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Capitolo VI - Alba Fucens - (Prima Parte)

"Tempus fugit amor manet."
(Il tempo fugge l'amore rimane)

Lucio Anneo Seneca 4 a.C. - 65 d.C.


Elena stava preparando con calma la valigia nella sua camera da letto, quando sentì bussare alla porta d'ingresso di casa.

< Buongiorno Elena ti disturbo? Come va? Come ti senti oggi? >, chiese Alex cordialmente subito dopo che Elena gli apri la porta.

< Ciao Alex che piacere vederti! Questa mattina sto decisamente meglio ti ringrazio, stavo preparando le mie cose! >, gli rispose sorridente Elena.

< Allora partiamo tra due giorni se per te va bene! >, aggiunse Alex.

< Si si il prima possibile! Per me dopo domani è ok Alex! >, disse pacatamente Elena.

< Stavo pensando Elena... se oggi per caso ti andrebbe...di scendere giù insieme per farci un giro! Così per spezzare un po l'atmosfera pesante che si respira qui in paese. Ieri ci mancavano solo i lupi nei boschi qui intorno che diamine in piena estate poi! Sai ne avrei bisogno pure io di spaziare la mente altrove...>, disse Alex con difficoltà dopo un attimo d'esitante timidezza.

Elena ci pensò sommariamente un'instante, e poi gli rispose sorridendo benevolmente.

< È un'ottima idea Alex! Si facciamoci un giro nella Marsica! Una gita qui intorno è quello che ci vuole hai ragione! Guarda avrei anche in mente dove andare..se per te va bene ovviamente!?>.

< Davvero!? Grande Elena! Per me va bene tutto basta che oggi scendo da questo posto! Gli ultimi giorni sono stati davvero opprimenti qui a Marano! >, esclamò sorridendo Alex.

< Mi hanno detto che qui in zona c'è un bel sito archeologico, dove stanno portando alla luce i resti di un'antica città romana. Il sito si chiama Alba Fucens,sarebbe bello e divertente da vedere e visitare... se per te va bene naturalmente!? >, disse Elena ad Alex.

< Perfetto si ottima idea! Mi è sempre piaciuta la storia...aggiudicato dai! Vediamoci su l'Aia del Colle tra una mezz'ora, intanto vado a prendere la macchina in garage >, gli rispose entusiasta Alex.

< A dopo allora ciao ciao! >, disse dolcemente Elena mentre richiudeva delicatamente la porta.


Correva l'anno 304 a.C.

E nell'Italia Centrale alcune dispotiche popolazioni rurali stavano creando numerosi problemi a Roma, con le loro violente continue scorrerie e ribellioni armate.
I Marsi e gli Equi erano i due popoli Italici più numerosi e bellicosi dell'estesa Piana del Fucino, ed erano in guerra anche tra di loro per ragioni territoriali e culturali.

Livio stava arando il suo terreno, quando Lucio alle sue spalle lo chiamò concitatamente.

< Livio! O Livio Presto corri! Tua moglie Anna è stata rapita dai sacerdoti del tempio di Mommsen! Non abbiamo potuto fare niente! >.

Gli Equi erano pagani ed adoravano fermamente la loro divinità celeste Mommsan, a cui durante certe ricorrenze particolari dell'anno gli dedicavano anche dei brutali sacrifici umani.

Non di rado la guardia armata del tempio sconfinava nei villaggi confinanti dei Marsi, per catturare dei prigionieri da usare come schiavi ed anche alcuni come vittime sacrificali.

Livio spaventato gettò la vanga a terra, e di corsa si diresse verso casa con grande apprensione. Quando arrivò trovò l'abitazione incendiata, e i suoi animali risparmiati dalla razzia sparsi per i prati.

Si inginocchiò in lacrime in preda a un profondo sconforto, e urlò disperato al cielo dal dolore.

< Ci hanno assaliti questa mattina in ora tarda, erano venti soldati a cavallo supportati da trenta soldati di fanteria. Hanno ucciso la nostra gente, razziato le nostre case, e hanno fatto dei prigionieri. Hanno catturato spietatamente anche alcuni bambini quei maledetti! >, disse a mezza bocca sconsolato Lucio. Malcelando contritamente, il suo represso livore impotente per il truce accaduto.

