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Capitolo 21

~ Toren ~

Sono da sempre uno stronzo, un manipolatore, a volte anche un bugiardo. Ma sua una cosa non ho mai mentito. Luna Maddox è di una bellezza devastante. La donna più attraente, dolce e caparbia che io abbia mai incontrato.
Non avrei mai immaginato di percepirla così tanto. È un autoscontro nella testa, nella pancia, nel petto. Si sta facendo strada senza rispetto, senza permesso. Non sta elemosinando attenzione. Sta chiedendo il suo posto abbattendo ogni barriera fino a lasciarmi esposto. È un desiderio che sguscia spontaneo nel mio cuore, incapace di ammettere la sconfitta.
Mi sta facendo impazzire.
So quello che provo. Ormai il mio cuore lo ha capito e sta iniziando ad accettarlo.
«Tor?»
Dio, mi piacerebbe farle ripetere il mio nome di continuo, perché non c'è mai stata una melodia più bella per le mie orecchie.
«Sì?»
«Stai continuando a rigirarti nel letto. Tra un po' potrei sentirmi male».
Guardo in direzione della finestra come se potessi trovarci una risposta sensata da darle senza espormi troppo.
È notte fonda, il silenzio e l'oscurità avvolgono l'intera villetta. C'è un tenue odore di lei nell'aria. Rose e quel lieve aroma di zucchero caramellato, che mi piacerebbe inglobare da qualche parte, come un tesoro dal valore inestimabile, un ricordo senza tempo.
«C'è qualcosa che ancora non mi hai detto?»
«No».
La risposta arriva veloce.
Sollevandosi a metà busto imita la mia posizione, appoggiando la schiena contro la testiera del letto.
Ci ho provato a non svegliarla. Evidentemente non sono bravo a nasconderle i miei stati d'animo.
In realtà neanche lei riesce a farlo. Vedo che c'è qualcosa che continua a turbarla.
«Allora perché sei così spaventata?»
«Perché ti sento dentro».
Se fossi in piedi, il terreno sarebbe scosso da un terremoto magnitudo 7 e probabilmente rovinerei sul pavimento sprofondando giù negli inferi, dove sarei accolto volentieri dal diavolo che sta continuando a mettermi alla prova.
Luna è anche questo. Riesce a spiazzarmi. Sa essere timida e allo stesso tempo diretta in un modo che spazza via ogni altra convinzione su di lei.
«Perché quando qualcosa nella mia vita inizia ad andare bene, puntualmente tutto va' a puttane. Sono così abituata da aspettarmi qualsiasi cosa dopo avere persino accennato un sorriso. Sono la regina delle sfigate. Faresti meglio a fare attenzione», prosegue.
Circondo le sue caviglie tirandola giù, facendola sdraiare sulla schiena in modo che possa essere comoda sui cuscini, e la sovrasto con il mio corpo schiacciandola contro il materasso.
«Devi tenerti lontana da me», dico con voce roca chinandomi su di lei. Un ringhio quasi cavernoso il mio. Un avvertimento che lei coglie ma non ne sembra sorpresa o spaventata.
«È questo il punto, Tor. Io sono disposta a rischiare. Tu invece?»
Il mio tentativo di trovare una risposta sensata fallisce miseramente. Sono confuso, troppe sono le emozioni con cui mi ritrovo a combattere. Mi si dibattono nello stomaco come falene testarde e inferocite. Frustrazione, rabbia, così tanta eccitazione da sentire il cuore a mille, sul bordo sottile del collasso.
«Non posso darti nessuna certezza», dico alla fine la cosa più ovvia e vera di me. Affondo le dita tra i capelli tirandoli indietro. «So solo che se sparissi, ti verrei a cercare. Impazzirei al pensiero di perderti proprio adesso». Mi abbasso, annuso la sua pelle, bacio la porzione sotto l'orecchio facendola agitare.
«Davvero?»
Sollevo l'angolo della bocca. «Non lo senti?»
Socchiude le palpebre. I denti afferrano e tengono in una stretta il labbro inferiore. Potrei protendermi, baciarla, porre fine a questo incendio indomabile che mi logora l'anima.
Contro ogni enorme sforzo di volontà, cedo, le bacio il collo. Uso la pressione delle labbra accompagnando il tutto con leccate e lievi morsi.
Le sue dita strizzano i miei avambracci. «Stai marcando di nuovo il territorio?», solleva le ginocchia intrappolandomi.
