Capitolo uno: Premonizioni di una giornata di primavera
Era una calda mattinata di inizio primavera, il vento soffiava tranquillo accarezzando i rami dei pochi alberi che si trovavano nella periferia e in lontananza si poteva quasi udire il lento rumoreggiare dell'oceano. Acuni animali randagi si erano appisolati sotto i tetti delle stalle abbandonate e sulle strade, quel giorno molto trafficate, mentre venivano irradiate dai primi raggi solari, che pari a fari nella notte, indicavano il sentiero rovinato. Il profumo di terriccio bagnato fuoriusciva dai campi aridi che circondavano Mimica, essi si estendevano a vista d'occhio, coperti dall'ombra emessa da Alastore, che come ogni giorno troneggiava misteriosa su quel mondo abbandonato da Dio. Le grandi e grigie case popolari, dove erano ammassate centinaia di famiglie, venivano illuminate dai raggi dell'alba scarlatta e i volti scarni di alcuni bambini curiosi si affacciavano dalle finestre per appendere grandi striscioni in vista di quell'unica giornata di festa concessa a loro.
In quel posto sperduto e disumanizzante tutti attendevano solo quell'unico giorno all'anno, il solo momento in cui era permesso loro di poter sperare e immaginare un futuro diverso in un luogo migliore, pregando in silenzio di ottenere nuovamente il titolo di persone.
Ma, come ogni buona favola ci insegna, bisogna stare sempre molto attenti a ciò che si desidera, perchè spesso la realtà trasforma i nostri sogni in incubi e tra le nostre ambizioni finiamo per diventare canarini rinchiusi in una gabbia, più resistente della nostra naturale voglia di svolazzare liberi.
Mimica era una città estremamente grande, la sua ampiezza superava di gran lunga quella delle metropoli odierne, ma si estendeva per lo più in altezza, infatti alcuni palazzi superavano tranquillamente i duecento piani, ma era raro che essi possedessero un'ascensore e nella maggior parte dei casi anche arrivare nel proprio appartamento poteva rivelarsi una sfida. La zona di periferia al contrario era formata da tante piccole case di pochi metri quadri costruite su un solo piano, alcune possedevano anche un piccolo giardinetto che ospitava qualche cane da guardia affamato. Il Limbo invece era un insieme di ville di media o grande larghezza, dotato anche di piazze e aereoporti che si occupavano di trasportare i pochissimi eletti (quasi nessuno aveva il permesso di poter entrare nella città sospesa) verso Alastore. Era posto su una piccola collina sul lato ovest della grande città, lì ogni tanto crescevano piccoli ciuffi d'erba e più raramente fiori un tempo chiamati "margherite". Intorno alla metropoli si estendeva un deserto lungo centinaia di kilometri dove qualsiasi cosa era infertile e regnava la morte. Tutti coloro che tentavano di allontanarsi troppo da quel posto tornavano dentro ad una bara, morti a causa della fame e della disidratazione, alcuni sostenevano persino che fuori da quel luogo vivessero mostri e animali geneticamente modificati a causa delle radiazioni. In poche parole, l'umanità era confinata dentro a quel deserto di morte e disperazione.
