Capitolo quattro: La vittoria di una perdente
Accadde tutto in pochi secondi, quasi un battito di ciglia, ma quei brevi istanti bastarono per rovinare per sempre la vita di Innania.
La donna che aveva urtato per errore cadde supina sul pavimento sporco di sangue, facendosi scivolare dalle mani un piccolo sacchetto di seta, lasciato ingenuamente aperto, dove erano collocati quattro biglietti della lotteria. Quella giovane fanciulla distesa inerme sul marmo ormai cremesi stonava nello scenario di disperazione che la circondava. Era bella in una maniera disumana, troppo perfetta per essere definita attraente, così incantevole da risultare schifosa. La sua eleganza era diversa da quella finta ed eccessivamente barocca degli Alastoriani, poichè il suo fascino era vero e innato.
Assomigliava quasi ai serpenti che infestavano il deserto vicino alla città terrena, incantevole e al contempo disgustosa. Lunghi capelli
aurei incorncivano un viso canuto e rotondeggiante, labbra rosee e grandi ornavano quell'atroce capolavoro, un naso alla francese cosparso di lentiggini faceva bella mostra di sé. Non era troppo magra e questo le permetteva di avere un seno prosperoso e fianchi larghi, inoltre possedeva gambe lunghe e sottili degne di un'atleta o una ninfa, e mani piccole, ma dalle dita lunghe e prive di calli.
Una benda di lena blu le copriva gli occhi, indicando una sua probabile cecità. Indossava uno smoking di classe, praticamente nuovo, senza cuciture o toppe, come era solito tra gli abitanti di Mimica, perfettamente della sua taglia, come se fosse stato cucito su misura per lei.
Innania provò di nuovo quell'angosciante sensazione di terrore che aveva sentito fino a pochi istanti prima. Il suo istinto di bestia le diceva di non fidarsi, di scappare lontano da quella megera, ma la sua curiosità da umana la faceva rimanere ancorata a terra, fissando quel meraviglioso obbrobrio della natura. Il cuore le batteva forte nel petto senza una ragione precisa, il fiato le divenne corto, i polmoni aridi, le gambe tremavano pronte alla fuga, eppure la ragazza non si mosse, forse per la paura o forse per la voglia di conoscere quell'essere abominevole, spinta da un desiderio di conoscenza simile a quella che si prova nell'avvicinarsi alla carcassa di un gatto morto. Nonostante la donna fosse non-vedente, la giovane si sentì ugualmente studiata, come se sotto quella benda ella ci vedesse meglio di chiunque altro. Il volto senza età di quella misteriosa creatura non sembrava nemmeno confuso o spaventato dalla situazione. Riversa nel sangue pareva perfettamente a suo agio, come se stesse recitando una parte imparata a memoria anni prima.
Le lunghe dita della bionda afferarono velocemente i biglietti caduti a terra, infilandoli senza nemmeno esitare nel recipiente prezioso che si portava dietro. Questo fece insospettire ancora di più Innania, come poteva una cieca a muoversi con così tanta grazia e velocità senza nemmeno usare le mani per orientarsi?
Ormai troppo confusa e disorientara, Innania prese il braccio del padre, intenta ad andarsene di fretta, non volendo avere nulla a che fare con quella strana signora.
《Aspettate》sussurrò quella, la sua voce era profonda ma al contempo delicata, una lama ricoperta di miele. Pareva quasi che il mondo intero usasse quelle labbra per comunicare con i suoi discepoli infedeli. La mora sentì i peli rizzarsi di colpo, un brivido freddo le scosse la colonna vertebrale mentre quella sinfonia di dolore, che solo lontanamente poteva assomigliare al linguaggio umanano, le rimbombava nelle orecchie.
《Avete perso questo》continuò l'altra allungando timidamente un biglietto dal bordo leggermente strappato. Il suo tono era cambiato di colpo, diventando sicuro e suadente, con una punta di ironia, era una comica che raccontava una battuta arguta ad un pubblico di scimmie troppo stupide per capire.
Il biglietto brillava tra gli artigli di quel mostro, il pezzo di carta che avrebbe invitato tutti ad assistere alla morte dell'ingnara ragazzina, che sarebbe dovuta scappare, seguendo il suo istinto, quando ne aveva avuto l'occasione.