< Dove si sono diretti? >, gli chiese a denti stretti Livio.

< Hanno preso direzione verso Albe, la loro perversa città-fortezza >, gli rispose Lucio rammaricato.
Livio si diresse verso il capanno degli attrezzi vicino la casa in fiamme, rovistò rumorosamente dentro, e poi uscì con in mano una vecchia spada.

< Sei impazzito!? Cosa pensi di fare da solo? Uccideranno anche te! >, gli disse allarmato alle spalle Lucio.

< Proverò a cercare Anna prima che portino i prigionieri al tempio sulla montagna. Se devo morire me ne porterò tanti con me, è una promessa amico mio!!>, gli rispose Livio fremente da capo a piedi di cieca  rabbia vendicativa.

< La legione Romana sta avanzando sempre di più, giorno dopo giorno, il nostro capo villaggio insieme agli altri anziani, hanno preso accordi con il console Sofo per far sopravvivere noi Marsi. Ma gli Equi hanno dichiarato guerra a Roma, e la Legione del console non avrà alcuna pietà con loro. Albe verrà rasa al suolo e tutti gli Equi sterminati...in ogni caso per Anna a per i prigionieri non c'è più alcuna speranza! >, disse con tono concitato Lucio.

I Romani erano soliti dire "NEC SINE MARSIS NE CONTRA MARSOS TRIUNPHARY POSSE" che tradotto significa "Non si può vincere ne senza i Marsi ne contro di essi". Una frase che rende molto bene l'idea del carattere fiero e indomito, delle genti autoctone di questi impervi territori montani. Di fatto gli stessi Legionari che li avevano affrontati in battaglia, li ritenevano come dei contadini guerrieri. Per questo motivo governativo i Romani strinsero un'alleanza militare di convenienza con i Marsi, con l'astuta strategia militare il nemico del mio nemico è mio amico, cercando così di riportare l'ordine nella tumultuosa Piana del Fucino con la forza armata.

< Sbagli! C'è sempre speranza! Gli Dei non ci abbandoneranno ne sono sicuro! >, gli rispose deciso Livio con furente livore. Prima di salire con frenetica baldanza sul suo cavallo.

< Buona fortuna amico mio! Ne avrai bisogno! >, disse sotto voce Lucio. Mentre guardava Livio, allontanarsi velocemente verso Albe.

Anna riusciva a malapena a camminare per via delle robuste catene di ferro, che la costringevano saldamente insieme agli altri poveri prigionieri. Era esausta e assetata ma in cuor suo sapeva che il suo Livio non l'avrebbe mai abbandonata, e questo gli dava forza d'animo e speranza. Sapeva chi erano i suoi rapitori, sapeva del tempio sulla montagna e dei sacrifici umani che vi venivano praticati.

Sapeva che cosa gli sarebbe capitato, ma Livio non l'avrebbe abbandonata da sola a questo atroce triste destino. Questa era una certezza, un'assoluta certezza per lei che gli faceva provare ancora trepidante speranza nel cuore.

Si erano conosciuti da giovani erano nati nello stesso villaggio, presto si innamorarono perdutamente l'uno dell'altro e così si sposarono felicemente.

Il loro era il vero amore, un amore profondo e sincero. Avevano deciso di avere dei figli, ma con loro grande dispiacere ancora non ci erano riusciti.

E adesso che la sua fine era vicina, non riusciva a pensare ad altro. Non poteva morire, non prima di aver partorito. Voleva dare con tutta se stessa dei figli maschi ed in salute a Livio, sarebbe stato un ottimo padre di questo ne era totalmente convinta. Si amavano troppo e sinceramente entrambi, gli Dei li avrebbero benedetti sicuramente con una numerosa prole.

Questo era il suo intenso pensiero fisso, mentre veniva frustata e strattonata con cattiveria dai suoi malvagi aguzzini.

< Muovetevi carogne! Ancora è tanta la strada da fare! >, gridò stizzito un soldato del tempio. Mentre frustava con cinica efferatezza i terrorizzati prigionieri inermi.

Passarono attorno alle città di Albe aggirando le sue possenti mura perimetrali, e si diressero verso il tempio di Mommsen sulla montagna eretto davanti al massiccio del Monte Velino.

