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Capitolo 29

~ Toren ~

Il mio cuore prende a battere lentamente, il ritmo di un basso nel mio petto. Così profondo da ferirmi.
Nonostante l'ammonimento dei miei amici, ignoro le reazioni intorno e rincorro Luna.
Alissa e Foxy hanno appena fatto a pezzi la sua vita. Aveva ancora una briciola di fiducia verso il mondo e le persone, ma le è stata sottratta.
Non oso immaginare quello a cui sta pensando con la mente ottenebrata dal dolore e dalla furia che ho scorto attraverso le sue iridi.
Quando arrivo nel parcheggio è tardi, di lei non c'è traccia. «Cazzo!», esclamo con rabbia portando le mani tra i capelli.
La sua reazione è stata talmente fulminea da non riuscire a prevederla. Mi aspettavo che urlasse contro ognuno di noi, non che scappasse come se il peso della verità la stesse soffocando, e la delusione le stesse impedendo di ragionare lucidamente.
Recupero il telefono dalla tasca posteriore e provo a contattarla. Non deve essere poi così lontana.
Il cuore mi balza in gola quando scatta la segreteria. Un campanello d'allarme mette sull'attenti ogni mio senso.
Sento dei passi. Mi volto e Peter, rapido, afferrandomi per la camicia, mi fissa in cagnesco fremendo dalla voglia di colpirmi. «Come cazzo sapevano la verità?»
Mi scrollo le sue mani di dosso. «Ne so quanto te. Adesso scusami tanto se non me ne fotte un cazzo della tua crisi isterica, devo cercare tua sorella. Se non te ne sei accorto è scappata in lacrime».
Mi strattona e allora lo afferro per il collo. Abbastanza forte da costringerlo ad arrendersi e ad arretrare. «Mettimi ancora le mani addosso e sei morto», ringhio rabbioso.
Peter fa un altro passo indietro tossendo. «Voglio solo capire come faceva Alissa a sapere la verità!», strizza l'occhio inspirando a fatica mentre massaggia la gola arrossata.
«Cristo, Pet, non lo so! Non ne so un cazzo di niente. Quello che so è che se non trovo Luna...»
«Luna non è tua! Sarà andata da qualche parte a sbollire la rabbia. Lo fa sempre quando non vuole esplodere. La conosco. È mia sorella, Tor, tocca a me proteggerla. Tu devi stare lontano da lei».
Incrocio il suo sguardo facendolo arretrare di nuovo. «Attento a come parli», minaccio.
«Altrimenti? Divulghi ancora notizie come una pettegola?»
M'incammino. Non ho nessuna intenzione di continuare a farmi insultare.
Averlo vicino mette alla prova la mia capacità di resistenza, oltre alla voglia di saltargli alla gola.
«Per quanto io apprezzi il tuo tentativo di scaricare merda su di me, cosa che fai sempre perché non ti sai assumere le tue responsabilità, adesso me ne vado. Ho cose più importanti di te, dei tuoi segreti e della tua famiglia».
Mi afferra per le spalle e mi fa voltare sbattendomi abbastanza forte contro il muro di pietra. «Stammi bene a sentire, rivoglio indietro il mio borsone. Tu non hai idea del casi...»
Ghigno togliendomi le sue mani di dosso e lo interrompo. «Di cosa? Della merda che sta per piombare sulla tua famiglia? Forse meritate quello che vi capiterà».
Il pugno che mi schianta sullo zigomo lo sento appena. Peter scrolla la mano con una smorfia, flettendo le dita per assicurarsi di non essersi rotto qualche osso. «Non oseresti!»
Lecco le labbra insanguinate. Il sapore sguazza dentro la mia bocca, lo sputo fuori prima di ribattere: «In fondo traditore una volta, traditore sempre, no? Per te le persone sono e saranno sempre inclini al tradimento. Un po' come tuo padre».
Sbuffa dalle narici. Nasconde il disagio che gli ho provocato intenzionalmente. «Che cosa vuoi in cambio? Soldi? Posso darteli, ma dovrai tenerti lontano da mia sorella dopo che mi avrai restituito il borsone».
Scuoto la testa. «Quello che deve starle lontano sei proprio tu. Aggiungi pure il tuo paparino pervertito alla lista», con questa stoccata mi allontano.
Non so come diavolo mi sia venuto in mente di dirglielo, ma quando si tratta di Luna, niente riesce a farmi ragionare.