Il ticket roseo sembrava quasi brillare sotto la luce abbagliante del mezzogiorno. Le dita della donna erano strette su quel foglietto, sporco di sangue e rovinato, ma ancora valido. Una parte di Innania avrebbe voluto rifiutare, andarsene senza dire nulla, fuggire da quella creatura abominevole che a malapena si poteva definire umana, eppure sapeva anche di non poterlo fare. Guardò lo zio, che tremante si aggrappava al suo braccio per non cadere, tentando inutilemente di recuperare l'orgoglio perduto, di fingere davanti alla nipote quello che ormai era palese, ridotto all'ombra di sé stesso, destinato ad una morte da animale. Un destino crudele per un uomo acculturato, più intelligente di molti altri Mimicani e più sensibile di molti altri uomini. Sapeva che quel biglietto, pur essendo un granello di sabbia nel mare, era una possibilità in più per salvare l'uomo che l'aveva protetta da quel mondo distrutto e amata come se fosse sua figlia. Non poteva andarsene, non poteva lasciarsi sfuggire quell'occasione. I suoi sospetti puerili non erano più importanti della vita di Lucas. Lentamente allungò la mano. Sentiva il sangue scorrere velocemente nelle sue vene. Un rivolo di bava dovuta all'ansia le bagnava le labbra chiare, il petto le doleva, lo stomaco era stretto in una morsa di paura e le dita callose si muivevano nell'aria afosa. Un ghigno gelido scoprì i denti perfettamente bianchi della cieca, incurvandole le labbra rosee come petali di un fiore. Un sorriso malizioso che poteva contenere in sé la follia del mondo.
《Dai Inny, andiamocene, non disturbiamo questa povera signora. Noi non ce ne facciamo niente di quel biglietto》le sussurrò l'uomo all'orecchio con voce flebile, intuendo che qualcosa non andava. Ma ormai era troppo tardi. La minore prese il foglio tra le mani. Sentiva la consistenza ruvida della carta tra i polpastrelli e l'odore del sangue rimasto impresso nel ticket. La bionda si ritrasse con aria soddisfatta.
《Ci rivedremo presto, Inannia Leroux, e allora molte cose saranno cambiate. Oh mia dolce Eva, che tragico destino ti attente. Hai deciso di cogliere la mia mela, ma dentro di essa non troverai il succo dolce che ti immagini, ma il cianuro. Sarà così bello vederti precipitare, oh mio novello Lucifero. Cadrai giù dalle nubi, ne sono certa. Voi esseri umani non sapete mai accontentarvi. E questo tuo giovane zio, figlio disgraziato di due ricchi perdenti, tu vedrai morire mentre posi sull'oro. Lo lascerai andare nel fango, tra gli animali. Oh mia creatura, quando brucerai tra le tue ambizioni, chiamerai il mio nome?》 Disse in un tono cantilenante la strega con eccessiva teatralità mentre muoveva le mani sporche di sangue. La sua retorica altisonante era accompagnata da quella voce inumana che la rendeva ancora più ampollosa. Innania rimase a bocca aperta. Non sapeva cosa dire. La rabbia si mescolava con la paura, il terrore con l'incredulità. Fece per rispondere quando la donna si alzò di scatto e corse rapidamente via, mescolandosi con quel mare di gente.
La mora fece per inseguirla, ma il padre le afferrò il braccio per impedirle di correre via. Aveva così tante domande da farle, così tante da non sapere nemmeno quali esse fossero. Innania aveva paura di quella creatura, non la conosceva, ma in cuor suo sapeva che quello era un abominio. Non ci sono parole per descrivere una sensazione così vera quanto irrazionale, un disgusto e una paura tale da scuotere anche l'animo più forte. Poteva scommettere sulla sua stessa mano che il mostro non fosse nemmeno cieco, il modo in cui si muoveva era troppo svelto e sicuro per credere a quel finto handicap. Sicuramente era una pazza, una malata affetta da una patologia che le aveva colpito il cervello, non era così raro ad Alastore. Forse era una stalker, qualcuno che aveva fatto arrabbiare in passato o una burlona impertinente. Ma che importanza potevano avere le sue patologie o le sue intenzioni in quel momento? La minore aveva capito poche parti di quel discorso confuso, troppe parole erano di un registro eccessivamente alto per una semplice analfabeta, ma la parte che parlava di suo zio pareva una minaccia concreta. Si voltò di scatto per pregare Lucas di lasciarla andare, di permetterle di difenderlo, o almeno indagare, come al solito. Ma quella frase non uscì mai dalla sua bocca. Il buio calò su di loro, un'oscurità quasi palpabile che rendeva tutti predisposti a diventare ladri o derubati, assassini o vittime. Nella città delle bestie la notte è amica dei forti e padrona dei deboli. I troni dei 105 Alastoriani inziarono ad mettere una luce debole, stelle in quel mare di gente che si guardava intorno meravigliata.
