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Capitolo 32

~ Toren ~

Sono sempre stato un disastro con le persone. Non mi sono mai fidato, perché ho sofferto troppo dopo averlo fatto. Ma sto di nuovo imparando a farlo, anche se con qualche difficoltà.
Non riesco ancora a credere che Peter sia dalla nostra parte e che abbia nascosto così tanto pur di tenerci al sicuro da suo padre.
Una minuscola parte di me si sentirà sempre in debito, mentre l'altra continuerà a provare rancore per ciò che mi ha fatto.
Avrebbe potuto parlarne. Ci saremmo risparmiati anni di screzi e guerre fatte di odio e di silenzi.
Fumo nervoso una sigaretta, continuando a scrutarlo come un falco.
Si trova nel mio giardino, a discutere di solo sa Dio cosa con Luna.
Da quando è arrivato, per vedere e parlare con la sorella, non ho osato avvicinarmi.
JonD apre la porta-zanzariera facendo la sua comparsa con una busta di carta dalla quale tira subito fuori una confezione di birre.
Lo guardo sollevando un sopracciglio. «Non è nemmeno l'ora dell'aperitivo e hai già voglia di una sbronza?», gli faccio notare con rimprovero. «Che ti succede?»
Per infastidirmi, ne stappa una sedendosi accanto a me. Beve qualche sorso indicando poi con l'indice Peter. «Non mi fido ancora del tutto di lui. Ti rendi conto che non lo vedevamo da anni e adesso ci sta attaccato al culo per tutto il tempo?»
«Nemmeno io mi fido. Ma Luna ha bisogno di avere almeno un famigliare accanto in mezzo a questo inferno. Io non sono nessuno per impedirle di avvicinarsi ancora a loro. Anche se vorrei che facesse più attenzione».
Do una sbirciata dentro la busta e tiro fuori due confezioni, una di patatine fritte, una di ali di pollo, ci sono anche due hamburger, un pacchetto di sigarette, un sacchetto di caramelle e altre bibite. C'è persino un peluche minuscolo a forma di osso per Floppy, impegnato a scorrazzare divertito intorno.
«Invece sei tutto per lei», adagia la bottiglia sul tavolo di legno tirando fuori dal sacchetto l'hamburger. «Viceversa, lei è tutto per te».
Gratto la tempia e non riesco a toglierle gli occhi di dosso. Sospiro e lascio che il mio amico mi passi una birra; cedendo a causa delle molteplici sensazioni nuove che mi si dibattono dentro.
«Non dirmi che hai trovato solo cibo spazzatura», do un morso all'hamburger.
«Sai che quando sono nervoso mangio come un maiale da fiera. Questa è stata una settimana dura», biascica.
Sorrido. «Andrà bene», provo a rassicurarlo.
Gratta il mento. «Non lo so, amico. Come tutti, voglio liberarmi da quella feccia di Ector Maddox. Ho già avuto la mia vendetta con Alissa, ma questo... è qualcosa di grosso a cui non posso non partecipare, anche se lo ammetto: sono spaventato».
Floppy salta addosso a Luna provando a leccarla. Lei smette di parlare con suo fratello per sorridere al mio cane e prenderlo in braccio.
Il gesto, la scelta appena fatta, mi scarica addosso una certa soddisfazione.
Vedendomi lì a sbavare, JonD mi molla una gomitata nelle costole. «Le hai già fatto la proposta?», domanda alzando e riabbassando di continuo le sopracciglia folte con fare allusivo.
Lo guardo storto. «Credi che io sia così disperato da legarla a me per sempre?»
In realtà ho pensato di esserlo eccome, disperato. Così tanto da essere sul punto di cedere e provare. Ma ne abbiamo discusso, e sapere che verrebbe a stare da me o con me ovunque, mi ha fatto abbassare ulteriormente le difese e un po' di gelosia si è attenuata. Anche se è sempre in agguato.
Non voglio correre. Voglio assolutamente lavorare su alcuni lati del mio carattere e voglio davvero meritare ogni briciola del suo amore.
Manda giù il boccone. «Decisamente! Luna è sempre stata quella giusta, anche quando hai negato a te stesso la verità. Adesso che è qui, io non perderei altro tempo».
