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Capitolo quindici: La notte delle fiabe

Achillea era una donna sulla trentina, alta e slanciata, con spalle larghe e due grandi occhi a mandorla tipici di quello che un tempo veniva chiamato "Estremo oriente", ma che ora era solo una landa desolata. Le piaceva mettere in mostra il suo corpo indossando abiti neri e succinti, spesso accompagnati da un paio di tacchi a spillo del medesimo colore. Lasciava quasi sempre che i lunghi capelli neri le corressero sulle spalle, fino a toccarle quel seno che fino a pochi anni prima non esisteva. Adorava adornarsi con gioielli, diamanti e gemme, i simboli del suo potere. Tra tutti i tesori che possedeva quelli che le stavano maggiormente a cuore erano due anelli circondati da piccoli rubini rossi. Li sfoggiava tutti i giorni con grande orgoglio senza mai separarsene, alcuni in passato avevano persino creduto che quelli fossero i doni di qualche nobile amante. Nonostante vivesse nella baraccopoli di Alastore sapeva di essere intoccabile e questo le dava il permesso di mostrare il suo lusso senza timori.
Operava nell'oscurità, ma il suo nome era conosciuto da tutti gli abitanti del cielo, i quali, però, preferivano vederla come una leggenda metropolitana piuttosto che un pericolo effettivo.
Come ogni sera era seduta su una poltrona color bordeaux a bere vino rosso stagionato, mentre distratta osservava la strada dalle ampie finestre del suo locale, chiamato "L'Epicuro".
Il tavolo vicino era occupato da un signorotto di ceto medio-alto e da una delle giovanissime "cameriere" di Achillea. I due ridevano a gran voce, ma la donna sembrò evidentemente a disagio quando lui le mise le mani sulle anche. Con gli occhi che brillavano imperlati dalle lacrime, la ragazza si gettò tra le braccia dello sconosciuto. L'uomo doveva  avere almeno il doppio degli anni di quella poveretta, la quale poteva essere a malapena maggiorenne. Ma l'età del consenso per lui non era un problema, faceva parte di quelle poche persone con amici troppo influenti perchè la legge potesse scalfirli e, d'altra parte, la bambina aveva troppa paura per ribellarsi.
《Si sta comportando bene la mia Asteria?》chiese la donna più anziana senza posare lo sguardo sulla coppia, ormai rapita dalle luci del viale《L'abbiamo portata due giorni fa da Mimica. Tra poche settimane dovrebbe arrivare il suo visto di soggiorno》aggiunse facendo un sorriso furbo. I due Alastoriani sapevano che l'ultima era una menzogna, quella ragazza non aveva possibilità alcuna di vivere nella città degli angeli in modo regolare.
Achillea faceva sempre così con le sue prostitute: Le prendeva sotto la sua ala, permetteva loro di vivere nella metropoli celeste promettendo per anni un visto di soggiorno che non sarebbe mai arrivato, poi, appena diventavano vecchie e malate, le cacciava nuovamente nel buco dal quale erano arrivate. Per molti quello poteva essere un lavoro crudele, ma non per la mora che tempo prima era stata nella posizione di quelle creature. Nata in una famiglia troppo povera per realizzare il suo deiderio, l'unico modo che aveva avuto per ottenere il corpo che tanto amava era stato vendersi.
Ma esaudire il suo sogno non le era bastato. Aveva scalato gradino per gradino quell'universo di violenza e infine era diventata qualcuno, sacrificandosi a ciò che più odiava. Il mondo era un posto sudicio, questo era ciò che aveva imparato. Quelle donne erano state condannate prima ancora di nascere, nessuno poteva salvarle. Alcune persone venivano al mondo soltanto per essere usate come carne per cibare i più forti. Eccolo il senso della vita per la mafiosa: "essere predatrice per non divenire preda". E infondo era meglio anche per loro che ci fosse lei al comando di quelle timorate da Dio rispetto che un porco disposto ad abusare di loro.
L'uomo rise accarezzando la schiena del suo giocattolo《Oh, questa volta ti sei proprio superata》 si complimentò sorridendo 《La riporto qui tra qualche ora》comunicò infine alzandosi con entusismo. Fu proprio in quel momento che la porta si aprì, rivelando il principe che la mora tanto attendeva.

