematura fu un vero trauma per lei. Anche questo particolare insieme ad altri, assunse tutto un altro significato per Alessandro, nel corso della sua maturità.

Contemporaneamente a quella vecchia tradizione, a cavallo degli anni ottanta e novanta in Italia prese piede la moda, di dare anche nomi stranieri ai propri figli. Come anche quella di abbreviare il proprio nome in maniera anglosassone; in modo da ottenere una fonetica diversa dall'italiano. Come Tommaso con Tom o Vincenzo con Vince.

Anche ad Alessandro piaceva questa nuova tendenza, ed infatti già da bambino a lui piacque abbreviare il suo con Alex. Gli piaceva quella fonetica alternativa del suo nome, così tutti si abituarono a chiamarlo così.

Solo sua madre continuò a chiamarlo Alessandro, pervia del bellissimo ricordo che aveva di suo padre. Un uomo distinto, colto, e molto dotato nelle arti come nel canto e nel disegno tecnico. Un padre che tra le tante cose, sia a sua moglie che alla sua unica figlia, non fece mai mancare nulla.

Alex si dimostrò sin da subito un bambino affettuoso, per nulla aggressivo e molto socievole. I suoi genitori riscontrarono in lui, solo una certa iperattività nel suo modus operandi generale. Che a volte risultava estenuante con cui convivere, ma per il resto adoravano tutto di loro figlio. Eppure Alex era sia estroverso che introverso al tempo stesso. Sin da subito una parte di lui e della sua personalità era ben manifesta, ma un'altra era ben celata dentro di lui.

Era come se avesse un timore a rivelarla completamente. A livello più intuitivo, sentiva che era come meglio per lui non esporla totalmente alla luce del sole, esattamente come l'altra parte nota a tutti. Una forma di un vero e proprio sentore inconscio per così dire, almeno questa è sempre stata la sua impressione recondita.

Si poteva quindi definire un bambino socievole e distaccato, quasi in egual misura. Sapeva ridere e provare emozioni sia ingenue che spensierate, esattamente come tutti i suoi coetanei.

Ma aveva anche dei momenti di gravità solenne, in certe situazione ed attimi della giornata. A volte gli sembravano improvvisi, come può risultare una sensazione di intuizione durante un profondo ragionamento. Era come se si impadronisse di lui una forma di consapevolezza più matura e adulta, di quella che normalmente si può riscontrare nei ragazzini.

Questo gli succedeva principalmente quando con occhi da bambino, rimaneva interdetto su certi comportamenti incomprensibili del tutto degli adulti. Ed anche su alcune cose e aspetti del mondo, che gli provocavano sdegno e rabbia in lui.

Certe volte sentiva per giunta che il suo sdegno e la rabbia che ne scaturiva, prendevano come una strana forma di vita propria e manifesta nel suo addome. Sotto forma di spasmi e particolari contrazioni nel suo ventre, soprattutto quando sdegno e rabbia erano di grande entità emotiva.

Come degli ipotetici "morsi" allo stomaco, provocati da una grande "fame e sete" di giustizia. Sentiva di avere in se un senso di giustizia molto ampio, che andava anche oltre a quella troppo settaria, e a volte di comodo a parer suo propinata alle masse.

Andando avanti con l'età si convinse sempre di più di questi aspetti sin troppo meschini, di questa giustizia sociale, che veniva insegnata e applicata dai vari potenti di turno. Una vera avversione di principio equamente ridistribuita, tra le tante ipocrisie ideologiche che vedeva nel mondo, sia in ambito laico che in quello religioso.

Era questa spiegazione che diede a se stesso, sulla natura di quelle strane contrazioni, che lo portò anche ad avere un'altra ipotetica e teorica impressione. Congetture che maturò in se in età più adulta, e che poi non si rivelarono tanto lontane dalla realtà.

Ovvero che tutto quello sdegno e quella rabbia repressa nel suo ventre, forse non erano tutte sue. Ma in parte assorbite chissà come, anche dalle altre persone con cui interagiva e allo stesso tempo anche in parte perfino più antiche del suo stesso ventre.