Bevo un sorso di birra. «Abbiamo tante cose da sistemare e lei è ancora molto giovane per infilarsi un anello al dito. Potrebbe cambiare subito idea e io non voglio rovinare ogni cosa per egoismo».
«Conoscendoti le avrai detto che sei disposto ad aspettarla. Non è egoismo il tuo, fidati». Alza gli occhi al cielo quando si accorge di avere indovinato. «Proprio tipico!», esclama teatralmente pulendosi gli angoli delle labbra.
Sto per sputare il sorso di birra ma mi va di traverso e tossicchio. «Chi cazzo sei?»
«Andiamo, da quando stai insieme a lei nessuno ti piscia più sui cereali la mattina».
Ridiamo ed è un momento talmente normale da farmi rilassare. Mi mancavano queste conversazioni frivole con il mio amico.
«Di cosa state parlando voi due?»
Luna si avvicina lasciando andare Floppy e con mio stupore mi si siede sulle ginocchia disinfettando le mani con una salvietta, sotto lo sguardo torvo del fratello.
Peter, infatti, arriccia le labbra e il naso senza nasconderlo. «Non davanti ai miei occhi, cazzo! Sei pur sempre mia sorella e lui era...»
«In cuor tuo hai sempre saputo che sarebbe successo. Non fare lo schizzinoso», lo rimbecco masticando divertito.
«Ha ragione», JonD si gode la scena con un sorrisetto beffardo, insieme a Luna, la quale accetta la vaschetta di patatine che le sta porgendo.
JonD, nel corso della settimana, non ha mai smesso di punzecchiare Peter. È il suo modo di vendicarsi. Anche se sospetto sempre che faccia qualcosa di epico da un momento all'altro.
«Te l'ho detto, è presto per me. Sto cercando di farmene una ragione. Ma se continuate a toccarvi non sarà facile», si avvia ficcando i pugni nelle tasche dei pantaloncini di lino. «Non dimenticate di indossare lo smoking stasera».
Guardo con aria dubbiosa Luna, che si affretta a darmi una spiegazione, il tutto dopo avere masticato la poltiglia di patatine talmente veloce da rischiare di strozzarsi. «Alla festa si deve seguire il dress code. Avete uno smoking o qualcosa di elegante da indossare, vero?», biascica.
«No, non se ne parla!», sbotto nell'immediato. «Per chi cazzo mi hai preso?»
Mi ficca in bocca una patatina.
Mi ha appena azzittito, incredibile.
«Prenoto subito qualcosa su misura per te», dice entusiasta pescando il telefono dalla tasca del vestitino. «Le commesse saranno contente di avere un modello tanto perfetto. Non serviranno neanche le modifiche basilari con queste ampie spalle», afferma toccandomi.
Nonostante il complimento mi lusinghi, la fermo.
JonD si defila con la scusa di andare a tirare fuori dall'armadio uno smoking e avvisare Rio, prima che si presenti in camicia a maniche corte hawaiana e infradito, alla festa di beneficenza che si tiene ogni anno in una delle ville più antiche. Luogo in cui attueremo il nostro piano.
Ci è voluta una settimana per organizzare ogni cosa. Un lavoraccio, perché ho avuto Peter tra i piedi per tutto il tempo. Non è stato facile sedare gli animi. Purtroppo avevano entrambi omesso questo particolare.
«Non indosserò uno smoking. Mi sentirò a disagio. No, no e no. Non mi stanno bene quegli indumenti da pinguino addosso. Perché diavolo non me lo hai detto?»
Luna sorride, mi toglie l'hamburger dalle mani posandolo sul piattino, avvolgendomi il collo con le braccia. Il suo profumo alla vaniglia e cocco mi avviluppa. Annuso da più vicino, proprio come un tossico, la sua pelle e in un attimo sono di nuovo calmo.
«Non ti faranno entrare. Puoi fare un piccolo sforzo? Ti prometto che a fine serata mi farò perdonare».
Mordo il suo collo facendola sussultare e agitare. «Solo se mi permetterai di scoparti lì, da qualche parte», la punzecchio, usando di proposito un linguaggio scurrile, pur sapendo che non si abbasserebbe mai a tanto. Non dopo una serata programmata nel dettaglio.
«Conosco una o due stanze in cui potrebbe essere possibile», replica invece facendomi l'occhiolino.
