Capitolo 18
~ Luna ~
Varco la soglia senza guardare dove metto i piedi, assorta nella miriade di pensieri che mi assalgono e fanno sentire al centro di una tempesta dove alla minima oscillazione, a causa delle onde, rischio di essere sommersa.
«Bene bene, una cena dai nonni o una notte di fuoco con il nemico? Non saprei scegliere cosa sia peggio dato che la prima era una bugia e la seconda un segreto che se svelato potrebbe avere l'impatto di una detonazione».
Il tono acido, carico di rimprovero e giudizio di Alissa, giunge da dietro il cancello. Attende che sia entrata a braccia conserte, l'espressione contrita, di chi sta per arrabbiarsi e colpire.
Non la biasimo. Le ho mentito per stare insieme a Tor. Ma di certo lei non è innocente come lascia credere a chiunque.
A Berkeley ha sperimentato di tutto, dalle corse clandestine lungo l'autostrada nel cuore della notte, all'uso di sostanze; adesso parla persino con le ragazze che per anni ci hanno escluse, derise, fatte a pezzi. Quindi perché far passare me per quella che l'ha tradita?
Stavolta non mi sentirò in colpa per essermi costruita da sola un ricordo positivo di questa estate che è partita con il piede sbagliato.
Raddrizzo le spalle. «Se sei qui per farmi la morale, risparmiatela. Ti sei divertita a cena con Declan? Non vedevi proprio l'ora di andarci. Trovato e inserito nella tua lista qualcuno da... com'è che hai detto, ah, poco intelligente da accalappiare?»
Le sue guance si tingono di cremisi, raggiungendo la sfumatura dei suoi capelli, tenuti legati ai lati da due enormi fermagli con le perle.
Assottiglia gli occhi castani, le ciglia piene di mascara sfiorano le occhiaie e mi lascia passare, seguendomi al piano di sopra, nella mia camera, lasciando una scia di profumo alla fresia.
«Punto primo, non sono stata con Declan. È rimasto deluso quando non sei arrivata e mi ha evitata per gran parte del tempo. Un po' come ha sempre fatto. Punto secondo, hai inventato una scusa e ti ho appena vista scendere dall'auto di Toren Connor», ringhia mostrando i denti.
Il suo sguardo è ostile. «Sai che tuo fratello darà di matto quando saprà che te la spassi con l'ex amico? Quello che l'ha pestato di brutto e poi è tornato a casa come se niente fosse, mentre lui è rimasto non per una, ma ben due settimane in ospedale?»
Il suo tono isterico inizia a darmi sui nervi. Non ha nessun diritto di trattarmi in questo modo. Non è la sua vita ma la mia.
«E chi glielo dirà? Lo farai tu? Mio fratello non è un santo. È stato il primo a colpire, ma nessuno gli ha mai dato parte della colpa. E le due settimane gli sono servite perché è un egocentrico e gli facevano comodo per non farsi vedere e pestare un'altra volta».
Mi fissa incredula. «Luna, hai mentito! E devi prepararti, perché qualcuno potrebbe spargere la voce. Specie se non hai fatto attenzione. Insomma, ti ha lasciata qui davanti senza la benché minima preoccupazione. Potrebbe anche averlo fatto di proposito. Non mi stupirebbe se ti stesse solo usando. In fondo non ti ha mai voluta».
Le ultime parole sono come spilli nel petto. Le mie guance prendono fuoco. «Parli proprio tu? Hai preferito le cheerleader alla tua amica. Non vedo differenza», frugo con rabbia nei cassetti, in cerca di qualcosa di comodo da mettere.
Ho bisogno di farmi una doccia e togliermi di dosso l'odore e dalla testa l'immagine di Tor su di me, i suoi occhi famelici mentre se ne stava appoggiato alla staccionata del soppalco e poi le sue dita ad accarezzarmi la pelle come se gli appartenessi.
Soprattutto voglio spazzare via l'ultima conversazione e quel dannatissimo sguardo in cui c'era una furia spiazzante dentro di lui.
Una parte di me sa che le cose non saranno mai semplici. Quando si tratta di noi, ogni cosa si complica, si allontana dal normale.
Il nostro non è un rapporto sano. È un qualcosa di nocivo che sta affondando le sue radici.
«Ti rendi conto che stai nascondendo le cose alla tua migliore amica?», replica offesa, sedendosi sul bordo del letto. «Non mi racconti più niente».
«Forse perché te ne stai sempre a parlare e non ascolti? O magari perché poi spifferi tutto ai quattro venti?», la offendo intenzionalmente.