< Mommsen vi gradirà come nostra reverente offerta, così ci proteggerà dagli invasori Romani >, disse urlando un soldato guardando di traverso negli occhi Anna.

Il tragitto era impervio e la strada dissestata, a fatica i prigionieri saldamente incatenati riuscivano a camminare agevolmente. I soldati aumentarono così il ritmo e la cadenza delle sferzate, per spronarli così nell'arduo cammimo avanti a loro.

Ad un tratto un bambino esausto inciampò nelle catene, e cadde piangendo bocconi per terra. Un soldato lo vide e ghignando malignamente, irritato gli si avvicinò spedito con la frusta stretta in mano.

Anna timorosa del peggio  abbracciò istintivamente subito il bambino, e gli fece coraggiosamente scudo con il suo esile corpo.

< Chi ti ha detto di aiutarlo stupida donna!? >, esclamò a voce alta il soldato. Mentre iniziò a frustare con rabbia l'indifesa Anna alle spalle.

Il dolore alla schiena era copioso e lancinante, ma la sua benevola coscienza gli impediva di lasciare quel povero bambino alla furia cieca di quell'inumano sgerro.

Il capo dei soldati del tempio si avvicinò lentamente ai tre, e bloccò di scatto la mano con la frusta del soldato.

< Fermati subito soldato! Non lo fare è un ordine. Non sciupare questa bella donna! Appartiene a Mommsen adesso...Non sozzare la sua offerta o te ne pentirai! >, disse a voce alta al suo subalterno. Dopo brevi sguardi di intesa gerarchica tra gli altri soldati, ripresero poi tutti lentamente l'estenuante cammino verso il tempio sulla montagna, con i prigionieri al barbaro giogo dei soldati sempre più stremati e sferzati.

Livio stava scrutando le tracce del drappello in marcia sull'umido terreno fangoso, quando si accorse che la carovana aveva aggirato la città di Albe, per poi dirigersi speditamente al tempio di Mommsen sulla montagna.

< Maledetti non mi sfuggirete! Mi riprenderò la mia Anna! >, esclamò furente Livio.

I legionari del console romano Publio Sempronio Sofo, avanzavano inarrestabili nel Latium Vetus il territorio natio degli Equi.

Qualsiasi insediamento Equo che incontravano sul loro cammino, veniva violentemente distrutto e gli abitanti sterminati dal primo all'ultimo.

< Mancano pochi chilometri alla città di Albe, fai tenere pronti gli uomini per l'assedio >, ordinò con perentoria autorevolezza il console Sofo al suo comandante in capo  della Legione.

< Attaccheremo anche il tempio sulla montagna Signore? >, chiese con fiera fermezza il comandante.

< Certo! Insieme ad Albe assedieremo il tempio. L'ordine è di distruggere tutto senza fare prigionieri, e di disperdere nella Piana i sopravvissuti. >, replicò con tono deciso il console. Guardando a sua volta con ferma sagacia militaresca, il comandante dritto negli occhi.

La legione romana era imponente e ben armata fino al denti, non avrebbe arrestato la sua inesorabile marcia per nessun motivo al mondo.

Gli ordini da Roma erano chiari e precisi, sterminare gli Equi senza pietà, e sopprimere con forza tutte le destabilizzanti ribellioni nella Piana del Fucino.

Il console Sofo non avrebbe fatto ritorno a Roma, senza eseguire diligentemente e alla lettera gli ordini. E anche se tutte le tribù degli Equi sparse per la Piana del Fucino, si fossero unite coraggiosamente in battaglia. Non avrebbero mai potuto tenere testa alla sua poderosa legione, composta da ferrigni guerrieri veterani votati all'estremo sacrificio se necessario. Il destino degli Equi era decisamente segnato, ed il console Sofo dentro di sé lo sapeva bene.

I soldati del tempio fecero mettere seduti i prigionieri, e si accamparono ai piedi del Monte Velino.

< Passeremo qui la notte! Domani arriveremo in tempo per la cerimonia >, disse il capo dei soldati ai suoi sottoposti.

I prigionieri erano stremati e incatenati saldamente l'uno a l'altro, nessuno di loro avrebbe tentato follemente la fuga.

Anna si accasciò su un fianco sfinita e provata, e si addormentò quasi subito mentre il suo pensiero era rivolto al suo amato lontano.

