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Capitolo I - L'apertura del Quarto Sigillo - (Prima Parte)

"Quando l'Agnello aprì il Quarto Sigillo,

udii la voce del quarto essere vivente che diceva:

< Vieni >

Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro.

Colui che lo cavalcava si chiamava Morte

e gli veniva dietro l'Inferno.

Fu dato loro potere sopra la quarta parte della Terra

per sterminare con la spada, con la fame, con la peste

e con le fiere della Terra"

Apocalisse di Giovanni 6, 7-8

Già da lungo tedioso tempo il Mondo globalizzato degli uomini stava attraversando con estenuante difficoltà, un'avversa e confusa epoca di disordini etici e morali contemporanei. Conclamatesi in vere e proprie metastasi culturali di decadentismo sociopedagogico, il quale ha portato drasticamente i più a odiare e disprezzare se stessi e l'intera umanità.

Un'epoca storica pesantemente destabilizzata, dalla sofferta e capillare lotta incondizionata al terrorismo internazionale. Meschinamente scatenato nelle grandi capitali e nelle principali metropoli urbane, tramite degli efferati ed indiscriminati attentati suicidi dinamitardi tra i malcapitati cittadini inermi.

Delle frastornate ed intimorite democrazie occidentali rese palesemente succubi nel reagire, da questa radicata politica ideologizzata del terrore. Spietatamente imposta senza alcuno scrupolo ai vari governi sovrani nazionali, da queste collegate e largamente imprevedibili atroci stragi di civili innocenti.

Un'epoca questa corrente davvero critica e tristemente segnata nella sostanza inoltre, negli'ultimi suoi fattuali cupi giorni. Dalle restrittive misure sanitarie di contenimento globali, imposte coattamente delle autorità a milioni di cittadini riottosi, dai loro legittimi governi sovrani nazionali. Con l'intento perentorio di fare disperatamente un fronte sanitario comune, cercando in questo modo di contenere il più possibile il susseguirsi di alcune pericolose, e ricorrenti nuove epidemie virali endemiche.

Delle misteriose epidemie quest'ultime caratterizzate da un alto indice delle numerose varianti genetiche dei ceppi virali, e dall'ampio raggio prospettico di diffusione patogena planetaria. Di cui alcune evolutesi anche nel loro così imprevedibile decorso infettivo, in forme pandemiche ancora più contagiose e letali. Rendendo miseramente così vane ed inefficaci tutte le procedure epidemiologiche standard, con le relative terapie mediche attualmente previste e adottate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Tempi duri questi descritti epocalmente contraddistinti come se non bastasse, anche da molte marcate e persistenti vicissitudini economico-sociali comunitarie. Aggravatesi diffusamente nei vari stati sovrani con latenti timori reconditi ben radicati e manifesti, tra la maggior parte delle loro inquiete e disorientate popolazioni civili.

Quasi totalmente abbandonate dalle così palesemente inadeguate classi politiche, alla completa mercé di loro stesse. Ed in balia dell'annoso susseguirsi di quei preoccupanti eventi di cronaca quotidiani, sfociati improvvisamente nell'ampio quadro del teso panorama geopolitico internazionale.

Con molti gravosi fronti bellici aperti a scacchiera in più punti sparsi nel globo, esasperando così nelle provate popolazioni degli animi già stanchi e sofferenti. Le remote e velleitarie speranze per un futuro prossimo più roseo per l'umanità apparivano ai più vane e lontane, rispetto a quella preoccupante nuda e cruda attuale realtà così socialmente esacerbata e politicamente esautorata.

In parte mal presagite anche dai preoccupanti recenti e repentini cambiamenti climatici, dai distruttivi eventi catastrofici naturali. Quest'ultimi attualmente sempre più frequenti, nella loro disastrosa ed imprevedibile casistica accidentale. Non riconducibili scientificamente ed imputabili esclusivamente del tutto, alla cinica e predatoria azione economica-politica planetaria per lo più sconsideratamente avida dell'uomo moderno.

L'apprensivo e recondito sentore di molti, era che il peggio probabilmente dovesse ancora realmente accadere e verificarsi nel breve tempo a seguire. Delle tensioni internazionali molto simili a quelle venutesi a creare, in concomitanza dei due grandi ed efferati conflitti mondiali dello scorso XIX secolo.

Ed infatti tutta questa confusa e travagliata situazione generale, si rivelò essere solo in seguito per l'intera umanità. L'angusta anticamera e l'infausto preambolo delle tenebre oscure, e della distruzione totale assoluta del suo estremo prossimo orizzonte.

Fu la fatidica sera del temporalesco quattordici Agosto del duemiladiciassette, quando tutto quello che era stato anticamente predestinato, ad essere aperto e scatenato dentro un comune essere mortale. Fu eseguito con una sincronicizzata correlazione di eventi ultraterreni, ad egli totalmente inconsapevole e del tutto inaspettata. Un pesante nonché doloroso fardello emotivo di sua eterna dannazione spirituale, inconsciamente da lui accettato alla nascita per la gioia dei pochi e il terrore dei tanti.


Alex si trovava nella sua casa estiva di famiglia in montagna a Marano dei Marsi in Abruzzo, situata nel vecchio rione Piazza Castejo di questo pittoresco borgo medievale italiano, e suggestivo valico di montagna. Precisamente ubicata sulla centrale piazza del paese, ed esattamente di fronte all'antica Abbazia Benedettina di Santa Maria Assunta.

Già da  molti anni e a sua totale insaputa, tutto si stava sincronicizzando attorno a lui come in alto così in basso. Proprio come stava accadendo anche questa precisa notte, mentre stava dormendo ignaro nel suo letto immerso in un sonno molto profondo e agitato.