Peter non lascia correre. Mi segue. Mi placca nel tentativo di fermarmi. «Cosa cazzo sai di lui?»
«Abbastanza da provare disgusto. Come hai potuto vivere con un uomo simile e seguirlo, diventando addirittura come lui. Come hai potuto farla stare a stretto contatto con uno tanto malato? Luna non meritava di certo la vita che ha avuto. Lei è buona e ha bisogno del meglio! Non di un padre depravato, privo di scrupoli e di un fratello egocentrico e scellerato. Nemmeno di una madre che preferisce rifugiarsi dietro l'effetto di una pillola anziché amare sua figlia», urlo spingendolo.
Freme. Gli occhi spalancati dalla sorpresa e le labbra serrate in una linea sottile. «Io non sono mio padre. Ci sono cose che non sai».
C'è qualcosa nel tono della sua voce che per un momento mi fa rivedere l'amico che avevo una volta. Ma è talmente fugace, una luce quasi intermittente, da farmi venire il dubbio di averla vista. «Dimostralo lasciando libera tua sorella».
«Tu non sei...»
«Cosa? Non sono abbastanza per lei? Dillo! Sappiamo entrambi che ti sbagli. Ma sei troppo orgoglioso per ammetterlo», lo spingo. «Sai solo giudicare. Ti ricorda qualcuno?», attendo e fa silenzio voltando lievemente il capo. «Già, come pensavo. Sei identico a lui e non farai mai la cosa giusta perché pensi solo a te stesso. Che importa se sono quelli attorno a te a farsi male».
«Ti sbagli!»
«Allora dimostralo».
Riesco a raggiungere il mio pick-up, avvio il motore e sfreccio lontano dal parcheggio, da Peter, da tutte le sensazioni che mi hanno raggiunto nel corso della discussione.
Mi sento come una pentola a pressione. Vago come un emerito coglione per un po' alla ricerca di una ragazza bionda dagli occhi verdi. Ma di lei non c'è traccia per strada.
Picchio il pugno sul volante e urlo di frustrazione. «Dove cazzo sei?»
All'improvviso arriva, l'idea. Luna non potrebbe essere in un altro posto se non dove penso che sia. Come ho fatto a non pensarci subito?
Sfreccio in direzione e quando arrivo la trovo seduta su un masso a fissare la città ai piedi.
La brezza tiepida accarezza il suo corpo chiuso a riccio, gli alberi intorno, l'erba, soffiandole sui capelli; li respinge senza traccia di vitalità nei suoi movimenti.
Il sollievo per un momento alleggerisce il mio cuore troppo ingombro.
Tiro fuori un plaid che tengo sempre in auto, fa freddo qui di notte.
Mi avvicino, glielo adagio sulle spalle e lei balza subito in piedi. Gli occhi iniettati di rabbia, delusione e dolore. «Non toccarmi!», urla con voce spezzata dal pianto. «Non voglio il tuo stupido aiuto, tantomeno il tuo fottuto plaid!»
«Volevo solo...»
«Vattene. Voglio stare sola».
Mi siedo e la tiro giù. «Anch'io voglio tante cose che non posso avere».
«Non riesco neanche a guardarti. Per favore va' e lasciami sola».
«No, no che non ti lascio sola. Porca puttana, Luna, mi dispiace. Era proprio per questo che...»
«Non lo era. Non mentire! Volevi solo un vantaggio su di me e sulla mia famiglia. Bene, spero ne sia valsa la pena portarmi a letto e prenderti gioco dell'unica persona che probabilmente ti amerà davvero nella vita e non ti tradirà mai come fai sempre tu».
Sapevo che prima o poi quella sua rabbia sarebbe esplosa. La aspettavo, solo non così tanta.
Il sangue mi ribolle dentro. «Non spettava a me dirtelo».
Mi fulmina con quei suoi maledetti occhi e quel viso tanto espressivo. «Ah no? Sei un bugiardo proprio come tutti gli altri. E io stupida che ci ho provato. Ho tentato di non perderti. Ma tu hai sempre avuto altri piani. Nessuno includeva di avermi accanto», scuote la testa delusa. «Sono così stanca...», sussurra. «Io, io continuo a sentirmi soltanto un'opzione e non voglio più esserlo... merito di diventare una scelta di cuore».
Passo il palmo sul viso. «Permettimi di portarti al sicuro. Non voglio che ti becchi l'influenza solo perché sei arrabbiata».
