Capitolo IV - Akibeel -
"E il Signore, poi, disse a Raffaele: Lega Azazel mani e piedi e ponilo nella tenebra, spalanca il deserto che e in Dudael e ponilo colà. E ponigli sopra pietre tonde ed aguzze e
coprilo di tenebra! E stia colà in eterno e coprigli il viso a che non veda la luce!
E, nel grande giorno del giudizio, sia mandato al fuoco!"
Libro dei Vigilanti di Enoch 4-5
< Lo sento in me è qui! Azazel è tornato! Ci ha chiamato a se...Il nostro momento tanto atteso è giunto! >, disse sagacemente compiaciuta Akibeel. Guardando in alto tra i fitti rami frondosi degli alberi, mentre camminava lesta con disinvolta furtività nel bosco che circonda Marano.
Aveva un lungo e setoso mantello nero con cappuccio, da cui fuoriuscivano mosse ciocche di capelli di un candido color grano, che incantevoli riflettevano dorate la tiepida soffusa luce del crepuscolo.
Mentre camminava a piedi scalzi con passo spedito e leggiadro tra gli arbusti degli anfratti, con le pieghe del mantello che facevano intravedere durante la sua spettrale marcia, delle lunghe e affusolate gambe color bianco latteo di una bellissima ed erotica pelle molto cangiante.
Anche le sue mani vezzose che scostavano di tanto in tanto le fratte, erano di quella vellutata epidermide lattiginosa innaturale, con unghie delicate leggermente lunghe e conturbanti.
Il volto era semi coperto dal cappuccio, di cui si intravedevano solo la bocca sinuosa con labbra carnose e bei lineamenti del mento minuto.
Alle sue spalle era seguita di pari passo da misteriose ombre nere inquietanti, che avanzavano minacciosamente con lei nella boscaglia avvolgente.
Ad un tratto la fitta vegetazione del promontorio si diradò, lasciando intravedere l'arroccato borgo medievale maranese dall'alto.
Akibeel si fermò troneggiante su quel rupestre passo di montagna, sovrastando con il suo freddo e cinico sguardo le vecchie case rurali del paese.
Dietro di lei uscirono alternati passivamente dalla sterpaglia, dei grossi e famelici lupi mannari dal manto scuro circondandola completamente, con fare marcatamente protettivo e sottomessa complicità predatoria di branco.
Il loro arcigni protuberanti occhi erano di un rosso vermiglio acceso, ed il loro bestiale corpo era sorretto da possenti zampe artigliate taglienti come rasoi. Con lunghe zanne sporgenti e acuminate che digrignavano ferocemente, serrando le loro tremende fauci da infernali fiere rabbiose.
Da un cespuglio di more lì vicino, subito dopo uscì un uomo di grande stazza e dall'aspetto trasandato, che si avvicinò con fare sinistro anch'egli al bordo dell'alto piano.
< Vieni Armaros il momento è giunto! >, gli disse decisa con fare compiaciuto Akibeel scoprendosi delicatamente il capo.
Aveva due intense e ipnotiche iridi azzurro chiaro ed un sorriso marcatamente ammaliante, mentre si era voltata ammiccando sottilmente seducente verso l'uomo.
< Certo mia signora! Ai tuoi ordini! >, gli rispose fedelmente Armaros. Inclinando il capo leggermente verso il basso, in segno di palese subordinata ubbidienza gerarchica.
< La fine degli uomini è giunta! Inizierà da qui dove abbiamo ricevuto il nostro severo castigo! > esclamò a voce piena e sadica Akibeel.
< Avanti Armaros gettiamoli nell'Abisso questi inutili mortali! Lì voglio vedere tutti soffrire disperandosi! >, finì di dire malignamente il demone strega Akibeel. Seguito da una sua acuta e stridula risata gutturale prolungata.
Alex spense la fiamma del pentolino dell'acqua calda la versò in una tazza, e ci mise in infusione un filtro di Camomilla Bonomelli.
< Cinque minuti ed è pronta! >, disse a Elena. Seduta in disparte vicino al camino nella cucina di Alex.
Elena era visibilmente ancora sotto schoK, il suo sguardo era vacuamente perso nel vuoto e rispose assente ad Alex annuendo leggermente con il capo.
