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Capitolo diciannove: Il giorno speciale di Raziel

//So che uso spesso i tw prima dei capitoli, ma questa volta sono seriamente convinta sia indispensabile. Mi sono triggerata io stessa mentre scrivevo, vi dico solo questo. Quindi, se siete sensibili, per l'amor di Dio non leggete questo capitolo che infondo non è nemmeno importante per la trama. 
Questo pezzo mi ha rubato anima, tempo e probabilmente l'accesso al Paradiso, quindi voglio sapere tutte le vostre opinioni. Sentitevi liberi di scrivere il vostro pensiero.
Vi amo tutti, il vostro supporto per me è indispensabile <3
Capitolo dedicato al mio fratellone -MATIX_DJ-

《Portami a casa Raf, voglio stare da solo》 disse scocciato Raziel mentre si accendeva una sigaretta. I grandi occhi chiari del ragazzino erano saturi di lacrime e il labbro inferiore tremava a causa di un pianto che non voleva lasciar andare. Si era sempre rifiutato di manifestare apertamente il proprio dolore, provava un sentimento quasi pudico nei confronti della sua sofferenza.
Era effimero nella sua estrema fragilità, una stella morta che continuava a splendere nel cielo notturno. La consapevolezza di essere ormai esploso rendeva quell'astro celeste bello in modo disgustoso, vestito della stessa magnificenza che ricopre le cose estremamente rivoltanti. 
Le spalle ricurve lo facevano assomigliare ad un rapace, le iridi vacue ad un cadavere. Immobile e teso si preparava a difendersi dalle botte e a scappare dai colpi, con il piede sempre preparato alla fuga. Quella maschera che portava continuamente, quella che si era costruito con tanto impegno, quella della prostituta senza cuore, quella dell'arrampicatore sociale, lentamente gli era parzialmente scivolata via dal viso, mostrando i lividi che si nascondevano dietro quel sorriso beffardo. Non scherzava ne parlava più, ma la sua aria malinconica gli faceva da mantello. Non aveva più età, troppo sporco per essere un bambino e troppo puro per essere un adulto, ma era comunque vecchio come il dolore stesso. Non saprei come descrivere quel taglio profondo che corrompeva l'animo di quella creatura; malessere, sofferenza, afflizione...nessuno di questi termini può portare alla luce quel sentimento, quella tortura, che affliggeva Raziel. Era una passione violenta capace di lasciare senza respiro chi la provava. Quando nell'antichità una popolazione veniva distrutta si gettava sale sulla terra bruciata per impedire che potesse ricrescere libagione là dove la morte era passata e aveva raccolto tante anime. Quello era ciò che Raziel sentiva tutti i giorni della sua vita. Sale sulla terra. Quello era ciò che era. Sale della terra.

Solo Raffaele poteva vederlo in quello stato, al limite della crisi, ma il corvino non gli avrebbe permesso di andare oltre, di addentrarsi nel cuore della sua angoscia. Non poteva permettersi di spaventare l'unica persona rimasta insieme a lui ad affrontare l'inferno, pur sapendo bene che il biondo sarebbe rimasto in ogni caso. Ma conosceva anche un'altra realtà, quella che lo terrorizzava di più: in futuro il maggiore lo avrebbe abbandonato per cercare quella vita che lui, con tutti i suoi problemi e i suoi traumi, non poteva dargli. Una parte di lui, forse quella che amava più di tutte le altre Raffaele, desiderava solo che quel giorno arrivasse in fretta, così da lasciare libera la ragione dei suoi rari sorrisi, ma un'altra parte, la più egoista, avrebbe voluto tenerlo con se per sempre. Un frammento di lui bramava solo abbracciarlo e inglobarlo nel suo universo sterile. 
Non avevano soldi.
Non avevano un piano.
Non avevano possibilità.
Raziel aveva appena visto sfumare sotto gli occhi l'utopia di una vita normale. Innania non aveva accettato. Lui non poteva scappare. Aveva finalmente compreso che se il suo amore fosse rimasto ancora con lui sarebbe finito o sotto terra, ucciso da suo marito, o vecchio ed esausto a lavorare per un uomo che odiava per proteggere quel ragazzino che non poteva dargli nulla. Perché questo era Raziel, nulla di più che mera apparenza, un nulla su cui non poteva crescere il frutto della passione, il frutto della famiglia o quello della spensieratezza. Lui era il deserto arido che uccideva coloro che lo percorrevano, la palude scura che soffocava trattenendo con se chi passava. Voleva vedere l'unica persona che aveva avuto il coraggio di accamparsi e dormire sulla sua sabbia trovarsi un'oasi di pace, magari con qualcuno capace di dargli ciò che lui non aveva. Ma per farlo il suo fidanzato doveva lasciare il deserto. E il giorno in cui lui avrebbe detto addio a quella piana insipida, Raziel non avrebbe più avuto alcuna ragione di vita. 
Per anni aveva continuato a brillare per un solo individuo, ma che bisogno ha una stella morta di splendere se colui che prova, inutilmente (il nostro eroe non è il sole, non è capace di produrre troppa luce), ad illuminare, non alza più gli occhi al cielo?