Rimaneva perplesso in certi momenti in cui gli accadeva tutto ciò, anche su un altro aspetto di se intrinseco e apparentemente collegato. Ovvero quello in cui la sua mente cominciava a lavorare in maniera iperattiva, esattamente come certi suoi comportamenti e atteggiamenti quotidiani.

Era come se il suo cervello partisse quasi in automatico, per una tangente di pensiero difficile da seguire appieno. Provocando certe volte in lui, anche attimi come di stordimento mentale, quasi come una sorta di distaccamento parziale dalla realtà che lo circondava.

Soprattutto quando provava dei forti sensi di repulsione. Questo aspetto di se continuò anche da adulto, e perfino con una mente più matura e sviluppata, quel tipo di tangente di pensiero gli rimase sempre difficile da gestire totalmente. Anzi andando avanti con l'età si accorse che era sempre più impegnativo, star dietro psicofisicamente alla sua mente in quelle occasioni.

Una forma di grande attività psicofisica, si rivelò essere certe volte per lui. Dove in alcune situazioni il suo fisico e la sua mente, gli diedero l'impressione che si consumassero come sotto l'effetto di una grande fiammata energetica, da lui stesso spigionata.

Alternando così momenti di grande attività psicofisica, con momenti di stasi per recuperare le energie perse, sia nella vita che nei vari lavori che intraprese. Pensieri arguti e intuizioni fulminati che si intrecciavano tra loro da soli, dando vita in questo modo ad altri pensieri ancora più difficili da seguire di quelli che li avevano generati.

Strutture articolate di pensiero anche molto ardite, non di facile comprensione e sopportazione cerebrale, nell'averle tutte in mente contemporaneamente. In particolar modo quando era impegnato anche a fare altre faccende, o nei vari lavori che svolse da adulto.

Erano pensieri sotto forma come di una sorta di sinfonia mentale, non di facile esecuzione neurale e per nulla di semplice comprensione razionale. Comunque anche se a volte riusciva a vedere un nesso e un senso logico, in quella forma astrusa di speculazione meditativa. Altre volte era proprio lui il primo a perdersi dietro ad essa, e a non vederne in se un filo totalmente oggettivo.

Ma era quando riusciva a metterle in pratica nella realtà, quelle strutture complesse di pensiero nella sua mente, che sentiva che il vero problema non era quella strana tangente di pensiero iperattiva. Ma il come fare per gestirla correttamente, e il metterla in pratica nella sua realtà quotidiana.

D'altro canto la fantasia vera e propria e fine a se stessa, quasi mai risulta essere del tutto razionale. Una fantasia per giunta, che Alex ha sempre sentito e dimostrato a tutti di avere in molteplici campi, soprattutto col passare del tempo. Se la genialità la si può collocare in bilico tra ragione e follia. Decisamente la fantasia la si può trovare a cavallo tra razionalità e irrazionalità. Genialità e Fantasia esattamente come le due fondamenta principali dell'arte, in tutti i suoi molteplici campi e le sue forme artistiche.

Ma a parte questi aspetti e congetture, che naturalmente facevano tutti parte della sua celata grande introversione, per il resto Alex era un bambino esattamente come tutti gli altri. Niente di più e niente di meno, a parte quei momenti in cui quella sua talvolta iperattività psicofisica, si manifestava anche agli occhi degli altri.

Dopo quasi sei anni dalla sua nascita, ed esattamente il ventotto novembre millenovecentottantasei, in un altro ospedale romano venne alla luce sua sorella Mina. Dove sempre lo Zodiaco Ellenico, volle il segno natale del Sagittario e quello del Gemelli come suo Ascendente per Mina De Paolis. 

Un evento che coronò il desiderio dei suoi genitori, di avere anche una figlia femmina in famiglia. Un parto anche questo naturale, e privo di grandi sofferenze per la signora Lucia. Che generò la stessa felicità e apprensione in Dario, esattamente di quando fu con il suo primogenito.