Alex gli si avvicinò con apprensione inginocchiandosi lentamente davanti a lei, e gli prese con premurosa gentilezza le mani.
< Elena come ti senti? Stai bene? Ti ho portato a casa mia perché ti ho visto sconvolta . Ti sto facendo una camomilla, vedrai che ti farà bene! >, gli disse con fare amichevole Alex.
Elena riprese a tratti un parziale contatto con la realtà, e guardò con intensità emotiva negli occhi Alex.
< Tu credi Alex? >, gli chiese Elena con atteggiamento spaesato.
< Bhe ecco io...io...credo si! Credo in qualcuno o qualcosa a noi superiore questo si! Ma non credo ai preti...buona parte di loro sono fin troppo umani! >, gli rispose Alex. Dopo un attimo di circospetta esitazione, abbozzando un sorriso leggermente sarcastico alla fine per sdrammatizzare.
< Io prima non credevo, poi mi sono successe delle cose nella vita, cose non comuni che mi hanno fatto cambiare idea su tutto! > , gli rispose confidenzialmente Elena. Con un rivolo di calde lacrime salate, che gli solcava lentamente le gote fino ai lati della bocca.
< In chiesa è successo qualcosa ieri notte qualcosa di soprannaturale io credo. Ci vuole una grande cattiveria per concepire quell'orrore, una cattiveria maligna! >, finì di dire Elena guardando sempre fisso Alex negli occhi.
< E anche tanta forza fisica per ridurre la Chiesa in quello stato! >, aggiunse aleatorio Alex.
< Se come dicono i Carabinieri forse c'erano anche altre persone, come hanno fatto a sparire senza lasciare traccia alcuna? >, chiese evasivo e cogitabondo Alex ad Elena.
Mentre aveva levato dalla tazza il filtro della camomilla, e glie la porgeva garbatamente.
Elena prese la tazza tra le mani e cominciò a sorseggiare piano la Camomilla calda, mentre Alex afferrò una sedia e si mise accanto a lei davanti il camino.
< È la statuetta della Madonna che ha pianto sangue davanti a tutti, che mi lascia davvero senza parole! Non so che spiegazione razionale dargli! Non può essere stato un semplice trucco scenico! Troppo complicato da architettare e mettere in pratica! Ma se è vero...di certo non è di buon auspicio diamine! >, disse preoccupato Alex guardando poi il soffitto con fare assorto.
< La Madonna piange per noi è per quello che è successo in chiesa ieri notte! È disumano e crudele come hanno ridotto Don Sebastiano e quelle persone. >, gli rispose agitata Elena. Con lo sguardo nuovamente assente e perso nel vuoto.
< Casa tua e vicinissima alla Chiesa. Non hai sentito o visto niente di strano ieri notte Elena? >, gli chiese con educata curiosità Alex.
< No niente! Davvero non ho vosto e sentito niente! E tu hai sentito per caso qualcosa dalla tua camera da letto? >, gli rispose lei di rimando.
Guardandolo profondamente con i suoi profondi occhi chiari verde smeraldo.
< Niente di niente! L'altra sera sono andato a dormire presto e mi sono svegliato direttamente questa mattina. Ricordo solo vagamente alcuni spezzoni di un cavolo di sogno che ho fatto che stranamente riguardava la chiesa, ora che ci penso...ma niente di importante credo! >. Disse sconfortato Alex. Mentre accese con calma una Rothmans, che si era messo in bocca mentre rispondeva.
Era la sua marca di sigarette preferita, la migliore secondo lui per gusto, morbidezza, e intensità di aroma del Tabacco essiccato.
< Gli anziani del paese dicono che è stato il Maligno a ridurre la Chiesa così! E io sono propensa a pensare la stessa cosa...>, affermò sotto voce e con circospezione Elena.
Alex non rispose, continuò a fumare dubbioso e pensieroso la sua sigaretta.
< Hai avvertito poi i tuoi genitori a Roma? >, gli chiese tra una boccata di caldo fumo aspirato ed un altra.
< Ancora no! Non so che o coda dirgli! Non vorrei spaventarli. Dovevano venire questo fine settimana a prendermi, per poi ripartire tutti insieme. Ma forse non gli dico niente per ora, prenderò il treno ad Avezzano per tornare a Roma >, rispose Elena.