«Ali, stai dando di matto quando al contrario hai avuto quello che desideravi da anni. Solo che io non ero lì a reggerti la corona», scelgo le mutandine e mi indirizzo in bagno a passo di marcia. A metà strada mi volto tenendo la mano sullo stipite. «È questo che ti ha dato fastidio? Ci sono stata per te in qualsiasi momento. Ma non puoi chiedermi di assistere proprio a questo e sai bene la ragione. Ho la sensazione che a volte è come se non t'importasse. Tu vivi lo stesso nel tuo mondo e al diavolo tutto il resto».
Alissa stringe in grembo un cuscino, dapprima esita poi nega sbuffando. «Ti aspetto qui, ribelle», le sue spalle da tese si abbassano lievemente. «Ho alcune cose da raccontarti».
«Eh?», attendo.
«E mi farò perdonare».
Entro in bagno, provo a rilassarmi dentro la doccia, ma ogni mio tentativo sembra risultare inutile.
È difficile domare questo inferno che ho nel petto. Una piccola parte di me si rifiuta di cedere. Mentre l'altra è pronta a scottarsi, a riscaldarsi tra le fiamme.
Sono pronta ad accettare quello che lui ha da offrire, che sia tutto o magari solo cenere.
«Maledizione».
L'ho lasciato entrare. Mi sono distratta e si è intrufolato da una minuscola e insignificante fessura. Ha trovato asilo nel mio cuore senza il mio permesso.
So che non mi provocherà una semplice ferita. Lui mi farà a pezzi. E niente tornerà come prima. A quando lui non era altro che un muro invalicabile e indistruttibile da mandare giù. Ma non posso più scappare.
***
Uscita dal box rettangolare dal vetro satinato, sto applicando il contorno occhi e una crema sul viso quando Alissa entra e si sposta verso il water a fare pipì.
Osservo il suo riflesso attraverso lo specchio. Non ha più l'espressione battagliera di prima e la cosa mi insospettisce. Ha anche detto che si farà perdonare. Non è da lei ammettere i propri errori o chiedere apertamente scusa.
«Ho reagito male perché potevi dirmi dove avevi intenzione di andare. Ti avrei coperto le spalle. Ho detto a Declan che eri con i tuoi nonni, cazzo. Sai quanto ci metterà a dirlo a tuo fratello e quest'ultimo a fare due più due?»
Dubito che lo avrebbe fatto. Piuttosto si sarebbe fatta strappare tutte le sopracciglia anziché coprirmi le spalle per lasciarmi incontrare con Tor.
Non ho riflettuto abbastanza. In cuor mio mi auguro che Declan abbia rimosso la cosa.
Chiudo il flacone passando il balsamo sulle labbra. «Vedi, è questo il tuo problema. Se ero con Declan, non avresti nemmeno commentato. Tor non è come viene descritto».
«Non dire così. Tor non cambierà mai. Cerco solo di aprirti gli occhi, Luna. Le cheerleader ad esempio, le ragazze da cui ti tieni alla larga, è vero, sono una sorta di setta dove ognuna di loro ha dei problemi ben evidenti. Ma sono un fronte talmente unito e una fonte di pettegolezzi, da avermi fatto sentire in uno di quei film dove il terrore alla fine aiuta a crescere e a far correre più veloci i protagonisti».
Infilo un prendisole bianco, cogliendo al volo il messaggio velato. «Quindi ti hanno fatto una bella impressione? Ti sei sentita a casa con loro?»
«Sono brave ragazze, Luna», mi rimbecca alzando gli occhi al cielo esasperata. «E come noi hanno dovuto affrontare molti ostacoli».
Sta cercando di farmi sentire in colpa. Lo sapevo che il suo finto pentimento sarebbe durato pochi minuti.
«Un'unghia rotta non è un ostacolo, Ali. Essere picchiata nello spogliatoio mentre tutti fingono di non sentire o vedere lo è», ribatto alzando il tono.
Arrossisce parecchio guardandomi di traverso.
Tutte le volte che sono caduta, c'ero io ad aspettare che il dolore se ne andasse per potermi rialzare.
Sola.
Rotta dentro.
Incompleta.
Piena di lividi.
Ma forte.
C'ero solo io.
Tutte le volte in cui ho avuto bisogno di lei, non c'era.
Adesso mi chiedo se i suoi arrivi improvvisi quando ogni cosa era ormai un brutto ricordo non fossero programmati.
La guardo di sottecchi, il cuore mi sprofonda nel petto. È possibile che si sia finta mia amica per tutto questo tempo? Perché farlo?
«È una discussione inutile», ribatte, intuendo di non potermi portare dalla sua parte.
Con la promessa che si farà perdonare, inizia a raccontarmi tutto quello che è successo nel corso della serata. Non risparmia nessun dettaglio. Io ascolto e ascolto, ma è come se avessi la mente altrove. So dove l'ho persa, ma ho paura di ammetterlo.
***
Dodici ore più tardi, mi lascio convincere da Alissa a uscire. Con addosso un tubino nero sopra il ginocchio e una scollatura abbastanza vistosa sul davanti e il dietro, mi ritrovo al Bowling.
La cosa difficile da accettare però non è il posto, la cacofonia della gente intenta a scaricare ogni frustrazione della giornata, semplicemente giocando o passando un paio di ore con gli amici al bar.
No.
Il mio problema principale è Declan Wells.
Sospetto che Alissa abbia fatto in modo che accettassi la sua proposta per la serata, dicendomi che ci sarebbe stata solo una stupida festa dopo l'orario di chiusura e che avremmo passato del tempo insieme per mettere da parte i malintesi. Ma ha omesso, di proposito, la presenza del braccio destro di mio fratello.
Sono caduta nella sua trappola e mi sto sentendo tradita, oltre che una stupida ingenua.
Continuo a controllare le uscite di emergenza e per non andare nel panico pianifico la mia fuga ormai da diversi minuti; anche se ho bisogno che si distraggano per poterci riuscire.
Non saprei come descrivere Declan, se non con una sola parola: viscido.
In seguito al litigio epocale tra Tor e Peter, la conseguente partenza di mio fratello. Vivendo e lavorando qui a Santa Cruz, Declan Wells, ha assunto il ruolo di guardia del corpo o qualcosa di simile a una sanguisuga.
Ho tentato più e più volte di allontanarmi da lui. Ma trova sempre il modo di starmi addosso.
Me ne sto seduta su uno dei divani colorati, un frappé in mano, la cannuccia tra le labbra. Fisso il tabellone con il mio punteggio.
Sarà pure una pessima serata, ma li sto battendo tutti.
Il rumore del risucchio che emetto con la bibita attira l'attenzione della mia amica, impegnata a civettare con un ex quarterback dalle spalle ampie e la vita sottile di nome Greg.
La sua famiglia, a quanto pare, possiede dei vigneti. Ma ad Alissa non è di certo il vino a interessare.
Staccandosi un momento da lui mi si avvicina sculettando. «Vedo che non ti stai annoiando. Ci stai stracciando tutti. Non ti ho mai lasciata da sola e non ti sei mai allenata. Vuoi spiegarmi come fai?»
So che sta solo cercando di intavolare una conversazione, ma ancora una volta ha agito alle mie spalle e non posso perdonarglielo.
Declan giunge con una vaschetta di cartone piena di patatine fritte fumanti, prima che possa rispondere. «Non avevano le classiche, così ho preso queste al bacon».
Alissa ne prende subito una. «Sono buone lo stesso, grazie», sbatte le ciglia con un sorriso.
Li osservo con sospetto.
Declan non è mai stato così gentile con lei. I due si sono avvicinati alla festa, hanno chiarito e hanno confabulato?
«Tu non le mangi? Vuoi qualcos'altro?»
Mi alzo come una molla. Per fortuna è di nuovo il mio turno. Non tolleravo più il suo sguardo lascivo addosso e quel profumo pesante di colonia al talco misto a dopobarba.
«Tra poco. Quando avrò segnato un altro strike», sorrido mettendomi in posizione dopo avere scelto la mia palla da bowling fortunata.
La musica si è fatta via via più intensa e la folla si accalca divertita in pista dall'altro lato della sala.
«Figli di puttana! Che ci fanno qui? Chi li ha invitati?»
Declan impreca a denti stretti. Seguo subito la direzione del suo sguardo contrariato e disgustato, trovando a poca distanza Tor e i suoi amici.
Mi volto lentamente quando Alissa intona il mio nome per invogliarmi a giocare e a non starmene impalata. Ed è lì. È in piedi. Aspetta. Non si muove. I suoi occhi freddi come nebbia mi trovano, mi scivolano addosso. Ed è proprio vero, ci sono sguardi che superano la pelle. Diventano un posto caldo in cui ti rannicchi e ti senti meno persa, un po' meno sola. Forse anche amata a dismisura.
Eccitata dal contatto a distanza, nascondendo un sorriso, lancio la palla mandando giù tutti i birilli.