Il modo in cui mi guarda da sotto le ciglia manda in visibilio le mie coronarie. Le afferro la guancia e premo le labbra sulle sue. «Iniziamo da qui», le sussurro.
Brividi le coprono visibilmente tutta la pelle pallida e setosa. «In giardino?»
Le mie dita osano spingersi fin sotto il vestitino a fiori, sfiorando e accarezzando con una certa sicurezza l'interno coscia molto sensibile.
Luna stringe subito le gambe, o ci prova. La guardo negli occhi, mi avvicino alla sua bocca. «Siamo solo io e te».
I suoi occhi si spostano verso la casa dei vicini. I Jenkins non ci sono. Gli ho regalato una settimana di vacanza per ringraziarli di avere tenuto Floppy. In parte l'ho anche fatto perché sembravano averne bisogno. Nessuno si prende cura di loro, così a volte ci penso io.
Luna prende il mio viso tra le piccole mani e allarga un po' le gambe. «E lo saremo anche dopo?»
So cosa mi sta chiedendo. Con un dito le sfioro gli slip e le sue palpebre sfarfallano. Sono giorni che non riusciamo a stare soli.
«Sai che puoi scegliere perché sei libera e che io ti appoggerò comunque?»
Strofina la punta del naso sul mio, mentre le scosto gli slip e infilo un dito nella sua apertura stuzzicandola. «Ti appartengo perché sono sempre stato tuo».
Ci baciamo con una certa urgenza. Una disperazione che la rende avventata, dato che si sistema su di me a cavalcioni. «Mi manchi», sussurra.
Non posso esagerare. Non voglio perdere la testa. La blocco tra le mie braccia e con affanno dico: «Voglio comportarmi bene per qualche altra ora. Se continui a tentarmi cederò e manderò alle ortiche ogni progresso».
«Tor?»
«Uhm?»
Vedere quel sorriso dolce è disarmante.
Più i giorni passano più la voglia aumenta. Desidero avere per me ogni sua attenzione. Solo per me. Perché mi ha reso folle. Mi ha dannato a causa di un desiderio nuovo, spontaneo, incredibile e pericoloso che ho voluto provare. E, dopo avere assaggiato la felicità non voglio più tornare indietro. Se c'è un posto in cui voglio stare è con lei, dentro di lei.
«Cazzo! Non puoi stendermi in questo modo!», brontolo. L'abbraccio e pongo fine a ogni fantasia perversa che ho di prenderla adesso, qui fuori. Voglio solo tenerla stretta, sentire il suo calore sul mio corpo. «Anche tu mi manchi», mugugno a contatto con la pelle del collo che bacio lentamente.
«Quando tutto questo sarà finito, voglio passare una giornata insieme a te. Non importa dove».
«Stavo già pensando a qualcosa. Farò realizzare una copia in più della chiave così potrai...»
Mi tappa la bocca con un lungo bacio.
Ricambio con forza. La bacio approfondendo sempre di più, assicurandomi di incastrare bene ogni pezzo d'anima in seguito a ogni singola scossa che parte dal cuore. Lo faccio di più, sempre di più. Voglio impedirle di scordarmi. Ci sono. Esisto. Sono tuo. Glielo sto imprimendo sottopelle.
Preme la fronte sulla mia e nel suo affanno, sotto il suo sguardo, comprendo tutte le parole che non ci stiamo dicendo perché ancora il nostro futuro è incerto.
«Adesso dobbiamo andare a prepararci. Finalmente ti vedrò con uno smoking», un sorrisetto le curva le labbra. Si solleva e le mollo una pacca sul sedere facendola strillare e ridere.

***

Indossare uno smoking con temperature che superano ancora e decisamente i trenta gradi può essere definito autolesionismo?
C'è da dire che non mi sento poi così a disagio come avevo immaginato quando sono entrato in quella boutique in centro, controvoglia, a ritirare la scatola contenente il vestito che Luna aveva ordinato.
Mi guardo allo specchio e aggiusto ancora i polsini cercando di non sbottonare la camicia e di non strappare via il papillon.
Scendo di sotto passando una mano tra i capelli, mi avvicino al bagno e busso una volta alla porta. «Tutto bene lì dentro?»
«Ho quasi finito. Arrivo».
Non posso sentirmi davvero nervoso per una cosa tanto banale come indossare uno smoking e farmi vedere dalla donna che amo, continuo a dire a me stesso.
Proprio mentre sono distratto, Luna esce dal bagno e spalanca la bocca emettendo un verso simile a un gridolino. Una reazione che mi fa sorridere e avanzare verso di lei.
È splendida nel suo abito lungo, nero, raffinato. Mi abbasso all'altezza del suo viso. Con l'indice le sollevo il mento, e contemporaneamente la costringo a chiudere la bocca. «Questo spacco laterale sarà la mia priorità per il fine serata, sappilo», le sussurro all'orecchio.
Raddrizza le spalle nude e schiarisce la gola. Nonostante lo strato sottile di trucco, riesco a notare come le si sono imporporate le guance. Ed è così bella da farmi sentire fottutamente fortunato.
«Sei perfetto», riesce a dichiarare passando una mano sul mio petto.
Le bacio la guancia. «Tu lo sei di più», premo il palmo sul suo fianco avvicinandola.
Trattiene il fiato e adagia la mano sulla mia come se volesse imprimere il mio gesto sulla sua pelle candida. «Niente mosse avventate, va bene?», mi fa promettere.
Le bacio di nuovo la guancia. «Niente improvvisate», confermo.

Ci rechiamo alla serata di beneficenza sull'auto che Luna, con le sue conoscenze e i suoi modi di fare tanto convincenti, ha diligentemente "noleggiato" dal suo garage.
«Scommetto che non ne avevi guidata una», fissa fuori dal finestrino con un sorrisetto.
«Le auto sono la mia passione, come ben sai. Ammetto però che guidare una Ferrari rientrava tra i miei sogni e che non avevo ancora avuto modo di farlo dato che non sono ricco e non ho avuto la fortuna di avere un garage pieno di auto costose a mia disposizione».
Si volta. «Potrei regalartene una per il tuo compleanno. Non necessariamente una Ferrari. Puoi scegliere. Così puoi dare inizio alla tua collezione privata».
La guardo storto, pur sapendo che mi sta solo stuzzicando. «Non osare!»
Ridacchia. «So che non accetteresti mai. Per questo sto pensando a qualcosa che includa anche me dentro il regalo».
Facendo attenzione alla strada le lancio un breve sguardo facendo rombare il motore. «È tra qualche mese e tu stai già pensando a questo?»
«Se penso al mio futuro tu ci sei. Hai mai festeggiato un compleanno da quando stai da solo?»
Il mio silenzio è una risposta. «Come immaginavo», borbotta. «Tipico di Toren Connor».
Non c'è tempo per una discussione. Arriviamo di fronte al cancello. Scendo dall'auto e le apro la portiera come un vero gentiluomo facendola scendere, infine lascio la chiave al ragazzo che si occupa delle auto.
Luna mi prende a braccetto. Do un rapido sguardo all'enorme villa che abbiamo davanti, simile a quella dei miei bisnonni mentre ci avviciniamo, passeggiando lungo il viale alberato e acciottolato, all'entrata. Le luci sono tutte accese e gli ospiti continuano ad arrivare in massa sparpagliandosi un po' ovunque. C'è un piacevole chiacchiericcio.
«A breve rivedrai i tuoi genitori, sei convinta di dire loro che frequenti un Connor?»
Si ferma un momento. «Non mi vergogno del mio uomo».
Il cuore mi schizza in gola. Vorrei afferrarlo e placarlo. «Nemmeno io della mia donna. Sono pronto ad affrontare tuo padre».
«Tor?»
«Sì, piccola?»
Sollevandosi mi bacia a fior di labbra. «Non vedo l'ora che arrivi il momento in cui saremo solo io e te».

***

Invitati, musica, luci, cibo. Non manca niente. Ci sono proprio tutti, come avevamo previsto.
Peter se ne sta di fianco a suo padre, apparentemente calmo. Nessuna ruga sulla fronte o traccia evidente di agitazione.
Per qualche minuto, Luna, continuando a tenermi per mano, mi presenta a chi si ferma per chiederle qualcosa sugli studi o semplicemente per salutarla.
È radiosa, spontanea, soprattutto presente per me, e questa sua complicità mi aiuta a sciogliere i nervi.