La macchina sfrecciava attraverso le strade colorate senza emettere alcun rumore. Quella che la coppia stava attraversando era una zona molto popolata di Alastore, un luogo mediano tra la campagna e la città. Grandi gruppi di abitazioni sorgevano a pochi kilometri di distanza e le vie più antiche si intersecavano a quelle nuove. Il veicolo di lusso incuriosiva i passanti che si sporgevano dai cigli per osservare il mezzo di trasporto con aria trasognante, immaginando di guidare un'automobile simile a quella. 
《Fare un giro ti aiuterà, ne hai bisogno, sono settimane che stai chiuso in camera》rispose il biondo. Quella era una scusa che usava spesso per far uscire il giovane dal suo nascondiglio quando la paura che si potesse tagliare le vene diveniva troppo forte.
《Non mi voglio uccidere Raf, Cristo - provò a dire l'altro grattandosi la testa sconcertato- Ma devo escogitare un nuovo piano o finiremmo per stare in quella casa degli orrori fino alla nostra dipartita》disse esasperato, ma tutti i tentativi di convincerlo risultarono però inutili. Raffaele non sembrava nemmeno prendere in considerazione l'idea di tornare da Sitri. Così Raziel si arrese e riprese a fumare mentre osservava il paesaggio leggermente rurale. Aveva passato la prima infanzia in un posto simile a quello e gli sconfinati prati verdi gli ricordavano quella dimora dove era stato felice. Doveva ammettere che Raffaele aveva trovato un buon posto dove portarlo.
《Almeno possiamo mettere la musica?》chiese il ragazzino tirando su con il naso.
《Certo, cosa vuoi?》domandò il maggiore accarezzandogli dolcemente una mano
《Lo sai cosa voglio》borbottò il corvino gettando la sigaretta accesa fuori dal finestrino.
《È escluso che io metta quella robaccia piena di urla che ascoltate voi bambini trasgressivi 》rispose quello dandogli una spallata giocosa.
《Ti ho sentito mentre ascoltavi quel brano trap alle due di notte, razza di coglione, non credere di essere migliore di me》disse l'altro alzando un sopracciglio mentre tentava di non mostrarsi divertito dalla situazione.
《Ero solo curioso di capire che cosa ci trovassero gli altri》provò a giustificarsi il maggiordomo alzando le mani.
《Non ci provare, puttanella, l'hai ascoltata sei volte》ribatté l'interlocutore ridendo sotto ai baffi.
Raffaele, felice di essere riuscito nel suo scopo di rallegrare il minore, fermò la macchina.