Adesso non era più solo il piccolo Alex, ma era diventato un fratello maggiore con delle responsabilità, che prima non sentiva di avere. Adesso aveva anche una sorella, una sorella per giunta che più in la nel tempo, si rivelò avere alcuni aspetti e particolarità in comune con lui, come anche altre qualità ben più distinte. Il millenovecentottantasei fu quindi un anno molto felice per Alex, e con delle consapevolezze in più con cui convivere.

Quel millenovecentottantasei in cui parallelamente, l'umanità divenne realmente consapevole, di quanto potevano essere pericolose e a tratti incontrollabili, alcune sue acclamate scoperte scientifiche del IXX secolo. Sopratutto se mal utilizzate a scopi bellici, o usate con troppa superficiale leggerezza in campo energetico.

Ci volle un disastro come quello delle proporzioni del grave incidente, alla centrale nucleare di Cernobyl in Ucraina. Per rendere più conscia l' umanità, se mai ce ne fosse stato realmente il bisogno, della sua anche latente tendenza all'autodistruzione.

Comunque il tempo scorreva e attraverso gli anni, fluiva anche troppo velocemente secondo Alex. La maggior parte dell'anno la trascorreva in città, mentre il periodo estivo e delle vacanze scolastiche, Alex e la sua famiglia si trasferivano solitamente in Abruzzo. In una casetta di villeggiatura che i suoi genitori ereditarono dai nonni paterni di Alex, nella montuosa Marsica Abruzzese. In un piccolo e pittoresco borgo medievale chiamato Marano de' Marsi, situato su un passo di montagna a quota mille metri sul livello del mare.

Un antico insediamento cittadino su di un colle, sovrastante una parte la Valle Del Salto e a ridosso della catena montuosa del Velino Sirente. La cui posizione e particolare configurazione, gli diede anche una funzione da riparo rupestre e posto di vedetta nel Medioevo. Mentre nel trecento a.C. il popolo Italico degli Equi, edificò un grande tempio pagano proprio su questo alto colle. Adorando una arcaica divinità celeste, e praticando anche sacrifici umani durante le loro macabre cerimonie rituali.

Comunque dopo che avvenne la migrazione dei suoi abitanti, verificatasi principalmente nel secondo dopo guerra, Marano divenne un paese per lo più disabitato. Diventando così "un piccolo borgo romito ai margini del mondo", come lo definì magistralmente un poeta maranese ritornando al suo amato colle, alla fine dei suoi lunghi viaggi itineranti. Un vero e proprio eremo di montagna con una pace, una serenità, e un contatto con la natura, esattamente opposti a quello di ogni grande metropoli urbana.

Si ripopolava praticamente solo durante il periodo primaverile e quello estivo. Dove chi vi era nato e cresciuto, ritornava saltuariamente ad abitare nelle vecchie case dei loro genitori, con le loro attuali famiglie e prole al seguito.

Celebrando anche alcune di quelle antiche festività e tradizioni popolari, molto osservate dai loro antenati e nella Marsica in generale, ricorrenti per lo più nella settimana del Ferragosto. Un misto di credenze Cattoliche, retaggi pagani, di folclore, e anche di superstizione popolare, intrinseche alla vita contadina che si svolgeva in passato sul colle Maranese.

La stessa probabile etimologia del nome Marano, ha diverse correnti di pensiero. C'è chi vuole che derivi dalla contrazione dell'aggettivo mar(sic)ano, derivante a sua volta da i nomi Marsica e Marsi, un altro antico popolo Italico della Piana del Fucino, contemporaneo a quello degli Equi.

Chi lo vuole come conseguenza della presenza in loco, di una guarnigione di soldati provenienti da Marano di Napoli inviata della regina Vittoria. E chi invece lo vuole derivato dall'aggettivo cattolico mar(i)ano, per la spiccata devozione dei suoi abitanti verso la figura della Madonna.