< Ma scherzi!? Ti riporto a Roma io! Anche io devo ripartire questa settimana. Poi ci mettiamo d'accordo >, gli disse con tono deciso e cordiale Alex.
< Grazie! Adesso vado a casa, cercherò di dormire un po, non mi sento tanto bene >, disse estenuata infine Elena.
< Ok riposati, la festa di questa sera è stata naturalmente annullata! Staranno tutti a casa loro in paese. In effetti oggi non c'è davvero niente da festeggiare qui a Marano! Qualsiasi cosa chiamami non esitare! >, gli rispose Alex mentre l'accompagnò gentilmente alla porta di ingresso.
Entrambi uscirono così di casa rimanendo ancora turbati, nel vedere la statuetta della Madonna sul muro della chiesa sporca di sangue.
Sulla piazza c'erano ancora della persone anziane inginocchiate, che pregavano devotamente con il rosario in mano.
I Carabinieri avevano transennato Piazza Castejo, e L'appuntato Terenzi si stava dando da fare per tenere a bada evasivamente, un'invadente giornalista di Raitrè con la sua troupe della redazione regionale Abruzzese.
La quale imperterrita tentava insistentemente di avvicinarsi alla Chiesa, mentre faceva domande a ripetizione ai Carabinieri e ai frastornati Maranesi disorientati sulla piazza.
< Mi pareva strano che ancora non si era fatta viva la televisione! >, esclamò sarcasticamente Alex.
< Ciao allora e grazie della Camomilla ci vediamo >, disse Elena mentre si avviò lentamente verso casa sua.
< Di niente chiamami per qualsiasi cosa! Ciao Elena >, gli rispose premuroso Alex.
Compare Gigetto era uno dei pochi maranesi rimasti di una certa età, che ancora coltivava assiduamente la sua terra ereditata dai genitori.
Aveva un cospicuo fazzoletto di terreno fertile chiamato "u Puzzigliu" a Guardapiano, la parte più alta e boscosa del colle maranese.
Aveva passato gli ultimi due giorni nel suo orto, dormendo nel capanno degli attrezzi. Era completamente ignaro di quello che era successo in paese la notte scorsa, e mentre stava scalzando dal terreno le patate guardò il suo orologio.
< Le sette in punto accidente quando è tardi! E meglio che mi avviea verso casta..massera alla festa ci voglio andare pulitu! >, disse tra se è se Gigetto.
Così radunò gli attrezzi e li ripose nel capanno, poi prese il sacco con le patate e si avviò verso casa in paese.
Imboccò la stretta mulattiera di Tezio che da Guardapiano conduce giu a Marano, una stradina sterrata ripida e stretta con molte fratte ai lati.
Compare Gigetto la stava percorrendo mentre canticchiava, quando all'improvviso sentì muoversi bruscamente dei cespugli nella boscaglia.
Gigetto pensò immediatamente a un cinghiale solitario, mettendosi così lentamente sulla difensiva. Ma in quel concitato frangente, sentì altri rumori di fratte smosse tutto in torno a lui.
< Accidente ma quanti ne sono!? >, esclamò con voce bassa Gigetto.
Improvvisamente sentì ringhiare intorno a lui, con i rumori di cespugli smossi sempre più vicino.
< Per la Madonna sono lupe! In questa stagione..come è possibile? >, esclamò con timoroso stupore il contadino.
Ma mentre si stava guardando intorno con ansiosa apprensione, dei grossi lupi mannari uscirono dalla boscaglia e lo circondarono famelici ringhiandogli contro .
Gigetto spalancò gli occhi, e rimase completamente paralizzato dal profondo terrore.
< I Mannare! >, esclamò con un filo di voce tremula.
Da un fitto cespuglio alla sua destra, lentamente uscì fuori un grosso lupo mannaro dal pelo grigio chiaro.
Mentre gli altri lupi mannari tutti dal vello nero, come lo videro si ammansirono all'instante e si misero così guardinghi in ordine sparso, intorno all'indifeso Gigetto tenendolo sempre di mira.
Il grosso lupo grigio si avvicinò a Gigetto rizzandosi minacciosamente in piedi, sulle sue robuste e possenti zampe posteriori.
Il contadino era completamente impietrito dal terrore, e si urinò penosamente addosso per la grande tensione nervosa.
