Capitolo 22
~ Luna ~
Mi sono cacciata in qualcosa di imprevisto, folle, decisamente sbagliato.
Anche se continuo a ripetere al mio cuore che non è niente, la mia anima sa fin troppo bene che non è vero.
Questo fa maledettamente paura.
Ci dirigiamo verso casa e non ho la più pallida idea di come si concluderà questo breve viaggio.
Per un momento sono attraversata dalla voglia di fermare Tor e chiedergli di scappare, di raggiungere un posto lontano e non tornare più. Ma so che non è possibile. Non posso avanzare pretese del genere. Lui metterà sempre la sua famiglia, l'officina e il suo lavoro al primo posto, poi tutto il resto.
«L'auto è quasi ultimata. Devo solo darle una bella pulita e tornerà come nuova a casa».
Questo significa che smetteremo di avere una scusa per vederci o da usare di fronte agli altri. Mi dico. Che cosa succederà?
«Lavori troppo», replico giù di corda.
«Devo farlo».
Stringo le dita sul bracciolo dello sportello come se volessi aggrapparmi a qualcosa di solido per non volare via. «Hai ancora bisogno di soldi? Perché se è così posso aiutarti».
Guida in silenzio per un po'. Questo suo modo di distaccarsi da tutto mi innervosisce. Quando succede è come se spazzasse via ciò che abbiamo vissuto insieme.
Mi agito sul sedile cercando di non aprire bocca e discuterne aspramente con lui. Non riuscirei mai a vincere su questo piano. Tor primeggia sempre quando si tratta di increspare le acque tranquille.
«Non accetterò i tuoi soldi, oltre quelli che mi devi per l'auto».
«Perché sei talmente orgoglioso o...»
«Non voglio debiti con la tua famiglia, Miele», ribatte immediato e con sdegno che non cerca nemmeno di nascondere.
Stringo ancora di più la presa. Le nocche diventano ben presto bianche e sono costretta a tenere le mani in grembo. «Tecnicamente lo avresti con me».
Il sopracciglio perfettamente inarcato è l'unica risposta da parte sua. Rallenta la corsa e, invece di svoltare a sinistra per entrare nel mio quartiere, decide di prendere la direzione opposta.
Il mio stomaco fa una lieve torsione e il cuore una maledetta capriola. Vuole stare anche lui un altro po' con me?
«Sono sempre soldi dei tuoi. Non li hai di certo guadagnati».
«Va bene, sì, hai ragione, ho un fondo fiduciario dalla nascita. Non ho lavorato un solo giorno per ottenere quei soldi. Ma se posso essere sincera, anche se non li ho mai usati, neanche quando i miei mi negavano qualcosa, rimangono pur sempre miei. Potrei...»
Si ferma a una piazzola di sosta, spegne il motore e voltandosi mi guarda duramente. «No».
Apro e richiudo la bocca, accettando la sua presa di posizione. «Potrei incendiare qualche altra auto».
Mi guarda storto e io sorrido. «Che c'è? Questa è arte. Quante probabilità che accada di nuovo ci sono?»
Muove il labbro per non sorridere, si trattiene e sospirando, agganciando un braccio intorno alla mia schiena, mi avvicina a sé. Mi afferra e tiene il mento tra due dita, in quel gesto intimo e tutto suo.
Le sue incredibili iridi ardono di un fuoco freddo ma comunque capace di scaldarmi.
Dannazione se non vorrei tuffarmici dentro.
Scuote il capo. Cede e un sorriso appena accennato sfiora le sue labbra. Torna a fissarmi con quello sguardo serio. Sa di riuscirci e io non gli impedisco di spogliarmi da ogni singolo strato per permettergli di guardarmi dentro.
Sono in balia dei suoi occhi.
Lo odio, lo odio così tanto. Perché lui riesce a farmi toccare il fondo.
«Non farai niente di tutto questo. So cavarmela da solo, Miele».
Racchiudo il suo viso tra le mie mani, sorprendendolo. «Lo so. Ma quando pensi al lavoro sei così triste e io non ce la faccio a non pensare a quello a cui stai rinunciando. Meriti molto di più».
