Capitolo 15
~ Toren ~
Voglia o negazione? Paura o eccitazione?
Provo un forte senso di vertigine, un vuoto allo stomaco, una fitta nel petto, un formicolio invadente e fastidioso sotto la pelle, come quando ti trovi sospeso sull'orlo di un precipizio e guardi di sotto e non sei pronto al lancio.
Tor: "Se non vuoi che la tua amica si insospettisca, va' pure insieme a lei. Verrò a prenderti..."
Cancello l'ultima frase e senza indugio, invio il messaggio.
Sarò pure egoista, ma non ho nessuna intenzione di condividerla.
Dalla sua risposta potrebbe cambiare tutto.
Miele: "Ho inventato che starò con i miei nonni e Alissa ha abboccato, credo. Ma stasera non posso farmi vedere in giro."
Sono seduto dietro la scrivania, davanti a me lo schermo del computer con una fattura ancora da inviare a un cliente.
Non capisco quale sia davvero il problema di Luna. Tra me e lei non dovrebbe esistere alcun tipo di legame. Non dovremmo avvicinarci in questo modo. Eppure sembra quasi impossibile, visto che continuiamo a ritrovarci faccia a faccia.
Tor: "Andremo a mangiare lo stesso una pizza. L'offerta non è ritrattabile. E pago io."
Miele: "Mi sento una traditrice. Anche se so di avere fatto la cosa giusta. Dovevi vederla. 🙈"
Tor: "Lo sei, indirettamente, scimmietta. Ma lo fai per la pizza e per le quarantotto ore di schiavitù in cui dovrai ubbidirmi. 😏"
«Lo vedi anche tu?»
JonD si appoggia alla parete pulendo le dita su un fazzoletto di carta. «Qui qualcuno sta nascondendo qualcosa e sta sorridendo in maniera inquietante da un paio d'ore».
«Avrà finalmente scopato con tua cugina», ribatte Rio senza sollevare la testa per guardarlo, impegnato com'è ad aggiustare lo sportello del mobile che aveva una vite allentata.
I rumori dentro l'officina si intensificano facendo da sottofondo musicale. Abbiamo un sacco di lavoro in questi giorni e la cosa non mi dispiace. Sto già recuperando parte dei soldi che Ben mi ha rubato.
JonD arriccia il naso. «Non aveva rotto con quella tossica di Foxy? Amico, non dovresti...»
«Ragazzi, sono qui e vi ascolto. Smettetela!», li ammonisco.
Sorridono entrambi e non è difficile leggere nei loro volti ogni genere di pensiero. «Se non è merito di Foxy, allora ha puntato gli occhi su qualcosa di più prezioso».
«Stai parlando di Luna Maddox?»
«E di chi se no? Lui si è lasciato friggere il cervello non appena l'ha vista tutta indifesa di fronte casa sua. Ancora prima alla festa di fine primavera. Te lo dico io».
Lancio due palle da baseball sulle loro teste, colpendoli esattamente dove voglio. Si lamentano e finalmente smettono, pur mantenendo il divertimento nei loro sguardi.
«Non mi si è fritto il cervello. Sono solo affari. Devo ricordarvi che sto per consegnarle l'auto?», mi rivolgo subito a JonD. «Poi parli proprio tu? Non mi sembra di averti visto raggiante oggi. Con Alissa sei andato in bianco? A quanto pare non sei bravo come credi in quanto a strategia e attacco».
Mi rivolgo poi a Rio: «E tu smettila di appoggiarlo o riferirò a Summer della volta in cui ti ho beccato con quella tipa nel bagno del bar».
Rio massaggia la tempia colpita dalla palla con una smorfia. «Mi hai fatto male. Hai ancora un lancio micidiale. Avresti potuto giocare a baseball e saresti famoso. Invece ti sei ridotto a somigliare al signor Jenkins. Che potenziale sprecato!», tenta di offendermi. «E tanto per essere chiari, Summer è a conoscenza di quel fatto. Non vogliamo avere segreti».
Sono pronto a colpirlo ancora, ma ci pensa JonD a gettare benzina sul fuoco. «Ti sei scopato la piccola Maddox? Per questo sei così su di giri», chiede lanciando in aria la palla per poi riprenderla. «È brava a letto?», solleva entrambe le sopracciglia. «Summer sa che sei una testa di cazzo?», aggiunge, rivolgendosi a Rio. «Quindi è ufficiale? Non sei più sul mercato?»