C'era un continuo scrosciare di pioggia proveniente soffusamente dall'esterno, ed il cupo buio della camera da letto veniva parzialmente illuminato a intermittenza, dalla ritmica cadenza temporalesca dei fulmini nel cielo.

Una vera e propria tempesta atmosferica, si stava abbattendo impietosamente sui paesi della Marsica Abruzzese. In questa parte d'Abruzzo, come anche in altre regioni montuose italiane, i repentini cambiamenti climatici possono essere improvvisi e frequenti, anche nell'afosa e torrida stagione estiva.

Dove si possono verificare abbondanti e forti precipitazioni sporadiche, come solitamente accade in quella invernale. Ma la perturbazione che stava imperversando era assai insolita nel suo genere di fuori stagione, e di un'entità temporalesca particolarmente violenta.

Era notte inoltrata ma l'immensa volta celeste appariva come condensata da delle tetre e grandi coltrose nubi, dal colore di fondo  di un nero molto intenso e con tenui sfumature di un lugubre grigioverde. Si poteva quasi definire apparentemente senza esagerare, come un'oscura e misterica atmosfera spettrale nell'aria. Un'ancestrale tenebra decisamente sinistra e particolare la caratterizzava, non quella consueta di una qualunque e normale precipitazione notturna di montagna.

Inoltre questo strano fronte nuvoloso che copriva densamente le alte cime del Velino Sirente, era anche saturo di una grande energia elettrostatica. C'erano vistosi bagliori di fulmini che si concentravano per poi diramarsi tra loro, come lunghe ed esili mani scheletriche nel tetro cielo bioluminescente.

Quei forti bagliori dalla loro ritmica sequenza intermittente, illuminavano quasi a giorno le strade e le abitazioni dei paesi sottostanti. Con saette che si scaricavano violentemente al suolo, tra i folti boschi della valle e sui parafulmini dei centri abitati. Provocando dei sonori tuoni che ridondavano profondamente con grande eco nella notte, tra le ampie distese pianeggianti e i frastagliati monti della Marsica.

L'abbondante quantità d'acqua che stava precipitando veniva scagliata al suolo dalle forti e ululanti raffiche di vento nell'aria, sui tetti spioventi e le facciate adorne delle case. Mentre su alcune vie secondarie scrosciavano quasi dei veri e propri corsi d'acqua, per via delle loro ripide pendenze morfologiche montane.

Era una perturbazione atmosferica molto imponente e decisamente anomala, visto e considerando che ci si trovava in piena Estate per giunta. La quale incessante  si era  metereologicamente concentrata territorialmente, su quella zona geografica per lo più rurale e agricola della Marsica Abruzzese chiamata Valle Del Salto.

Ma anche se stava ampiamente interessando molti paesi limitrofi tra loro, il vero centrale occhio di questo particolare ciclone estivo, dava stranamente come l'impressione di trovarsi esattamente allineato sopra il Colle Maranese.

La massima concentrazione elettrostatica dei fulmini, il soffiare acuto del vento, e la buia intensità maggiore di quella misteriosa oscurità spettrale. Sembrava che nascessero esattamente proprio da lì, per poi propagarsi vorticosamente in tutta la vallata circostante.

Don Sebastiano un attempato frate francescano, e da molti anni or sono parroco dell'Abbazia di Marano. Stava dormendo anch'egli in camera da letto nella sacrestia recentemente ristrutturata, e precisamente adiacente alla chiesa.

Quando una saetta fu attratta dal vecchio parafulmine arrugginito, sul tetto spiovente dell'Abbazia. Scaricando con la messa a terra la sua grande energia elettrostatica, e provocando un forte tuono che riecheggiò molto fragorosamente, e con una sonora profonda ridondanza nella distesa buia vallata.

Don Sebastiano si svegliò di soprassalto allarmato, come successe anche a molti maranesi e ad altri abitanti dei paesi vicino. Istintivamente guardò la sveglia sul comodino accanto al suo letto, e vide che erano da poco passate le tre di notte, dell'ormai quasi prima mattina di quel fatidico Ferragosto.

Ma mentre dopo aver visto l'imperversare di quel forte temporale, la maggior parte delle persone si rimise subito a dormire, Don Sebastiano rimasto alquanto inquietato nell'animo, non riuscì a riprendere più sonno realmente. Così decise di vestirsi e di ultimare gli ultimi preparativi per le festività patronali, che si sarebbero svolte giubilanti in paese di li a poche ore.

A Marano in questo sentito e atteso giorno di festa, oltre alla santa messa di Ferragosto, si annovera anche l'antica tradizione popolare della processione liturgica. La quale sfila tutti gli anni con numerosa partecipazione dei maranesi e con composta solennità religiosa, per le caratteristiche vie selciate dei suggestivi vicoli medievali del paese.

In cui vengono portate in spalla e in adorante devota ostensione pubblica, su degli appositi piedistalli di legno con assi, le statue votive dei Santi Patroni di Marano Giovanni e Paolo, della Madonna delle Grazie, e di altri Santi della religione Cattolica venerati per lo più da tutti gli Abruzzesi.

Una vetusta tradizione culturale e religiosa maranese, accompagnata da sempre anche con bande musicali comunali al suo seguito. Mentre in tarda serata si sarebbero svolti i tipici festeggiamenti di Ferragosto, comuni un po in tutti i numerosi paesi della Marsica e nelle regioni italiane in generale.

Con le performance dal vivo delle giovani band e complessi musicali locali, golose sagre enogastronomiche con i prodotti agroalimentari tipici del posto, diversi giochi ludici e manifestazioni culturali a tema, suntuosi spettacoli pirotecnici, e con il folcloristico e tradizionale spettacolo finale dell'antico "Ballo della Pantasima".

