Capitolo 27
~ Toren ~
Non so un cazzo dell'amore. So solo che sta entrando. Che lei si sta facendo spazio e come un fottuto autoscontro sta giocando nel mio petto.
Conosco solo il desiderio, il piacere, la piacevole sensazione del dolore da provocare. Ma il resto... il resto è qualcosa che non comprendo, un buco nero che rischia di risucchiarmi se non farò attenzione. Dentro di me si dibattono come falene inferocite emozioni di cui non avevo ancora fatto conoscenza. Non so come definire questo senso di appartenenza. So solo che se mi allontano troppo, qualcosa, come un filo invisibile che si tende, mi riporta sui miei passi. Mi riporta da lei.
Le sto dando il permesso di cancellare tutto, di lasciarmi dentro solo la traccia del suo amore.
Ho bisogno di questo. Ho bisogno del suo tocco, dei suoi sguardi, della sua bocca sulla mia. Ho bisogno di perdermi e non trovarmi più, se non circondato dalla sua anima. L'unico posto in cui mi piacerebbe vivere fino all'ultimo dei miei respiri.
Mi riscuoto dal sonno che mi ha colto di sorpresa dopo l'estenuante viaggio, il litigio, la maratona di sesso. Dovevo essere proprio sfinito se mi sono lasciato abbattere tanto in fretta. Questo letto così comodo ha aiutato le mie povere ossa dopo giorni passati a lavorare come un matto per non pensare.
Nella semioscurità cerco Luna, ma il suo corpicino non è nemmeno vicino. La mia mano va a tentoni sul lenzuolo, lo trovo freddo e in un attimo sono così lucido da rischiare l'infarto.
Accendo la luce e dentro la stanza ci sono solo io avvolto fino alla vita da un lenzuolo bianco. Mi sollevo, indosso i boxer e comincio a cercarla partendo dal bagno. Proseguo in soggiorno e la trovo in cucina. Piegata sulle ginocchia, con la faccia davanti al forno dove all'interno sta cucinando qualcosa, non si accorge del mio arrivo fino a quando non apro bocca.
«Allora è qui che ti nascondi?»
Si volta e sussulta trovandomi appoggiato al bordo del frigo, a braccia conserte, con gli occhi fissi su di lei.
«Ciao», squittisce imbarazzata, togliendo il guantone e appoggiandolo sulla superficie con qualche minuscolo cumulo di farina o traccia di pastella al cacao.
Non dovrei farlo, non so come potrebbe reagire, dato che è scappata per rintanarsi in cucina alle tre del mattino. Mi avvicino, cerco di capire cosa sia scattato in lei e avvolgendola in un abbraccio premo le labbra sulla sua testa.
«Che ci fai sveglia?»
Mi sorride, le guance lievemente accaldate. Odia essere colta alla sprovvista. Ancora di più aprirsi così tanto. So i suoi timori e li condivido. Ma voglio che si senta al sicuro con me, libera di dire qualsiasi cosa.
«Non riuscivo a dormire e avevo un po' di fame».
Lancio un'occhiata dentro il forno. In una teglia ci sono dei muffin quasi pronti. Da quanto tempo è qui?
«Non ho molto in casa. Devo ancora fare la spesa. Spero siano buoni, perché non sono poi così brava in cucina», si giustifica.
«Quelli andranno bene con del caffè. Hanno un aspetto invitante».
Lei mi indica la macchinetta e con un cenno di aprire la dispensa, dove trovo una confezione del mio caffè preferito.
Un fulmine mi scorre lungo la pelle, penetrando a fondo, raggiungendo il mio cuore. «E questo?», sollevo il pacchetto scuotendolo con un sorrisetto spietato.
Morde il labbro e dandomi le spalle controlla ancora i muffin. «Mi faceva ricordare te», ammette con finta nonchalance.
Sorrido radioso, recupero due tazze trasparenti con il disegno di un gatto stilizzato su entrambe.
Mi passa la panna e la cannella, sforna i muffin e si siede sul ripiano, le caviglie incrociate.
Le porgo la tazza e ne prende un sorso prima di dare un morso al muffin caldo.