Con un gesto avido, calcolato e rude, accarezzo le sue cosce, raggiungo la vita, infilo le mani sotto la stoffa. Con le dita le accarezzo la pelle fino al bordo delle mutandine, un movimento continuo, avanti e indietro.
Luna attende una risposta e io lo faccio con i gesti. Uno strattone e le tiro giù le mutandine, le faccio scivolare lungo la sua pelle delicata e le infilo nella tasca posteriore dei miei pantaloni.
«Cosa stai facendo?», ansima, affonda le dita nella mia cute.
«A cosa stai fantasticando, piccola perversa?»
Lecco a lungo la sua gola. Il mio membro è così duro e pronto da fare male, struscia contro di lei.
Le tiro giù anche il resto della parte superiore del fazzoletto che porta addosso. Le spalline sottili per poco non si strappano. I seni sodi, rotondi, sobbalzano e la pelle d'oca le ricopre tutto il corpo.
Quando l'ho vista è riuscita a disarmarmi. Sono rimasto con poca aria in corpo e pochissime parole per descriverne la bellezza. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, a fingere che non mi importasse.
I miei amici avrebbero commentato ogni mia espressione e reazione se gliene avessi dato modo. Ma ho impedito loro di parlare.
Per fortuna sono riusciti a rispettare la mia volontà. Anche se conoscendoli, non appena ci troveremo tutti e tre faccia a faccia, so che vorranno i dettagli. Rio e JonD sanno essere come delle pettegole annoiate.
«Stai giocando sporco», fatica a parlare. Le sue dita raggiungono la mia t-shirt. Dapprima vi si aggrappa increspandone il tessuto, poi le mani affondano al di sotto, toccano i miei addominali in maniera diretta, senza barriere, e quando nota che sto aumentando la pressione con la bocca sulla sua clavicola, me la sfila dalla testa in un gesto rapido.
Rimango a guardarla, con un sorriso da ebete a farsi strada sul mio viso. «Vuoi negare che muori dalla voglia di continuare a toccarmi come hai appena fatto?»
Sporge la mano e le afferro il polso. Con il pollice le creo minuscoli disegni invisibili sul dorso. «Chissà perché ho il sospetto che se ti lasciassi fare...», mi abbasso all'altezza della sua bocca. «Se ti lasciassi fare le tue mani si precipiterebbero tra le mie gambe e non di certo solo per slacciarmi i pantaloni», le lecco l'angolo della bocca facendola fremere. Strofino poi la guancia sulla sua per vedergliela maggiormente arrossata.
«Sei solo abituato ad avere quello che desideri. Mi sembrava equo spogliarti dopo che mi hai sottratto le mutandine e fatto quasi a pezzi il tubino», ribatte.
Le stringo entrambe le mani portandole sulla sua testa. Una posa che mi fa quasi mandare in frantumi tutto il buon senso.
«Uhm...», tempesto di baci il suo petto. Mi approprio di un capezzolo e lo succhio, poco prima di soffiarci sopra e poi leccarlo.
Luna muove i fianchi. «Confermo!»
Sorrido. «Cosa?»
«Pensi in maniera scontata che cederò e perderò per te ogni inibizione». Il suo sguardo infuocato mi trapassa.
Scendo ancora di più superando il tessuto intrecciato sulla sua pancia. «Lo farai».
«Ti sbagli».
«Sfidami!»
«Sono seria. Non ti sto provocando». Il sorriso nascosto e il fremito nella voce suggeriscono il contrario. Le bacio il ventre e scendo tra le sue cosce. «E io non sto per scoparmi questa bellissima...», non termino la frase.
Che diavolo mi sta succedendo?
Ho l'acquolina in bocca. Non riesco più a resistere. Libero le sue mani e con impeto le sollevo il sedere. Il suo corpo entra subito in tensione.
Mordo le pieghe della sua rosea intimità, la penetro con la lingua senza la minima delicatezza e le sue gambe stringono le mie tempie mentre gli occhi dapprima le si spalancano dalla sorpresa, poi si rovesciano insieme alla testa.
È evidente che nessuno sia mai stato tanto diretto con lei. Nessuno l'ha mai toccata in questo modo.
Invece di fermarmi, inarca la schiena, affonda una mano tra i miei capelli e l'altra sul lenzuolo. Morde forte il labbro, ma lascia uscire gemiti che arrivano dritti sulla punta del mio membro.
È come se a ogni suo verso avessi il bisogno di assaggiarne l'intensità.