Il Ballo della Pantasima è un pittoresco ballo di gruppo e una remota usanza d'Abruzzo, come anche di altre regioni italiane. Con diverse varianti negli usi e dei costumi, prevalentemente del centro e sud Italia. Un curioso miscuglio di arcaiche credenze pagane, e d'ingenua superstizione popolare dall'anima profondamente contadina.

Che consiste nel far ballare vivacemente a tempo di musica e a turno, tra i partecipanti di questo ballo folcloristico. Un pupazzo conico e cavo all'interno dalla struttura leggera di alluminio rivestito esternamente con variopinta cartapesta, e dall'aspetto spiccatamente femminile.

Con degli scoppiettanti fuochi artificiali colorati posizionati alle sue estremità, dall'accensione alternata della programmata sequenza pirotecnica.

Il Ballo della Pantasima è una vecchia tradizione dell'identità abruzzese, e dello spirito agricolo intrinseco a questa zona rurale di montagna. Che in tempi molto remoti aveva il provvidenziale potere disinfestante con il suo benefico influsso protettivo, secondo la superstiziosa credenza dei contadini del tempo.

Di scacciare provvidamente gli spiriti maligni e le perfide streghe dalle case e  dai campi coltivati, preservando così le loro amate famiglie e i loro preziosi raccolti vitali stagionali.

Da qui il nome Pantasima in dialetto abruzzese derivante in parte dalla parola "Fantasma"dall'italiano, ed in parte dalla parola dialettale"Pantafa". Dove per Pantafa si intende quella manifestazione onirica e femminile, diffusa nell'immaginario collettivo dell'antica cultura popolare degli Abruzzi.

Una spaventosa manifestazione paranormale di tipo demoniaca, secondo la vecchia leggenda marsicana. Capace di disturbare e di molestare telecineticamente il malcapitato dormiente la notte, inducendogli a volte anche delle inquietanti paralisi motorie da panico sensoriale. Durante il suo travagliato riposo onirico inconscio, assorbendone così parte della sua energia biologica vitale.

Attualmente il Ballo della Pantasima oggi è più uno spettacolo puramente ludico, destinato principalmente alla visione e al diletto dei bambini. E per non far perdere nella notte dei tempi, dagli attuali maranesi organizzatori delle festività estive, le arcaiche usanze contadine e religiose tipiche di questa ridente località rurale montana.

https://youtu.be/bWSjC6gDLKc

C'era ancora da ultimare l'addobbo floreale interno della chiesa, e rivedere gli ultimi importanti dettagli cerimoniali delle funzioni liturgiche in programma a Ferragosto. Così Don Sebastiano decise di fare colazione, per poi mettersi diligentemente subito a lavoro. Sperando in cuor suo che quel brutto temporale notturno così violento, lasciasse poi nella mattinata seguente il posto a una ridente giornata di sole estivo. Per poter celebrare così con gaia devozione pastorale e tranquillità climatica, le tanto attese e sentite festività patronali maranesi.

Don Sebastiano non poteva immaginare neanche nell'anticamera della sua arguta ed avveduta psiche, che invece il violento imperversare di quella misterica tempesta atmosferica notturna. Fosse solo purtroppo il sinistro infausto preambolo, delle tenebre più oscure e della vera malvagità assoluta. Che in realtà stavano sopraggiungendo celermente e inesorabilmente, per attanagliare in una letale morsa infernale proprio il borgo di Marano, e da lì poi il Mondo intero tutto.


Lungo l'itinerante strada provinciale SR578 denominata Cicolanain parte parallela all'autostrada A24 Roma-L'Aquila. Un furgone bianco panna di immatricolazione datata, decisamente rallentato dalla dirompente cadenza piovana di quel nubifragio, aveva appena svoltato bruscamente al bivio per Marano esattamente all'altezza del chilometro cinquanta.

Per poi imboccare speditamente la tortuosa strada comunale che conduce su al paese, il quale è situato a quota mille metri sul livello del mare. Era un vecchio e mal ridotto Iveco Turbo Daily II del 98', che sotto quella vera e propria tempesta atmosferica, arrancava lentamente mentre saliva i ripidi tornati scroscianti d'acqua che conducono in cima al Colle Maranese.

< Ma guarda ti che cazzu d'acqua sta venenno loco abbàlle esso! Merda propriu massera! Nun se vede nente per la Madonna!...e guarda ti che furmini te pozzano accie! >, disse Luzio rabbiosamente in ostico dialetto stretto Abruzzese.
Mentre guidava nervoso e spazientito il furgone, strofinando affannosamente con il suo avambraccio destro l'interno condensato del parabrezza. Cercando così di spannarlo il più possibile, per aumentarne almeno in parte così la scarsa visuale esterna notturna.

< Pe mi è meju acuscine massera strunzu. Acuscine forse nun ci sente nisciun'atro! E na vota tantu forse rescemo a fa na toccata e fuga de nascostu! Speranno che nisciuno ce vè a rompe i cujuni adderete. Senza acuscine natru mmalidìttu eroe su la coscienza! >, gli rispose per le rime e con falsa calma suo fratello maggiore Esteno.

Seduto con perentoria rude fermezza al suo fianco nell'Iveco, mentre spegneva la sigaretta nel posa cenere del cruscotto con aria grave e severa. Scambiandosi per un attimo nel serioso frangente colloquiale, un  complice sguardo d'intesa criminale con Luzio. Per poi ritornare ad osservare di nuovo ed in silenzio, la tortuosa ripida strada che si intravedeva appena percorrendola, per via di quel forte e anomalo acquazzone notturno fuori stagione.

Luzio rimase assorto tra i suoi confusi e scellerati pensieri per pochi lunghi secondi mentre guardava incuriosito Esteno di profilo, poi si voltò dritto avanti a lui nella direzione di guida abbozzando un leggero ghigno compiaciuto in volto.