Una macchina rossa sfrecciava su una strada mal asfaltata schivando le grandi buche che si erano formate con il tempo intorno a quella che in passato poteva essere stata un'autostrada. Era una vettura di vecchio modello che per miracolo continuava ad accendersi, emetteva ad ogni curva uno strano rumore simile ad un cigolio e tutte le volte che si fermava usciva un po' di fumo dal cofano pieno di ammaccature. L'interno non era di certo meglio, sporca, piena di cianfrusaglie come libri, mappe geografiche risalenti al tempo precedente alla guerra e pelouche di stoffa, spiccava anche per l'odore di gasolio e benzina. Dentro a quella che, a grandi linee, si poteva definire un'automobile erano presenti due figure bizzarre, uniche nel loro genere. Una di queste era una ragazza sui diciott'anni, aveva una stazza imponente, la pelle olivastra, forse dovuta a qualche antenato nordafricano, il corpo muscoloso pieno di lividi e cicatrici, le spalle robuste, due piccoli occhi scuri, lunghi e lisci capelli castani che le arrivavano fino a metà della schiena, un volto femmineo, ma dai tratti ben marcati, un naso aquilino e cosce grandi a causa dei muscoli. Parlottava con un uomo sulla cinquantina, anche egli scuro di carnagione, estremamente magro, dai folti e ricci capelli biancastri che coprivano i suoi occhi verdognoli, un naso all'insù e le labbra piene come due petali di rosa. Entrambi indossavano vecchi abiti formali simili a smoking, sembravano di seconda o terza mano, il bianco del completo era leggermente macchiato da alcune chiazze giallognole e sul vestito della più giovane erano presenti toppe colorate per coprire alcuni buchi dovuti al continuo riuso di quel capo d'abbigliamento. Tutte le persone di Mimica erano solite indossare pantaloni a prescindere dal sesso, era quasi impossibile vedere un abitante in gonna e quelle rare volte che accadeva si trattava di gente ricca con una gran voglia di assomigliare agli Alastoriani, che al contrario indossavano abiti estremamente vistosi e spesso caratterizzati dalla presenza di lunghe gonne colorate. Chi viveva sulla terra non erano nemmeno molto avvezzo al trucco, per loro che passavano le giornate nelle macellerie era una perdita di tempo e fatica, soltanto le prostitute erano abituate a vestirsi e pettinarsi in maniera adeguata per vendere il loro prodotto, ma nessuno aveva il cuore di giudicarle, chiunque sopravviveva in quell'inferno come più poteva e la situazione di povertà dove quasi tutti si trovavano aveva reso la gente più incline ad una strana fratellanza basata sul rispetto reciproco e sulla comprensione.
La giovane donna era accovacciata sul sedile anteriore della macchina, con le gambe stese sul cruscotto, la testa abbassata per non toccare il tettuccio e una sigaretta tra le dita, sembrava avere l'aria quasi infastidita mentre parlava animatamente con il famigliare che intanto guidava con estrema prudenza, stando molto attento ad evitare le buche che incrociava sul suo percorso
《Lucas》 pronunciò con un tono pieno di una sicurezza mista a rabbia《dammi ascolto una volta tanto nella vita, se vincessimo tutti quei soldi la cosa migliore da fare sarebbe quella di trovare qualcuno disposto ad aiutare noi Mimicani ad Alastore, quella cifra ha così tanti zeri che potremmo fare la differenza》disse con la sua voce profonda quasi persa in quel sogno irrealizzabile, guardando l'alba che sorgeva in lontananza. Quella ragazza figlia di nessuno aveva sempre posseduto un senso di giustizia prorompente, spiccava tra le sue compagne per il suo profondo e sincero altruismo, la sua forte morale era spesso stata l'origine dei suoi guai e la sua lingua tagliente sempre sfoderata in difesa dei più deboli era incapace di fermarsi, il rispetto che si era guadagnata nel suo getto del Secundo Circulo era dovuto proprio al suo buon cuore e alla gentilezza con cui era solita trattare chi non possedeva nulla, ma anche alla violenza con cui difendeva chi non aveva i mezzi per farlo da solo.