Provo a sfiorarla e si ritrae. «Non verrò da nessuna parte con te», risponde con ostinazione.
«Non è una scelta, te lo sto ordinando, ragazzina!»
Nel sentire il termine balza in avanti per attaccarmi e le afferro i polsi, piego le sue braccia e me le avvolgo intorno al busto avvicinandola così tanto da abbracciarla, da tenerla stretta, mentre i singhiozzi le scuotono lo sterno e le lacrime bagnano la mia camicia.
Sono consapevole di non doverla toccare, ma averla vicina fa deragliare il mio cuore su un binario sconosciuto.
«Perché tutti continuano a mentirmi? Che cosa ho di sbagliato?»
«Sshhh, piccola. Non hai niente di sbagliato. È il mondo che è un posto di merda».
Scrolla la testa. «Come hai potuto?», scivola a terra, ma le mie braccia non glielo permettono. Picchia i pugni sul mio petto una sola volta, prima di tenerli premuti e stretti contro la mia camicia fino a sbiancare le nocche.
«Andiamo».
Nega. «Non verrò da nessuna parte con te».
Chiudo per pochi istanti gli occhi e respiro, cerco di calmarmi, di non stuzzicare ulteriormente quella furia che mi scorre nelle vene come acido.
«Luna!»
Il mio tono imperioso la fa sussultare. Tira su con il naso e solleva gli occhi conficcandoli nei miei. Osa sfidarmi nonostante sia nettamente in svantaggio.
In silenzio, con prepotenza, indietreggio e lei mi segue senza dire niente, non si agita più come prima, si lascia solo condurre in auto dove le inserisco la cintura e la porto in un posto a me caro.

***

Percorriamo un paio di chilometri avvolti dal chiarore della luna, del cielo tempestato di stelle e dalla brezza proveniente dalla costa che si insinua dal finestrino riempiendo l'abitacolo.
La mia mano afferra e porta la sua in grembo. Voglio che sappia che ci sono. Che sto facendo questo anche per lei.
La sua calma non è altro che quiete prima di una brutta tempesta. La conosco. Presto crollerà di nuovo e non so se sarò in grado di raccogliere ogni coccio senza tagliarmi e farmi male.
Quando ci fermiamo, davanti a noi c'è un cancello e, al di là di un viale acciottolato, circondato da un perimetro di erba e qualche aiuola ben tenuta, si estende una villa.
Luna non pone nessuna delle domande che le stanno circolando nella testa. So che vorrebbe sapere dove ci troviamo. A tempo debito le dirò ogni cosa.
Inserisco il codice numerico, il cancello emette uno stridio aprendosi lentamente.
Posteggio l'auto di fronte alla fontana dentro la quale, grazie alla pioggia, si è depositata una conca d'acqua; giro intorno al pick-up, le apro la portiera e tenendola per mano la porto verso la parte posteriore della grande struttura antica appartenuta ai miei bisnonni.
Entriamo nella dependance che ho sistemato di recente per avere un posto silenzioso, isolato e tutto mio; in cui poter essere davvero me stesso.
Luna entra in punta di piedi e vaga con occhi ancora terribilmente arrossati intorno alla minuscola casetta interamente in legno. Potrebbe sembrare una casa di montagna, una di quelle che vengono raffigurate e si vedono sulle brochure dei viaggi.
Nell'aria aleggia ancora l'odore dei bastoncini al cedro che ho posizionato su alcune mensole. Accendo le luci e le faccio cenno di seguirmi.
Superata una porta a volta, ci troviamo in quello che potrebbe definirsi uno sgabuzzino ben organizzato, ma che di fatto, dato che vi sono mensole, una scrivania, un armadio a parete e un divano, è a tutti gli effetti un piccolo covo; il mio studio.
Apro l'anta dell'armadio e tiro fuori da sotto una tavola, un nascondiglio, il borsone. Lo appoggio sul divano, lo apro e le faccio cenno di avvicinarsi e guardare.
«Volevi sapere parte della verità sulla tua famiglia? Guarda pure con i tuoi occhi cosa ti ho tenuto nascosto».
La lascio sola chiudendo la porta alle spalle. Mi appoggio alla parete e accendo una sigaretta cercando di non dare di matto.
La porta si apre dopo appena due minuti, Luna sbircia, mi trova in attesa. «Cosa c'è in queste?», solleva la busta con le chiavette USB.