< Mmm scine è lu vero cazzu, a quesso non ce era pensato Estè..teni ragione fra! Acoscine massera forse ci rimane siccu solo gliù prete se fa lo strunzo! > , esclamò sarcasticamente Luzio.

< È nu frate no nu prete! >, aggiunse Esteno. Sempre con aria severa, e senza neanche degnarlo di uno sguardo.

< Prete!? Frate!? Che cazzu vò che menne frega a mine fra!? Che cazzu cambia? Però teni ragione quessa dannata pioggia forse è utile massera! >, gli rispose Luzio. Continuando a guidare speditamente, e leccandosi gli angoli della bocca con la punta della lingua.

Mentre con le dita della mano destra svitò frettolosamente il tappo della bottiglia di Jack Daniel's, che teneva stretta tra le sue esili cosce. Facendolo cadere ai suoi piedi nell'abitacolo per poi tracannarsi avidamente e tutto d'un fiato, l'ultimo abbondante goccio di caldo whisky rimasto nella bottiglia.

< I non tengo bisognu della ragione tea! Sonu sempre state tante le cose che ti nun pensi! Proprio come ce dicea quel fottutu di patrimu! Pace alla sua porca anima addu se trova a mone! >, gli rispose Esteno. Con un lieve sorriso ironico a mezza bocca, mentre guardava impassibile la buia strada scoscesa che si stagliava via via davanti a loro.

< Ehi a proposito di strunzi eroi! Ti ricordi u vecchiu  fottutu di que la vota? >, esordì Luzio sorridendo beffardo per cambiare discorso. Toccando al contempo sul petto Esteno con la bottiglia vuota. in preda a una goliardica euforia criminosa sociopatica.

< A quiu vecchiu strunzo di quella casta isolata!? Quella che ci semu fatti anni fa vicinu agliu Burgu! Addò ci siamu ritrovati po chella bella vagliona tra le mano! Guai a vu se tocchete a fijeta mmalidìtti cani ce dicette gliu padre! Bang Bang neju pettu! E acoscine ammone via n'atru fottuto eroe da mezzo li cujuni! Perone eh chissà si quea bella moretta se sarria recordata ancora de noautri eh Este? Io te ico che quella vota sicuro sé nnammorata de mi a uagliona! Eh scine come no stavo propriu in forma quella sera atru chè! >, aggiunse sadicamente Luzio a voce piena.

Ridendo istericamente a mezza bocca con sguaiato sadismo intellettuale, sgranando poi i suoi biechi occhi colmi di sadica perversione psichiatrica. Mentre aprì allo stesso tempo seduta stante il suo finestrino laterale, gettando subito dopo selvaggiamente la bottiglia vuota fuori dal furgone in corsa.
La quale esplose subito come toccò il duro asfalto nero, frantumandosi così in mille pezzi con gran rumore di vetri rotti nella notte.

E anche se lo aveva aperto per poi richiuderlo subito con scaltra lestezza, questo non aveva impedito a far entrare nell'abitacolo dell'Iveco una forte folata di vento e acqua. Che investì leggermente di striscio lui e poi in piena faccia Esteno, lasciandolo di sasso così interdetto e sbigottito sul sedile del passeggero.

Il quale dopo un attimo di allibito sconcerto spiazzante, si voltò bruscamente di scatto verso il fratello alla guida, fissandolo paonazzo in viso con gli occhi accecati da una latente ira funesta. Mentre un giubilante Luzio guidava ignaro e disinvolto, ridendo tra se e se sempre con bieca sconsiderata efferatezza.

< Ma che cazzu te ice la coccia brutto fottuto? Si arruata la buttiglia pe la strada cazzu la si scocciata! Perchene lo si fattu per la Madonna!? >, gli urlò malamente Esteno contro guardandolo con gli occhi di fuori dalle orbite. Dopo un attimo di perplessità e guardandolo a tratti negli occhi, Luzio gli rispose sfacciatamente sarcastico con suo fratello.

< E' quissu u problema Esté. è sempre statu quissu u problema tì Cristo santu! >, disse tergiversando e sghignazzando Luzio.

< Come dicea sempre mammota! Si troppu 'ncazzusu ti 'ncazzi pe ogni futtuta costa fra! Acoscine nu jiornu ti scoppierà lu core, se prima nun crepi de cirrosi co lo fegatu vedrai! Rilassate, chi cazzu vo che ce sentea quaggiù co stu mmalidittu diluviu? Statte calmu frategliu mine damme retta! Pensa invece a tutti i quatrini dell'Abbazia che aspettenu solu a noiautri massera! >, finì di dire infine Luzio. Guardandolo giubilante di traverso insieme alla strada avanti a lui, dopo avergli dato con il dorso della mano destra un colpetto di incoraggiamento fraterno sulla spalla sinistra.

Esteno totalmente in preda a un improvviso e inverecondo impeto furioso, lo prese violentemente di scatto al volo per il collo quasi strozzandolo. E se lo portò rabbiosamente vicino alla sua torva faccia contrita, mosso a tanta spietata accidia da un vero cogente raptus isterico improvviso .

Mentre Luzio afferrato concitatamente così di sorpresa e all'improvviso, arrestò convulsamente il furgone sotto la pioggia frenando bruscamente mandando in panne il motore. E inerme rantolava disorientato e soffocante, guardandolo timorosamente in quei suoi fulminanti profondi occhi neri così rancorosi.

< Si solo nu fottutu tossico per Dio! I nun lavoru a cuscine te pozzano accoppane! Se dopu mentre ricalemu buchea le rote di notte sottu quest'acqua Cristo...Ti facciu vedere ine accome mi rilassu bruttu inutile pezzu di merda! Quei cazzu di vetri li ingoglierai unu per unu! Te li ficco tutti giù in canna vedrai! Mmalledittu jetterai sanghe fino a che nun schiatti garantitu! >, sbraitò furiosamente Esteno in faccia all'intimorito e inerme Luzio.