《Sta inziando》sussurrarono in coro centinaia di voci estasiete. Tutti guardavano quel cielo artificiale, stupiti ogni anno da quella piccola grande magia. I ricchi abitanti della terra sospesa ogni anno si premuravano di rendere la Lotteria un evento mondano capace di attirare anche le persone più scettiche. Stranamente ci tenevano in modo quasi maniacale a quell’evento che a loro non portava alcun beneficio. Posizionavano una cupola invisibile sul perimetro della piazza in modo da far calare improvvisamente il buio, per poi illuminare poche cose, così da creare una notte artificiale, in un gioco di luci incantevole.
Una voce si levò possente su tutta la piazza. Era un suono dolce ma al contempo deciso, capace di ispirare fiducia e paura, un richiamo mistico a cui nessuno poteva sottrarsi
《Salve a tutti, miei cari Mimicani. Sono lieto che come ogni anno si siano presentate tante persone. Siamo qui oggi per festeggiare le nuove possibilità e l'incontro trai nostri due popoli》annunciò Belial Hill, il tribuno della plebe. Reggeva con il braccio destro un piccolo microfono di cui non sembrava nemmeno aver bisogno, mentre il marito salutava allegramente le telecamere che riprendevano la scena, pronta per essere mandata in onda su tutte le televisioni di Alastore.
《So che per molti di voi la vita è dura, ma non dovete smettere di combattere. Quella speranza che ha fatto sopravvivere i nostri avi all'Ultima Battaglia vive ancora in noi》disse con aria trionfante l'albino, guardando fieramente la folla che lo osservava idolatrante come se fosse un dio.
"Facile per te parlare, Alastoriano del cazzo" pensò in un impeto di rabbia Innania , quasi indignata da quelle parole, mentre stringeva con forza la mano del padre. Quella voglia insita in chi non soffriva di mettersi allo stesso piano di coloro senza speranze aveva sempre infastidito la giovane. La trovava una mancanza di rispetto bella e buona.
《Ma non voglio farvi perdere altro tempo, so che avete molte cose da fare. Tra pochi secondi uno solo trai vostri biglietti inizierà a brillare, e chiunque avrà in mano quel ticket, in quel preciso momento, diverrà il fortunato vincitore di un milione di euro e otterrà l'ingresso alla Città Sospesa, Alastore》 concluse l'uomo, appoggiando il microfono sulla spalliera del trono.
Tutta la folla sembrò presa da una sorta di eccitazione mista a delirio. I bambini correvano veloci slittano tra le gambe degli adulti, allungando le mani per raccogliere biglietti e avvalendosi dell'oscurità per proteggersi. I più anziani aspettavano con calma e rassegnazione, come se si fossero arresi a quella vita di stendi. Le madri e i padri reggevano con forza i figli per darsi la forza di sperare. Innania rivolse un dolce sorriso al padre adottivo
《Qualsiasi cosa succeda, ti vorrò sempre bene》sussurrò guardandolo negli occhi. Quella era la loro ultima possibilità, una piccola e debole scintilla in un mare di nebbia e dolore. La giovane stringeva ancora tra le dita il biglietto datole dalla donna misteriosa, la quale sembrava quasi scomparsa dai suoi pensieri. Il buio divenne sempre più opprimente, più scuro, più profondo. Ogni secondo il suo cuore faceva mille capriole e la sua bocca esprimeva mille preghiere rivolte ad un Dio cieco.
Lucas, quando lei era piccola, amava raccontarle di come gli antichi usassero le stelle per esprimere desideri, ma quelle che vedeva ora erano solo artefatti umani, mere copie buone solo per trucchi di magia. Non riuscì nemmeno ad immaginare la sua vita senza lo zio, colui che l'aveva salvata e amata senza mai chiedere nulla in cambio. Ogni tanto si domandava perchè lo avesse fatto, perchè avesse scelto di accollarsi un tale peso. Lui e la sorella non parlavano da moltissimi anni, il loro rapporto era praticamente inesistente, ma anche se fossero stati legati da qualcosa di più forte del sangue, nessuno in quella città faticava tanto per mera gentilezza. Tranne lui. Solo e unicamente lui. Ecco cosa significava per Innania il padre adottivo. Era la sola persona pura rimasta in quel mondo corrotto, il tacito monito che, anche se nascosta, la bontà umana era anche in un postosenza speranza.
Presa da quei pensieri non si accorse nemmeno che il biglietto che teneva con tanta forza in mano aveva iniziato a brillare.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro