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Capitolo cinque: Sogni

C'è qualcosa di particolarmente confortevole nel sonno, il che è strano dato che questo è la cosa più vicina alla morte che noi vivi conosciamo. Sembra quasi che la nostra esistenza si fermi per poche ore, che la vita ci scorra tra le dita, svelta e inafferrabile, mentre siamo in un mondo lontano, dove nulla conta. Fermi in un limbo eterno di pochi minuti, dove qualsiasi cosa ha senso nella propria follia. Gli psicologi sono fermamente convinti che tutto ciò che il nostro cervello produce tra le braccia di Morfeo abbia una sua logica, eppure come può l'irrazionale mente di animali altrettanto irrazionali creare qualcosa di sensato?
Forse amiamo i sogni proprio perchè detestiamo vivere.
Quando si decide di inseguire una fantasia irreale ci si dimentica della vita vera, era questo che Innania aveva imparato crescendo a Mimica. Una lezione che veniva impartita a tutti fin dalla nascita, ma che qualsiasi persona finiva per dimenticare, un divieto che tutti adoravano infrangere. Nessuno nella città dei cannibali aveva tempo di lasciarsi travolgere da sogni fanciulleschi, eppure era proprio la speranza a riscaldarli nelle notti più fredde. Vivevano quei momenti di debolezza, quelle trasgressioni morali, in gran segreto e non ne parlavano con nessuno, poichè parlare di qualcosa di irreale lo rende in un qualche modo vero, e macchiare con la sporca realtà una fantasia pura è sempre un tragico abominio.
Noi esseri umani non siamo forse fatti in buona parte da illusioni e sogni troppo grandi?

Innania sembrava fatta d'oro e d'avorio, illuminata dalla candida luce del sole morente. Dormiva distesa su un letto enorme, così grande che anche una donna dalla corporatura possente come la sua sembrava svanire tra le lenzuola di seta rossa. I capelli scuri le coprivano il volto segnato da lividi violacei e ferite ormai cicatrizzate. Indossava una camicia da notte blu scura troppo piccola per le sue spalle muscolose, stranamente il suo  volto aveva un'aria tranquilla, le membra erano rilassate e un sorriso le segnava le labbra rosse.  L'espressione tesa che normalmente la sfregiava ora era scomparsa, lasciando il posto ad un viso sereno, simile a quello dei bambini. Muoveva lentamente le mani come per afferrare qualcosa di lontano e irraggiungibile, tendeva le dita callose sperando di ottenere quel qualcosa che tanto agognava in quel suo sogno. Si trovava in una stanza molto ampia, dai muri decorati con una graziosa carta da parati color caffè piena di dettagli sgargianti  blu cobalto. Era presente una grande finestra che lasciava entrare la luce del sole illuminando il parquet di legno chiaro, e sul lato sinistro era posta una piccola scrivania collocata vicino alla porta d'abete grezzo. Due immense librerie facevano da protagoniste in quella stanza nella quale riposava la  giovane donna che, quasi ironicamente, non sapeva né leggere né scrivere. Una ragazza di circa diciannove anni fissava spaventata la possente ospite, che dormiva beatamente in quel letto lussuoso. Era un'adolescente non molto alta, dai folti capelli biondi, due grandi occhi azzurri e un fisico di stampo mediterraneo. Nascosta in una camicia rosa osservava da lontano Innania, che indisturbata continuava a muoversi nel sonno. Al contrario della Mimicana ella sembrava terrorizzata, reggeva la scopa per pulire il pavimento come se fosse un'arma e il vassoio per servire la merenda era divenuto il suo scudo. Rannicchiata in un angolo fissava la Mimicana, pronta ad attaccare in caso di necessità.
Poi improvvisamente la porta si aprì.