Il mannaro in posizione eretta era spaventoso e gigantesco nei suoi due metri e mezzo di altezza, i suoi affilati artigli erano lunghi e ricurvi, mentre le sue zanne possenti digrignavano ferocemente tra la schiumosa bava che gli fuoriusciva copiosa ai lati dalle fauci.
Il grosso lupo mannaro grigio, dopo averlo guardato malignamente con i suoi tremendi occhi rosso fuoco, si rimise giù a quattro zampe e lentamente si diresse verso il cespuglio da dove era uscito.
Poi si fermò di scatto girandosi verso gli altri lupi, ed improvvisamente emise un'acuto e prolungato ululato in direzione del bagliore lunare alto nel cielo.
Gli altri lupi risposero assumendo subitamente un atteggiamento offensivo, con tanto di sinistri ringhi rabbiosi e inquietanti famelici versi, mentre accerchiarono di colpo minacciosamente il contadino.
Quattro lupi mannari saltarono velocemente addosso a Gigetto azzannandolo con estrema ferocia, seguiti subito dopo furiosamente da tutto il resto del famelico branco infernale.
Le urla strazianti di atroce dolore del contadino, vennero soffocate ed attutite dalla fitta vegetazione del bosco, mentre i mannari lo sbranarono vivo efferatamente in pochi truculenti attimi convulsi.
Avevano una grande ferocia predatoria dominata da puro istinto omicida, e tra alcuni di essi si attaccavano forasticamente anche tra loro, mentre si contendevano con le possenti mandibole serrate i succulenti pezzi del corpo dilaniato del povero Gigetto.
Finito il loro truce e macabro pasto umano, i mannari si misero ad ululare tutti insieme alla notte facendo riecheggiare nella valle i loro inquietanti versi selvatici, tra i fitti boschi tutt'intorno al colle maranese.
La signora Concetta rimase di ghiaccio nella sua casa sull'Aia del Colle, sentendo l'eco profondo di quei sonori ululati giunti fino in paese.
< Lupe!? Lupe ad Agosto incredibile! Neanche in Inverno si avvicinano così tanto alle caste! >, disse sconcertata ed intimorita al marito Concetta.
Il quale era rimasto interdetto anche lui, da quegli inquietanti ululati riecheggianti nella vallata.
< None non sono lupe Concè...Mannare! Quissi sono Lupe Mannare per la Madonna! Ainate chiudi subito tutte le porte e la finestre di casta! Tra poco è notte e i Mannare gireranno affamati qui in paese! >,
esclamò concitatamente alla moglie Antonio, il marito di Concetta.
La loro unica figlia Cristina scese di corsa la scala di legno interna della casa, ed entrò agitata in camera da pranzo avvicinandosi sconvolta ai genitori.
< Papà! Mamma! che sta succedendo ancora in questo maledetto paese!? >, disse schioccata con ansiosa apprensione Cristina.
< Statte calma, dentro casta semo al sicuro. Aiuta mammota a chiudere bene porte e finestre, forza ainate! >, disse Antonio con perentoria fermezza alla terrorizzata figlia.
Le due donne iniziarono così a chiudere velocemente tutta la casa, mentre Antonio prese dalla credenza del soggiorno il suo fucile da caccia.
Era un luccicante Beretta 695 a canna lunga, che l'uomo iniziò prontamente a caricare con munizioni a pallettoni calibro 12.
Concetta chiuse tutte le finestre e sprangò la porta d'ingresso, poi salì frettolosamente al piano superiore per mettere in sicurezza le camere da letto.
Mentre stava chiudendo i vetri della finestra del bagno, Concetta intravide una strana figura non ben definita tra le strette fessure delle persiane.
Così si accostò con gli occhi alle imposte per vedere meglio, e quello che vide la sconcertò nel profondo dell'anima.
In strada davanti alla porta d'ingresso della casa, c'era una strana donna con in dosso solo un mantello nero con cappuccio, che stava lentamente sviando dalla proprietà allontanandosi con fare sinistro e furtivo.
Improvvisamente quella donna si fermò sui suoi passi, e di scatto voltò il suo sguardo in direzione di Concetta nascosta dietro la persiane.
Concetta distolse di scatto spaventata lo sguardo dalle fessure degli infissi, appoggiandosi poi profondamente turbata con la schiena sul muro del bagno.
