Capitolo tre: la mela di Eva
Il caldo sole del mezzogiorno faceva capolino sulla piazza gremita di povere persone denutrite che indaffarate trascinavano sacchi di carne umana verso alcune bancarelle di legno chiaro. Le temperature come al solito raggiungevano vette estremamente alte in quella fascia oraria; le mezze stagioni erano diventate praticamente inesistenti dopo la fine della guerra e si passava dal freddo invernale alla calura estiva nell'arco di poche settimane. L'aria emanava un odore acre e pungente che faceva pizzicare gli occhi, mentre il miasma provocato dalla carne umana si mescolava al sudore della gente che sotto quel sole cocente si ammassava senza ritegno per convertire il proprio bottino in biglietti. Chiazze di sangue scarlatto macchiavano le mattonelle della piazza, finendo per sporcare le caviglie dei Mimicani. Probabilmente erano dovute a qualche litigio finito in malo modo o ad una perdita di liquidi fuoriuscita da alcuni cadaveri usati come merce di scambio, ma nessuno volle indagare. Quella vista sarebbe stata in grado di far accapponare la pelle ad ognuno di noi, ci saremmo stupidi ed indignati osservando quelle creature che non potevano definirsi umane, dimenticandoci quanto quelle bestie siano simili a noi. Le persone portavano tra le braccia i corpi morti di bambini, donne e persino dei loro familiari, nella speranza di poter vivere una vita migliore per smettere di mangiare i loro compagni di sventura e avere un tetto sulla testa. Però nessuno tra la folla sembrava sconvolto da quella scena raccapricciante. Nella città degli animali quella era normale routine e nemmeno un cittadino di quella metropoli era più capace di provare orrore quando gli uomini si mostravano per le bestie che sono.
Il sudore imperlava il fisico tonico della giovane Innania mentre a fatica trascinava due grandi sacchi di polietilene stando attenta a non urtare le altre persone che si erano accalcate nella piazza. Era vigile e sull'attenti, pronta a scattare in caso di furto per proteggere il bottino e lo zio. Difendere il padre adottivo era lo scopo della sua esistenza, niente aveva senso se non quello. Durante la sua infanzia e adolescenza aveva sempre cercato di rendersi utile in tutti i modi che conosceva per ripagare la gentilezza che Lucas le aveva dimostrato prendendola sotto la sua ala protettiva dopo il suicidio della madre. Figlia di uno stupratore e di una donna caduta in disgrazia, il suo futuro sembrava già segnato; molto probabilmente se l'uomo non l'avesse accolta nella sua casa sarebbe finita in un macello a partorire figli che poi sarebbero diventati carne e alla fine dei suoi giorni anche ella avrebbe finito per divenirne il pasto di una famiglia povera incapace di permettersi cibo di maggiore qualità. Continuava a vivere per ripagare il debito che la sua esistenza aveva creato, in un circolo infinito di sofferenza che si autoinfliggeva.
《Sicura di stare bene? Ho dell'acqua se hai sete》chiese dolcemente l'uomo che camminava a fatica, aggrappandosi alla maglietta della nipote. Aveva solo cinquant’anni, ma in quell'ambiente dove il tenore di vita era molto basso veniva visto da tutti come un anziano. Il continuo consumo di carne umana l'aveva portato ad avere preoccupanti problemi alle gambe e più volte la giovane si era accorta che il tanto amato zio iniziava a contrarre sintomi sempre più pesanti e visibili della malattia del Kuru; svariate volte l'uomo era caduto dalla sedia in sua presenza, spesso defecava in posti poco opportuni, la maggior parte delle volte nelle sue stesse braghe e, pur provando a nasconderlo in tutti i modi, egli muoveva sempre più frequentemente le mani in modo inatturale.
La ragazza non era acculturata né saggia come il padre adottivo, ma aveva visto abbastanza ammalati da accorgersi quando ne aveva uno dinnanzi agli occhi. Conosceva la tremenda verità e, per quando non volesse ammetterlo a se stessa, una parte di lei aveva già capito che quella sarebbe stata la loro ultima lotteria.
Quell'anno aveva lavorato sodo, non aveva mai chiesto un solo giorno di pausa e passato anche intere notti insonni a pulire i pavimenti di bordelli malconci, il tutto solo per avere più carne da dare, perché ogni pezzo della sostanza che stava lentamente uccidendo quella popolazione l'avvicinava alla possibilità di salvare il padre. Ovviamente nessuno in quella città, se non gli abitanti del Limbo più acculturati e potenti, conosceva la causa di quella malattia molto diffusa. Le persone ci convivevano semplicemente, accontentandosi di vivere per pochi anni una vita misera.