Le sue narici si dilatano. «Tu non sai tutto», sussurra abbassando gli occhi sulle mie labbra. Il pollice ne sfiora il contorno e i miei muscoli reagiscono. Trattengo il fiato mentre il cuore accelera battendo sempre più all'impazzata.
Gli basta un semplice tocco, come se premesse appena un interruttore.
«Perché allora non me lo racconti? Così posso capire cosa ti spinge a rifiutare il mio aiuto».
All'improvviso Tor mi sembra irraggiungibile, intoccabile. Troppo distante e con lo sguardo di chi nasconde una violenta ombra di vendetta.
In un gesto avventato, quando prova a scogliere la presa, stringo le sue mani nelle mie. Mi aggrappo a tutto pur di non lasciarlo andare. «Non chiederò per favore e non ti implorerò».
Preme la schiena sul sedile e solleva la testa tenendo gli occhi chiusi. «Ben», comincia. «È stato lui a lasciarmi senza un soldo».
«E tua madre lo sa?»
Annuisce. «Ha derubato anche lei. Ma non accetterò l'elemosina di nessuno. Mi piace quello che faccio, certo, non era nei miei piani trovarmi in mezzo ai debiti proprio quando stavo per costruire del tutto la mia carriera e la mia casa, ma sto bene. Potresti rimetterti la cintura adesso?»
Intuendo quanto per lui sia difficile aprirsi, accettando questo minuscolo passo avanti, aggancio la cintura ma prima mi sporgo per potere premere le labbra sulla sua guancia.
Ho capito che gli piace quando lo faccio. Tenta di non diventare rosso ed emette una sorta di sbuffo, mentre sfiora la parte accaldata della guancia come se volesse tirare via lo strato di pelle per nascondere la prova del rossore.
«Voglio solo che tu sappia che ci sarò se dovessi avere bisogno. Potrei dare i soldi ai tuoi amici. Così per te sarà più semplice accettarli. O potrei commissionarti un paio di lavori».
Accarezza la mia guancia distratto.
Di fronte alla sua comunicazione non verbale, gli cedo la prima vittoria.
***
A poca distanza dalla villa, mi sento di nuovo agitata. Mi sarebbe piaciuto restare con lui. Ma devo rientrare.
Sono giorni che non torno a casa. Ho sentito a stento i miei genitori, impegnati in un breve viaggio di lavoro.
Più volte nella mente ho valutato l'ipotesi di tornare a Berkeley.
Tor è stato decisivo nel farmi cambiare idea e prendere consapevolezza del fatto che una volta tornata lì mi toccherà trovare un altro posto in cui stare per non vedere Alissa.
Mi ha ospitata lasciandomi i miei spazi e tenendomi stretta durante la notte.
Ho aspettato con il batticuore che tornasse dal lavoro, e lo ammetto, è sempre stato emozionante il modo in cui mi ha protetta sotto le lenzuola senza mai pretendere qualcosa in più.
«Starai bene?», domanda all'improvviso. Come un falco scruta qualcosa fuori dal finestrino, ma è difficile stabilire l'entità di ogni suo pensiero.
«Ammetto di non essere pronta ad affrontare ancora Alissa e Declan. Diciamo che me la caverò».
«Se hai bisogno chiamami e ti raggiungerò».
«Davvero?»
Solleva il labbro. «Adoro picchiare quel coglione».
Lo spingo e lui invece, con una mossa repentina, mi avviluppa con le sue braccia tirandomi a sé.
Mi ritrovo a cavalcioni, la sua fronte contro la mia. Il respiro mi viene meno. «Tor?»
«Ripetilo, cazzo!»
Sorrido. Prendo le sue mani e le lascio navigare sul mio corpo.
Voglio che mi tocchi. Che lo faccia qui per strada, in auto e senza il minimo pudore. Che mi faccia sentire donna, desiderata. Sua.
Oscillo i fianchi e il suo fiato si spezza. Mi bracca. «Che cazzo fai?»
«Mi lasci andare così?», mordo il labbro. Mi sento un po' ridicola all'inizio. Provarci con lui è una vera e propria impresa perché non so mai se riuscirò a provocargli una reazione.
Gioco con il tatuaggio, quello che raggiungere il suo collo partendo dalla spalla. Ha una serie di minuscoli nei e spesso mi sono ritrovata a unirli immaginariamente come se fossero costellazioni.