Raziel scese dalla vettura scivolando pigramente verso l'esterno 《Mi hai portato qui per uccidermi e seppellire il mio cadavere tra lo sterco di mucca?》 chiese osservando la vallata che incontaminata si estendeva sotto ai loro piedi. L'erba verde era macchiata da fiori azzurri e gialli, da tulipani e viole. Solo una piccola casa in legno giaceva nel mezzo della pianura, era una minuscola villetta ad un solo piano, così differente dal canone delle abitazioni alastoriane che pareva uscita da una foto risalente ai tempi precedenti alla grande guerra. 《Non mi dire che vuoi giocare alla famigliola?》 chiese stupito il minore che aveva già compreso le intenzioni del compagno《Ti prego Raf, siamo una prostituta e un avanzo di galera senza soldi, questa cosa la fanno i protagonisti di quelle serie di merda che guarda Beatrice, non noi》provò a spiegargli. Raffale in tutta risposta gli accarezzò i capelli sorridendo, facendo quella tenera espressione che annullava qualsiasi sforzo potesse fare Raziel per sottrarsi alla sua volontà. 《Ti detesto con tutto il mio cuore, spero ti divori il demonio》 borbottò la giovane moglie del ricco mostro che si nascondeva nei bordi di quell'allegro quadro. E mentre camminava strisciando i piedi per terra, il più piccolo si concesse un sorriso.

《Giuro che prima o poi ti uccido》sussurrò il corvino uscendo dall'unica camera presente nella piccola villetta. Avevano trovato sepolto in un mare di polvere un baule pieno zeppo di vestiti e Raffaele, attraverso una serie di manovre al limite del ricatto emotivo, era riuscito a convincere il suo ragazzo ad indossare un largo abito rosa pieno di pizzi e merletti. Il biondo, che era rimasto nella spartana cucinetta per lasciare al minore un po' di privacy, scoppiò in una fragorosa risata quando lo vide. Raziel, che solitamente vestiva abiti attillati e scuri, ora sembrava uscito da un vecchissimo film ambientato nel 1800 con quella vaporosa gonna color salmone e il corsetto pesca ricamato di fiorellini. 《Questo coso puzza e prude》 si lamentò lo sfortunato 《Almeno le mie minigonne sono comode, ho rischiato di cadere almeno tre volte mentre venivo qui》 disse continuando la sua serie di lagne.《Sei già entrato nella parte del marito cagacazzo》 lo punzecchiò il fidanzato continuando a ridere. Preso da quella fanciullesca gioia anche Raziel scoppiò a ridere, una delle sue poche vere risate, quelle che faceva raramente, pure come quel cuore che nascondeva con tanta cura.
《Sarai la ragione del mio quarto tentativo di suicidio》 si lasciò sfuggire il ragazzino sorridendo, ma quel ghigno scomparve appena il maggiore si fece serio e si chiuse in quel sofferente silenzio che entrambi conoscevano bene. L'attrazione che Raziel provava verso la morte era un tabù tra di loro, un grosso problema che si limitavano ad ignorare il più possibile, ma che rimaneva vivo nei sottointesi e nei piccoli atti di vita quotidiana, come, ad esempio, l'abitudine di Raffaele di nascondere al suo amante forbici, rasoi e persino temperini appena l'altro si distraeva. Ogni volta che il minore si lasciava sfuggire una battuta su questo argomento l'altro si rabbuiava e i suoi occhi si bagnavano a causa di quelle lacrime che non voleva mostrare al corvino. Il biondo si sentiva tremendamente in colpa per la sua impotenza, per essere inutile e non poter salvare il solo essere che lo aveva fatto sentire degno di ricevere amore. 《Scusa Raf...io..scusa》 sussurrò Raziel sedendosi sul bancone da cucina giallo sporco di polvere. Il maggiordomo si strinse le spalle facendo un sorriso tirato 《Non ti preoccupare Raz, è bello sentirti ridere》 rispose accarezzandogli i capelli. 

Il sole era ormai rosso sanguigno quando i due si stancarono di giocare. Erano rimasti nella casetta per qualche ora recitando parti di filmetti rosa famosi ad Alastore: "《Lasciami andare Tontessa》 aveva gridato Raffaele fingendosi un bandito dal cuore tenero 《Mai, Edard》aveva risposto un Raziel in preda ad una risata quasi convulsa". Quando quella perdita di tempo li annoiò si ritrovarono a vagare tra la valle deserta, parlando di cose stupide, discorsi su serie tv, libri e canzoni. Mangiarono alcuni panini rubati quella mattina dalla cucina e bevvero della birra scadente che il minore conservava in macchina da una vita. A fine giornata il ragazzino riuscì persino a convincere Raffaele ad indossare il famoso abito rosa abbandonato ore prima nella villetta di legno. Parevano due ragazzini di quindici e diciassette anni come tanti altri. Ragazzini che passavano le giornate a bighellonare e a perdersi in posti desolati. Ragazzini che potevano andare a scuola e che si lamentavano di quanto fosse bastarda la prof di economia o quanto non ci capissero nulla di matematica. Ragazzini pieni di vita e di speranze, che ingenui pensavano di cambiare un mondo che gira dallo stesso verso da secoli prima della loro nascita. Ragazzini con famiglie normali, pronte a sgridarli e a lodarli, pronte ad essere severe, ma anche dispensatrici d'amore. Ragazzini che non avevano le spalle ricurve perché costretti a portare il peso del mondo. Ragazzini con un cuore che pulsa non per un triplo miracolo chirurgico, ma perché se ne sono presi cura. Ragazzini che non erano loro. 