Mentre lo stava strangolando con la sua callosa mano destra, al quale si erano gonfiati gli occhi e rantolava violaceo in volto per la spasmodica mancanza d'aria. Sbattendolo poi alla fine e con violenza sul sedile del guidatore quasi semi svenuto, mollando finalmente così quella soffocante presa mortale sul suo scarnito flebile collo.

Luzio ci impiegò qualche sofferto secondo senza fiato, per riprendersi da quel brutale strangolamento improvviso. Mentre tossiva convulsamente con la lingua di fuori, toccandosi dolorante la carotide con entrambe le mani tremebonde.

Erano poche le cose che riuscivano a spaventarlo davvero nella vita, ma mai come quelle volte quando si ritrovava davanti suo fratello fuori di se. Non aveva mai visto nessun altro oltre a lui, mettergli così tanta paura nel cuore come Esteno arrabbiato.

Poi lentamente mortificato innestò la prima marcia, dopo aver riavviato il motore turbo diesel. E l'Iveco bianco riprese così a salire furtivamente, su per i ripidi tornanti lungo la tortuosa salita di Marano.

Ci fu un breve imbarzzato silenzio nell'abitacolo del furgone, prima che riprendesse la conversazione tra i due. In cui Esteno serioso tirò fuori la sua pistola per controllarla, era una Beretta 98FS nera semiautomatica, con caricatore monofilare da quindici colpi calibro nove millimetri.

Esteno la azionò tirando all'indietro il carrello-otturatore scarrellandolo, caricando così il colpo in canna. Per avere l'arma in questo modo preventivamente pronta all'uso, in caso di estrema e malaugurata necessità. Poi inserì la sicura automatica al percussore, e la ripose di nuovo nella fondina ascellare. Ben nascosta sotto la sua logora giacca marrone, in finta pelle bovina da buon mercato.

< Scusame Estè. i veramente nun ce avea pensatu credime. È che vedi stea ripensà a quia baldracca eee... ma none nun succederà massera tranquiju! Ci farò attenzione quannu dopo ricalemu loco abballe. Vedrai mi ricordo a do la so scocciata! Addò la so arruata loco abballe. Statte tranquiju! >, disse Luzio con voce tremante e guardandolo a stento in volto. Mentre Esteno indifferente, aveva lo sguardo torvo dritto a loro colmo d'ira.

< Tranquiju statte tranquiju dici tine! E' propriu la strunzata inutile che dicea sempre mammota a patrimu ta recourdi?! Anche quannu issa era gravida de tine e nun avevamu nu cazzu da mangnare. Perchè era glitu tuttu a puttane! Statte tranquiju Alvaro mine, gli dicea da dietru le sbarre! Tranquiju! Eppure guarda che saccu di merda gli ha messo al lu munnu! Neanche se te avea cacatu cazzu! Come se già nun bastasse tuttu lu restu! Patrimu ha fattu bene po a spaccaglie la coccia a mammota quannu è uscitu di galera! >, gli rispose gravemente Esteno. Guardandolo alla fine dritto negli occhi, con un fare spietato e assassino.

< Ehhhh scine so capitu fra! Se patrimu avea dei dubbi su de mine cu tine stea sicuru! Sete sempre stati fatti dellu stessu velenu per Dio! >, aggiunse scoraggiato e con un filo di voce Luzio.

Mentre erano appena entrati finalmente a Marano superando il cartello in legno di benvenuto del paese, sempre sotto quel tremendo e incessante nubifragio notturno.

Nessuno si accorse tra i maranesi assopiti nelle loro case, di quel losco Iveco bianco Turbo Daily appena giunto in paese. Che si stava aggirando per i stretti vicoli del borgo medievale, procedendo lentamente con cauta accortezza.

Il quale finì il suo sospetto itinerario notturno, parcheggiandosi proprio al centro del paese. E precisamente sotto la sua vetusta Abbazia Benedettina di Santa Maria Assunta.

L'orologio digitale del furgone segnava le tre e  trenta in punto, e qualsiasi altro rumore in questa sincronica notte veniva coperto dall'imperversare del temporale. Neanche Don Sebastiano da sveglio e indaffarato nella sacrestia, sentì l'improvviso arrivo del Turbo Daily di Esteno e Luzio.

Che si parcheggiò prontamente proprio lì davanti, spegnendo così il borbottante motore turbo diesel sonoramente scarburato. Dopo aver fatto prima in retromarcia una prudente manovra evasiva per la successiva lesta fuga di ritorno, ed esattamente nei pressi limitrofi adiacenti all'Are Sante.

L'Are Sante è l'antico orto-giardino sottostante alla sacrestia, facente parte sempre del complesso medievale dell'Abbazia Benedettina Maranese. Ed anch'esso è adornato con oggetti sacri d'antiquariato di ricercato valore culturale ed economico, esattamente come gli sfarzosi interni vetusti della Chiesa barocca maranese.

< Forza pò! Datte subitu sta cosa e ainamose! Che tra poche ore stu cazzu de paese, sarà pienu de strunzi in giru vestiti a festa! >, esclamò al fratello perentorio Esteno. Mentre si era voltato lateralmente a mezzo busto, verso un Luzio colto così alla sprovvista da una gradita ed inaspettata sorpresa.

Al quale con frenetica impazienza nevrotica gli porgeva scaltramente di soppiatto la mano sinistra, in cui teneva una banconota da dieci euro arrotolata ben salda  tra il pollice e l'indice.

