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Capitolo dieci: Decadente

La prima cosa che tutti gli Alastoriani notavano di Raziel Laitinem era il forte odore di bourbon che emanava. Quella fragranza pareva seguirlo ovunque egli andasse, come il velo di una sposa. Forse il tanfo che lo circondava sempre serviva per rammentargli il lento decomporsi della sua anima, per ricordargli la sua decadenza. Il ragazzino non provava nemmeno più a coprire la sua sgradevole essenza con qualche profumo, rendendo l'aroma dell'alcol il suo marchio distintivo. Era spesso stato criticato per la sua propensione ad alzare un po' troppo il gomito, ma nessuno si era mai preso la briga di chiedersi perchè un ragazzino di soli quindici anni fosse già ridotto in quello stato. Le sue cicatrici e i suoi lividi erano messi a nudo da quella tiepide luce lunare, ma tutti guardavano altro, chiudendo gli occhi davanti alla realtà. Forse questa storia avrebbe una fine differente se qualcuno nella calca avesse alzato anche solo un dito per difendere quel bambino sperduto, se solo a qualcuno fosse importato abbastanza di lui. Sfortunatamente gli uomini non sono mai stati avvezzi ad andare oltre alla superficie delle cose; a molti basta solo riempirsi la bocca di cattiverie travestite da critiche, senza indagare o riflettere. Il corvino ne era la prova vivente: sempre circondato da persone ricche, di cultura e sveglie di mente, che però si limitavano solo a rimpinzarlo di morali vuote, senza offrirgli un vero aiuto.
Ma Innania, ancor prima del suo olezzo e dei suoi vizi, aveva notato gli occhi dell'adolescente.  Le sue iridi erano di un bellissimo azzurro, dello stesso colore dello zaffiro. Due rari e preziosi gioielli incastonati in un volto scarno e sofferente, un amaro scherzo del destino. L'affascinante forma rotonda era valorizzata da un eyeliner scuro e dall'ombretto viola, che gli regalavano un'aria gotica, ma al contempo elegante e misteriosa. Il correttore non era riuscito a far scomparire completamente le occhiaie marcate e un piccolo livido purpureo sullo zigomo, il quale rovinava il suo volto da bambola di porcellana. Però la cosa che spinse la mora a fidarsi fin da subito di lui fu il senso di familiarità che lo sguardo sofferente del minore le aveva trasmesso. Il modo in cui quei grandi topazi si guardavano intorno guardinghi le riportava alla mente i bambini del Secundo Circulo.
I suoi erano occhi vuoti e colmi di odio, e lì ella ritrovò il simbolo della sua gente. Quel bambino le faceva pena, anche lui viveva in una Mimica lontana, però senza una Lotteria per sfuggirle.

Raziel indossava un abitino nero succinto che gli marcava i fianchi e i glutei, due stivali giganteschi sui quali camminava a fatica, un'aberrante sciarpa rosa fatta da piume di fenicottero e svariati anelli color argento. Al contrario di molti altri Alastoriani, dall'aspetto quasi celestiale, il suo abbigliamento era così esagerato da apparire caricaturale. Tutto quel trucco provava inutilmente a nasconderlo, ma lo faceva risultare ancora più inadatto e fuori posto, un bimbo che giocava con i tacchi della madre.
Era una fiamma effimera sotto le luci delle grandi finestre a mosaico, il lume di una candela che era già stata spenta e di cui rimaneva solo il fumo, inodore e insapore, solo il lontano eco della fiamma che sarebbe potuto diventare. Quel volto rotondeggiante lo faceva assomigliare ad una donna, una di quelle belle vergini di cui si parla nelle leggende, ma la statura bassa e scarna era più simile a quella di un ammalato costretto alla fame. Il giovane padrone di casa ricordava ad Innania il cerbiatto che una volta aveva visto in una delle poche zone fertili rimaste a Mimica: la fiera, fragile e sfinita dalla fame, era giunta nel Secundo Circolo in cerca di salvezza, ma qui si era ritrovata braccata dai cacciatori ed era morta in un lago di sangue. Quella creatura nella sua breve vita aveva posseduto la bellezza che Dio riserva solo a pochi, ma la grazia non può nulla in un mondo governato dalla forza. E Raziel pareva averlo capito.
Il ragazzino allungò la mano verso di lei
《Vieni, Innania Leroux, mio marito vuole parlarti》disse con voce debole e atona. L'abitante della terra lo scrutò con attenzione prima di stringergli la mano per farsi guidare in quella barocca abitazione.