Faccio lo stesso. «Non sarai una cuoca stellata ma... questi sono deliziosi. Hai già fatto il bagno?»
Manda giù il boccone. «Non ancora».
«Possiamo farlo insieme?», propongo.
«Possiamo».
Getto la cartina del muffin e prendo un altro sorso di caffè. La raggiungo, mi posiziono tra le sue gambe e l'attiro verso il mio corpo, facendola scivolare in avanti. Le tolgo la tazza dalle mani adagiandola sul vassoio, sposto le sue braccia sulle mie spalle facendogliele intrecciare e la imbocco osservandola masticare, fingendo di non essere confuso da questo suo atteggiamento.
Infine, incapace di frenare la voglia, l'abbraccio. Non dico niente. La tengo stretta, così stretta da poterci fondere e non sapere più dove comincio io e dove finisce lei.
Il suo respiro, caldo, controllato, sul mio collo, aiuta il mio battito a rallentare, a non impazzire.
Annuso il suo odore mentre siamo circondati dall'aroma del cacao, dello zucchero e della pasta dei muffin dolci ad avvolgere questa cucina ben organizzata, nello stile moderno e dai toni tenui, capaci di attirare la luce.
A poca distanza, nel soggiorno adiacente, c'è un divano in pelle grigio. Davanti ad esso un tavolo basso da caffè con al centro un vassoio ovale a specchio sul quale è stato adagiato un vaso di girasoli e rose rosse, due riviste e candele accese a emanare un profumo vanigliato. Un enorme televisore si trova sopra una console di legno riciclato, completata da vasetti con piante grasse, rampicanti e qualche quadro con le sue foto.
Parecchi sono i libri, una passione che non l'ha mai abbandonata.
Nella zona dove ci troviamo, oltre alla cucina, vi è anche un tavolo di vetro opaco con sedie simili a poltrone. Al centro un altro bouquet di fiori; questi sono bianchi, contenuti in un vaso di cristallo dall'aspetto costoso. Pochi quadri sono appesi alle pareti e c'è un bell'orologio dalla forma geometrica strana, piantato sul pilastro.
Mi piace come ha reso l'ambiente pulito, accogliente ed elegante.
«Mi sento talmente sereno da potere restare così ancora e ancora, senza mai staccarmi. Potrebbe crollare il mondo è a me non fregherebbe un cazzo perché terrei il mio così stretto da non farlo muovere di un solo giro».
Passa il palmo sulla mia schiena. L'ho sentita trattenere un po' il fiato, agitarsi poi rilassarsi. «È bello. Stare tra le tue braccia è bello», ripete con un filo di voce.
«Sono stanco di resisterti», ammetto osando alzare gli occhi per lasciarmi sopraffare dai suoi già puntati addosso come due fanali in mezzo alla tempesta. Sono nel posto giusto anche se non dovrei esserci.
Premo la fronte sulla sua. Un gesto intimo, nostro. Mi piace perché è come se abbassassimo ogni difesa per avvicinarci in silenzio.
«Ho una richiesta».
«Sentiamo».
«Non abbandonarmi più mentre dormiamo». Non attendo una risposta. Caricandomela in spalla la porto in bagno.
Luna scalcia, ma ridacchia e quando la metto giù, tenendosi in equilibrio sulle punte dei piedi, mi avvolge il collo con le braccia.
«Perché non dormivi?»
Passa le dita tra i miei capelli. Mi piace quando mi tocca. È come essere sfiorati da una piuma. «Ho avuto paura che fosse un sogno».
Le bacio la guancia. «Sono qui», mormoro.
Mi scosto e apro il rubinetto riempiendo la vasca. Lei lascia cadere in acqua da una pipetta delle gocce di olio essenziale dal profumo delicato e paradisiaco, insieme a qualche noce di bagnoschiuma alla mandorla, creando una soffice nuvola bianca.
La vasca è ampia, può essere usata come idromassaggio. A poca distanza vi è una doccia quadrata circondata da piastrelle di un grigio chiarissimo marmorizzato.
La spoglio ed entra in fretta in acqua, beandosi del calore sulla pelle.
Mi posiziono alle sue spalle e le mordicchio l'orecchio. «Stai bene?»
Piega la testa adagiandola alla mia spalla. Avvolge le mie braccia intorno all'addome e me le accarezza mentre continuo a baciarle il collo.
«A cosa ti riferisci?»
«Se stai bene».
Senza nemmeno riflettere sul quantitativo di cose di cui dovremmo parlare, quando si volta, le metto una mano sul ginocchio. Al contatto, Luna abbassa le palpebre inspirando a fondo, poi più in fretta. Si avvicina e sposto la mano sulla nuca, attirandola verso il mio corpo in tensione, pronto a divorarle la bocca.
Inumidisce le labbra dando un lieve morso a quello inferiore. Apre gli occhi e il tempo si congela. «Sono ancora particolarmente furiosa con te. Le ultime settimane sono state difficili. Non ti sei fidato di me così tanto da rimanermi accanto o da dirmi la verità».
Ascolto. So che abbiamo bisogno di comunicare e ho tutta l'intenzione di farlo.
«Ti ho spiegato le ragioni».
«Hai solo detto una parte della verità. Tor, ti conosco. Abbastanza da sapere quando cerchi di nascondere qualcosa. So che c'è dell'altro».
Massaggio una tempia, il gomito adagiato al bordo bianco della vasca. Non le sfugge mai niente. «Per quanto io abbia voglia di renderti partecipe...»
Sposta il peso mettendosi a cavalcioni. Lo fa velocemente, costringendo il mio cuore a fare un balzo. «Non vuoi mettermi in pericolo», conclude al posto mio con tanto di imitazione della mia voce.
«Più o meno. Smettila di scimmiottarmi».
Riflette e torna ad adagiare la schiena sul mio petto. «Pensi di riuscire a lavorare su questo?»
Annuso i suoi capelli. «Per te sono disposto a tutto».
Si rilassa. «Mi penserai un po' quando sarai a casa?»
Il pensiero di allontanarmi mi fa irrigidire.
Le mie dita scivolano dal suo seno al ventre. Allarga le cosce e adagio la mano sul suo sesso. Il braccio a circondarla e a tenerla ferma dalla spalla.
Premo la guancia alla sua. «Solo un po'? Vuoi che ti pensi così poco?»
Sorride. «Sai cosa intendo».
«Uhm...», mugugno.
Infilo un dito tra le pieghe e lei schiude le labbra. Comincio a muoverlo in circolo sfiorandole il clitoride. Morde il labbro poi libera un gemito afferrandomi il polso.
Le strizzo un capezzolo e muove i fianchi, il sedere si struscia sulle mie parti basse dandomi una violenta scossa.
«E tu? Mi penserai?»
Inarca la schiena quando aggiungo un secondo dito. «Sì», ansima tirando via la mia mano. Voltandosi afferra le mie guance e mi avvicina alla sua bocca calda, dolce, deliziosa.
Le lecco il labbro e sorride abbracciandomi la testa quando premo la faccia sul suo seno e il mio membro raggiunge le pieghe della sua intimità, mirando a quel punto su cui affondare e perdersi.
Luna si tende, i palmi fermi sulle mie spalle. Risalgo a suon di baci a schiocco e le mordo il labbro.
Ricambia, mi bacia aggrappandosi a me con impeto. «Ti ho sempre voluto. Adesso che sei qui, ho bisogno di capire che non sei un sogno».
Stringo i suoi fianchi e mi faccio strada con una sola stoccata. Il verso che emette è liberatorio, estatico e mi fa sentire come se tutto si stesse sfuocando per noi.
La guido su di me senza fretta. Luna tiene il labbro tra i due denti superiori, ma di tanto in tanto lo lascia andare per boccheggiare.
Continuiamo a guardare i nostri corpi che si incastrano come se fosse una magia.
«Non paragonarmi mai a un sogno, Luna».
Affonda le dita sulle mie spalle. «Non trattenerti».
La spingo giù e mi insinuo fino in fondo con una tale impetuosità da sorprenderla. Abbassa gli occhi e allarga le cosce prima di avvicinarsi e divorarmi la bocca. «Così?»
«Continua», mi supplica.
Sollevo entrambi e spingendola di schiena contro le piastrelle, la penetro con desiderio e affanno, godendomi i suoi gemiti, le sue unghiate, i suoi lievi morsi.
Le divarico le cosce e notando che inizia a tremare spingo i fianchi sempre più in dentro e a un ritmo frenetico. Libero la bestia, ma a domarla è lei. Lei che mi accoglie e mi avvicina a sé per averne una parte.
«Ti sembro ancora un sogno? No, piccola», le soffio roco tra le labbra. «Sono il fottuto incubo che sta per farti venire».
Sono stordito, a corto di fiato, e questo incendio che sento divamparmi dentro, continua a crescere e a essere alimentato da ogni suo movimento, espressione, suono. Mi avvolge, mi sconvolge, finché non mi ritrovo in bilico e infine avvolto nella nebbia di un piacere a cui è impossibile dare una definizione.
Un'ultima stoccata e il mio membro esplode. Vengo, ruggisco incredulo, mentre fiotti del mio seme le riempiono le pareti e le scivolano tra le cosce in seguito agli ultimi spasmi.
Luna mi accarezza il viso cercando di riprendere fiato. Le bacio il naso provocandole una risata giocosa e dopo essere passati sotto la doccia, siamo fuori dal bagno. Lei, con un accappatoio di un rosa tenue, io, con l'asciugamano bianco intorno alla vita, sdraiati sul letto.
«Non scappare più».
«Tanto mi trovi sempre». Preme la guancia sul mio cuore e la intrappolo tra le mie braccia. «Dove vuoi che vada?», aggiunge.
«Adesso dormi o sarò costretto a legarti al letto».
«Sai che è arrivato il momento di parlare. Ho appena saziato il tuo appetito. Adesso tocca a te appagare la mia curiosità. Che cosa farai?»
Rimane in attesa e non posso fingere di non avere sentito. So cosa vuole sapere. Abbiamo sorvolato abbastanza sull'argomento ed è giunto il momento. Posso fidarmi? Può davvero reggere la verità o mi tradirà?
Chiudo un attimo gli occhi. «Ho intenzione di attirare Peter in una trappola. Tranquilla, è tutto sotto controllo. Non ho intenzione di fargli male fisicamente».
Morde un'unghia e riflette. Non sembra scontenta. Solo un po' assorta. «Mio padre? Rientra anche lui nel tuo piano?»
«Gli toglierò ciò che ha di più prezioso».
«Davvero? Cosa sarebbe?»
«Non cosa, chi», la rimbecco picchiettando l'indice sul suo naso dritto per suggerirle la risposta alla domanda che sta per fare. Ma ci ripensa, tace inizialmente, arrossisce, solleva appena l'angolo del labbro, e come se non potesse assaggiare la felicità per il senso di colpa, riflette.
«Cosa c'era in quei file?»
Inspiro gonfiando il petto. «Ti fidi di me?»
«Voglio fidarmi. Ma non posso continuare a vivere all'oscuro di tutto solo perché pensi che potrei dare di matto o non sia pronta. Ho sempre avuto il sospetto che mio padre nascondesse qualcosa dietro quella facciata da uomo colto, un po' snob ed egocentrico. Tor, io devo sapere».
«Arriverà presto il momento in cui saprai tutta la verità, Miele. Adesso, rovinerei soltanto l'immagine e l'opinione che hai di lui se ti dicessi quello che ho visto. Ed essendo ancora arrabbiata con me potresti anche pensare che stia mentendo e non è così che voglio che vadano le cose tra di noi».
Si stende come un gatto su di me. «Non ti farai male, vero? Non farai niente di avventato».
Sono stupito. Tra tutte le cose che avrebbe potuto dire, se ne esce con questa. Riuscirà sempre a farmi questo effetto?
«No. Non se va tutto secondo i piani».
Mi accarezza la guancia tenendo il mento sul mio petto. «E dopo?»
«Dopo...»
«Non voglio metterti pressione, ma quando ti sarai vendicato, di me che cosa ne sarà?»
Traccio una linea pigra dalla spina dorsale verso il collo e le sue pupille si dilatano lievemente. «Sono stato un coglione a pensare di poterti usare. Ogni giorno ero convinto di poterci riuscire, ma stavo solo prendendo in giro il mio cuore».