«Champagne?», prendo due coppe da un vassoio.
«Un bicchiere non ci farà male», dice accettando quello che le sto porgendo.
JonD, Rio e Summer, sono già arrivati da un pezzo. Appaiono a proprio agio in mezzo a tutte queste persone, che con i loro sotterfugi sono sempre arrivate in vetta.
Spesso dimentico che anche i miei amici appartengono a questo mondo. Anche se hanno fatto scelte di vita differenti e da ammirare.
Brindiamo tutti insieme, sotto gli sguardi in tralice e arcigni di Alissa, in compagnia di Foxy e altre due ragazze. Di Declan, apparentemente annoiato, affiancato da altri ragazzi che hanno vissuto nell'agio.
Io, che ci faccio?
«Luna, tesoro».
La signora Maddox, nel suo abito a sirena color cipria con lo strascico, si avvicina lasciando dietro di sé una scia di profumo dolce, nauseante. «Non torni a casa da un po'. Guardati, sei splendida».
È palese che sia già sotto effetto di qualcosa. I suoi occhi sono arrossati e barcolla lievemente.
Luna inizialmente si irrigidisce. So che le costa tanto non porgerle una mano per aiutarla. Proprio come so che le piange il cuore al pensiero di annientare il padre.
«Sai perché non torno a casa».
La signora Maddox mi fissa per un lungo momento come se dovesse mettermi a fuoco. «Che cosa ci fai con lui? Non dovresti».
Non c'è astio nel suo tono. Solo un po' di sorpresa e preoccupazione.
«Sto con lui, mamma», le dice fiera. «Io e Toren ci siamo avvicinati molto in queste settimane».
La signora Maddox solo allora sposta lo sguardo sulle nostre dita intrecciate. Sembra che qualcuno l'abbia appena colta alla sprovvista facendola spaventare. Indietreggia di un passo. «Tuo padre non ne sarà contento», le dice proprio come una addestrata a vivere nel mondo di Ector Maddox; così tanto da non sapere più come si fa ad avere una reazione spontanea e non calcolata. Non sa nemmeno come ci si comporta da genitore e Luna ne ha sempre sofferto, pur non dicendolo apertamente.
«Non m'importa del suo giudizio. Per quel che vale può anche tenerlo per sé quell'ipocrita», ribatte contrita, Luna. «È una mia scelta».
La madre scuote la testa. «Ma guardati, stai di nuovo agendo d'impulso. Sapevo che non avremmo mai dovuto permetterti di tornare. Prima il litigio con Alissa, la scenata di fronte ai suoi genitori, adesso... questo», mi indica.
Soffio aria dal naso interrompendola. Non sopporto il modo in cui sta trattando la figlia dandole la colpa. «Se non le dispiace porto la mia ragazza lontano da una scimmia ammaestrata che sta cercando in tutti i modi di ferirla invece di appoggiare la sua scelta come farebbe un buon genitore», mi abbasso e le sussurro: «Eviti di bere dopo avere preso delle pillole, la rendono instabile su quei tacchi e suo marito potrebbe imbarazzarsi».
Consapevole di avere appena umiliato la madre della donna che mi sta stringendo la mano senza battere ciglio, mi sposto verso le alte finestre aperte, infastidito.
«Mi dispiace», le dico. «Non so che diavolo...»
Luna mi ferma. «Grazie».
La folla comincia a spostarsi in direzione dei tavoli, nell'enorme sala da pranzo. Peter, nel medesimo istante, abbandona suo padre facendoci cenno di dare inizio ai giochi.
Stiamo solo aspettando che Ector salga sul piccolo palco, dove attualmente l'orchestra si sta esibendo, per il discorso.
Prendiamo posto a poca distanza dal palco, insieme ai nostri amici.
Peter, si siede con noi, con sommo stupore dei suoi genitori, impegnati a lanciare sguardi ovunque come a scusarsi.
Ector, infatti, con un sorriso da poker si avvicina, adagia la mano sulla spalla del figlio, stringendo sempre più la presa, tenendo gli occhi fissi sulla mano di Luna intrecciata nella mia.
«Perché sei seduto qui?», domanda sfacciato, continuando a sorridere.