《Dobbiamo tornare a casa, prima che lui si arrabbi》 disse Raffaele alzandosi. La sua voce era fioca e lontana, distante da quella dell'adolescente che aveva riso e scherzato fino a pochi istanti prima. Anche lui era stanco di quella vita, ma per ora era importante non dare nell'occhio e essere obbidienti, era la loro unica possibilità. Fuggire sarebbe stato stupido, Sitri li avrebbe braccati, non certo per amore, quanto più per la sua incapacità di accettare la sua impotenza e il rifiuto altrui, e chissà cosa avrebbe fatto al suo amore. Così nascose la paura che provava all'idea che l'altro potesse uccidersi una volta messo piede nella dimora in cui alloggiavano. Sorrise dolcemente verso il suo amante, accarezzandogli la mano per dargli forza. Raziel senza aggiungere nulla tornò verso la macchina, sperando solo di morire in quell'istante, felice dopo tanto tempo. Con leggerezza si voltò e diede un bacio a Raffaele (gesto strano per lui che detestava il contatto fisico), poi salì sulla vettura. Fu in quel momento che il biondo comprese, anzi, si rassegnò all'idea, che quella notte avrebbe portato con se il sangue del suo fidanzato e che quel quarto tentativo forse sarebbe stato l'ultimo. Il maggiordomo si chiuse in un silenzio funebre per tutta la durata del viaggio, osservando il suo raggio di sole guardare il panorama fuori dal finestrino con gli stessi occhi di un condannato a morte. Quando il sole serotino scomparve trai grattaceli, il biondo si nascose nel cappotto e finse di dormire. In segreto versava quelle amare lacrime di lutto per quel cadavere di cui si era follemente innamorato, ma che era morto anni prima.