Non posso non controllare e lui è ancora lì.
Sfodera un sorriso capace di imprigionarmi. Di farmi sentire come se fossi senza gravità. Priva di controllo.
Tor è una combinazione pericolosa. È sicurezza e freddezza capace di farmi percepire l'elettricità nell'aria con uno solo dei suoi sguardi.
C'è qualcosa nel suo sorriso. In quell'angolo piegato all'insù, in quella bocca piena, carnosa, dai bordi scolpiti. In quella minuscola cicatrice. Mi ipnotizza, mi fa sfarfallare il cuore.
Il bastardo sa di non avere bisogno di chiedere perché da me potrebbe ottenere qualsiasi cosa.
Soddisfatta per il tiro, con la pelle formicolante per lo scambio di sguardi, batto le mani e vado a sedermi accanto alla mia amica mettendomi comoda.
So che ha appena visto tutto. Mi sporgo verso il suo orecchio: «Provate a fermarmi e vi farò mangiare la polvere».
Colta alla sprovvista per essere stata scoperta, si solleva agitata, aggiusta la gonna del tubino color lilla che ha indossato e fingendo di non essere ancora stata sconfitta, gioca mandando la palla nell'altra corsia.
Ghigno soddisfatta, lei sbuffa sollevando il dito medio ad alcuni ragazzi che le ridacchiano dietro, poi mi raggiunge piazzando i palmi sul tavolo, abbassando la testa all'altezza della mia. «Io so accettare le sconfitte».
«Io no», ammetto con nonchalance. «Ecco perché mi sto impegnando a vincere».
Declan si siede tra di noi e mi irrigidisco quando protende un braccio dietro accarezzandomi la spalla.
«Puoi lasciarci soli un momento?»
Alissa guarda lui poi me, infine si allontana senza protestare.
Mi sento improvvisamente nervosa.
«Ti va se andiamo da qualche parte?»
Provo ad alzarmi e mi trattiene afferrandomi per un polso, tirandomi giù. «Allora?», insiste.
«In realtà voglio restare e giocare ancora un po'», mi divincolo.
«Vuoi stare qui? Con quelli a poca distanza? Scordarlo».
«È una festa, Dec, rilassati!», esclamo, stanca dei suoi atteggiamenti. «Devo ricordarti che non sei mio padre? Smettila di darmi ordini», ringhio allontanandomi.
Vado a prendere due shottini al bar. La pista da ballo mi attira così tanto da abbandonare lo sgabello e infilarmi tra la folla.
Comincio a ballare. È una bella sensazione quella che sto provando, fino a quando non vengo raggiunta da Declan, il quale, in parte furioso per l'affronto di prima, con fare arrogante e possessivo prova a mettermi le mani addosso come se ne avesse il diritto.
Dapprima mi circonda la vita con un braccio schiacciandomi al suo petto. «Perché scappi da me?», mi sussurra all'orecchio facendomi rabbrividire. «Credi che non me ne sia accorto?», biascica. «Alissa mi ha detto che eri con i tuoi nonni. So che non è vero», prosegue sfiorandomi il collo dopo avermi afferrato i capelli dalla nuca con un po' troppa forza.
Strizzo le palpebre preparandomi a colpirlo. «Dec, smettila. Mi stai facendo male».
«Perché non abbiamo ancora ufficializzato?»
«Perché sono io quella a decidere, non i miei e neanche tu!»
«Non sai quanto ti voglio».
Mi divincolo, mi volto e premendo i palmi sul suo petto, lo respingo proprio mentre la sua bocca prova ad abbattersi sulla mia. «Toglimi le mani di dosso», dico irritata e abbastanza forte da fare girare un paio di ragazzi. Insicuri se intervenire.
Declan non demorde e la sua presa si fa più pressante sul mio braccio quando me lo afferra per avvicinarmi a sé.
«Non sei venuta alla festa mentendo alla tua amica e stasera fai la preziosa? Con chi sei stata, eh? Gli altri possono averti quando vogliono e io no? Quando smetterai e accetterai la decisione dei nostri genitori? Tu non sei di nessun altro!», ringhia furente.
Il disgusto si innalza dentro di me. Devo avere la faccia di una che sta per vomitare perché lui all'improvviso indietreggia. Ma solo pochi istanti dopo ne comprendo la ragione. Non sono io il problema. È Tor che si è appena posizionato alle mie spalle.
Riesco a sentire il calore della sua pelle persino da questa distanza.