«Potrei che ne so, tornare a casa e decidere di partire...»
Mi aspetto che non faccia niente e invece solleva il bordo del prendisole sopra le cosce sfiorandomi la pelle sensibile fra le gambe dopo avere giocato e scostato il bordo degli slip con un dito.
«L'hai voluto tu», ansima sul mio collo, stuzzicandomi con le dita.
Gemo tenendomi in equilibrio con una mano sul vetro del finestrino. «Devo andare».
«Uhm, uhm...», muove le dita avanti e indietro e inarco la schiena. «Devi proprio...»
Sbottono i suoi jeans e i suoi occhi si fanno lucidi. Abbasso le labbra baciandogli la tempia, il mento, la gola. Schiaccio il mio corpo al suo e con la mano dentro i boxer, impugno la sua erezione già pronta.
È facile leggere adesso dentro di lui. È vulnerabile quando accetta il desiderio.
Tiro via la sua mano dalle mie cosce posizionandola sulle mie natiche e comincio a muovermi sul suo membro senza alcuna fretta, sentendo quanto sia eccitato e pronto.
Gli basterebbe poco. Un solo colpo di reni per riempirmi con la sua erezione sempre più turgida. Ma a lui sembra piacere la mia idea e io non ho nessuna fretta.
Sono giorni che non ci tocchiamo. Dalla notte nel bosco le cose sono cambiate. Abbiamo parlato, tanto; strano per due che non hanno avuto quasi mai niente da dire al mondo.
Abbiamo scherzato, giocato e abbiamo anche litigato. Eppure nessuno dei due ha cambiato idea o ha deciso di andarsene. Abbiamo vissuto ogni giorno, consapevoli del fatto che questo istante sarebbe arrivato.
Condividere lo stesso spazio ha fatto aumentare in me il desiderio di averlo.
Solo che adesso tutto questo mi sembra privo di logica, una condanna certa per il mio cuore che continua ad aspettare qualcosa. E lo so con certezza che la speranza è solo un biglietto verso la delusione.
«Vorrei starci dentro di te», soffia accaldato. «Non sai quanto».
Sorrido e con un ultimo movimento mi disfo insieme a lui.
Sento qualcosa di caldo tra le mie cosce.
Tor non si scusa quando sollevandomi un po' sulle ginocchia con le dita sfiora le mie cosce, trascinando la traccia del liquido sulla pelle.
Ansimo e stringe i denti. «Preparati per me, okay?»
Premo la fronte sulla sua spalla mentre con un fazzoletto mi ripulisce. «Hai il mio numero».
«Mi avevi detto che non eri un eroe».
Strofina la punta del naso sul mio. «Per te potrei diventarlo. Dio solo sa quello che potrei fare per te».
Il cuore ha uno strano modo di avvertirti quando sta per arrendersi all'inevitabile.
Mi agito e percepisco il suo fremito. Mi spingo su di lui, afferrando il suo viso con una mano. Lo guardo a lungo tenendo a freno il desiderio di un bacio. «Non voglio un eroe», sussurro.
«Cosa vuoi?», domanda con un filo di voce.
Bacio l'angolo della sua bocca, osando, suggerendogli la risposta e mi allontano più in fretta che posso scendendo dall'auto.
Non mi guardo indietro. Sono sconvolta, avvilita. Ho provato troppo e troppo poco nella mia vita. Adesso che ho qualcosa da perdere non posso nemmeno averla.
***
Entro in casa facendo il minor rumore possibile. Tolgo le scarpe e tenendole tra le dita corro nella mia stanza.
Non accendo la luce grazie al fascio tenue proveniente dall'esterno. Lascio cadere la borsa piena di indumenti, che avevo recuperato qualche giorno prima, e le scarpe nell'angolo di fianco alla porta. Mando fuori un sospiro legando i capelli, avvicinandomi alla finestra.
Sto scostando la tendina quando la luce dall'altra parte della mia stanza si accende con un semplice click. Rimbomba come uno sparo intorno a questo spazio immerso nel silenzio.
Sussulto. Con la mano sul petto mi volto lentamente, spaventata e pronta a urlare.
«Ciao sorellina».