Un uomo sulla trentina fece capolino dall'uscio con un grande sorriso stampato sul volto. Era bello come solo un Alastoriano poteva essere, dalla pelle diafana illuminata da quel sole primaverile ormai giunto al tramonto e i lunghi capelli color miele ramato che ricadevano sulla schiena dritta , formando una casca di rossi boccoli. Era molto magro e alto, tanto che con la testa riusciva a toccare l'estremità della porta, ed aveva un portamento regale e nobile, come quello dei principi delle storie, ma i grandi e  allegri occhi verdi erano simili a quelli dei bambini, pieni di gioia e speranza.
《Menasse!》lo chiamò sottovoce la bionda, quasi sbigottita da quel comportamento irresponsabile, mentre gli puntava contro il manico della scopa
 《Belial ti ha chiesto di non venire qui! Non la conosciamo, potrebbe farti del male》lo rimproverò agitata sventolando in aria il vassoio d'argento.
L'altro invece sembrava molto tranquillo. Appoggiò le spalle al muro e si grattò il capo con aria serena
《Ah, mio marito mi rinchiuderebbe sotto una campana di vetro se gliene dessi l'occasione. Lo conosci anche tu, è iperprotettivo di natura》cinguettò innocentemente guardando con attenzione lo smalto rosa sulle sue unghie, leggermente sbececcato sopra il pollice destro.《Devo darci una seconda passata》si lamentò sovrappensiero, più preoccupato per la sua manicure che per altro.
《Normalmente ti darei ragione, ma questa volta faresti bene ad ascoltarlo. Ammiro la tua curiosità, ma conosci anche tu il suo popolo. Sono dei cannibali, mangiano le persone! Potrebbe svegliarsi in preda ad un attacco di fame e divorarti il braccio》lo avvertì in un sussurro.
Il rosso sorrise dolcemente facendole l'occhiolino
《Ah, avete sempre questo stupido pregiudizio sulle persone belle. Non siamo degli idioti》disse in una risata solare e spensierata.《So molte cose su Mimica, conosco la sua gente meglio di te, ho studiato per anni la loro vita. È impossibile che si svegli pronta a mangiarmi un braccio, te lo assicuro》
《Beh, non voglio di certo far arrabbiare Belial. Se mi vuoi bene, ti prego, levati》
《Oh, come sei melodrammatica》si lamentò alzando gli occhi al cielo 《Cambiando discorso, la nostra bella addormentata sembra...》 si fermò due secondi per trovare qualcosa di carino da dire. Fece una lunga pausa di riflessione prima  di avvicinarsi al letto con passo felpato per studiare  meglio la Mimicana. Alzò una ciocca di capelli, fissò la ragazza per qualche secondo, dopodiché si pulì la mano schifato sulla minigonna scozzese che indossava con tanta fierezza 《...passabile!》 concluse battendo le mani《E ora è anche ricca sfondata! Dato che come governante fai un po' pena, ti consiglio di cambiare lavoro e darti alla vita da mantenuta》
《Hey! Guarda che io sono una bravissima donna delle pulizie. Questa casa sarebbe un letamaio senza di me》disse la ragazza indignata continuando a puntare contro al maggiore la scopa. Menasse aprì bocca per controbattere, pronto ad esporre la sua lista di lamentele quando qualcosa lo bloccò. Si voltò lentamente in direzione del letto, trovando i piccoli occhi scuri di Innania che lo fissavano con aria confusa.