Livio si nascose di soppiatto dietro una frondosa quercia, e con furtiva circospezione guardò attentamente l'accampamento dei soldati del tempio. Molti dormivano beatamente mentre quattro sentinelle facevano la ronda, e la guardia a turno ai prigionieri.

< Finalmente li ho raggiunti! Sono arrivato appena in tempo! >, pensò a mente Livio. Mentre cercava di individuare Anna tra i prigionieri.

Ad un tratto intravide una sentinella avvicinarsi di soppiatto ai prigionieri, che con fare guardingo con circospezione si inginocchiò a terra levandosi lentamente l'elmo.

Anna si svegliò di soprassalto e vide la sentinella curva su di lei, che con sorriso viscido la stava osservando biecamente mentre dormiva.

< Però sei bella accidenti, è un peccato sacrificarti a Mammosen insieme agli altri bastardi! >, gli disse a voce bassa il soldato.

< Cosa vuoi? Lasciami stare! >, gli rispose tremando Anna.

< Penso proprio che mi divertirò con te lurida cagna! Prima di consegnarti ai sacerdoti! >, gli disse spietatamente la sentinella fissandola acutamente dall'alto.
Gli afferrò poi stretta la caviglia, mentre gli levò con decisione la catena dai piedi.

La prese ferma per un braccio alzandola di colpo, mentre gli mise con decisione una mano davanti alla bocca, per impedirgli di urlare e chiedere aiuto. Trascinandola al contempo con forza bruta, nella boscaglia tra le fratte buie li vicino.

Anna in preda al panico cercava di gridare per chiedere aiuto, ma la sua voce veniva soffocata dalla mano callosa del soldato che la faceva respirare appena. Arrivati in un posto appartato, il soldato gettò a terra Anna con invereconda spregiudicatezza.

< Qui non ci sentirà nessuno! Urla quanto vuoi sgualdrina! >, disse il soldato ridendo fragorosamente.

< Ti prego lasciami stare! Lasciami stare! >, disse Anna terrorizzata tra le lacrime singhiozzando.

Il soldato si era levato con cinica calma la pettorina in duro cuoio, rinforzata internamente con lamine di ferro battuto. Mentre iniziò a slacciarsi beatamente i pantaloni di setosa e scura canapa, quando la sua espressione cambiò di colpo. Rimase in piedi rigidamente sovrastando Anna, immobile e impassibile come una statua di marmo.

Anna sconcertata rimase attonita nel vedere una lunga lama, fuoriuscire improvvisamente dal petto del soldato. Con un gran spruzzo di sangue nell'aria, mentre piangeva spaventata e disperata.

< Muori maledetto muori! >, urlò Livio alle spalle dell'inerme soldato.

Mentre affondò con forza tutta la lama sbeccata della vecchia spada di suo padre, nella robusta schiena della sentinella trapassandola completamente.

Il soldato morì quasi all'instante senza riuscire ad emettere parola, rantolando solo debolmente il suo improvviso e atroce dolore al torace. Poi Livio sfilò di scatto la spada dalla sua schiena, facendolo cadere pesantemente a terra.

Anna non poteva credere ai suoi occhi, il suo Livio era li. L'aveva appena salvata, lo sapeva che non l'avrebbe abbandonata alla morte.

I due si abbracciarono stretti tra loro in lacrime di gioia, e si baciarono concitatamente con grande ed intensa passione amorosa.

< Anna ti ho ritrovata! Grazie al cielo sei viva! >, gli disse piangendo Livio. Mentre l'abbracciava stretta, e le baciava singhiozzando le morbide gote.

< Lo sapevo che mi avresti trovata, che mi avresti salvato...ne ero certa amore mio! >, gli sussurrò dolcemente all'orecchio Anna, tra le sue salate lacrime felici.

< Adesso dobbiamo andarcene da qui, di corsa! Prima che gli altri soldati se ne accorgano >, gli disse Livio agitato prendendola per mano con fermezza.

Così i due si incamminarono di soppiatto verso il cavallo legato di Livio, che si trovava vicino all'accampamento dei soldati del tempio.

< Presto sali Anna! >, disse Livio. Mentre l'aiutò a montare in groppa al destriero.

< Andiamo forza! >, disse Livio al cavallo agitando con forza le briglie.