《Ma no Zio, tranquillo, me la cavo sempre》lo rassicurò facendo un sorriso cordiale 《Ormai la fila è quasi finita e potremmo avere finalmente i nostri biglietti. Questa volta abbiamo racimolato molta carne, vedrai che vinceremo》disse fingendo un ottimismo che in realtà non possedeva. Sapeva benissimo anche lei che le possibilità di vincita erano scarse, ma quali altre scelte aveva se non sperare? Avrebbe anche pregato un dio, ma non conosceva nessuna filastrocca da cantare a memoria né parole da rivolgere al Signore. Così alzò gli occhi al cielo e osservò gli abitanti di Alastore che regali sedevano sui loro dodici troni, di cui uno ancora vuoto. Fissò attentamente i ricami dorati dei loro seggi e il modo nobile in cui la costola d'Adamo di quella società corrotta parlottava allegramente passandosi cibo e bevande. Provò un disgusto mischiato ad ammirazione, una cieca devozione nata ironicamente dall'odio, e rivolse a loro quella muta preghiera.
E così la mela cadde vicino ai piedi di Eva.
La sensazione che Innania provò subito dopo non si può descrivere a parole, un mistro tra paura e ansia, il richiamo della nostra parte più animalesca che ci avverte di un pericolo, qualcosa di più del semplice terrore, l'immotivata convinzione di essere una preda in un branco di cacciatori. Si fermò di scatto, le sue gambe tremavano, il respiro era affannato, il cuore batteva sempre più veloce nel petto diventando l'unico rumore presente in quel secondo di puro terrore. La sua mente non trovava spiegazioni logiche a quell'emozione, ma l'istinto l'avvertiva di dover correre via. Si sentiva osservata. No, forse questo non era il termine corretto. Si sentiva studiata, come un falco che scrutava la preda prima di attaccarla. Si voltò con prudenza, scosse il capo e alzò la testa, ma non vide nessuno se non i volti cupi e affamati dei suoi concittadini.
《Tesoro, tutto bene?》chiese preoccupato Lucas stringendole le spalle. Innania annuì piano, non molto convinta delle sue azioni, mentre lentamente procedeva, analizzando attentamente la folla che ignara della sua esistenza innondava la visuale della giovane. Camminava a passo svelto, veloce si muoveva tra quella marea di gente come una ballerina su un palco composto da sangue e membra, osservando attentamente la bancarella di legno sopra le teste sporche della gente che li precedeva, stando comunque allerta e sbriciando con la coda dell'occhio la gente in fila dietro di lei. La piazza era così affollata che a malapena si riusciva a vedere oltre il proprio naso, i pianti dei bambini, i sussurri delle donna e le grida degli uomini si mescolavano formando una sinfonia misteriosa, che in sé racchiudeva l'essenza stessa dell'uomo, il suo inzio e la sua fine. Eppure tutto quello che la giovane Innania riusciva ad udire era il battito veloce del suo stesso cuore e il corpo muscoloso che tremava come la fiamma di una candela appena accesa, percepiva le membra irrigidirsi, pronte alla fuga e rivolse lo sguardo la fila che lentamente si diradava davanti ai suoi occhi scuri, un punto fermo nella marea
Ora mancavano solo cinque persone: tre donne, di cui una incinta, un vecchietto e un bambino. L'ultimo era appiccicato al ventre di una delle ragazze. Ella non poteva avere più di diciannove anni. Lo smoking ingiallito le stava così largo da sembrare una tunica, le guance scavate segnavano una bellezza sofferta, lividi freschi solcavano un volto scarno circondato da lunghi capelli biondi di cui gran parte caduti come petali di una rosa che non aveva avuto il tempo di sbocciare, e i grandi occhi grigi abituati alle lacrime ora fissavano una speranza lontana. A fatica i piedi scalzi si muovevano delicatamente in quella piazzola, lasciando dietro di loro orme insanguinate. Il ragazzino sorreggeva la madre stringendole un braccio con apprensione, le sussurrava parole gentili sulla loro nuova vita ad Alastore, un'esistenza che entrambi sapevano di non poter condurre. Alla donna ormai rimanevano pochi mesi di vita, forse settimane a giudicare dall'andatura zoppicante, e quel bambino aveva ben poche possibilità di sopravvivere. Se fosse stato una femmina qualche macellaio avrebbe potuto comprarlo per fargli partorire figli da uccidere e vendere, ma per un orfano di sesso maschile le prospettive di vita erano poche. Innania si rese lentamente conto che probabilmente nell'arco di qualche settimana sul suo piatto si sarebbe posizionato il braccio denutrito di quel bambino. Non provò quasi nulla se non un senso di profondo disgusto. Vivendo in quella situazione da sempre non riusciva a vedere l'atrocità di quel destino, abituata alla fame non conosceva la sensazione di essere sazia, ma vedendo ogni giorno la morte ringraziava più di altri la vita. La donna morente appoggiò un solo pezzo di carne sul bancone, ricevendo in cambio un misero biglietto stropicciato. La bionda si chinò porgendo al bambino quel piccolo pezzo di carta, dando al figlio le sue ultime speranze di vita, affidando la sua sorte a quel pezzo di carta e dimostrando l'altruismo di quelli che tutti definivano bestie. Con dolcezza la ragazza prese la mano libera del ragazzino e si fece guidare verso la parte esterna della piazza. Quando passò vicino ad Innania ella poté scorgere sul volto della maggiore una scottatura sotto il mento, un marchio di fuoco, tipico delle prostitute della zona del Circulo secondo. Gli sguardi delle due si incrociarono per un secondo. Non si erano mai viste prima di quel momento, ma i loro occhi erano privi di giudizi, una puttana e una povera analfabeta che facevano di tutto per sopravvivere. Poi la donna scomparve nel nulla, seguita da quel bambino destinato alla morte.