La supero, accendo il computer e glielo mostro facendo un passo indietro mentre lei osserva il contenuto delle cartelle, scorre le foto, infine guarda i video cadendo sulla sedia girevole come una bambola di pezza. Il disgusto palese sul suo viso.
Incrocio le braccia al petto dopo avere spento la sigaretta nel posacenere e gettato la nuvola di fumo che si ingloba intorno come nebbia.
«Tuo padre non è una bella persona, Miele». Non mi trattengo. Ho sempre odiato quell'uomo.
Chiude lo schermo e rimane a fissare il muro per qualche istante mentre le lacrime continuano a scorrere copiose sul suo viso. Poi si volta, si solleva, barcolla un po' e indica il borsone. «Che cosa ha a che fare mio fratello con tutto questo? Anche lui fa parte di quel giro?»
«Ho indagato, e dopo avere parlato con lui poco fa, ho capito che sta nascondendo qualcosa e che questo borsone potrebbe essere la sua garanzia».
Corruga la fronte. «Perché mio padre fa questo?», singhiozza incredula. «Perché ha tradito mia madre... fatto quelle cose e ha usato quelle ragazze come un animale», la voce le si affievolisce, i suoi lineamenti si induriscono. «Lui deve pagare. Deve marcire in galera!», sbraita. «Porterò tutto questo alla polizia. Chiunque saprà chi è davvero Ector Maddox e quello che ha fatto insieme agli altri uomini con cui fa affari sporchi».
«Se lo fai chi dice che qualcuno non lo chiamerà per aiutarlo e insabbiare tutto? Ha amici e conoscenze ovunque, Miele. Ragiona bene sulle prossime mosse, perché saranno sempre protetti. Non puoi esporti e metterti in pericolo».
Sposta le mani tra i capelli. «E Peter? Non possiamo farlo confessare o chiedergli di aiutarci a capire o...», annaspa confusa.
«L'unico modo sarebbe incontrarlo e dargli il borsone. Approfittare del momento per avere una spiegazione. Lo vuole e vuole anche che stia lontano da te».
Luna riflette un momento. «Che cosa è successo?»
Nella sua domanda è sottinteso il: "tra voi". So che non aspettava che il momento giusto per chiedermi di raccontarle la vera storia. Non mi rimane che dirle la verità.
«Ci trovavamo insieme dopo una partita quando abbiamo beccato tuo padre scopare con la signora Spencer», comincio portandola in soggiorno. «Era il periodo delle elezioni. Stavano quasi sempre insieme. Si trovavano nell'ufficio quel giorno. Tuo padre non ci ha visti».
Apro la dispensa per tenere le mani impegnate e preparo due tazze di caffè caldo e dei biscotti, disponendoli su un vassoio.
«Tuo fratello mi ha fatto promettere di non dire niente a nessuno perché si sarebbe generato del dissenso, enormi casini. Tuo padre avrebbe perso le elezioni, forse anche voi e io l'ho fatto. Ma lo conosci Peter, è paranoico. Ha iniziato a guardarsi le spalle. Ha anche cercato di chiudermi la bocca con del denaro. Poi, non riuscendoci, è passato al ricatto, ma questo dopo che ha parlato con tuo padre».
«Cosa è successo?»
«Ector è venuto da me, voleva chiudere la questione. Non ho accettato. Non avrei detto niente, ma loro non hanno creduto alla mia promessa e hanno escogitato un piano per farmi ammanettare e apparire come un vero bastardo. Hanno persino usato Ben e lui... con ogni probabilità ha accumulato un grosso debito con loro».
Sporgo la mano asciugandole la lacrima.
Prendo la tazza e bevo un lungo sorso.
So che quello che le ho detto sembra confuso. A volte mi sembra uno stupido incubo.
«Mi hanno incastrato e hanno usato ogni persona intorno a me per mettermi a tacere, Miele. Ho vissuto anni davvero tosti».
Cammina avanti e indietro nervosa. «La facilità con cui mi hanno tenuta lontana dalla verità e all'oscuro di tutto mi spezza il cuore, Tor».
Detesto sentire quell'amarezza, vedere la delusione stampata sul suo bellissimo viso, specialmente sapendo di essere stato io ad avergliene causata gran parte.
«Che cosa devo fare? Tor, aiutami», mi supplica, rischiando di scoppiare a piangere.
