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Capitolo 8

~ Luna ~

È come se stessi vivendo un sogno. Mi sta salvando da tutti quei demoni che infestano la mia vita. Ma so anche che mi avvelenerà lentamente fino a farmi male.
Allora perché ho accettato? Perché sono qui nella tana del lupo?
Un lampo rischiara il soggiorno in cui mi trovo sdraiata con addosso una maglietta che odora tanto di ammorbidente e profumo maschile, su un divano in pelle apparentemente nuovo e un plaid che ha lo stesso profumo del padrone di casa.
Floppy, il meraviglioso cagnolino bianco è spaventato, all'ennesimo tuono infatti abbaia disperato risvegliando Toren.
Sento ogni movimento di quest'ultimo. Da quando emette un verso flebile, ma comunque udibile, a quando sporge il braccio andando a tentoni con la mano per accendere la lampada. Si solleva, cammina senza fretta e si sporge dall'inferriata del soppalco guardando di sotto per capire cosa sta succedendo.
Mi alzo a metà busto per segnalare che sono sveglia.
Floppy mi raggiunge abbaiando ancora, mi chiede aiuto con i suoi occhietti tondi e neri. Lo prendo in braccio e mi accorgo che sta tremando.
Non so come consolarlo o farlo sentire al sicuro. L'unica cosa che mi viene in mente è stringerlo delicatamente tra le mie braccia e canticchiare una ninnananna che Kellie mi ha insegnato per i momenti di buio e panico.
Ha sempre funzionato, non so se per un cane sarà lo stesso, ma ci provo. Cullo il cucciolo come se fosse un bambino, avvolgendolo nella sua copertina che trovo dentro una cesta di vimini assieme ad un cuscino e un peluche.
Tor scende di sotto a passo felpato. «Ha paura dei rumori e dei temporali», spiega con voce arrochita dal sonno.
Davanti a me ho un Dio greco, un angelo caduto, una tentazione in boxer neri, la pelle tatuata in bella mostra e le vene che guizzano a ogni suo movimento.
Sono tramortita dalla sua imponenza quando lo ritrovo a poca distanza. Tra me e lui ci sono sette anni di differenza, un bel po' di centimetri in più di altezza e qualcos'altro che non ho mai compreso.
Ha sempre creduto che quello che provo fosse odio e non ha mai cambiato atteggiamento. Ho lasciato che attecchisse in lui questa bugia, affinché il suo sguardo non si trasformasse in compassione.
Sbircia per controllare che il suo cucciolo si sia calmato, in parte studia anche me. «Gli piaci». Non ne sembra sorpreso ma, allo stesso tempo, appare un po' riluttante.
«Magari è solo perché lo sto aiutando», minimizzo.
Nega categorico. «Ti avrebbe morso le dita se avesse percepito qualcosa di negativo in te. Fidati, è successo già un paio di volte. Floppy non si lascia accarezzare da chiunque e quando lo fa, significa soltanto che si fida».
«In pratica leccandomi ha marcato il territorio? Che cucciolo tenero e possessivo».
Sorride accarezzando la testolina del cane, quasi addormentato. Sto per adagiarlo nella cuccia quando si riscuote. Rinuncio continuando a cullarlo. «Sei anche un ruffiano».
«E tu? Perché sei sveglia?»
«Non riuscivo a dormire. Non che non mi piaccia qui ma...», non so che cosa dire, come spiegargli che in realtà non dormo molto quando là fuori si scatena la natura. E che mi sento un po' strana per questa situazione.
«Quando menti ti si legge in faccia. Arricci anche un po' il naso».
Lo guardo storto. «Adesso mi fai sentire come una cavia da laboratorio e una bugiarda».
Si sposta in cucina, riempie due tazze di caffè dopo avere azionato la macchinetta usando i chicchi tostati, non il solito caffè commerciale, annacquato e privo di gusto, e mi fa cenno di seguirlo sul soppalco. «Fidati, starai più comoda. Al momento sei come la principessa sul pisello. Ti senti scomoda perché non conosci questo ambiente. Non pensavo fossi tanto incapace ad adattarti», sostiene notando la mia titubanza. «E non ti toccherò in alcun modo, se è questo che pensi che farò di sopra. Non sono quel tipo d'uomo», ci tiene a precisare.