La pelle del corvino era fredda e ruvida al tatto, le sue dita piene di calli e piccole ciccatrici, le unghie nere sbeccate e rotte, tutto in lui stava lentamente cadendo a pezzi. Non assomigliava né a Menasse né a Belial, lui non era un angelo. Camminava per il grande corridoio con aria decisa, le occhiate malefiche degli invitati erano la sua corona, le risate e i versi di scherno il suo mantello. Fiero e a testa alta lanciava sorrisi maliziosi a destra e a manca come se quell'odio non lo toccasse. Il loro disgusto era il suo vanto. Si teneva lontano dagli uomini e ammicava alle donne, le quali si allontavano da lui con aria schifata.
《Pubblico difficile oggi?》chiese la mora a Raziel
《No, sono sempre così! Qui nessuno apprezza il mio talento naturale nell'essere sempre sexy》scherzò indicandosi con il dito, per poi lanciare un bacio con la mano ad un uomo che lo fissava in cagnesco.
《Forse ti apprezzerebbero di più se non avessi lanciato una bottiglia contro di loro》provò a dire Innania
《Non li ho beccati, it's not a big deal》rispose divertito il minore, concludendo la frase con una battuta in una lingua antica che la Mimicana non conosceva.

Il più giovane le faceva strada salendo le scale in assoluto silenzio. Le sue gambe sottili si muovevano con grazia tra la folla, facendosi largo a suon di gomitate e calci, ridendo spensieratamente di ogni persona che cadeva a terra. La ragazza iniziò lentamente a comprendere il perchè della sua brutta fama, ma tutti quei lividi che macchiavano quel corpicino rovinato raccontavano una storia ben diversa da quella che voleva far credere con quei gesti beffardi. Le persone però sembravano più interessate a lei che al corvino, curiose di conoscere la sua storia e le sue abitudini come abitante della terra. La fermavano durante il suo passaggio per riempirla di domande, fin troppe per i suoi gusti.
Solo in quel momento, circondata come se fosse un'icona religiosa, si rese forse conto per la prima volta delle sue responsabilità. Quelle persone, prima così disinteressate al suo mondo, ora erano incuriosite da lei. Poteva cambiare le cose, come aveva detto con Lucas prima che tutta quella storia avesse inizio. Pura energia inziò a scorrere nelle vene al solo pensiero di poter finalmente portare giustizia e pace in quel mondo ormai distrutto da troppe guerre. Poi un dubbio si insinuò nella sua mente. E se non ci fosse riuscita? E se avesse fallito? Quella era l'unica possibilità che la sua gente aveva, ed era stata messa in mano a lei, una giovane analfabeta del Secundo Circolo. Non era abbastanza nemmeno per stare in quel paradiso, figuriamoci per rinnovarlo. Le persone e le domande inziarono a sopraffarla nuovamente, le sue paure divennero sempre più prorompenti, un vuoto che le riempiva il cuore e le allagava i polmoni.
Raziel le strinse la mano per darle la forza di superare quella nuova avversità, ormai abituato a agli ambienti opprimenti
《Va sempre avanti e non fermarti nella calca!》le sussurrò serio continuando a camminare.
Innania obbedì ma, per quanto veloci i suoi passi fossero, le sue ansie ormai le sfioravano la pelle, come un marchio indelebile, e nemmeno la corsa più sfrenata le avrebbe potute cancellare.