Lingua, denti, respiro, si confondono mentre proseguo con molta più insistenza.
«Tor!»
«Continua, piccola. Pronuncia il mio nome come se fossi Dio».
Preme i fianchi per avvicinarsi, assalita dal piacere che continua a montarle dentro.
«Tor, non posso... resistere», ammette ansimando eccitata, sempre più fradicia. Ha il viso accaldato, i capelli in disordine ed è una tentazione irrinunciabile.
«Non ancora», ringhio continuando a darle piacere. Faccio scorrere il dito su e giù e poi ripeto ancora il movimento verso l'alto. Muovo l'indice in cerchio, lo infilo insieme alla mia bocca e lei emette un breve urlo.
Mi scappa un verso gutturale in risposta. Sollevo la testa. «Stai bene?»
Il petto le sobbalza. Porta la mano sul cuore, scosta i capelli dalla fronte umida. «Sì», soffia. «Scusa, mi hai colta alla sprovvista».
«Hai un sapore fantastico. Non ho saputo resistere», mi giustifico.
Le mie dita tornano all'attacco e lei rilassa i muscoli inclinando la testa. «Continua».
«Cosa?»
Affonda le dita sulla mia nuca e le sorrido eccitato dall'impeto.
Mi piace il fatto che voglia provare qualcosa di diverso e non si sia tirata indietro non appena ho iniziato ad assaggiare il suo corpo.
«Devi dirmi cosa vuoi». Torno su di lei, mi spingo verso il suo orecchio strusciandole l'erezione tra le pieghe fradice e gonfie. «Vuoi che ti scopi con la bocca finché non ricorderai niente della serata?»
«Solo se posso fare qualcosa anch'io. Per favore, voglio appagarti».
Non riesco a smettere di sorridere. La mia mano scivola giù. «Prima togliamo tutto. Così possiamo passare alle contrattazioni».
L'aiuto a spogliarsi e mi posiziono di nuovo tra le sue gambe. «Hai una pelle perfetta», lascio una scia di baci lungo la spalla, mentre con la mano destra raggiungo le sue gambe aperte e infilando un dito tra le pieghe la stuzzico seguendo il ritmo del suo respiro sempre più corto, dei suoi gemiti sempre più frequenti e trattenuti, e di quei brividi che le attraversano ogni centimetro di pelle.
«Vieni per me, Miele», dico in tono mellifluo mordendole il lobo dell'orecchio, penetrando la sua parte più intima con maggiore forza.
Luna non attende molto. Si lascia andare affondando le dita sulle mie spalle. Lascia minuscole mezze lune e un dolore così piacevole da aumentare l'affanno e l'eccitazione.
L'orgasmo si impossessa di ogni fibra del suo corpo, scuotendola in lente, intense ondate.
Oh cazzo!
Non avevo immaginato che una simile immagine potesse provocarmi una reazione tanto potente dentro. Tutto ciò è maledettamente eccitante, folle. Mi distrae.
Quando penso che sia troppo debole e squassata dall'orgasmo, mi strattona per la cinta dei pantaloni. Li sbottona in un gesto sicuro, senza tremolio, spingendomi. Si posiziona su di me e abbassandosi bacia il mio petto fino alla V. Giunta in quel punto particolarmente sensibile, solleva gli occhi.
Sono lucidi, carichi di lussuria.
«Cazzo!», esclamo ad alta voce.
Torna piano su. «Posso?»
«Niente bocca, voglio sentire solo le tue mani. Fantastico su di loro da parecchio».
Le afferro il viso, le infilo in bocca il pollice. Lei lo succhia, poi me lo mordicchia facendo sorridere entrambi.
Sprofondo tra i cuscini mentre sento le sue dita tirare fuori il mio membro dai boxer, studiarlo un po' tra le dita, infine darmi piacere.
Dovrei fermarla ma l'unica cosa che fermerei sarebbe il tempo per riuscire a cogliere ogni singolo frammento di lei, del suo corpo, di me, di ogni mia sensazione. Di noi.
È come se stessimo scaricando entrambi lo stress della giornata in un posto tutto nostro.
Chiudo gli occhi, perdo ogni controllo mentre Luna mi trascina nel suo universo.
Comincia a muovere la mano su e giù dopo i preliminari simili a fuoco per le mie palle.
Arriva improvviso e squassante il piacere.

***

Come faccio a dormire a stretto contatto con la mia fonte di attrazione dopo essere venuto come non avevo mai fatto nei rapporti precedenti?