In effetti la stessa chiesa Parrocchiale di Marano, attigua ai resti del castello medievale chiamato ora Rione Casteju, ha il titolo di Abbazia Benedettina di Santa Maria Assunta. Il Castello di Marano fu edificato intorno all'anno mille, sui resti dell'antico insediamento urbano Italico del popolo degli Equi.

Diventando nel tempo un possedimento di diversi casati e degli stessi monaci Benedettini, e che in un secondo momento fu ampliato apparentemente con un secondo castello perimetrale, chiamato per l'appunto Castello Aggiunto.

In più punti compaiono fregi di antichi casati come i Colonna e gli Orsini e stemmi religiosi, come quello dell'ordine Benedettino. Un castello degno di nota ai suoi tempi, riportato per giunta nella mappa della Marsica, nella galleria delle carte geografiche dei Musei Vaticani.

Anche l'Abbazia fu costruita ampliando e ristrutturando presumibilmente, i resti del vecchio insediamento urbano Italico degli Equi, subendo poi l'influenza nel tempo dei vari stili architettonici come quello Barocco.

Mentre i Patroni di Marano sono i Santi Giovanni e Paolo, i due fratelli di sangue romani convertitesi al cristianesimo, che furono martirizzati nel trecentosessantadue d.c. da Giuliano l'Apostata. Una vecchia tradizione popolare maranese, vuole che in tempi remoti dei viaggiatori stessero trasportando le reliquie dei due Santi, e durante il loro lungo tortuoso pellegrinaggio, fecero una sosta durante una fredda notte su l'altura di Marano.

Gli abitanti di quegli insediamenti di montagna, insospettiti dal fuoco acceso tra i boschi dai viaggiatori, andarono a controllare e resosi conto dell'importanza del loro viaggio, li accolsero ospitandoli e rifocillandoli. Questi in segno di riconoscenza, lasciarono ai primi maranesi parte delle reliquie che stavano trasportando, prima di riprendere il loro pellegrinaggio. reliquie che secondo la tradizione maranese, sono tutt'ora custodite nell'Abbazia Benedettina dentro un apposito reliquiario.

Ma oltre a questo racconto c'era anche un'antica leggenda, legata alla sosta notturna dei due pellegrini e delle reliquie che stavano trasportando. Una leggenda conosciuta da pochi, e tramandata con riserbo tra i monaci benedettini dell'Abbazia.

Tra i maranesi si sapeva che c'era anche qualcos'altro dietro a questa vicenda, gli anziani sapevano più di quanto dicevano. Ma ognuno aveva solo un stralcio della sua versione dei fatti tramandati dai loro antenati, quasi niente a cui dare veramente retta in effetti.

Senza che nessuno potesse immaginare, fino a che punto questa leggenda era considerata riservata da secoli, anche dalle alte sfere della Santa Romana Chiesa. Solo alcuni tra i prelati dell'Abbazia, che si susseguirono ai monaci benedettini sapevano la verità. La vera versione di quella remota vicenda, una verità scomoda che anche nello stato Vaticano, era riservata a una ristretta cerchia di persone oltre che alla successione Pontificia.

A Marano Alex trascorse una parte della sua infanzia e adolescenza. Qui vi trovò tutto quello che non poteva trovare a Roma, compreso quel rapporto con la natura e gli animali, con cui difficilmente si può entrare in contatto in una metropoli.

Vi tornò diverse volte anche da adulto, compresi quei momenti e quelle situazioni particolari, in cui sentiva che doveva ritrovare le energie perse. Lì su quel ermo colle in mezzo a un natura incontrastata, aveva l'impressione che riusciva a rinvigorirsi prima che in città.

Ne era pienamente consapevole fino al punto che diventò per lui, come una sorta di "rifugio sicuro". Non avrebbe mai immaginato, quello che sarebbe stato aperto e scatenato dentro di lui proprio lì, in una tempestosa e terribile notte di Ferragosto.

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