«Puoi lasciare che la rabbia ti distrugga e arrenderti in qualsiasi momento. Oppure, puoi imparare a conviverci e trasformare tutte quelle sensazioni brutte nella tua migliore arma».
«Tu... come hai fatto a gestirle?»
«Ho lasciato che tutti vedessero come sono: arrabbiato, avvilito, umiliato, deluso».
Luna chiude gli occhi, scrolla la testa poi mi si avvicina. «Riesci a incantarmi quando mi fai ragionare così. Riporti la calma nel mio mondo caotico. Mi piacerebbe saper fare lo stesso, ma continuo a inciampare e a comportarmi come una ragazzina».
«Non lo sei. A volte lo dico solo per farti arrabbiare o rimetterti in riga».
Cambia un po' atteggiamento e l'aria intorno a noi diventa meno opprimente.
«Sento odore di scuse».
«Il tuo fiuto fa cilecca», le sfioro il naso.
Sbuffa spingendomi e io l'avvicino.
Ci abbracciamo. Ci aggrappiamo l'uno all'altra. Le bacio la tempia. Le sue dita invece strizzando la mia camicia.
Sfioro il suo naso con il mio e il suo corpo si protende, nonostante sia teso. La sua mano accarezza delicata la mia nuca. «Anche se mi hai tenuta nascosta la verità, so di potermi fidare solo di te».
Mi avvicino alle sue labbra. «Mi dispiace», sussurro.
Chiude gli occhi. Premo la fronte sulla sua. Il silenzio ci avvolge.
«E questo posto?»
«Apparteneva ai miei bisnonni. Erano benestanti come puoi ben vedere. Quindi sì, facevo parte anch'io di una famiglia importante».
«Adesso no?»
«Adesso sono solo stanco. Non ho mai accettato niente da nessuno. Tutto quello che ho me lo sono guadagnato lavorando. Lo stesso ha fatto mia madre, la prima ad allontanarsi da quel mondo sporco e corrotto».
«E come fai ad avere questo posto?»
«Un regalo. Ho dovuto accettarlo, altrimenti sarebbe andato a qualche stronzo pronto ad arricchirsi svendendone il suo valore. JonD e Rio lo sanno e adesso anche tu. Ma sei la prima che mette piede qui dentro».
«Perché?»
«Perché sei l'unica persona che mi fa rischiare di ammazzare qualcuno a mani nude».
Sbatte le ciglia. «Non vorrei mai che ti spingessi a tanto».
Emetto un verso roco. «Tu non hai idea delle cose che farei pur di vederti felice».
Le sue dita si muovono agili e sicure sbottonandomi la camicia. I miei muscoli guizzano sfiorati dai suoi polpastrelli freschi. Dalla bocca mi esce un sospiro strozzato e le bacio la curva tra collo e spalla, cercando di controllare il tremore e la voglia che ho di toccarla.
La lascio condurre ed è un grandissimo sforzo. In particolare quando si sdraia sul divano portandomi su di sé, continuando a sbottonare la mia camicia fino a slacciarmi la cintura.
Ansimo bloccandole il polso. Lei si libera e con decisione completa la sua opera.
Non riesco a rimanere concentrato, sento soltanto il mio corpo accendersi e la mia pelle infiammarsi in punti diversi.
Le mie mani le hanno già sollevato il bordo del tubino fin sopra la vita. La mia bocca, bacio dopo bacio, si appropria della sua pelle. Copre le clavicole, la gola, con morsi delicati. Il tutto accarezzandole contemporaneamente tra le cosce.
«Luna», cantileno.
«Tor», replica con un filo di voce ma sufficientemente potente per farmi eccitare.
Le scosto gli slip di seta proprio mentre lei tira fuori la mia erezione dai boxer.
Ansimo e la bacio con impeto, lasciandole prendere ancora il controllo.
«Mi manderai sempre fuori rotta. Ma il pensiero di perdermi con te non mi dispiace».
«Tu sarai sempre la mia bussola», ribatte, indirizzando il mio membro tra le sue pieghe.
È calda e pronta. Smania dalla voglia di sentirmi. Stringe i fianchi e io le entro dentro con tutta la mia lunghezza.
Schiude le labbra e mi si avvinghia godendosi il dolore e il piacere mescolati dalla nostra unione.
So che cosa sta cercando. So perché lo sta facendo.
Le scosto una ciocca di capelli dal viso. Lei fa lo stesso con quella che mi ricade sempre sulla fronte e mi muovo continuando a guardarci negli occhi.