Porgendogli subitamente di seguito anche la mano destra, in cui invece reggeva al contempo la custodia di un vecchio CD dei Guns N' Roses. Con sopra in bella vista per i due dissennati fratelli seduti nell'abitacolo del furgone, un paio di larghe e lunghe strisce di cocaina parallelamente allineate tra loro.

Che Esteno aveva frettolosamente preparato per entrambi senza alcun ritegno vizioso, mentre Luzio era intento a parcheggiare cautamente e con vigile circospezione il furgone. Facendolo come una sorta di rito criminale e bandito espressamente con intento scaramantico, e dalla finalità principalmente di buon auspicio. Ovvero un desiderato buon lavoro criminoso per il loro ricco e ambizioso colpo all'Abbazia Maranese, di quella loro tanto agognata e meticolosamente pianificata notte razziatrice.

Era un lesto e cinico lavoretto da furto con scasso quello che avevano furbescamente architettato da mesi, studiandolo attentamente in tutti i suoi sorditi e spietati dettagli strategico operativi. 

Un lavoretto facile e poco impegnativo credevano in cuor loro, che se fosse andato fortunatamente tutto a buon fine come da pianificazione, allora stavolta si sarebbero finalmente sistemati economicamente per molto tempo a venire.

< Ahhh scine fra! Ce vulea propiu massera na beja cusetta! acuscine si che ragiunemo e che cazzu! Pone co l'impruvvisate tocca esse seri e veluci neju lavuru no!? >, gli rispose euforicamente voglioso di droga Luzio.

Tirando su immediatamente con il naso adunco attraverso la banconota arrotolata, e in parte infilata nella sua avvezza alla pratica dello sniffo narice destra. Una delle due grandi strisce sulla custodia del CD, di quella fine e sbrilluccicante polverina granulosa biancastra. Dal deciso sentore olfattivo marcatamente acido ed amarognolo alle papille gustative, nonché particolarmente abrasiva per le delicate mucose della cavità nasale.

< Cazzù frà che bona sta cosa! Accidente addò la si presa per la Madonna! >. Esclamò visibilmente sovraeccitato Luzio. Ridandogli subito dopo scosso ed appagato il CD con i soldi ad Esteno, per fargli fare così ad anch'egli la stessa medesima cosa.

Esteno fu ancora più rapido e spudorato di suo fratello minore, nello sniffare di colpo dopo di lui con un secco verso nasale. La sua massiccia dose propiziatoria di quella coca dal così forte ed immediato effetto narcotico psicotropo, per via della sua elevata percentuale del grado di purezza durante il confezionamento dello stupefacente.

Una vera chicca di una qualità superiore e non di facie reperibilità nelle solite piazze di spaccio, del capillare giro del narcotraffico locale. Da assumere con accortezza e preferibilmente in compagnia, per celebrare al meglio le grandi occasioni della vita e lavorative. Pensò con malsana ilarità tra se e se Esteno pienamente soddisfatto, mentre leccò avidamente anche i residui di cocaina rimasti attaccati alla custodia del CD. Sentendo subito dopo la lingua e la gola irrigidirsi intorpidendosi rapidamente, rendendo difficile così la deglutizione anche della normale salivazione.

Poi si infilarono frettolosamente dei k-way scuri con capuccio, e scesero di scatto dall'Iveco sotto la pioggia battente. Con dei sacchi di juta e la borsa a tracolla in robusto cuoio, con dentro gli indispensabili utensili del loro criminoso mestiere. Mentre impugnarono con decisione dei lunghi ferri neri contundenti da scasso, con un patos emotivo visibilmente alterato dallo stupefacente appena assunto, davvero poco edificante e rassicurante alla vista.

Scavalcarono velocemente la bassa ringhiera verde che delimita perimetralmente l'accesso a l'Are Sante, cominciando subito dopo a forzare la serratura del vecchio cancello d'ingresso in ferro battuto.

Il forte temporale copriva i rumori e le loro volgari imprecazioni, mentre il buio pesto della notte li rendeva quasi invisibili alla vista. Non ci volle tanto per rompere la serratura e aprirlo, così in poco tempo riuscirono ad entrare furtivamente nel giardino sottostante dell'Abbazia.

E mentre i due dissennati fratelli si stavano aggirando di soppiatto nell'ampio giardino dell'Are Sante, cercando attentamente la porta d'accesso comunicante con la sacrestia per la loro criminosa irruzione in chiesa. Alex nella casa esattamente di fronte all'Abbazia si dimenava nervosamente nel letto, sempre totalmente così immerso in quel suo sonno profondo e agitato.

Era tutto vagamente molto confuso e sfuggente, si trovava in una stanza semibuia e non ben definita. Mentre stava facendo piacevolmente del sesso, con una bellissima e procace donna sconosciuta dai mossi capelli rossi.

Ma non erano proprio da soli in quella complice intimità fisica travolgente. Intorno a loro non scorgeva nitidamente nessuno nell'oscurità. Eppure Alex istintivamente percepiva lievemente come delle strane presenze, in quel loro arcano ed eccitato frangente copulativo.

Sentiva provenire dalle tenebre tutt'intorno dei perversi versi concitati, che li incitavano veemente nell'amplesso.

Il coito anche per via di quella coinvolgente atmosfera surreale e di quel fuorviante inveire intorno a loro, era diventato passionalmente sempre più selvaggio e violento.

Si stavano stringendo nervosamente entrambi mentre si mordevano il collo e si graffiavano la schiena a vicenda, cambiando di continuo così le posizioni sul pavimento.

Dal dolore fisico e corporale ne stavano traendo un'intenso piacere erotico, esattamente come stavano facendo con loro quelle indefinite presenze lussuriose, che li osservavano di nascosto e gli inveivano contro. Quell'iniziale semplice sesso fino a se stesso, era ora  brutalmente sfociato in una vera e propria rude violenza carnale.