C'è una nota di rimprovero nelle sue parole, mi fa sentire come una ragazzina appena sgridata e riportata all'ordine.
«Non stavo pensando...», sbuffo non appena mi rendo conto dell'offesa e di ciò che pensa realmente di me. «Trovi sempre il modo di alludere?»
Non so dire se stia sorridendo, perché sale sul soppalco e lì mi aspetta.
Lo raggiungo con Floppy ancora tra le braccia, mi indica una cuccetta simile a un box per bambini dove adagiarlo. Così faccio, depongo con delicatezza il cane che sbadiglia. Lo osservo come un'ebete mentre si assopisce. «È così piccolo».
Tor mi passa una tazza nera con la scritta in bianco: "'Fanculo il mondo". Quella che tiene in mano ha i colori invertiti e continua la frase con: "Meglio vivere tra le stelle".
«Stai bene?», chiede, forse notandomi distratta.
«Non so. Credo di essere solo un po' scombussolata», bevo un sorso riscaldando le mani. Il caffè è buonissimo. Ci ha anche aggiunto un po' di cannella e della panna. «Tu stai bene?»
Non risponde alla domanda, adagia la tazza su comodino, un cubo aperto con una pila di libri Fantasy e una lampada moderna, che spegne. Pochi istanti dopo mi invita con il palmo a sedermi accanto a lui. Prima che io possa rifiutare con l'indice indica la finestra sul tetto.
Poso la tazza sul comodino opposto, questo spoglio rispetto all'altro e mi siedo. Alzo lo sguardo, pronta a farmi prendere in giro e a dirgliene quattro, e invece quello che vedo mi mozza il fiato.
Le gocce cadono lentamente e colpiscono il vetro scivolando in basso fino a sparire dalla visuale o lasciando tracce del loro passaggio sul vetro. Le saette aprono in due le nuvole. Mi sembra di vedere un film.
«Porti qui tutte le ragazze? È così che fai colpo su di loro?», lo stuzzico. «Semplice e d'effetto», gli sorrido sincera.
Il suo viso rimane incolore, freddo. Un rapace che sta valutando come attaccare la sua preda e se attaccarla o lasciarla illudere di essere al sicuro.
Mi fa salire un brivido e trattenere il respiro notare con quanta brama sta guardando la mia bocca. Non riesco a muovermi nemmeno, è lui quello a farlo. Il suo braccio si solleva e la sua mano avanza verso il mio viso. Le sue dita affusolate, con qualche vecchia cicatrice e bruciatura, sfiorano la mia guancia dopo avere portato una ciocca dietro il mio orecchio sinistro. Si sporge interamente raggiungendo quest'ultimo.
Sento il suo fiato caldo accarezzarmi la pelle, riempirla di brividi che non posso trattenere o nascondere. Stringo le cosce, tengo le mani in grembo e non so se avere un arresto cardiaco o scappare e correre il rischio di aprire una folle caccia selvaggia. Perché mi sto sentendo proprio come un povero cerbiatto braccato da una fiera.
«Deduco sia d'effetto per te. E se ti dicessi che sei la prima che porto qui a casa mia?»
«Davvero?», non nascondo la sorpresa.
«Sei convinta di conoscermi, Miele. Ma non è affatto come credi. Sono più del bastardo che immagini, ma non sono un bugiardo». Prosegue la sua carezza sfiorandomi l'angolo delle labbra con il pollice. Abbasso le palpebre e mi lascio cogliere dalle sensazioni che il suo gesto mi sta sbattendo e rilasciando addosso.
Il suo tocco è rude, preciso. Deciso, stuzzicante. Il movimento lento, capace di farmi precipitare dentro una buca piena di piccoli aghi che mi pizzicano la pelle.
«Tor?», soffio stordita.
«Uhm?», solleva di scatto il pollice ma la sua mano rimane ferma sulla mia guancia.
«Non paragonarmi più alla principessa sul pisello», riesco a dire minacciosa. Mi sta tremando il cuore, mi fanno male i polmoni e sulla pelle stanno danzando milioni di tizzoni ardenti.