A ogni affondo le sue pupille si dilatano e le sue pareti si riempiono di me. Mi accoglie tutto, non mi permette di essere delicato o di trattenermi. Mi vuole senza barriere, senza paura.
La sua mano scivola lungo la mia schiena, capisco il suo segnale dalla scarica elettrica che ci raggiunge e le do di più. La faccio gemere a gran voce, inarcare e implorare sotto il mio corpo.
Raggiungiamo in fretta l'apice. Lei trema, io affondo il viso sul suo collo e spingo ancora in maniera rude dentro di lei, beandomi del suo verso di pura estasi. La mia spinta, la mia adrenalina, il mio punto di rottura. Pulso e mi disfo riversandole dentro tutto il mio amore. Lei mi accoglie e mi abbraccia mentre con gli ultimi spasmi mi svuoto.
Rimango dentro di lei. Le bacio la guancia, la bocca e i suoi denti riescono ad afferrarmi; recidono il mio labbro leccandolo maliziosamente, provocandomi una nuova ondata di calore e passione.
«Sei sempre stata mia, anche quando non potevo averti», sibilo schioccandole baci sul petto, tenendo la mano intorno al tessuto che continuo ad abbassare. Lecco lo sterno, mi avvicino al capezzolo. Quando avverte i miei denti serrarsi sulla carne, mugola e affonda le dita tra i miei capelli.
«Anche tu sei sempre stato mio», mi tira su, le labbra incollate alle mie.
«Sei riuscita a riempire questa cavità vuota. Stai salvando quest'anima dannata», porto la sua mano sul mio petto dopo averle baciato i polpastrelli.
«Sei riuscita a far bruciare questo cuore freddo. A sciogliere ammassi di ghiaccio. Hai riportato in me l'estate dopo un inverno perenne».
Le bacio il labbro inferiore e si tende sotto il mio tocco.
«Anche se ho tenuto l'anima rinchiusa in una teca di cristallo, sei riuscita a scorgere quello che sono. Non hai avuto ribrezzo delle mie cicatrici. Ti sei avvicinata e non hai avuto paura di farmi male. Di fartene a tua volta. Sei la mia cosa bella, Luna Maddox. E il sapore delle cose belle non puoi toglierlo di dosso. È un profumo che ti si imprime sotto la pelle, come un dolce ricordo. Tu sei la mia realtà, il mio giorno felice. La mia persona. Sei tutto quello che voglio e che sto cercando di non perdere».
Parlo senza freni. Avrei dovuto fermarmi prima, ma le parole continuano a uscire senza controllo. Non me ne pento. Credo che sia la prima volta in cui confesso tutto ciò che sento.
Luna lo comprende e a sua volta si apre a me. «Io ti appartengo, e non per ostinazione perché qualcuno ci sta impedendo di stare insieme o perché sto cercando di perdonarti. Ti ho scelto sin dal primo istante. Tu sei tu e non voglio qualcun altro al mio fianco. Non smetterò mai di volerti, nemmeno se continuerai a deludermi o a farmi soffrire. Se ho te nella mia vita ho tutto».
«Bene perché ti starò accanto e ti farò incazzare solo per farmi toccare come hai appena fatto».
Emette una breve risata, allargando le cosce. «Sono sicura di potere trovare un buon compromesso». Geme quando muovo i fianchi e la mia erezione, di nuovo dura, la penetra.
«Ah-ah, tipo?»
Chiude gli occhi, affonda le dita sulle mie spalle. «Fare incazzare te. Così continuerai a non trattarmi come fanno tutti. Non sono fatta di vetro e tu lo sai».
Tengo fermi i suoi fianchi ma si divincola e mi si adagia sopra.
«Potrei accettare, ma solo se hai nel cassetto un altro di questi completi così sensuali ai miei occhi», mormoro sfiorandole il reggiseno sottile bianco con minuscole fragole stampate sopra, e gli slip che per poco non le ho strappato di dosso quando li ho visti.
Posiziona la mano sul mio petto per tenermi giù. «Stavo pensando di comprarne altri. Gli ultimi sono spaiati ormai».
Sorrido. «Preparati a usarli tutti».
Ci accoccoliamo e restiamo avvinghiati così, con la sua testa incastrata tra il petto e il mio mento e il mio cuore nascosto e al sicuro sotto il palmo della sua mano.

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