La casa del console era un edificio immenso, superava sia in altezza che in larghezza la villetta di Belial e Menasse. Ovunque erano posti arazzi, statue, tappeti, quadri e affreschi, facendo assomigliare quel luogo più alla reggia di un re che all'abitazione di un politico. Lo stile barocco richiamava al fasto e alla ricchezza, un modo fin troppo palese per mettere in mostra i propri averi. Quello spreco inutile di soldi era tipico delle persone insicure che, per loro stessa natura,  hanno un costante bisogno di ribadire quello che dovrebbe già essere chiaro a tutti. Rosse erano le tende, i soffitti e i vestiti della servitù, la quale, come una colonia di formiche, si muoveva laboriosa alla ricerca di ospiti da servire. Fiori azzurri erano posti sulle ampie scalinate che portava al piano superiore, giacinti messi sulle mani delle statue e due vasi pieni di Amaryllis collocati davanti ad una porta di betulla lasciata semiaperta. Raziel camminava teso in mezzo al tripudio di flora, lasciandosi abbracciare dalle tenebre di quel corridoio semidesertico. Sembrava agitato, il suo sorrisetto furbo era scomparso, lasciando il posto ad un'espressione preoccupata, mentre il suo passo diveniva sempre più veloce
《Non fidarti di lui, qualsiasi cosa ti prometta》si raccomandò prendendo il polso di Innania
《Lui è pericoloso, sa come manipolare le altre persone. Non mostrarti debole o ti mangerà》concluse fermandosi davanti ad una porta più scura rispetto alle altre. In quel momento erano soli, lontani dalla folla, cullati dal buio di un piano vuoto, nell'oscurità di quella notte che avrebbe segnato le loro fini. Se solo la mora quella volta lo avesse ascoltato molto probabilemnte questa storia avrebbe un lieto fine.
《Perchè mi dici questo? Va contro i tuoi interessi》chiese confusa la maggiore
《Questi non sono affari tuoi, tesoro. Vedi di non farti fregare, punto molto su di te, mostro di Mimica》dichiarò con voce flebile aprendo la porta.
La ragazza fece per chiedergli spiegazioni, ma il minore si allontanò a passo svelto, intuendo cosa stava per succedere. La giovane aspettò qualche secondo prima di entrare, piena di ansie e paure. Una parte di lei sarebbe voluta scappare, fuggire via da quel luogo e da quelle persone così strane da lei. Belial era sua alleato, avrebbe potuto chiedere consiglio a lui, rifugiarsi tra le sue braccia e farsi consolare da quella voce melliflua che le ricordava tanto quella di Lucas. Ma sapeva di avere delle responsabilità, non solo nei confronti del suo popolo, ma dell'umanità intera.
La paura non avrebbe fermato quello che credeva essere il suo desiderio di giustizia, ma che in realtà era solo sete di potere.

L'ufficio di Sitri Nieminem era ampio e dal fascino esotico. Il pavimento di resina dorata era quasi totalmente coperto da un largo tappeto indiano dai colori sgargianti. Sui muri rossi l'uomo aveva collocato dipinti e fotografie di sé stesso insieme ad una giovane ragazza, probabilmente la figlia. Grandi finestre colorate illuminavano la stanza riempiendola di una fredda luce lunare, mentre un lampadario di cristallo pendeva dal soffitto colorando quel luogo di mille colori grazie ai suoi riflessi. Piante che erano appartenute ad isole ormai distrutte profumano quel posto e lo abbellivano con i loro eleganti petali. Non erano presenti libri o scaffali come nello studio di Belial, ma grandi statue rappresentati eroi mitologici. Le stesse leggende venivano narrate anche dai dipinti che componevano i ricchi affreschi del tetto della stanza. Innania non lo riconobbe, ma spesso veniva raffigurato Ganimede, il giovane amante e compiere di Zeus. La versione presentata però aveva grandi occhi azzurri e folti capelli neri, in quasi tutte le opere piangeva o sanguinava, ma questo completava la sua bellezza sofferta. Un altro personaggio ricorrente era una Elena di Troia dai capelli bruni e la pelle ambrata; ella aveva il ventro gonfio, tipico delle donne incinta, ma braccia scarne, gambe asciutte, il volto pallido e l'aria morente.
Infondo alla stanza Sitri era seduto su un grande seggio di acero tinto di viola, rilassato guardava fuori dalla finestra bevendo vino rosso da un calice argentato e fumando erba.

Il console maggiore era un uomo dalla corporatura robusta e la bocca larga. Le sue braccia erano massicce e il ventre gonfio a causa del suo stile di vita sedentario. Il volto rotondo e paffuto era coperto da un leggera  barbetta ben curata, quel viso era segnato da una strana aurea, che lo sfregiava come una ciccatrice. Aveva labbra rosee macchiate di vino, capelli scuri legati in una treccia lunga, occhi dalle iridi di un innaturale rosso e dita tozze che reggevano in mano quella droga naturale. La sua pelle cadaverica era ricoperta da piccole imperfezioni che provava a coprire in modo quasi compulsivo, ottenendo però pessimi risultati.
Innania fece per chiamarlo, ma egli si girò di scatto con un sorriso beffardo sul volto.
《Salve, signorina Leroux, la stavo aspettando》

//Innania, perchè ti fidi dei pedofili?

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