Solo tre giorni dopo quella ragazza sarebbe stata ritrovata morta e il figlio venduto ad un macello per essere ucciso e fatto a pezzi, pronto ad essere diviso tra un gruppo di famiglie affamate.
Dopo dieci minuti anche le altre tre persone davanti a loro finirono di convertire la carne in biglietti. Il vecchio uomo del Limbo che gestiva la baracca di legno fissava tutti con aria di superiorità, come se nemmeno fossero umani ma semplici cani randagi desiderosi di cibo. Era un barbuto anziano dal capo pelato e due profonde paludi come occhi, un omaccione ben piazzato che faceva quel lavoro da quando Innania ne aveva memoria, pieno di tatuaggi e scarabocchi che provavano ad illudere le persone di qualche sua origine Alastoriana. I due semplicemente ignorarono i modi sgarbati dell'uomo, ormai abituati ai soprusi compiuti dalle persone più potenti di loro. Sapevano bene quando valeva la pena lottare per il loro onore e quando dovevano solo chinare il capo. L'attempato signore inziò a contare ad alta voce le carni, urlando con l'aria scocciata di chi non aveva mai apprezzato il lavoro né la fatica, mentre lanciava con poca grazia il nutrimento in una cassa di legno facendo un gran fracasso e bestemmiando con fragore quando i pezzi di cadavere cadevano sul pavimento, macchiandolo di sangue. Puzzava di alcol e ogni tanto aggiungeva fette di carne inesistenti al suo conto, passando senza problemi dal 55 al 63, ma la coppia decise comunque di non correggerlo, chiudendosi in un complice silenzio. Alla fine l'ubriaco poggiò sul banco una busta di plastica macchiata di cremisi lungo i lati. Essa conteneva almeno duecento biglietti e qualche rimasuglio di carne grassa.
Per la prima volta Innania inziò seriamente a credere che quella volta sarebbero riusciti a vincere, che potevano farcela sul serio, che sarebbe riuscita a salvare lo zio e poi l'intera città di Mimica. Per un secondo si concesse di assaporare una vittoria rara e sfuggente, l'ultima possibilità di salvezza dello zio. Costrinse se stessa a non piangere davanti al padre adottivo, non voleva mostrarsi debole. Lei doveva essere il suo palo, un punto saldo a cui aggrapparsi quando le cose andavano male. Così nascose quella gioia sofferta in una battuta, come era solita fare quando non sapeva come spiegare a parole i suoi sentimenti
《Quando saremo ricchi voglio due o tre puttane al mio seguito》scherzò sotto lo sguardo divertito e al contempo indignato dello zio, che però sembrava privo della speranza che contraddistingueva la figlia in quel momento.
《Ti ricordo che l'ultima donna che hai provato a conquistare ha costretto il padre ad inseguirti con un fucile》rispose socompigliandole i capelli castani
《Si sarà spaventata a causa del mio fascino terrificante》provò a giustificarsi la ragazza tentando di sfuggire alla stretta giocosa del padre. Proprio in quel momento di pace Innania non vide una macchia di sangue formatasi sotto i suoi piedi, finendo per scivolarci sopra e urtare erroneamente una giovane ragazza che si trovava lì per caso.
Se in quel momento non fosse caduta, se il destino, il karma o il fato non avessero scelto quella sorte tanto tremenda per una donna così giusta, molto probabilmente la sua sarebbe stata una vita infelice, segnata dal lutto e dal dolore, ma comunque quella giovane avrebbe continuato ad avere una morale e a tenere stretti i suoi pochi principi di vita, senza voltarsi le spalle. Ma così non fu, e Dio riservò ad una persona così buona un destino persino peggiore rispetto alla tristezza eterna
E così Eva raccolse la mela da terra.
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