Belial aveva molta familiarità con quel bar, di cui era un cliente assiduo da anni, tanto che il suo volto era divenuto ben noto alle persone dei bassifondi. Come era già avvenuto in tante notti passate sorrise alla proprietaria per poi prendere posto vicino a lei. La donna sapeva che il politico non era il tipo capace di tradire l'amato compagno con una delle sue sgualdrine. Una parte di lui, per quanto sopita e indebolita, aveva ancora dei principi morali. No, l'albino era lì per fare affari. Gli abitanti del paradiso erano convinti che le decisioni importanti si prendessero nel Parlamento, tra onesti ed educati cittadini, ma come molti suoi colleghi, Belial decideva le sorti del popolo nel cuore della notte, tra puttane e arrapati.
L'uomo era per Achillea un mistero sfaccettato, che incuriosiva la bambina che dimorava nel suo cuore, ma terrorizzava la donna che conviveva con essa. Facendo il suo lavoro si era trovata ben presto a capire quanto le persone potessero tradire facilmente la fiducia di chi amavano. Il politico era un caso speciale. Lui era stato in grado di voltare le spalle persino alla sua città, ma non osava posare gli occhi sul seno di una ragazza o sul petto di un uomo.
La maîtresse però aveva smesso di giocare da tempo con quell'indovinello intricato che è la gente. L'aristocratico era un buon collaboratore: Ogni tanto Achillea uccideva qualche suo avversario politico e lui, in cambio, usava i suoi poteri per sabotare i disegni di legge pericolosi per i loro "contratti".
《Dammi da bere- aveva pigolato l'uomo sedendosi con un'eleganza involontaria- O giuro che non arrivo vivo a fine serata》
Il borghese non alzava mai più di tanto il gomito, sapeva bene che una parte di lui desiderava ancora perdersi nelle illusioni. Più beveva più nutriva quella parte di se stesso che lo voleva vedere morto.
《Belial, ti stavo aspettando, ho un affare da proporti》disse melliflua la donna, facendo cenno al barman di stappare una bottiglia di vino rosso. L'altro sorrise, come sorrideva solo quando annusava il profumo dei soldi
《Ora sì che si inizia a ragionare》rispose prendendo il calice che una delle prostitute gli stava porgendo.

Menasse odiava tutti i momenti della sua vita che non erano vissuti con il marito. Quella notte più di qualsiasi altro. Frettolosamente il suo principe aveva consegnato Innania, la quale pareva poco lucida, alla domestica, per poi tornare in macchina. Sapeva che spesso il suo eroe doveva lavorare fino a tardi, era impegnato a salvare il mondo, ma il loro letto sembrava così vuoto in quelle sere. Gli mancava profondamente venir stretto tra le sue braccia, il tocco delicato delle sue mani e la premura con cui lo baciava. La mattina successiva si sarebbe svegliato e Belial gli avrebbe donato una rosa bianca, una di quelle che coltivava nel giardino con tanta premura. Lo faceva quasi tutte le volte che lo lasciava nel buio della solitudine. Si sentiva abbandonato in quelle mura, un uccellino a cui erano state strappate le ali. Aveva pensato di fare amicizia con Innania, ma non voleva far preoccupare il suo carceriere avviciandosi troppo alla mimicana. Per quanto la ragazza sembrasse innocua era ugualmente un'estranea, marcia come chiunque altro. Apparteneva a quel mondo che lo odiava, a quelle città da cui lui lo voleva proteggere.
A volte desiderava solo poter avere una vita normale, con un lavoro normale e un marito normale. Uscire per fare la spesa e aspettare il suo amato senza il timore che qualcuno avesse deciso di sbarazzarsi di lui. Una parte di lui bramava quell'esistenza pacifica che non aveva mai potuto assaggiare. E provava un profondo senso di colpa per questo.
Rannicchiato tra le coperte si chiuse in un silenzioso pianto, sperando che le lacrime lo  purificassero dai suoi pensieri egoistici. Singhiozzava sommessamente nascondendo la testa rossa trai cuscini del talamo. Belial avrebbe saputo calmarlo, toccare i tasti giusti, stringerlo così forte da uccidere tutti i demoni con la sua luce. Ma Belial non era lì e i demoni non volevano andarsene.
Quando anche l'ultima lacrima solcò i suoi occhi arrossati, l'uomo prese finalmente sonno. La sua era una sofferenza conosciuta da tutti i prigionieri, che essi fossero o meno a conoscenza della loro posizione. Il politico si sarebbe accorto delle condizioni in cui giaceva il modello e lo avrebbe baciato nel sonno, illudendosi di poter fingere per tutta la vita di essere il principe azzurro.