< Non possiamo lasciare così gli altri prigionieri...ci sono anche dei bambini! >, disse con apprensione Anna dietro le spalle di Livio.

< Non possiamo fare niente per loro Anna! Possiamo solo pregare gli Dei,affinché allevino le loro sofferenze! >, gli rispose Livio con l'amaro in bocca.

Mentre stavano cavalcando speditamente di corsa, Livio sentì una lancinante fitta improvvisa dietro alla spalla sinistra, e perdendo bruscamente l'equilibrio cadde rovinosamente giù dalla sella.

Anna rimase in sella spaventata, e gridò < Livio! Livio! >.
Scese di corsa dal destriero e raggiunse ansiosa Livio, disteso inerme sul terreno. Lo rigirò su se stesso, e vide una freccia nera che gli aveva trapassato da parte a parte la spalla sinistra, con una copiosa perdita di sangue.

< Amore mio mi senti? Alzati ti prego dobbiamo andarcene subito! >, gli urlò a Livio. Il quale era ancora cosciente e dolorante.

Improvvisamente furono accerchiati furiosamente da dei soldati a cavallo, i quali gli puntarono dall'alto urlandogli contro le loro lunghe e possenti spade.

< Fermi maledetti non vi muovete! Vi abbiamo raggiunto finalmente! >, gridò uno dei soldati del tempio ai due terrorizzati amanti.

Livio era dolorante, e a mala pena riuscì a rimettersi in piedi aiutato a fatica da Anna.

< Lasciateci in pace per carità non abbiamo fatto niente! >, gridò disperato ai soldati Livio.

< Questo lo deciderà Mommsan! Avanti prendeteli e legateli con gli altri prigionieri >, disse il capo dei sodati del tempio ai suoi arrabbiati sottoposti.

< I sacerdoti decideranno la volontà del Dio e anche la vostra sorte! >, finì di dire sorridendo a mezza bocca malignamente.

Così Livio e Anna vennero incatenati agli altri prigionieri, e si misero tutti insieme lentamente in marcia verso la città di Albe, tornando così indietro sui loro passi precedenti.

Il capo dei soldati del tempio aveva deciso infine, che dovevano essere giudicati prima dagli anziani, e in caso la loro sarebbe stata un'esecuzione pubblica.

L'uccisione di un soldato del tempio prevedeva la morte secondo le loro severe leggi, dopo avrebbe condotto il resto dei prigionieri al tempio sulla montagna per la cerimonia sacrificale.

Dopo una marcia tortuosa ed estenuante, arrivarono tutti sfiniti e spronati pesantemente a frustate dai soldati, davanti all'imponente portale di legno e ferro della città di Albe.

Il portale si aprì lentamente cigolando, permettendo così alla carovana di entrare in città. Il capo dei soldati poi fece slegare dagli altri prigionieri Livio e Anna, e li condusse in catene dagli anziani. Mentre ordinò al suo secondo in grado, di scortare gli altri prigionieri al tempio sulla montagna dai sacerdoti.

Livio e Anna erano spaventati e immobilizzati, in ginocchio davanti agli anziani di Albe. I quali senza discuterne troppo tra loro, decisero infine che l'Arena sarebbe stata la giusta punizione per loro.

< Conduceteli nell'Arena, e chiamate a raccolta il popolo! Tutti devono vedere cosa succede a chi osa alzare la mano contro i soldati del tempio. Le loro vite appartengono a Mommsan e nessuno ha il diritto di prenderle se non Mommsan stesso! >, sentenziò a voce alta e severa Proximo, il capo degli anziani di Albe.

Le sentenze di morte nell'Arena erano particolari ad Albe, veniva concessa una tenue possibilità di salvezza ai malcapitati condannati. Ma non era una forma di magnanima clemenza, bensì era più uno spettacolo visivo che fungeva da monito per il popolo.

Livio e Anna vennero separati dai soldati, e furono condotti a forza in due celle diverse dentro l'Arena. Mentre i cittadini di Albe riempivano celermente le gradinate, mettendosi seduti con gran vociare chiassoso.

Le sentenze di morte nell'Arena suscitavano sempre grande interesse al popolo, il quale pretendeva giustizia attraverso degli spettacoli truci e violenti. Per placare così in questo modo, anche la sua grande e primitiva sete di sangue.

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