Il suo collo, piano piano, comincia a chiazzarsi di rosso. Schiarisce la gola più e più volte cercando di trasmettere qualcosa a Peter, il quale con sfacciataggine e comodamente seduto, porta alle labbra il calice di champagne. «Sono seduto al tavolo con i miei amici. Non vedo quale sia il problema».
Cazzo se recita bene il bastardo.
Ector avvampa ulteriormente. «Il tuo posto è riservato ed è al nostro tavolo. Proprio come quello di tua sorella».
«Come vedi, abbiamo già occupato il nostro tavolo. Sarà meglio che raggiungi la mamma, prima che possa rivelare qualcosa di inappropriato su di te», ribatte svelta Luna, alzandosi e guardandolo con aria fredda e un distacco che non le avevo ancora visto assumere.
«Con te affronteremo l'argomento dopo. Non ti vergogni neanche un po'? Stare qui con lui davanti a tutti», ringhia.
Provo ad alzarmi, ma Luna mi fa cenno di non muovermi.
«Vergognarmi», soffia dal naso guardandolo come se l'avesse appena schiaffeggiata. «E per che cosa? Per voler stare con la persona che amo da tutta la vita? O è perché ho tagliato i fili e adesso non puoi manovrarmi? Che c'è, avevi in mente qualcos'altro da farmi fare stasera? Spiacente, Ector».
Il mio cuore si arresta. Un frastuono, subito dopo, sovrasta qualsiasi rumore intorno. La guardo e le mie labbra si curvano in un sorriso. Dio, quanto la amo.
Non esisterà mai un'altra donna per me. Ci sarà sempre e solo lei ad abitare nel mio cuore.
All'inizio sarà pure stata una maledizione, ma lei è riuscita a spezzarla con il suo coraggio, la sua schiettezza, la sua costante presenza. Mi ha offerto il suo amore e io non l'ho rifiutato. Non ho potuto perché era quello che mi mancava. Che non ho avuto per tanto, troppo tempo nella vita.
Questa volta mi sollevo mettendole la mano sulla schiena. «Sono sicuro che tuo padre non abbia voglia di fare una scenata proprio adesso. Rimettiamoci a sedere e godiamoci questa serata, amore».
Se potessi scattare una foto al volto di Ector Maddox in questo momento, proprio mentre lo fisso con sfida e lui si contorce, lo farei e sarebbe il mio trofeo da esibire a tutti quelli che hanno subito le sue angherie.
Peter si solleva e spinge lievemente suo padre, intimandolo a mettersi da parte. «Torna al tuo posto, tra poco avrai il tuo momento di gloria. Non vuoi che tutti ricordino questa serata con la tua espressione accigliata o per il modo in cui stai trattando tua figlia, non è vero, papà?»
Ector batte in ritirata, prima però ci tiene a precisare: «Io e te parleremo a quattrocchi a fine serata. Non ti permetterò di insultarmi ancora in questo modo», minaccia.
Ghigno e mi siedo. «Si rilassi, tra poco ci sarà da divertirsi. Sarò qui in prima fila a godermi lo spettacolo».
Con la fronte aggrottata si allontana mentre tutti al nostro tavolo cominciano a fremere e a bisbigliare.
Io e Luna ci guardiamo e comunichiamo silenziosamente.

La cena ha inizio con portate raffinate, profumate e invitanti.
Mangio poco, controllo con costanza che sia tutto come deve essere per il momento in cui finalmente vedrò quel figlio di puttana crollare.
Giunti al dessert, Ector insieme a molti altri uomini, si alza dal posto e con loro si avvia sul palco pronto a pavoneggiarsi.
Tra gli invitati, scorgo Chester. Deve essere arrivato da poco.
Giocherello nervoso con le dita di Luna sotto il tavolo. Lei si accorge cosa mi ha distratto e adagia la guancia sulla mia spalla. «Un passo alla volta?»
«Sì», sussurro baciandole la tempia.
Peter fa un breve cenno al ragazzo che dovrà occuparsi del portatile e di riprodurre le immagini con le foto relative a tutta la finta beneficenza che Ector e i suoi soci hanno fatto per coprire ogni cattiva azione.
JonD allarga un po' il nodo alla cravatta bevendo un sorso d'acqua. «Ci siamo», sibila.