Alex adesso la stava possedendo in piedi e da dietro, imponendogli forzatamente un estremo e violento rapporto anale. Mentre gli stringeva tra le mani con sempre più eccitata tensione erotica, i suo prorompenti turgidi seni.

Ancora più veloce e di sfrenato impeto, mentre lei gemeva così pesantemente sottomessa e da lui sodomizzata. Dimenandosi convulsamente sofferente, da quel lacerante e sfrenato amplesso sessuale deviato.
La sua faccia era contrita e rigata da lacrime di dolore, mentre i suoi acuti singhiozzati lamenti riecheggiavano distinti nella cupa stanza.

Più lei soffriva e più Alex sentiva lussuriosamente dentro di lui, che ne traeva un sempre più intenso appagamento sessuale. Esattamente come stavano provando attraverso le loro nude spoglie mortali, quegli invisibili ed eterei ignoti spettatori.

Entrambi raggiunsero un'intenso orgasmo nello stesso preciso istante, al culmine di quell'animalesco rapporto sessuale disinibito misto a marcata sofferenza fisica.

Coinvolgendo telecineticamente in quell'apice di selvaggia emanazione bioenergetica, irradiata dai loro corpi profusamente nella stanza, anche quelle strane e veementi presenze paranormali tutt'intorno. Estasiandole profondamente nell'animo abietto, della loro spettrale essenza psicocinetica demoniaca.

D'un tratto quelle insistenti voci distorte cessarono di inveire, e la situazione imprevedibile mutò improvvisamente.

Alex sentì il corpo nudo di quella donna raffreddarsi rapidamente tra le sue mani, mentre la cingeva saldamente alle spalle. Allora la voltò lentamente verso di lui, e quello che vide fu sconcertante!

Quella sconosciuta e bellissima donna, si era inspiegabilmente trasformata in una grande e impersonale bambola. Fatta di lurida pezza e viscidi bottoni, dal colore marrone chiaro sporco.

Si ritrovò scioccato tra le mani come una specie di sinistro feticcio voodoo, dall'aspetto vagamente femminile ed inquietante!

Il pensiero raggelante nella sua interdetta mente, di aver fornicato poco prima con quella ripugnante cosa inanimata.

Non fece in tempo a balenargli chiaramente in mente, che si ritrovò inerme e legato con delle cinte di cuoio su un freddo tavolo di marmo scuro.

Intorno a lui apparvero dalla tenebra dei pallidi volti spettrali, che avevano davvero poco di umano. Erano facce sinistre molto cattive piene di macchie nere lievemente circolari, anche intorno ai loro grandi occhi rosso vermiglio.

Lo stavano fissando biecamente dei visi perfidi, con sguardo diabolico e dal ghigno sadicamente maligno.

Alex inquieto provò a liberarsi dimenandosi con forza, ma le cinte di cuoio erano strette a morte quasi stritolandogli i polsi e le caviglie. Quando quei perversi esseri lo morsero rabbiosamente e con estrema ferocia tutti insieme all'improvviso, con le loro immonde bocche affondando i denti aguzzi in più punti nel suo immobilizzato ed indifeso nudo corpo.

Facendogli provare così sulla sua epidermiide, il tagliente e penetrante dolore delle zanne affilate, dei feroci predatori in agguato. Che affondano con forza in profondità dolorosamente, nella tenera e succulenta carne viva di un'indifesa preda sopraffatta.

Urlò dal dolore in preda al panico, e quei misteriosi volti mentre lo fissavano intensamente con odio compiaciuto. Iniziarono a leccargli con la punta della loro lunga e gelida lingua, il suo saporito sangue che gli fuoriusciva copiosamente, schizzando a gran fiotti dai buchi profondi di quei morsi famelici.

Le sue strazianti grida accorate erano di dolore misto a terrore. Ed erano in parte coperte dalle sadiche risate compiaciute, e dagli'avulsi versi striduli di quei inquietanti oscuri esseri soprannaturali.

Poi tutto svanì nel nulla in un rallentato interminabile istante. Sfumando in un nero tetro e profondo, con le sue concitate urla disperate che si persero dissolvendosi soffuse in lontananza.

Don Sebastiano si inginocchiò con fare reverenziale davanti alla pala barocca dell'altare maggiore dedicata all'Assunta, subito dopo essere entrato nella chiesa dalla capiente sacrestia adiacente.

La pioggia di fuori era ancora incessante, e i sinistri bagliori dei fulmini filtravano intermittenti dalle vetrate.

Diede una controllata in più punti per vedere se era tutto pulito ed in ordine, iniziando poi ad ultimare l'addobbo interno della chiesa con i fiori donati dai suoi parrocchiani per le festività.

Poggiò un vaso di splendidi gigli per terra vicino alle statue dei Santi Patroni Giovanni e Paolo, già pronte come le altre sui piedistalli di legno per la processione liturgica.

Rialzandosi si fece il segno della croce guardandole, poi si voltò e si allontanò lentamente per continuare celermente i preparativi.

Ma mentre procedeva nella navata centrale, gli occhi dipinti delle statue dei Santi Patroni d'improvviso si animarono inquietantemente. E si mossero debolmente di lato seguendolo pietosamente, con un fisso sguardo cereo dietro di lui.

Mise altri fiori vicino ai banchi, sull'altare maggiore, e sugli altri sei altari laterali. Poi si fermò inginocchiandosi davanti alla statua della Madonna delle Grazie, e a capo chino e mani giunte recitò delle preghiere sottovoce.

Finite le orazioni si fece il segno della croce e devotamente baciò i piedi della statua mariana, per poi andare a prendere altri ornamenti in sacrestia. Seguito alle sue ignare spalle dagli occhi azzurri dipinti della statua della Madonna.