Rilasso le spalle, e anche se ho ancora il cuore in gola, quando lui si solleva dalla poltrona, faccio un passo avanti e con un ampio sorriso lo raggiungo lasciandomi avvolgere dalle sue forti braccia.
«Mi hai spaventata, stronzo!»
Ridacchia con la sua aria da gradasso e mi bacia la testa. «Non è un po' troppo tardi per rientrare?»
Quando pensavo che Peter prima o poi si sarebbe materializzato, non scherzavo. Lui è così. Se è qui c'è di sicuro una ragione importante. Che siano stati i miei a volerlo a Santa Cruz per qualche giorno perché gli mancava o per altre ragioni, non so dirlo. A breve penso che lo scoprirò.
«Sono andata a fare una passeggiata. Rilassati, siamo a casa non in una città sconosciuta e piena di pericoli», minimizzo allontanandomi per potere incrociare il suo sguardo. «Come fai a essere sempre così teso?»
Peter è attraente. Ventisette anni di bellezza fisica. Grandi occhi verdi come i miei, capelli castani, una minuscola cicatrice sul labbro superiore. Un souvenir della lite furiosa con Tor. Spalle ampie, da giocatore di football e il temperamento di un leone.
Odora di chiodi di garofano e colonia maschile. Indossa una camicia leggerla di lino con lo scollo aperto sul davanti e un paio di pantaloncini color cachi.
«Ti lascio timida e ti ritrovo sfacciata? Uscita notturna e sgattaioli persino come una ladra in camera», gira intorno a me come se mi stesse studiando. «Chi diavolo stai frequentando?»
Mi sento a disagio. Per un momento mi piacerebbe scappare in bagno e guardarmi allo specchio. Capire cosa vede lui. Non oso nemmeno annusare l'aria perché potrei percepire l'odore della persona con cui sono stata in questi ultimi giorni.
Non me ne vergogno. Rifarei tutto pur di rivivere l'attimo di prima. Non voglio nemmeno che se ne vada dalla mia pelle il suo profumo. Ma di fronte a Peter, sento che il mio segreto è in pericolo. Non posso condividerlo e in qualche modo devo proteggerlo.
«Sono sempre io. Mi sto solo divertendo. Tu piuttosto, come mai sei qui? Perché non hai avvisato del tuo arrivo?», mi siedo sul bordo del letto mentre lui si appoggia con le spalle alla parete continuando a scrutarmi.
Mi sento in bilico, spaventata. Peter non è noto per le effusioni o la gentilezza. Lui è davvero una belva quando vuole. Sa essere autoritario e le sue reazioni non sono mai prevedibili o scontate.
Mi fa attendere di proposito. Ogni secondo scandisce un frenetico palpito del mio cuore. Ho lo stomaco in subbuglio e la pelle d'oca, eppure non oso muovermi.
«Non lo sai? Che strano, di solito riesci a leggermi perfettamente dentro», si stacca dal muro per guardare dalla finestra.
«Sapere che cosa? Pensavo che fossi a divertirti da qualche parte con i tuoi amici».
Passa la lingua sui denti. «Lo ero», la sua voce si riduce a un sussurro e appena volta lo sguardo il mio cuore schizza sullo sterno.
Conosco quell'espressione. «Mi stai facendo preoccupare. È successo qualcosa?», continuo a recitare la mia parte. «Mamma e papà stanno bene? I nonni?»
«Perché non me lo dici tu», ficca le mani dentro le tasche fermandosi al centro della stanza.
Mi sollevo dal letto. «Non mi piacciono i giochetti e lo sai bene. Va' al dunque».
L'angolo del labbro gli si solleva. «Ho ricevuto un paio di chiamate dai nostri genitori, confesso che in parte sono qui per loro. Ma ho anche ricevuto un'importante messaggio da parte del mio amico».
Non ho il tempo di prevedere la sua mossa. Peter si sposta talmente in fretta da spaventarmi. Me lo ritrovo davanti, mi afferra le spalle e stringe forte la presa abbassando il viso all'altezza del mio. I suoi occhi sono pietre fredde, pezzi di ghiaccio scagliati verso il mio cuore.