«Preferisci la bella addormentata?», riprende la carezza.
Scosto la sua mano, ma afferra il mio polso e lo tira giù per riprendere contatto con il mio viso.
È un prepotente. Perché mi sta facendo tutto questo?
«Sono più la ribelle che rischia di esplodere dentro un'auto e incappa in un cacciatore di taglie».
Con mia più grande sorpresa lui ride. Ed è il suono più bello che io abbia mai ascoltato. Sembra stupido da pensare, è come un'onda dopo averla cavalcata e domata. Mi trascina a riva, mi fa sentire libera.
«Un cacciatore di taglie? Puoi fare di meglio».
«Un principe... aggiusta macchine difettose che nel tempo libero è anche un cacciatore di taglie?»
Scrolla la testa. Il ciuffo scuro gli ricade sulla fronte e vorrei protendere la mano per scostarglielo. Ma quando mi guarda da sotto le ciglia scure, con quei due pozzi freddi come le nuvole là fuori, sento il peso di un inverno lungo sotto la pelle.
«Non sono un principe», replica brusco. «Potrei essere il cattivo della storia», aggiunge monocorde scostandosi, lasciandomi di nuovo in balia della marea.
Avverto il vuoto e un peso nel petto, dove il cuore sta palpitando agitato. «Anche i cattivi possono avere un lieto fine, Terminator».
Solleva l'angolo del labbro sdraiandosi con le braccia dietro la nuca.
Mi infilo sotto la coperta e adagiata su un fianco, osservo il suo profilo illuminato dai lampi, segnato dalle ombre.
Si volta ma non dice niente. Sto per diventare tachicardica quando all'improvviso mi dà le spalle e si rilassa.

***

Un calore piacevole, avvolgente sulla pelle, un profumo delicato quasi persistente è un campanello d'allarme per i miei sensi sconnessi, scombussolati.
Mi riscuoto e mi trovo incastrata sotto una coperta morbida. Ma c'è qualcosa di sbagliato, qualcosa che non doveva succedere e che mi manda nel panico: ho un braccio nerboruto, abbronzato e tatuato a circondarmi la vita. La mia nuca riceve in maniera regolare sbuffi d'aria calda. Gonfio il petto e mordo abbastanza forte il labbro, lo faccio per non urlare perché mi ricordo di essere salita spontaneamente sul soppalco e di essermi addormentata come un sasso nel letto della persona da cui dovrei tenermi alla larga.
Tor dorme sereno. Il braccio destro steso sotto il cuscino e la mia testa. Le nostre caviglie incastrate.
Come siamo finiti in questa posizione?
Sembro essere piombata in un incubo. Ma non è terribile, piuttosto è inaspettato, piacevole.
Mi muovo per cercare di svegliarlo con il risultato opposto al mio tentativo, dato che Tor serra la presa e sospira. «Non ancora», mormora.
Chiudo le palpebre e trattengo il respiro quando mi si struscia addosso. Ma è un attimo. Lo sento irrigidirsi. Capisco che è sveglio dal cambiamento del suo respiro.
Nessuno dei due si muove. Mi batte così forte il cuore da sentirlo nelle orecchie.
Tor stringe il braccio sulla mia pancia poi la sua mano risale, tocca il mio seno sopra la stoffa e mi afferra per il collo. La sua bocca si adagia sul mio orecchio, la lingua sfiora il lobo. Non sento più le gambe.
«Scommetto che è la prima volta che dormi con un uomo».
Allungo il collo concedendomi appena una boccata d'aria. Ansimo e un lieve gemito mi sfugge incontrollato. «A differenza tua ho degli standard elevati. Non vado a letto con il primo che capita o che mi usa».
Incassa la stoccata. Sorride, lo percepisco sulla pelle. Il formicolio che mi sta provocando è fastidioso e continuo. «Quindi io rientro negli standard?»
«No. È stato un caso».
Cerco di convincermi che non mi è piaciuto il risveglio. Che non mi sono sentita piacevolmente accolta. Che non ho osservato ogni singolo tatuaggio lasciandomi invadere dalla voglia di sapere il significato di ognuno di essi.
Tor strofina il naso tra i miei capelli. «Di elevato avrei qualcosa», mi si stringe facendomi percepire tra le natiche quanto sia eccitato. «Ed è pronto».