Raziel entrò nella stanza di Sitri quando ormai fuori dalla villa era così buio da non poter distinguere le figure in lontananza. Era una camera grande quanto un piccolo appartamento, dalle pareti rosse e il pavimento di legno scuro. Ovunque erano poste statue di varie grandezze, i modelli erano soprattutto felini e figure mitologiche che reggevano macabri candelabri. Il padrone era sdraiato sul letto a baldacchino completamento nudo, con sguardo rabbioso e un grosso livido violaceo sul volto. La sposa aveva imparato da tempo a non farsi domande sull'aspetto del mostro, doveva solo svolgere le sue funzioni, attenersi al suo ruolo e essere ciò che lui voleva che fosse, un semplice oggetto su cui riversare quella rabbia che non sapeva sfogare in nessun modo se non attraverso la carne.
《Sei uscito?》 chiese l'uomo pigramente mentre apriva le gambe. A quell'essere mostruoso non importava seriamente quello che il ragazzino faceva, per lui era importante una sola cosa, averne il possesso. Raziel si avvicinò ormai rassegnato annuendo piano con la testa mentre si sedeva sul letto. In quei momenti non sentiva nulla se non un profondo senso di sporco, un lerciume che lo corrodeva, che cresceva sotto la sua pelle, che lo consumava con una velocità impressionante. Un disgusto così forte che l'unico modo per placarlo era graffiarsi le braccia, le gambe, il ventre, lasciando scivolare il sangue infetto sul suo corpo immondo per purificarlo fino al prossimo abuso. Ma dolore, vergogna, rabbia e tutti gli altri sentimenti erano lontani da lui, poichè erano sintomi dell'inevitabile condizione dell'essere umani, cosa che lui non era più. Raziel era solo una bambola sporca, logora, ormai distrutta dalla polvere e dagli insetti che avevano mangiato il suo cotone e strappato le sue cuciture. Rassegnato obbedì a quell'ordine implicito lanciato dallo sguardo impaziente del suo carceriere, prendendo il pene di quel demone in bocca. Si attenne a tutti i comandi che gli impartiva Sitri attraverso la mano in cui stringeva i capelli bicolore del giovane. Le dita del marito erano fuoco sulla sua pelle, velenose, intossicatrici. Le percepiva mentre lasciavano solchi di invisibile sudiciume sul corpo. L'unica cosa che il cervello traumatizzato della povera creatura riusciva ad identificare era il penetrante odore di sudore, quel tanfo che ricollegava a quelle violenze. Sentiva in lontananza qualcosa toccargli la schiena e le natiche, ma era una sensazione lontana. Un tempo, le prime volte, aveva provato paura, un terrore cieco, ora non gli importava più, ora tutto scorreva e lo sporcava. Voleva grattarsi, voleva liberarsi dallo sporco. Voleva morire pulito. Con le dita si graffiava l'interno della coscia rasserenandosi quando sentì i polpastrelli bagnarsi. Voleva pulirsi. Quel sangue non bastava. Voleva pulirsi. Disgusto. Ecco cosa riusciva a distinguere. Era stanco, sporco e disgustato, così nauseato da quella puzza da coprire la sua angoscia. Era vuoto, ma ancora sporco. Rassegnato strisciava violato, privato del suo essere umano, privo del suo essere una persona. Non sentiva più l'aria nei polmoni, non sentiva più il battito del cuore. Tutto quello che subiva lo feriva con una tale intensità, con una forza distruttrice così potente, da piegare anche l'uomo più forte, ma lui non riusciva a capirlo, anzi, a percepirlo. Il suo cervello lo aveva reso apatico per garantirgli almeno di sopravvivere e ora la paura e l'odio giacevano in sottofondo con devastante vigore. Voleva morire pulito.

Una volta che l'adulto venne nella sua bocca lo lasciò quasi seccato dalla performance. Accarezzò per poco il petto di Raziel che lo fissava esausto, privato della forza di combattere. I tempi in cui mordeva, piangeva e scalciava erano finiti, ora non rimaneva altro che il nulla nei suoi occhi chiari. Un nulla che lo rendeva rivoltante agli occhi di Sitri. Per continuare a resistere, per combattere era necessario credere nel profondo di avere la possibilità di vincere. Raziel non aveva più speranze, non credeva più in nulla, voleva solo morire, morire pulito come non era da molto tempo. Aveva compreso che non c'era spazio per lui in quel mondo. Quella realtà che accettava solo le persone linde lo rigettava. Il marito lo fissò annoiato prima di tirargli uno schiaffo sul volto così vigoroso che l'aria tremò per qualche secondo 《Se mi guardi con quella faccia da stronzo apatico non mi diverto》 disse colpendogli lo stomaco con il piede. Raziel cadde sul letto sputando sangue. Sentiva i polmoni bruciare. Forse quel fuoco lo avrebbe purificato. Era stanco di essere sporco. Non rispose, annullato di ogni capacità, di ogni sogno o speranza. Moriva immobile versando una sola lacrima solitaria. Capì che Sitri lo stava penetrando, che stava urlando, che lo stava percuotendo, ma ormai era inerme sotto i suoi colpi, stanco dalla vita, con il peso del lerciume che gli inondava l'anima. 