«C'è qualche problema qui?», domanda tenendo fisso lo sguardo su Declan come se volesse incenerirlo.
Il cuore mi sobbalza dentro la gabbia toracica, rischia di arrivarmi in gola. Sto provando sollievo e dolore allo stesso tempo. «No, nessuno. Gli stavo solo dicendo che non voglio più ballare e stavo andando a prendere da bere al bar».
«Sicura? Perché a me sembra che vuoi divertirti ma questo stronzo ti sta impedendo di farlo. Ti ha anche insultata».
Mi irrigidisco. Non voglio uno scontro tra loro. La rissa con mio fratello è stata terribile. Ne porta ancora addosso i segni.
«Sì», replico incerta.
«Ripeti quello che hai detto», Declan fa un passo avanti.
Tor mi fa spostare con molta cautela, staccando la presa di Declan dal mio braccio, ormai arrossato.
Il suo sguardo rimane indecifrabile, distaccato.
Fa paura.
«Lasciala divertire. Accetta il fatto che non sia interessata a te e smettila di starle addosso!», ringhia. «Impara che un no è un no».
Declan si fa scuro in volto. Gira il viso da parte, notando la folla con il fiato sospeso.
Non mi ero accorta del silenzio. Nemmeno di tutti gli occhi puntati su di noi.
«Se è così perché non me l'ha detto? Non è una questione che ti riguarda, Toren. Ti consiglio di portare il tuo culo da un'altra parte».
«Perché è troppo educata. Io lo sono un po' meno. Adesso allontanati da lei e permettile di divertirsi quanto e come vuole. E la prossima volta che ti sento dire che è una puttana ti taglio la lingua», Tor lo supera sussurrandogli qualcosa all'orecchio.
Il mio cuore rischia di scoppiare quando Declan all'inizio sgrana gli occhi, poi indurisce i lineamenti diventando paonazzo, stringe il pugno in vita, lo fa voltare e prova a colpirlo.
Tor intercetta il pugno e lo spinge via abbastanza forte da farlo cadere con un enorme impatto sul parquet. Lo raggiunge e gli molla una pedata sull'addome talmente forte da togliergli il fiato. «Provaci un'altra volta e ti ritroverai senza le dita di una mano, coglione».
Declan si rialza a stento, ma Tor se ne è già andato dopo avermi sfiorato una guancia e avere sollevato il mio braccio dandogli un'occhiata con disgusto.
Le persone si sparpagliano, riprendono a muoversi come se niente fosse, mentre io sono stordita, in imbarazzo.
«È così?», mi urla Declan mettendo in ordine il colletto della camicia. «Hai puntato gli occhi su di lui?», tossisce strizzando una palpebra dal dolore.
«Non ho puntato gli occhi su nessuno e anche se fosse non sarebbero affari che ti riguardano».
Punta l'indice verso il punto in cui è sparito il ragazzo che mi ha appena salvata. «Tor...»
«Non si è abbassato al tuo livello e si è comportato da gran signore. Cosa che non hai fatto tu mettendomi le mani addosso e dandomi della puttana. Dirò ai miei genitori che non sai trattenere i tuoi istinti. Vediamo se continuerai a starmi addosso, stronzo».
Ancora una volta mi ferma afferrandomi per il braccio. Fa male. Lo spingo con tutta la forza che ho mollandogli una ginocchiata in mezzo alle gambe.
Si lamenta quando lo prendo di striscio. «Non puoi stare con lui».
Prima o poi succede. Ti stanchi. È inevitabile quando hai accumulato talmente tanto da non riuscire più a trascinartelo dentro, a reggere un peso così opprimente nel petto. E allora perdi il controllo di tutto. Urli e butti fuori ogni traccia di dolore e rabbia che hai tenuto nascosta. Perché hai capito che c'è qualcosa che fa più male di un semplice graffio al cuore.
Rido in faccia a Declan. «E chi lo dice? C'è una legge scritta da qualche parte? Non lo decidi tu o chiunque altro con chi posso stare. Fattene una ragione e lasciami in pace».
Mi strattona e allora gli mollo anche uno schiaffo. Abbastanza sonoro da fermare ancora una volta tutti quanti.
Non sono mai stata tanto aggressiva con qualcuno come in questo momento, ma ne ho abbastanza.
La mano mi fa male, pulsa, eppure ne è valsa la pena perché Declan finalmente mi lascia andare.
Ancora stupito dalla mia reazione, mi fissa come se mi fossero cresciute tre teste e indietreggia massaggiando la guancia.
«Non finisce qui», minaccia.
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