Vorrei sorridere. Lo vorrei davvero. Mi sento elettrizzata. Ma non dimentico con chi ho a che fare. Non mi lascio intimidire e muovo i fianchi di proposito strusciandomi sulla sua erezione. «Ti ecciti con così poco... che uomo semplice, Terminator!»
Non ho il tempo. Mi fa voltare e mi ritrovo il suo corpo seminudo premuto addosso, i polsi sulla testa, stretti da una mano sola, mentre con l'altra mi tiene fermo il viso. Mi sorride e non è un sorriso cordiale.
Sbatto le palpebre insicura. Vorrei darmi un pizzicotto per capire se sono incastrata in un sogno. Ma non è affatto una mia stupida immaginazione. Le sue labbra si ritrovano terribilmente vicine alle mie. Il suo torace si muove al ritmo regolare del suo respiro, mentre il mio sembra quello di un povero uccellino sull'orlo del collasso.
Questo istante mi fa sentire senza veli. Per lui è così facile strapparmi di dosso la corazza. Gli basta guardarmi con quei suoi occhi fatti di titanio.
«Sei molto sensibile, Miele. Fossi in te non giocherei più così con il fuoco. Sai com'è, rischi di scottarti», sussurra sul mio orecchio in maniera sensuale.
Schiudo le labbra e sollevo le palpebre. I suoi occhi sono puntati nei miei. Con il pollice mi accarezza la guancia. «Hai dormito bene?»
Tor ha la capacità di passare dalla modalità uomo delle caverne alla modalità gentiluomo in un attimo. Mi confonde questo suo strano modo di comportarsi.
Libera i miei polsi e io faccio qualcosa che non dovrei, adagio le mani sul suo petto, tocco la sua pelle calda, che emana un odore buonissimo. Lo faccio come se non avessi scelta. Come se fosse inevitabile.
«Miele?»
«Sì», dico piano. «Tu?»
«Dormo sempre bene con una donna tra le lenzuola».
Gelosia. L'avverto sul fondo del mio petto prosciugato dalle delusioni. Dovrei trattenermi, eppure non ci riesco. Ho bisogno di sapere chi ho davanti.
Che diavolo c'è in lui che mi spinge ad andare contro me stessa. Contro ogni avvertimento.
«Avevi detto che non avevi ancora portato nessuno qui», asserisco arrossendo.
Annuisce e conferma. «Perché sono io quello che dorme a casa di qualcuno».
«Ti è successo tante volte?»
«Una domanda per una domanda?»
Lecco il labbro. «Va bene».
«Mi è successo, ma non così tante volte e non con così tante donne come si crede. È per essere precisi sono sempre scappato dalla finestra per non essere beccato. Oppure me ne sono andato perché non era stato come mi aspettavo. Tu invece?»
«Non ho mai dormito da qualche parte dopo essere stata in compagnia di qualcuno. Sono sempre tornata a casa».
Non capisco la sua espressione. Per un po' non parla. Poi nei suoi occhi passa un lampo. «Con che razza di uomini sei stata? Quale idiota ti ha portato a casa dopo essere stato con te? Chi ti ha lasciato andare?»
Lo guardo sorpresa. Sembra sincero. «Restare a dormire da qualcuno dovrebbe essere qualcosa di importante».
Piega la testa assottigliando la palpebra in un modo che mi fa sussultare il cuore e riscaldare da capo a piedi. È sexy senza tanto sforzo.
«Ma hai dormito da me», fa notare. «A ogni modo meglio, non mi piace dover competere».
«Non sei un trofeo da esibire o una gara da vincere e non lo sono nemmeno io, Terminator. Ricorda questo al tuo ego: sei solo un rompipalle che mi ha offerto un rifugio quando fuori imperversava la tempesta», provo a scostarmi da sotto il suo corpo. «Non lo dimenticherò», aggiungo con voce roca.
Inspira lentamente un po' troppo vicino al mio viso. La sua mano si posa sul mio fianco. Sono troppo esposta, troppo a contatto con la sua pelle. «Farai bene a non dimenticarlo», sussurra sdraiandosi su un fianco.