La ragazza si destò da quello che le era parso un semplice sonnellino pomeridiano. Per un secondo intorno a lei regnò la calma, una momentanea pace dove tutti i ricordi del giorno precedente sembravano essere scomparsi. Si godeva il calore emanato da quelle soffici lenzuola e il profumo di lavanda che regnava in quella casa a lei sconosciuta. Poteva quasi percepire il suo corpo che si rilassava, abbracciando quella familiare sensazione di benessere. Sentiva in lontananza delle voci, una femminile e una maschile, ma erano solo il sottofondo per quel puro istante di beatitudine. Sarebbe stato così bello se la vita fosse stata solo questo: il tepore del letto appena svegli, incosci del tempo che passa e del mondo che muta. Ma la realtà è troppo forte per poter essere raggirata con la calma. La testa inziò a diventare pesante, le sembrava di essere finita nel bel mezzo di una tempesta marina dove tutto girava vorticosamente, fitte di puro dolore che si infilavano nel suo cranio come centinaia di puntaspilli. Lentamente si rese conto di non trovarsi a casa sua. Il materasso era troppo soffice per essere quello presente nella camera che condivideva con lo zio, le lenzuola troppo calde per appartenerle e persino l'aria aveva un profumo diverso. No, non si trovava a casa.
Aprì gli occhi di scatto spaventata e confusa da quella situazione.
Quando vide l'uomo dai capelli rossi fece un balzo all'indietro, ben conscia di chi avesse davanti. Sentiva il cuore battere veloce nel petto, il respiro farsi corto, il ghiaccio le scorreva nelle vene mentre chinava il capo spaventata in una riverenza goffa. Una parte di lei si voleva prostare ai piedi di quella creatura così bella ed elegante, un'altra optava per nascondersi sotto alle coperte, imbarazzata dal suo aspetto grezzo. Eppure l'unica cosa che riusciva a fare era rimanere lì, tramente e con il cuore in gola, in piena soggezione. Aprì la bocca, ma da essa non ne fuoriuscì nessun suono se non un verso simile al vagito dei neonati. L'uomo le sorrise dolcemente, avvicinandosi con una lentezza ben calcolata. Non sembrava essere spaventato, anzi, era intenerito da quella donna alta e muscolosa capace di ucciderlo con una sola mossa del braccio
《Hey, stai tranquilla, non sei nei guai》la sua voce era miele, così gentile da spezzare il cuore, pura come la risata di un bambino e fiera come il cuore di un leone. Quel canto melodioso la riempì di un calore che non aveva mai sperimentato prima di quel momento, il suo tono gradevole e delicato era qualcosa che non aveva mai udito  prima  di quel momento《Piacere, sono Menasse Olsen, il marito di Belial Hill. Non so se ti ricordi di lui. È molto pallido, dai capelli bianchi e lo sguardo antipatico》si presentò ridacchiando allegramente afferrando con delicatezza la mano della giovane. Con i polpastrelli la ragazza sfiorò il palmo delicato del rosso, non aveva mai accarezzato una pelle così soffice.
《Ti ricordi dell'aggressione?》chiese studiandola con attenzione. I suoi occhi verdi erano così innocenti da far sentire sporca Innania. L'adolescente scosse lentamente il capo abbassando la testa di scatto, come una bambina che era appena stata rimproverata. Dopo un lungo silenzio Menasse si sedette sul pavimento, appoggiando il ginocchio nudo sul parquet per poterla scrutare meglio. Una scena quasi paradossale, un nobile che si accuciava per ammirare una sudicia plebea.
《Qui nessuno vuole farti del male. Non sei più a Mimica, qualsiasi cosa ti succeda da adesso in poi potrai fare affidamento su me e mio marito. Andrà tutto bene, sta tranquilla》provò a consolarla accarezzandole la guancia mentre le faceva un sorriso genuino.
《S-sono ad A-Alastore?》balbettò la mora confusa guardandosi intorno, spaventata dal tocco di quella creatura quasi angelica.
L'altro annuì《Sei qui perchè hai vinto alla Lotteria》
E quello fu il secondo più lungo della vita di Innania.

La gioia si impossessò del suo cuore, ogni fibra del suo corpo parve prendere vita e i suoi piccoli occhi scuri si illuminarono di una luce così luminosa da poter far risplendere anche la notte più buia. Continuava a stringere le dita di Menasse, come se non avesse ancora realizzato il significato delle sue parole. Una risata quasi isterica le sfuggì dalla gola mentre con la mano libera si copriva il volto sfigurato dalla gioia immane. La vista le si appannò a causa delle lacrime, mentre pura felicità le scorreva giù dal viso, in una cascata di sentimenti. Il tremore si fece sempre più intenso mentre continuava a ghignare, trascinata dall'euforia. Si lisciava i capelli e poi se li spettinava, allungava le gambe per poi ritirarle subito e apriva la bocca solo per emettere versi incomprensibili all'orecchio umano. Non riusciva a pensare a nulla, l'emozione era troppo forte per lasciare spazio alle parole. Si coprì le oreccie con i palmi, liberandosi dalla stretta di Menasse. Non voleva sentire nulla, le bastava quello. Un rivolo di bava le bagnò le  labbra secche, macchiando le lenzuola pregiate. Passò un buon quarto d'ora in preda a quello stato quasi animalesco, a quella gioia sfrenata che non si può descrivere nel limitato linguaggio umano, continuando a ridere così tanto da non riuscire nemmeno a respirare.
Fino a quando un quarto uomo non si unì a quel bizzarro teatrino.

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