«Hai definito Declan una sanguisuga. Ti sei tenuta lontana da lui da quando sei tornata. Lo hai rifiutato davanti a tutti», comincia in un sibilo sempre più rissoso. «Hai la minima idea della figura che hai fatto fare alla nostra famiglia agli occhi della sua?»
«Non sono stata io. Alissa gli ha detto quelle cose per mettermi in cattiva luce. E sai perfettamente che a me non è mai interessato Declan. Perché dovrei avvicinarmi a uno che mi ha infilato una droga nel drink quando avevo quattordici anni, eh?», lo affronto, rivelando per la prima volta ad alta voce quello che mi ha fatto chiudere in me stessa quando al contrario stavo solo sbocciando.
Non dovevo solo guardarmi le spalle dalle ragazze che minacciavano con costanza di farmi del male. Avevo anche il terrore che Declan agisse di nuovo facendomi qualcosa di brutto, passandola liscia.
Ho vissuto gran parte della vita come un animale braccato e in pericolo e nessuno si è preso la briga di aiutarmi.
La paura è stata l'unica costante. Il dolore. Un'esistenza passata a combatterlo, fino a cucirmelo sotto la pelle.
Peter molla la presa. «Che cosa cazzo stai farneticando?»
Sorrido mesta. «Già, lo sospettavo. Non te lo ha detto, vero? Non ti ha detto che cosa ha fatto a quella dannata festa? Ma come? Il tuo "migliore amico", non ha avuto le palle di dirti quello che voleva fare alla tua sorellina?», alzo il tono spingendolo. «Fammi un favore, Pet, prima di piombare qui con accuse o pretese del cazzo, accertati che le persone di cui ti circondi, siano davvero leali e sincere nei tuoi confronti. Perché a quanto pare hai solo scambiato per oro gente di merda».
Mi avvicino alla porta e la spalanco. Sto sudando freddo. Odio discutere con mio fratello. Troverà il modo di farmi a pezzi. Ma ho smesso di stare in silenzio. «Adesso se hai finito vorrei dormire. Parleremo con più calma a colazione».
Peter freme. Si avvia alla porta ma la richiude. Lo sguardo rabbioso. «E di Toren Connor che mi dici?»
Mi si secca la gola. «Non c'è niente con lui», la voce mi esce distorta, cerco lo stesso di rimanere impassibile.
Peter assottiglia una palpebra. «Hai scopato con lui?»
«No».
«Ti ha toccata?»
«No».
«Luna, se mi stai mentendo...»
«Cosa? Mi terrai imprigionata qui dentro? Non puoi farlo».
Ghigna. «Invece posso. Una parola alla nonna e i nostri genitori potrebbero perdere tutto a causa tua. Vuoi questo? No, certo che no. Allora da questo momento in poi imparerai a stare al tuo posto. E se scopro che sei stata con Toren Connor, sta' pur certa che non la passerai liscia», apre la porta. «Ti consiglio di chiedere scusa a Declan. In quanto ad Alissa, hai fatto bene ad allontanarti da lei. Si è sempre aggrappata a te usandoti».
«Perché? Così posso restare sola e farti pena come un tempo? Lasciami in pace, Pet. Vattene al diavolo! E per la cronaca: nostra nonna odia i Wells tanto quanto li odio io», lo spingo e gli sbatto la porta in faccia chiudendo a chiave. Mi ci appoggio proprio mentre Peter picchia il pugno contro.
«Fa' come ti ho detto, Luna. E nessuno si farà male. Nemmeno Toren Connor quando lo avrò raggiunto».
Sapevo che prima o poi sarebbe arrivata quell'onda impetuosa. L'impatto fa così male che rischio di frantumarmi.
Tappo la bocca e scivolo lungo la superficie. Avvicino le ginocchia al petto e mi preparo all'inevitabile. Perché so che Peter scoprirà la verità. Lo fa sempre.
Ma non gli permetterò di fare del male a Toren.
Mi guardo intorno. Non posso stare qui dentro. Ho bisogno di riflettere.
Apro la finestra rivolta verso il giardino. C'è una pianta rampicante costruita su una struttura in legno da poter usare come una scala.
Scendo giù rapidamente e corro verso la spiaggia. L'unico posto in cui potrò trovare una soluzione a questo enorme casino.
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