Raziel era sdraiato supino sul letto di quel piccolo tugurio che osava chiamare camera. Era un luogo lugubre e disordinato, privo di finestre e talmente tanto angusto da assomigliare più ad uno sgabuzzino che ad una stanza da letto. Sangue essiccato era rimasto appiccicato alla moquette e i poster che aveva appeso qualche giorno prima con Raffaele ora erano strappati. Non esisteva al mondo un posto che potesse rappresentarlo meglio. Il biondo al suo fianco gli accarezzava le fasciature con timore, come se ad ogni suo tocco il minore potesse rompersi. Il dolore fisico era quasi intollerabile, ma non poteva nulla contro quello emotivo. La sensazione di sporco che provava da anni non se ne sarebbe andata con un semplice antidolorifico. Avevano preso il suo corpo e ora si sentiva intrappolato dentro a quella carne che non sentiva più come sua. Non riconosceva quelle cosce piene di lividi, quegli occhi rossi di pianto e quella pelle scalfita dal tocco di un uomo che poteva essere suo padre. Era intrappolato dentro se stesso e, per quanto provasse a strapparsi la pelle con la forza, non riusciva a liberarsi.
《La Mimicana, sarà lei a farci fuggire》sussurrò esausto il bambino, più per rassicurare se stesso che il suo partner. Alcune lacrime solitarie stavano correndo verso il cuscino, ma faceva di tutto per nasconderle. Per quanto fosse già stato umiliato in tutti i modi possibili era ancora troppo orgoglioso per mostrarsi debole.
Il cameriere annuì piano socchiudendo gli occhi
《Domani inizia il nostro piano, devi solo resistere per qualche altra settimana, amore》provò a tranquillizzarlo il suo amante, il quale aveva ormai imparato a decifrare le emozioni del ragazzino.
《Non fare quella faccia, Raf. Non sono un fottuto cucciolo di gatto con una zampa ferita. Se ti vedo ancora addosso quello sguardo pieno di pietà ti strappo il cazzo a morsi》rispose secco asciugandosi le guance bagnate. Il maggiore rimase in silenzio, sapeva che Raziel in quel momento stava solo recitando la sua parte. Continuò ad accarezzare la schiena piena di ferite dell'unica persona che avesse mai amato. In tutta la sua vita non aveva mai provato sentimenti così intensi per qualcuno, ma il moro non poteva vivere solo del suo amore. Raziel doveva essere trascinato via da quella gabbia e portato da qualcuno che lo aiutasse seriamente. Raffaele non poteva essere l'unica ragione per cui il ragazzo si svegliava, esistere solo per amor di qualcun altro non è vita, ma una catena fragile e instabile. Un dolce silenzio calò nella sala. Il minore si strinse al busto del più grande borbottando una bestemmia. La notte li nascondese dal mondo e i due si addormentarono abbracciati, sperando in un domani migliore.

Innania rannicchiata nella semi oscurità giaceva in uno stato di dormiveglia. Il silenzio delle campagna Alastoriana assordava le orecchie della ragazza abituate alle grida e agli schiamazzi del Secundo Circulo. Poteva udire da lontano il canto di animali a lei sconosciuti e il fruscio del vento che muoveva le foglie. Era esausta, ma aveva paura di affrontare il giorno successivo e le responsabilità che si portava appresso, così continuava a farsi cullare dalla città, lottando contro il sonno. Il calore delle coperte le abbracciava il corpo muscoloso e il caldo abito di lino la proteggeva dalle ultime notti gelide dell'anno. I suoi pensieri corsero a Lucas, il quale stava lentamente morendo lontano da lei. Le andava bene anche dirgli addio, bastava solo che lei fosse al suo fianco nel capezzale.
Anche se i medici non fossero riusciti a salvarlo una volta giunto sulle nuvole, lei avrebbe potuto prendersi cura di lui fino alla fine dei giochi. Doveva tentare, non poteva lasciar andare in quel modo l'uomo che amava. In quel momento, passati lo shock e la droga, si rese seriamente conto di ciò che stava per fare. Provò disgusto per se stessa, un senso di colpa che il suo subconscio aveva provato a nasconderle, ma che era comunque meno forte del suo egoismo. Continuava a ripetersi che una volta tratto in salvo suo padre avrebbe trovato un modo per aiutare i Mimicani e liberarsi del console. Ma non ne era tanto sicura. Belial l'avrebbe aiutata, lui stava dalla loro parte, almeno di questo ne era certa.
Tutto sarebbe andato per il meglio.
Tutto doveva andare per il meglio.
Si lasciò coccolare da quei pensieri fasulli, sempre migliori della tremenda verità. Rassicurata dalla sua stessa mente riuscì finalmente a rilassarsi e ad addormentarsi. Quella notte sognò i suoi concittadini, i loro tormenti e le loro morti, ma lei sedeva nel regno dei cieli e quella vista non poteva più toccarle il cuore.

//QUESTA È LA FINE DELLA PRIMA PARTE DEL LIBRO! SIAMO PIÙ O MENO AD UN TERZO DELLA STORIA. SIAMO FORTISSIMI. DITEMI COSA NE PENSATE DELLA STORIA E DI QUESTO NUOVO CAPITOLO NEI COMMENTI!
MA ORA È GIUNTO IL MOMENTO DI APPREZZARE LA PRIMA FAN ART CHE QUALCUNO ABBIA MAI FATTO SU UN MIO LIBRO:


Ringrazio Ale_VTAE per la fan art di Raziel <3

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