Sposta la mano su di esso, ascolta i miei battiti. «So che non lo farai più».
«Dovresti smettere di cercare del buono in me», stringo le labbra in una linea sottile. «In realtà non lo sono. Sono la persona peggiore che potessi conoscere».
Scuote la testa guardandomi come se avesse un bambino davanti. «Ti sbagli. Dietro quell'armatura io vedo quello che nascondi, Toren Connor. Non sarai mai tanto indifferente come cerchi con costanza di dimostrare. Continuerai a nascondere il fatto che sei protettivo, ma ti lancerai sempre in aiuto e tenderai una mano a chi ne ha bisogno. Questo fa di te una persona buona che tu riesca ad ammetterlo o meno».
«Ho troppe cose in ballo. Non posso farti promesse, Luna. Solo... spero non mi guarderai come mi hai guardato prima di sbattermi in faccia quella porta. So di essere un mostro. E so che sbaglierò ancora molte cose. Ma anch'io ho bisogno di tempo, per migliorarmi».
«Tor, nel momento in cui hai deciso di indossare quella maschera, di chiuderti dietro quel carattere scontroso e duro, non hai fatto altro che lottare contro chi di maschere ne ha ma solo per i propri interessi. Mentre tu l'hai fatto per riuscire a sopravvivere. Quindi scusami se non ci credo. Se per me non sei un mostro. Se ti voglio nella mia vita», dice agitandosi. Mi sta parlando con così tanta passione da solcarmi il cuore.
«Non sei un mostro, Tor», ripete. «Ti sono solo capitate cose brutte e stai cercando di rimanere a galla. Quindi smettila di pensarlo. Smettila di preoccuparti perché colpendo mio padre o mio fratello, non mi ferirai. Sono anni che voglio che accada, vederli sull'orlo del precipizio proprio come mi sono sentita io o mia madre», ribatte continuando ad accarezzarmi il viso. Le parole in contrasto ai gesti delicati.
Mi sento al sicuro nei suoi occhi attenti, capaci di salvarmi da una distruzione imminente. Allo stesso tempo sento di poter morire e rinascere perché mi vede. Vede oltre i graffi, i segni, i vuoti. Mi vede e mi ama così come sono.
Ed è vero, certe persone prima o poi te le porti a spasso senza neanche accorgertene e ti salvano con il loro amore senza fare il minimo rumore.
«Miele», bisbiglio sulle sue labbra dopo averla attirata più vicino. «Voglio tenerti con me, come faccio?»
Come faccio a dirti che non voglio tornare a casa da solo. Che non so se sono pronto ad affrontare qualcosa di più spaventoso di un litigio: la distanza.
«A fare cosa?», domanda pacata, guardandomi con quei meravigliosi occhi grandi, espressivi e tanto dolci. Capaci di portarmi alla deriva. Sono dannato alla perdizione in un inferno dove il cuore non sente ragioni.
«A tenerti con me, sempre».
Lei è al tempo stesso la mia aguzzina e la mia salvezza.
Sta diventando il mio posto preferito.
Ora non posso più negarlo, in quanto so di avere trovato ciò che ho sempre sentito di non avere. Era lei il mio pezzo mancante. Lo è sempre stata.
Sta illuminando il mio mondo, le mie giornate buie e ogni singolo angolo all'ombra.
Mi sta restituendo minuscoli frammenti di vita, una traccia di felicità da potere conservare gelosamente.
La fisso negli occhi con sguardo sincero, sperando che riesca a leggermelo dentro ciò che mi sta provocando e le sto dicendo ormai da diverso tempo.
Innamorarmi di lei è stato folle. Un passo oltre quel precipizio senza fondo. Un salto verso l'ignoto.
Ma io non sono mai stato tanto cauto. Mi sono lanciato e sto correndo il rischio di farmi molto male, di precipitare e non tornare più quello che ero.
Fa un sorriso prima che le sue mani scivolino sul mio petto. «Basta che non te ne vai».
Scorgo qualcosa di diverso, c'è paura nella sua risposta e non posso negare di avere appena sentito lo stomaco aggrovigliarsi e certi pensieri affiorare. Ma so che supereremo tutto. Lo faremo insieme.
♥️
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