L'ho coperta con il lenzuolo subito dopo essersi addormentata.
È come una droga averla vicina. Limita ogni stanchezza, manda in visibilio il cuore. Luna è la mia personale scarica di adrenalina.
«Con i tuoi pensieri rumorosi riesci a disturbarmi il sonno», solleva la testa. «Che succede?», sbadiglia.
Deve avere colto la mia serietà perché si fa vicina.
Le bacio una tempia. Mi si strofina addosso neanche fosse un gatto.
«Adoro quando lo fai».
Una risata scuote il mio corpo. «Hai pretese così semplici...»
«Allora, non vuoi dirmi che c'è? Non dirmi che russo perché non penso sia vero o la ragione del tuo umore».
Le mollo una pacca sul sedere. «Certo che russi. Ma sarebbe poco educato fartelo sapere».
«L'hai appena fatto. Parlami».
«Non è niente, Miele. Tu piuttosto...»
«Stavo pensando».
«A cosa?»
«Siamo bravi a nascondere quello che proviamo dietro una maschera di indifferenza. Mentre io sembro un robot tu ti fai manovrare dalle emozioni negative».
La sua mano accarezza la spalla spostandosi sul petto, gioca con i tatuaggi. «Ho sempre odiato tutto questo», sospira. «La mia non è solo paura».
Le mie dita scivolano lungo la sua spina dorsale regalandole una sequenza di brividi. Piccole scosse che fanno diventare i suoi capezzoli turgidi, ben visibili anche sotto la stoffa.
«Cosa vuoi?», domando intercettando i suoi pensieri.
La punta rosea della lingua guizza inumidendole il labbro inferiore. «Non voglio sentirmi poco, non abbastanza per qualcuno. Non voglio essere usata o messa da parte».
«Che altro?»
«Io non voglio voltare pagina e fingere di essere pronta a leggere un nuovo capitolo. Non se tu non ci sei su quelle prime righe. Quando mi dici di scappare, mi piacerebbe tanto farlo. Solo per capire se saresti disposto a perdermi a causa del tuo orgoglio», butta fuori d'un fiato. «Ci sono attimi in cui mi piacerebbe prenderti a schiaffi, scuoterti fino a farti ritrovare la ragione. Ma è solo un breve istante in cui tu mandi in tilt quella connessione che c'è. Esiste, Tor. E non puoi disfarti ti me come se fossi soltanto un filo insignificante da strappare».
I battiti, li sento nelle orecchie. Un trambusto destabilizzante quanto lo sono i suoi occhi accesi di speranza e tristezza.
«Che cosa vuoi davvero?»
«Non necessariamente devi trattarmi come la tua ragazza o un'amica. Capisco che potrebbe essere difficile. Mi accontenterò di te in qualsiasi modo».
«Non ho ancora capito cosa vuoi chiedermi».
Si avvicina. «Voglio essere la tua amante».
Sbalordito, sbatto le palpebre una manciata di volte. Devo avere l'espressione di uno che ha appena ricevuto una ginocchiata nelle palle perché Luna mi sfiora dapprima la fronte poi la guancia sulla quale spunta sempre quel maledetto solco.
«So che sembra assurdo, ma lo voglio».
Tolgo la sua mano dalla mia pelle. Mi sento improvvisamente a disagio, a dir poco, e in più è la prima volta che mi succede. Non posso starle così vicino. «Devo portare Floppy a fare due passi».
«Vengo anch'io», replica decisa a tormentarmi.
«Non, nuda», deglutisco a fatica.
Si guarda, il lenzuolo aggrovigliato. «Metterò qualcosa di tuo», stabilisce in fretta.
Infila il vestitino accartocciato sul pavimento. Ignora il fatto che sia io ad avere le sue mutandine. Si avvicina al guardaroba e prende la giacca di una tuta chiudendo la zip fino alla gola e arrotolando le maniche.
«Andiamo?»

***

Rifletto. Mi torturo.
Sono un bastardo. Reclamo quello che penso sia mio, ci gioco senza regole, faccio in modo che diventi ossessione, mi spingo oltre e, dopo un po' di tempo, perdo interesse. Sono fatto così. Arriva sempre il momento in cui faccio un passo indietro e mi allontano senza più pensarci. Distruggo ogni cosa perché nella vita niente è mai rimasto, se non un pugno di rabbia e dolore.