Summer lancia sguardi ovunque. Rio, annuisce guardando lo schermo del telefono sotto il tavolo, suggerendoci che gli agenti pronti ad arrestarli sono in posizione. Gli servono solo le ultime prove per poterli incastrare.
Deglutisco a fatica.
Ector accende il microfono. Sorride ringraziando per l'applauso appena partito dalle persone ignare del caos che a breve si genererà.
«Buona sera. Grazie per essere presenti. È sempre una grandissima emozione stare qui e avere la vostra fiducia. Soprattutto fare del bene».
Un altro lungo applauso. Ector fa cenno al ragazzo di avviare le foto. In realtà abbiamo pagato quest'ultimo affinché premesse play sul video che abbiamo montato con tutte le prove che abbiamo contro quegli uomini.
Ogni singola persona presente vedrà con i propri occhi dove finiscono i loro soldi e cosa fanno per ottenere potere.
«Io e la mia famiglia, abbiamo sempre avuto a cuore...»
La folla comincia a mormorare. Qualcuno indica con ribrezzo le foto che scorrono sullo schermo. Insulti partono dal fondo della sala da alcuni uomini. Le donne tappano gli occhi ai propri figli allontanandosi dalla sala.
Ector non capisce, prosegue con il discorso, fino a quando uno dei suoi soci, con occhi sgranati e terrorizzati, lo ferma indicando lo schermo alle sue spalle.
Ed è subito il caos.
Agenti entrano in sala con le pistole puntate sul palco. La gente urla, scappa, mentre noi ci godiamo la scena senza muoverci.
«Ector Maddox, la dichiaro in arresto», comincia l'agente ammanettandolo, proseguendo ripetendogli i diritti, mentre lui si dimena.
«Che sta succedendo?», urla. «Che cosa state facendo? C'è stato un errore!»
Alcuni dei suoi soci vengono trascinati a forza dalla sala dicendogli di stare zitto. Eppure lui continua la sua farsa.
«Vogliono incastrarmi!»
Peter allora si solleva dalla sedia, abbottona la giacca dello smoking e si avvicina a suo padre, il quale comprende di essere stato fottuto solo in quel preciso istante.
«Tu... come hai potuto?», prova ad avventarsi su di lui, ma l'agente lo tiene ben saldo e gli intima di non muoversi per non aggravare ulteriormente la situazione.
«No, sei tu quello finito. Per anni non ho fatto altro che vivere sotto il tuo comando. Ho detto basta quando ho visto quello che hai fatto alla nostra famiglia, alla mia carriera e a quelle ragazze usate come giocattoli. Mi fai schifo come uomo e come padre non vali niente».
Ector digrigna i denti. «Sei sempre stato inutile, proprio come tua madre!», urla. «È per questo che ho continuato a tradirla!»
La signora Maddox, con le lacrime agli occhi, sussulta. Improvvisamente, come se si fosse svegliata da un incubo, indurisce i lineamenti e gli si avvicina aggressivamente. «La donna inutile che hai sposato per soldi ti farà marcire in carcere per il resto dei tuoi giorni!», gli lancia in faccia dello champagne e se ne va a grandi falcate dalla sala.
«Dimmi, Ector, come ci si sente a essere dall'altra parte?», domando con un sorrisetto quando mi passa accanto.
«Non finisce qui, bastardo! Te la farò pagare cara questa tua imprudenza. Non sai chi sono. Posso...»
«Bada a quello che dici, Ector, potresti davvero non uscire dall'isolamento per anni», si frappone Chester.
Ector diventa pallido. «Tu...»
«Già, io», sorride Chester dando una pacca sulla spalla a Peter. «Avete fatto un ottimo lavoro».
Si allontana insieme agli agenti dopo avermi lasciato uno sguardo carico di scuse e di orgoglio.
Sbatto le palpebre incredulo. Peter annuisce dandomi subito conferma dei miei sospetti. Anche mio... padre stava lavorando alle indagini per schiacciare Ector e la sua banda.
In breve la sala si svuota e tutti scivoliamo sulle nostre sedie. A metabolizzare quanto è accaduto.
Rio, ancora stordito e per tenere le mani impegnate, versa da bere a tutti. «E adesso che si fa?», domanda.
«Adesso si festeggia e si riparte!».
Brindiamo.

♥️

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