< O signore mio aiutaci tine! Chi sono quessi mmaleditti che ci perseguitano!? >, disse Concetta tra se e se in preda al panico.
Poi si fece coraggio e sbirciò di nuovo dalle persiane, ma stavolta non vide niente solo oscurità.
Quella strega maledetta era sparita nel nulla tra le tenebre, mentre in lontananza si udivano ancora gli ululati di quelle terribili creature infernali.
Antonio salì deciso al piano superiore intimando a Concetta e a Cristina di tranquillizzarsi, e di andare subito a dormire spegnendo tutte le luci della casa. Lui invece avrebbe fatto attentamente la guardia con il fucile in mano tutta la notte per proteggerle.
Il Sole sorse raggiante alto nel cielo in fretta, e la sua candida luce diradò le tenebre rese spettrali da quegli inquietanti ululati, che riecheggiarono sonoramente tutta la notte nella vallata intorno Marano.
Antonio si svegliò di soprassalto, alzandosi dalla poltrona dove si era addormentato involontariamente.
Sbirciò con circospetto timore dalla finestra, e vide il sole illuminare gaiamente ogni cosa. Quella terribile notte era finita, e loro grazie a Dio erano riusciti a superarla indenni e incolumi.
Così Antonio svegliò bruscamente Concetta, e gli disse di preparare subito la colazione perché era in preda a una fame nervosa non indifferente.
Antonio aveva cercato di mantenere la calma e la ragione, cercando di tenere per quanto possibile la situazione sotto controllo, ma adesso che la sua tensione nervosa era scemata si sentiva spossato e affamato.
Concetta si vestì e preparò la colazione al marito e alle figlia, la quale che stava ancora dormendo nella sua camera.
Antonio dopo aver mangiato a sazietà, andò a coricarsi sul letto per riposare le sue provate membra, mentre Concetta con il vassoio della colazione in mano salì le scale avviandosi verso le camera di Cristina.
Concetta bussò con la mano libera la porta della camera da letto della figlia, ma non sentì nessuna risposta.
Allora aprì la porta ed entrò piano nella camera ma la scioccante scena che gli si parò davanti all'improvviso, la fece cadere scompostamente all'indietro sul pavimento rovesciando a terra rumorosamente il vassoio con tutta la colazione.
Si spaventò a morte lanciando in preda alla disperazione un'acuto urlo di terrore, mentre in terra sul pavimento allibita guardava tremando Cristina, che era aggrappata di schiena spettralmente in modo innaturale tra il soffitto e il muro del suo letto.
Cristina aveva un espressione agghiacciante e spaventosa in volto e mentre sbavava digrignando i denti, si muoveva a scatti sul soffitto come in preda a degli spasmi acuti indotti da forti convulsioni miocloniche.
Antonio attirato dalle urla deliranti delle moglie si precipitò di soprassalto subitamente in camera della figlia, e rimase completamente sconvolto anch'egli da quella orrenda possessione demoniaca di fronte a loro.
D'istinto richiuse con forza la porta della camera di Cristina, e agitato rialzò da terra la moglie.
< Dobbiamo andare in chiesa, dobbiamo dirlo a Don Giacomo subito >, disse tremante il marito alla moglie.
Antonio uscì frettolosamente di casa, seguito ansiosamente alle sue spalle da Concetta.
< Ainate presto ti prego! A figlieta serve aiuto! >, gli supplicò con angoscia la donna.
Ma mentre stava scendendo i gradini del portico, notò qualcosa di strano dietro la porta di casa.
Così richiuse lentamente la porta di ingresso, e i due si ritrovarono davanti una specie di sinistro feticcio esoterico penzolante, fatto con dei bastoncini di legno marciti intrecciati tra loro fissati con del fango secco. Appeso appositamente da qualcuno sullo stipide del portone, con del crine nero di cavallo ripugnante e inquietante a guardarsi.
< È stata la strega! Quia mmaleditta! L'ho vista ieri notte che si aggirava intorno alle casta . Ha fattù la fattura a nostra figlia! >, disse ad alta voce ed in lacrime Concetta.
< Mio Dio aiutace tine! >, esclamò interdetto e sconcertato Antonio. Mentre devotamente si fece ansimando il segno della croce.
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