Stringo due dita sul dorso del naso. «Sentite so che è off-limits, okay? Mi sto solo divertendo un po'. Mi piace torturarla. Sapete bene che ho ancora un paio di questioni da risolvere con la sua famiglia. Lei farà solo da tramite quando sarà il momento della resa dei conti».
I due comprendono al volo il filo del discorso. «Be', il modo giusto sarebbe seguire ovunque lei e Alissa, dato che non si separano quasi mai, e coglierle impreparate quando hanno abbassato le difese».
«Tieni per te ogni istinto da stalker. Devo andare a controllare che mia madre stia bene, assicurarmi regolarmente che in casa sia tutto tranquillo. Non posso fare niente del genere e prima che avanzi l'idea, non parteciperò a nessuna festa noiosa», concludo.
Non posso dire che in realtà si sbagliano, che Luna starà con me. Me lo impedirebbero. «Inoltre ho davvero bisogno di riposarmi».
«Era solo un'idea. Ma ancora non ci hai detto cosa hai in mente di fare ai Maddox».
«Ve lo farò sapere quando avrò ricollegato bene qualche filo. Al momento mi mancano solo dei pezzi della storia».
«Nel frattempo vuoi aiuto con Ben?», domanda protettivo Rio, mettendo da parte il discorso su Luna, intuendo di non potermi cavare nient'altro dalla bocca.
Massaggio la nuca. «Posso gestirlo. Dopo l'ultima volta non ci riproverà per almeno una settimana. Ma vado a controllare lo stesso. Non si sa mai».
I due, richiamati dai colleghi, si allontanano tornando al lavoro e io invio la fattura per potermi concentrare sullo scambio di messaggi rimasto in sospeso.
Miele: "Io non sono una schiava sessuale. Toglilo dalla testa se è così che mi vedi."
Tor: "Fatti bella per me stasera, schiavetta."
Invio il messaggio insieme a una faccina ammiccante, perché so che la fa andare fuori di testa. Poi mi concentro su ogni singola auto da aggiustare e ordini da inviare.
***
Dopo essere passato da mia madre e averci trovato mia sorella Hannie, arrivata per dare una mano in casa. Dopo avere fatto una doccia, mi ritrovo a poca distanza dalla villa dei Maddox.
Osservandola, per un interminabile istante, mi domando che cosa ci faccio. Non sono che un granello di sabbia rispetto a loro.
Nella mia famiglia solo mio zio Chester è riuscito a prendere il posto che gli spetta nella società dei ricchi. Lo ammiro come uomo, non solo perché ha sempre preso le mie difese. Lui è quanto di più vicino a un padre. In passato ci ha aiutati con Ben, le bollette, i debiti di gioco, i litigi. C'è stato quando ho avuto la febbre, mi sono scheggiato un dente, mi sono rotto un dito del piede e ho fatto a botte con Peter per l'ultima volta, prima che la nostra amicizia, iniziata alle elementari, andasse a puttane.
Zio Chester ha ripulito il marcio in famiglia, cercando sempre di non abbandonarci nonostante l'importanza assunta grazie alla sua azienda, alle azioni e gli investimenti e nonostante Ben. Suo fratello maggiore.
Quest'ultimo lo ha sempre visto come un mostro e lo odia perché è riuscito a diventare qualcuno. La sua è solo gelosia.
Luna Maddox è decisamente fuori dalla mia portata, come direbbe Ben se fosse qui.
Lei è dolce, gentile, premurosa, persino spiritosa quando riesce a liberarsi da ogni paranoia causata dal tempo in cui ha vissuto dentro la sua gabbia dorata.
Mi domando come faccio a piacerle.
Lo sportello si apre e Luna salta sul sedile interrompendo le mie elucubrazioni mentali. «Parti!», dice con voce tesa agganciando la cintura.
Mi sbrigo ad eseguire e proseguiamo lungo la strada che porta verso il molo e il Luna Park.
Non ho ancora avuto il coraggio di squadrarla e perdermi. Sto solo cercando di guidare senza annusare troppo l'aria e assuefarmi a causa del suo profumo a tratti dolce, a tratti speziato, che quando si è tuffata sul sedile accanto mi ha avvolto.