Guardandola di nascosto però, sento che è sbagliato. Non posso più fingere. Non posso trascinarla fino al punto di rottura. Non voglio vederla in mille pezzi.
Gioca. Con la punta della scarpa sposta un sassolino creando sul terreno la forma dell'infinito.
«Sei agitata?»
«Si nota?»
Appoggiato a un albero osservo Floppy scorrazzare sul terreno vicino, scavare una buca e poi passare altrove. «Sei così per la conversazione di prima?»
Si stringe sotto la mia giacca. Le sta enorme addosso. Ma riuscirebbe a portare con disinvoltura qualsiasi indumento.
C'è una lieve brezza fredda di notte. Odore di alberi, terra e erba tagliata. L'incessante frinire delle cicale è una costante.
«Quale discorso?»
«Di noi...»
«Perché ci stai pensando proprio adesso? Hai intenzione di uccidermi e seppellirmi usando Floppy per scavare una buca in tempi record? Così nessuno saprà mai che ogni tanto anche tu ti lasci andare? O è perché vuoi accettarmi come tua amante e qualcosa ti frena?»
Mi avvicino e non si ritrae. Le circondo la vita con le braccia e la trascino dove ero prima, ma questa volta è lei ad avere la schiena premuta contro la corteccia.
«È tutto chiarito, Terminator. Volevo solo fartelo sapere».
«No», ribatto.
«No, cosa?»
«Potrei essere io il problema, Miele. Non ti voglio come mia amante».
«Dovremmo tornare dentro», delusa, in parte ferita, prova a scappare e glielo impedisco.
Stringo due dita sul suo mento girandole il viso per farmi guardare. «Dimmi a cosa stai pensando».
Le si aggrotta la fronte. «Anche se sei uno stronzo e continui a sbattermi in faccia che di me non ti frega niente e l'attimo dopo mi salti addosso, rendendo vane le tue parole, non cambio opinione o la mia decisione. Io ci sto provando e se non c'è almeno una minuscola parte di te che lo vuole, lasciami andare e chiudiamo per sempre».
Le sue parole scottano. Sono tizzoni ardenti sulla pelle. Graffi su cicatrici ancora non del tutto rimarginate. Massaggio la tempia. «Vuoi proprio sentirtelo dire?»
Inspira e incrocia le braccia al petto. «Sarebbe un buon punto di partenza se fossi sincero una volta tanto».
La guardo storto. «Lo sono sempre con te». Anche se ci sono cose che ancora non posso dire, suggerisce la vocina dentro la mia testa, che puntualmente mi ricorda il piano, e di essere il cattivo della storia che non avrà un lieto fine; solo lacrime e distruzione.
«Davvero?»
Mi piace vederla abbattuta, arrabbiata e talmente sconvolta da ansimare a ogni parola mentre negli occhi le brilla un fuoco incauto, capace di scoppiare nel più brutale degli incendi. È esattamente quello che mi fa sentire lei e nutro un certo piacere nel non consolarla. Voglio che bruci.
«Sai qual è il tuo problema? Sei solo un codardo!», butta fuori. «Cerchi con costanza di scansare qualsiasi tipo di emozione. Ma prima o poi ti raggiungono comunque. Sei un codardo. Non sai ammettere le tue debolezze e provi a coprirle con i tuoi atteggiamenti contrastanti».
Sbuffo, le do un momento le spalle poi torno alla carica.
«Ho il terrore, va bene?»
«Perché?»
«Non è mai facile lanciarsi e poi rendersi conto di non avere un paracadute quando tutto precipita».
Piega lievemente la testa di lato. Quegli occhi sprigionano una tenerezza deleteria. «Pensi che me ne andrò? Che sia tanto subdola da farti una cosa del genere dopo averti detto che...»
Non ho le mie dannate sigarette dietro, pertanto cammino come un leone in gabbia davanti a lei. «Prima o poi vedrai chi sono e scapperai. Forse mi odierai. Sono certo che non proverai mai niente di diverso oltre all'odio».
Lo farai quando saprai perché ho litigato con tuo fratello. Lo farai quando saprai che ti sto solo usando per metterti contro la tua famiglia. Lo farai quando ti accorgerai di essere stata ingenua a fidarti di uno senza scrupoli.
Rimaniamo in silenzio. Floppy ci saltella intorno poi si concentra su un cespuglio.
«Io non capisco... che cosa vuoi?», esala frustrata. «Ti ho semplificato il tutto perché so che potrebbe essere un problema per entrambi farci vedere insieme. Io...»