Riprendo a respirare ma sono ancora in balia di tante, troppe sensazioni che mi si dibattono dentro come ali di falene impazzite. La sua mano si sposta dal fianco alla mia pancia. Vi adagio sopra la mia. Lui la solleva e la osserva. «Hai delle belle mani», gioca con i due anelli.
«Dove sta la trappola?»
Sorride, anzi, mi rivolge quel ghigno terribile capace di elettrizzarmi. «Vuoi sentire cosa stavo per dire?»
«Spara».
«Sarebbero adatte a fare molte cose queste mani».
Lo spingo e si stende supino, mentre mi sollevo. «Sei un maiale!»
«Dovresti essere soddisfatta di avere fatto eccitare un uomo, Miele».
«Certo, perché generalmente non ne sarei capace, vero? Perché sembro una ragazzina pudica, una bacchettona, no? Oppure è perché non attraggo nessuno?», sguscio irritata dal letto, ma pronta a combattere, a recuperare il prendisole e ad andarmene. La bolla è appena scoppiata. «Proprio tipico da te giudicare dalle apparenze. Ma sai una cosa, continua pure... non m'importa!»
Al college, durante una festa, Alissa era talmente ubriaca da mettermi in ridicolo davanti a tutti proprio su questa storia. E mi sono sentita talmente a disagio quando ha rivelato particolari che non ho mai avuto modo di vivere nella mia vita, da sentirmi morire dentro. Ma non era la verità a fare male, quanto lo sguardo di tutti che, seppur ubriachi, hanno comunque iniziato a fare battute scomode quando mi vedevano passare. Il risultato è stato schiacciante.
Sono ancora arrabbiata con Alissa per questa storia, ma arriverà il momento in cui riuscirò a fargliela pagare. Non mi piace essere tradita.
Scendo le scale e raggiungo lo stendi biancheria. Controllo che il prendisole sia asciutto e lo infilo sfilando via la maglietta prima di picchiargliela sul petto quando me lo ritrovo davanti.
«Miele...»
«Sei uno stronzo!», mi avvio alla porta, la quale si richiude con uno scatto quando lui vi si appoggia contro incrociando le braccia al petto. «Non volevo offenderti. La mia era solo una battuta».
«Di pessimo gusto», sibilo. «Adesso fammi uscire da qui».
«Perché stai reagendo così?»
Avrei preferito non fosse così attento. Ma lui ha la strana capacità di frugarti dentro, di tirare fuori tutto quello che hai cercato di nascondere. «Perché non ti sposti e mi lasci andare?»
«Perché so che ti rincorrerò ed è meglio così per te, fidati».
Non c'è traccia di indifferenza nel suo sguardo quando lo lascia scivolare sulla mia pelle. «Se non scappi, mi cambio e ti porto in un posto. Non so se hai notato ma è quasi notte e ha smesso da qualche ora di piovere».
I miei saranno già rientrati? Prima di uscire ho lasciato un biglietto sul frigo per avvisarli. Non mi cercheranno. Non succede mai.
«Perché lo fai?»
Mi si avvicina e mi spinge a indietreggiare contro la porta. Non potrei mai ammetterlo ad alta voce, ma il modo in cui mi tocca senza neanche farlo, mi piace, mi stuzzica.
«Perché non voglio avere rimpianti», soffia roco sulla mia bocca. «Perché anche gli errori hanno la loro importanza».
Di fronte a me si palesa nella sua interezza un cavaliere oscuro dall'aria crudele. Il suo aspetto virile emana pericolo. I suoi occhi grigi, come la lama di un pugnale pronto a stilettare il mio petto, ustionano la mia pelle al loro passaggio.
«Accetto solo se mi dici dove andiamo».
Nega e il movimento fa sfregare la punta del suo naso sul mio. Le sue pupille si dilatano e si allontana così in fretta da riuscire a notarlo appena.
Mi piacerebbe rifiutare Toren Connor, umiliarlo come lui ha fatto prima con me, anche se in fondo so che non conosce determinati aspetti della mia vita. Ma un rossore affiora sulle mie guance e comprendo di essere fregata.
Perché una cosa l'ho capita, non importa il posto, mi basta che ci sia lui.

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