I quali si mossero animandosi arcanamente anch'essi, seguendolo fisso di dietro con uno sconcertante sguardo silente e profondo. Esattamente come quello catatonico di prima delle statue dei Santi Patroni.

Ma mentre stava camminando verso il grande portale, udì come un strano battito d'ali provenire dall'alto. Don Sebastiano si fermò e guardò in su incuriosito tra le alte capriate in legno del soffitto, ma non scorse nulla di particolare.

< Forse un colombo entrato chissà come! > pensò a voce alta. Continuando poi i preparativi, per ultimare così l'addobbo della chiesa.

Nel frattempo sempre sotto quel diluvio Esteno e Luzio nell'Are Sante avevano finalmente individuato la porta d'accesso alla sacrestia, ed avevano iniziato subitamente a forzarla con un piede di porco arrugginito.

< Ainate per Dio! Quantu cazzu te ci vole!? >, esclamò nervosamente Esteno sgrondante acqua da capo a piedi.

< Essu so quasi fattu! >, replicò agitato e sotto sforzo Luzio. Mentre forzava imperterrito la vecchia porta di legno.

Alex era sudato e si muoveva convulsamente nel letto, mentre si lamentava in continuazione nel suo sonno inquieto. La pioggia di fuori era sempre più incessante, poi accadde tutto in pochi intensi convulsi attimi. Di colpo smise di agitarsi per poi rimanere completamente bloccato motorialmente in posizione supina, e totalmente semi cosciente nel letto.

Era come sprofondato in uno stato sensoriale alterato di dormiveglia. Anche volendo non riusciva a muoversi e parlare, ma poteva percepire i rumori del temporale e i bagliori dei fulmini anche con gli occhi chiusi.

Gli erano già capitate in passato queste improvvise e strane paralisi nel sonno, tutte abbastanza sconcertanti per giunta, ma stavolta era decisamente la peggiore. Decisamente!

Questa precisa notte stava avvertendo anche un'altra cosa, molto più intensa e percettibile rispetto alle altre volte. Era più che sicuro di avvertire anche qualcos'altro, insieme a lui vicino al suo letto.

Quello strano stato sensoriale alterato  di concitata allerta emotiva a lui molto familiare tra il conscio e l'inconscio durante un dormiveglia notturno, non era mai stato così intenso e terrificante.

C'era sicuramente qualcuno o qualcosa lì con lui nella stanza, che fisicamente non si poteva percepire appieno a parte la sua grande e sconcertante malvagità.

Un'astratta forza negativa così potente della quale bastava solo percepire la sua presenza, per sprofondare in un baratro di paralizzante puro terrore.

Solo palesandosi sarebbe stata in grado di annichilire nella profonda disperazione anche un'intero esercito di coraggiosi guerrieri, per quanto era efferata ed intensa la sua estrema crudeltà.

Alex era totalmente paralizzato nel suo letto in quel gelido terrore. Fu pervaso da una ansiosa paura indicibile e da un gran freddo provocato anche dal suo sudore, che gli si asciugò umidamente addosso all'istante.

Era un gelo molto penetrante e pungente, paragonabile a quello che si potrebbe avvertire in mezzo ad un ghiacciaio.

Di colpo quella terrificante presenza al suo fianco sparì nel nulla, esattamente come si era palesata inizialmente.

Ma sparì all'instante anche tutto il resto che poteva percepire sensorialmente poco prima. Come il rumore del temporale, il freddo tagliente, e i bagliori provocati dai fulmini.

Fu avvolto completamente come da una densa dimensione oscura, di nera tenebra e di silenzio assoluto. Un silenzio totale accompagnato solo da quel caratteristico fischio nei timpani, appena percettibile in totale assenza di suoni.

Alex rimase immerso in questa muta oscurità per pochi concisi attimi, prima di sprofondare nuovamente in uno stato di puro acuto terrore subcosciente.

Quell'oscura presenza si manifestò a lui di nuovo all'improvviso, ancora più potente e crudele di prima. Non più al suo fianco stavolta ma si palesò di scatto dall'alto verso di lui, impattando all'istante contro la sua fronte come in un furioso scontro testa a testa.

Ebbe una truce impressione di un volto gelido che premeva contro la sua fronte digrignando nervosamente i denti, come se volesse entrare con la forza dentro la sua testa sfondandogli il cranio.

Alex in preda a quella immobilità di totale panico, era inerme e indifeso in balia di cotanta sconsiderata ferocia. Sconvolto voleva urlare per la paura e chiedere aiuto, ma la sua voce era come se gli si soffocasse profondamente in gola, non riuscendo ad emettere neanche una disperata parola.

Nello sconcerto più totale e nell'angoscia più profonda, istintivamente iniziò a recitare a mente un'Ave Maria.

La stessa preghiera cattolica, che recitata mentalmente già in passato durante quelle strane paralisi nel sonno. Apparentemente riusciva ad abbreviare e attenuare, quegli incomprensibili momenti così terrificanti e sconcertanti.

L'entità iniziò a ringhiare con rabbia come infastidita dalla preghiera, esercitando ancora più pressione sulla sua fronte apparentemente come a tono di sfida. Alex stava provando adesso un dolore molto acuto alla testa, oltre a un'indicibile inquietudine.

Ma come finì di recitare mentalmente la preghiera, sentì quel freddo volto maligno allontanarsi rancorosamente dalla sua fronte. Con un lamento rabbioso, che sparì in lontananza nella camera.

Alex rimase inerme sempre in preda a quello sconcertante dormiveglia alterato, paralizzato e spaventato supino nel suo letto. Mentre all'esterno il temporale stava aumentando d'intensità sempre più.

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