《Innania, mia amata nipote, parli così perchè non conosci il potere, non sai come riesce a cambiare le persone, la tua ingenuità è dovuta all'ignoranza, ma ti posso giurare che nemmeno un angelo resterebbe tale se gli venisse dato in mano il governo del mondo. In caso fossimo i fortunati vincitori la cosa migliore sarebbe trasferirci, mettere da parte i soldi non necessari e vivere una vita dignitosa, niente di più, niente di meno. La ricchezza è un'acqua incapace di placare la sete, più se ne beve più voglia si ha di continuare a sorsegggiarla, fino a quando non ti rendi conto di aver svuotato il lago》sussurrò con aria saggia il maggiore. Al contrario della ragazza egli era acculturato, aveva avuto la possibilità di studiare, sapeva leggere e scrivere, fare conti complessi e parlare a metafore, conosceva un po' di greco e di latino, era un ottimo oratore e la sua capacità di padroneggiare quel miscuglio di lingue che si parlava a Mimica era quasi impressionante. Nel loro piccolo quartiere era soprannominato "il Dottore", si occupava della messa, teneva consulti medici e insegnava ai bambini preferiti (normalmente si sceglieva un solo figlio da istruire a famiglia) l'alfabeto, anche se il suo lavoro principale era quello di piccolo contadino dato che era uno dei pochi ad essersi guadagnato un appezzamento non molto grande di terra fertile.
Nonostante l'uomo stesse abbastanza bene economicamente preferì crescere la nipote, che aveva sempre accudito con le stesse premure e gentilezze che si davano ad una figlia, con un educazione di tipo fisico, costringendola a duri allenamenti per migliorare il corpo e esercizi mentali per renderla astuta, caratteristiche essenziali per sopravvivere in quella città popolata da bestie, eppure così facendo Lucas non trovò mai il tempo per insegnarle a leggere, scrivere e avere un minimo di cultura, così la bambina crebbe analfabeta.
《Quindi saresti disposto a voltare le spalle al tuo popolo?》chiese schifata, stupida di quello che a quel tempo scambiava per egoismo. In futuro avrebbe capito il significato di quel discorso e la premonizione dello zio si sarebbe rivelata vera, ma in quel momento lei ignara di tutto continuava a giudicarlo nella sua ignoranza mentre si dirigeva al patibolo senza nemmeno rendersene conto.
《Non ho voglia di discutere con te. Dopo aiutami a scaricare i sacchi di carne che siamo quasi arrivati》tagliò corto l'uomo, che ormai raggiunta la cinquantina era diventato insofferente alle dispute. La mora annuì piano, delusa e rammaricata mentre fissava un punto indefinito davanti a loro.
La grande piazza ovale che segnava il confine tra il Secundo Circulo e il Limbo era addobbata a festa, grandi striscioni con sopra scritto a caratteri cubitali "Lotteria" (era stato Luke a rivelare alla minore il significato di quella strana unione di simboli che per la giovane erano del tutto privi di significato) erano esposti sopra a bancarelle colorate, i palazzi di pietra che circondavano il posto erano ornati con luminarie e decorazioni violacee, il colore della bandiera di Alastore, la statua di Giovanna d'Arco posta al centro era stata ripulita e le mattonelle scure che ricoprivano il pavimento della piazza erano nascoste da larghi tappeti argentei. Gran parte della gente di Mimica era accorsa con entusiasmo portando enormi sacchi di carne umana, riempiendo in poco tempo il luogo.
Come ogni anno il 21 di marzo si celebrava il gran giorno della Lotteria, dove i membri di tutti e tre le fascie delle città si riunivano in un solo posto, qui compravano biglietti dorati in cambio di pezzi di carne umana e chi otteneva il ticket vincente riceveva cento milioni di euro e il tanto agognato ingresso alla città sospesa. Molti sentivano aria di truffa in quel gesto di carità immotivata, eppure la fame e le voglia di sognare spingevano gran parte della popolazione ad accalcarsi in quella piazza, sperando di essere i fortunati vincitori.
《Aiutami a tirare fuori il sacco》sussurrò svogliato il vecchio Lucas scendendo dalla macchina. Con un salto la giovane donna lo seguì buttando la sigaretta per terra senza nemmeno degnarsi di spegnerla. Ancora non lo sapeva, ma quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto quel mezzo di trasporto che tanto detestava e quello sarebbe stato il suo ultimo batibecco con il padre adottivo.
Lentamente i due si diressero verso il loro destino, come una novella Ifigenia che ignara camminava verso il suo altare.
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