Sitri era sdraiato supino e sudato sul letto. Accarezzava pigramente i capelli del ragazzino come se non lo avesse appena torturato, quasi con affetto. Esausto fumava una sigaretta osservando la sua vittima. Ora che la rabbia in lui si era spenta rimaneva solo una profonda sensazione di vuoto. Guardava il bambino che giaceva al suo fianco con pietà, un qualcosa simile al rimoso o al rimpianto. Non empatizzava seriamente con quell'essere umano che stuprava con rabbia, questo gli avrebbe reso impossibile dormire la notte, ma provava nei suoi confronti lo stesso senso di colpa che si prova dopo essersi abbuffati di dolci, la certezza di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma non malvagio. Faticava a vedere Raziel come ad una persona, per lui era un dolce, qualcosa che mangiava quando era triste per tirarsi su il morale. Il minore fissava la finestra assorto, con il corpo pieno di lividi e il naso sanguinante. 《Lo hai già capito vero?》 chiese l'uomo ad un certo punto. Non era una domanda che implicava una risposta, anzi, il corvino aveva spesso la sensazione che il suo abusatore in quei momenti non si stesse nemmeno rivolgendo a lui. Probabilmente parlava a se stesso, forse si liberava la coscienza, forse si martirizzava, alla fragile creatura questo non era mai importato. 《Quel biondino non ti ama, nessuno ti può amare. Dovresti essermi grato, sai? Quello che ti faccio è la cosa più vicina all'amore che tu potrai mai provare. Sei stato rotto da piccolo, sei frammentato, e per quanto raccogliere i pezzi di ciò che sei possa risultare divertente alle crocerossine, non sei tu colui che loro bramano. Alla fine tutti scelgono sempre le persone senza graffi per passare la vita, con i cocci ci si taglia. Questo disadattato sociale che pago per portarti a spasso non fa eccezione, pensi che lui ti ami anche se sei un disastro, ma ti ama perché sei un disastro. Un giorno si stancherà di provare a metterti in piedi, ci rinuncerà, e sceglierà qualcuno semplice, che possa aiutarlo a sorreggersi》 si prese una breve pausa per fare un tiro di sigaretta 《Non pensare che sia colpa mia se ora sei marcio, lo eri già prima di conoscermi. La prima volta che ci siamo visti ho pensato che non saresti arrivato a fine mese, avevi undici anni e già eri demolito. Io però posso donarti una cosa più forte dell'amore, i soldi. Guardami, bevo dalla mattina alla sera, fumo, mi faccio e mangio troppo, non andrò molto in là. Ho solo te e Bea. Voi riceverete il mio lascito. Conoscerai la completa libertà della ricchezza. Io ti ho salvato. Ti ho salvato e tu continui a vedermi come un mostro》 si lamentò 《Ti tratto benissimo, le puttane dei miei colleghi non hanno il tuo stesso lusso. Ti faccio scopare con Riccard..Ra...Ro, beh, hai capito, hai una tua stanza, vai a zonzo, bevi e ti diverti. Non so cosa vuoi di più. Aveva ragione tuo padre, sei veramente viziato. Sai quanto ho pagato per quel tuo cul-》non finì la frase.
Raziel, stanco di quel soliloquio, si alzò dal giaciglio incamminandosi verso la sua stanza. Il ricco gli sbraitò dietro qualcosa, ma lui non lo ascoltò, non esistevano le conseguenze per uno che aveva in programma di ammazzarsi da lì a poco.
《Sì, l'ho già capito》 rispose una volta che fu lontano dal suo personale inferno.

Quando accese le luci del tugurio nel quale dormiva si sorprese nel vedervi Raffaele che, piangendo, stringeva tra le mani il cellulare del fidanzato. Il corvino fece per aprire la bocca, pronto a tempestare l'altro di domande, ma non ce ne fu bisogno. Il biondo voltò il telefonino con un sorriso luminoso che gli irradiava il volto. Un messaggio vocale da un numero sconosciuto. Una sola frase. Una sola frase cambiò il destino di quel ragazzo già condannato.  Una giovane voce femminile pronunciò singhiozzando quella sentenza che cambiò l'ordine delle cose, che mutò il destino: "Ho cambiato idea, accetto"

Ed eccola, dopo tanto tempo, la speranza.

//BUON CAPODANNO.
SPERO CHE VI DIVERTIATE OGGI, SIA A CASA SIA CON GLI AMICI (ricordatevi che so può essere felici ovunque)
VI AUGURO UN BUON 2022 E NOI CI RIVEDIAMO AL PROSSIMO AGGIORNAMENTO.
P.s:  Nel capitolo molte ripetizioni sono volute perché dovrebbe essere una via di mezzo tra un capitolo e i pensieri dei personaggi.
Fatemi sapere se vi piace o è una ciofecata.



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