Tutto a un tratto, in un gesto repentino, capace di provocarle un sussulto, mi ritrovo vicino, troppo vicino. A pochi respiri di distanza dal suo viso, dal suo corpo. E lei è ormai fottutamente vicina al mio cuore.
Sono andato, strappato dalla morte e riportato in vita. Stuzzicato dal suo sguardo carico di incertezza e attesa.
Luna Maddox non è una comune cotta. Se non sto più attento, rischio di ridurmi in tanti minuscoli granelli pronti ad essere spazzati via dalla brezza.
Tutto ciò è un maledetto disastro dal quale non riesco a fuggire.
Spingo il suo corpo contro l'albero, le divarico le cosce e mi avvento sulla sua pelle privo di delicatezza.
«Non voglio che tu sia solo un'amante, Miele», ripeto affannato il discorso che da un paio di minuti continuo a elaborare nella mia testa.
«Allora dimmi cosa vuoi che sia e lo sarò».
Scuoto la testa. «Dannata e ostinata», ringhio. «Continuerai a provarci anche se sarò la tua disfatta, vero?»
«Se questo mi dimostrerà che stai solo mentendo a te stesso allora sì, andrò in contro al mio destino». Prova a sbottonarmi i jeans, fermo le sue mani e allora si aggrappa alle mie spalle.
«No. Non ti scoperò contro un albero o tra poco nel mio letto con il solo intento di sfogarmi», sibilo sulla sua pelle.
Ci provo a non muovermi, ma quando la sua mano porta la mia alla base della sua vita, capisco e facendomi strada tra le sue cosce la penetro con le dita.
«Dimmelo, Tor», mi implora.
«Ti voglio e stai correndo un grosso rischio».
Tira indietro la testa. Schiude la bocca e mi lascia fare. Vuole che le lasci un segno. «Sappi che non sarò delicato. Non mi tratterrò e non ti chiederò mai scusa se una spinta ti ha fatto urlare il nome di Dio», l'avverto sfiorandole il clitoride con insistenza. «Ti chiederò solo una volta il permesso. Quando voglio una cosa, non scendo a patti, divento un bastardo egoista».
Affonda le dita sulle mie spalle. Allarga le cosce. «Lo voglio», ansima.
Il sangue mi si accumula sulla punta dell'uccello. «E userò qualsiasi entrata portandoti in molti modi all'orgasmo».
Stringe le cosce sulla mia vita, sul punto di cedere. «Sì».
«Sì?»
«Sì», ripete senza voce.
«Stai facendo un patto con il diavolo, Miele. Rifletti bene», tento con disperazione di dissuaderla.
Abbassa il viso. La mia bocca la tenta, deglutisce ormai in preda agli spasmi. «Niente clausole?»
Sorrido mordendole il mento. Spingo in dentro le dita e lei trattiene un urlo affondando il viso sulla mia spalla. «Nessuna, a meno che non sia tu a volerne una».
Premo la fronte sulla sua godendomi il suo orgasmo sulle mie dita. Assaggio ogni suo gemito e mi inebrio del suo profumo, più che posso.
Una luce in lontananza si accende e Floppy ringhia una sola volta poco prima di abbaiare ed emettere uno sbuffo per essersi spaventato.
Io e Luna guardiamo in direzione. Sulla soglia sta uscendo il signor Jenkins in vestaglia da notte. Aggiusta gli occhiali e controlla intorno.
Luna riporta le gambe giù cercando di mettersi in ordine. Sta ancora ansimando quando la prendo per mano e la porto dove il mio vicino non può vederci.
«Che cosa fa?»
«Soffre di insonnia e allora si siede sul portico pronto a sparare a qualche animale».
Rabbrividisce.
«Tranquilla. Non tiene proiettili veri in quel vecchio fucile. Solo vernice colorata».
«Tor?»
La sua bocca preme sulla mia guancia, cogliendomi alla sprovvista . «Se mi raggiungi di sopra possiamo continuare e magari posso scaldarti e ricambiare», mi invita. «Ho notato che sei un po' teso».
«Sfacciata. Pensavo invece di bere una tisana», la provoco.
«Ci sto», accetta guardandomi da sotto le ciglia, poi entra in casa con un sorriso carico di promesse.
Sollevo il viso accaldato, inspiro l'aria fresca e sorrido anch'io.
In fondo è bello peccare in due.

🔥🔥🔥♥️

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