«Avevo detto che non posso farmi vedere in giro», brontola guardinga.
«Calma, sto solo andando a prendere la pizza, Miele. Farò in fretta. Nessuno si accorgerà di te».
Rilassa le spalle premendosi contro il sedile. «Mi stai davvero salvando la vita».
«Domani potrei obbligarti ad andare alla festa per pugnalarti alle spalle o dire a qualcuno questa cosa».
«Non cadresti così tanto in basso, Terminator».
Stringo la presa sul volante. «Continua a chiamarmi così e ci riuscirò senza problemi o ripensamenti», sibilo a denti stretti.
Mi fermo in una delle pizzerie e dopo avere ignorato le domande invadenti della terza moglie del proprietario, Angela, torno in auto, metto i cartoni con le pizze sul retro e sgommando porto Luna a casa mia.
Fermo l'auto sul vialetto. Lei mi segue impacciata e piena di domande mentre prendo i due cartoni in più e il sacchetto con dentro le bibite e il dolce, attraverso la strada e mi dirigo, con lei alle spalle, verso la porta principale dei Jenkins.
Non mi occorre bussare. Non appena la luce a sensore, che gli ho installato di recente, si accende sul portico, la porta si apre ed escono entrambi con un ampio sorriso.
«Ciao, figliolo», saluta lui dandomi una pacca sul braccio. «Stavamo scegliendo un film».
«Sono ancora calde», consegno il bottino alla moglie, facendo un passo indietro.
«Non sei solo. Ma che bella ragazza. Finalmente hai messo la testa sulle spalle», dice tirando gli occhiali sul naso per guardarla meglio.
Luna arrossisce. Solleva poi una mano. «Salve, sono Luna».
La signora Jenkins la squadra da capo a piedi. «Deliziosa», ammicca nella mia direzione. Poi prende il portafoglio dal mobile di fianco alla porta.
La fermo. «Offro io».
Prova subito a protestare. «Ma...»
«Volete unirvi a noi?», domanda lui impacciato.
Il signor Jenkins è un po' orgoglioso. Ma una volta a settimana mi permette di portargli le pizze e un dolce.
Non li ringrazierò mai abbastanza per ciò che hanno fatto per me. Questo è uno dei pochi modi che conosco per farlo.
«Ma cosa dici, lasciali da soli. Non vedi che fremono dalla voglia di allontanarsi», interviene la signora Jenkins.
Sorrido loro. «Grazie, ma abbiamo le nostre pizze. Godetevi la cena e non fate baldoria», li prendo in giro. «Soprattutto tu, mascalzone».
Lui ridacchia facendomi l'occhiolino. «Sarò pure rimbambito, ma qui sotto funziona tutto a meraviglia. Tu piuttosto, vedi di fare le cose per bene. E se proprio devi uscire, indossa il cappello».
La moglie gli molla un colpo sulla nuca, lievemente in imbarazzo.
Trattengo una risata e ficcando i pugni dentro le tasche indietreggio godendomi la scena di loro due che iniziano a battibeccare.
Luna mi segue. Non riesco a decifrare la sua espressione. Sul suo viso affiorano molteplici sfumature. Le apro la porta di casa lasciandola passare.
«E io che mi sono fatta bella», mi prende in giro sollevando Floppy, dandogli un bacio sulla testa per poi liberarlo e spostarsi in bagno a lavarsi le mani. Quando torna ho sistemato i cartoni sul tavolo da caffè e acceso la TV.
Luna si siede accanto e nel farlo le nostre gambe si sfiorano.
In un minuscolo spigolo della mia mente, sento parte del mio cuore che si accartoccia, indeciso se battere feroce o arrestarsi accettando l'inevitabile.
Anche se non vorrei, mi volto e la guardo.
Indossa un top che le arriva sull'addome di un tenue color lilla. Una collanina le pende dal collo con un minuscolo ciondolo a forma di stella che ogni tanto porta alle labbra; jeans a vita alta strappati sulle ginocchia e converse che ha lasciato all'entrata.
Non potrebbe essere più sexy di così. E ha ragione, volevo che si mettesse in tiro, ma ancora una volta è riuscita a sorprendermi con la sua naturalezza.
Nascondendo di avere sentito anche lei la scossa causata dal nostro sfioramento, solleva il coperchio del cartone della pizza lasciando diffondere il buonissimo odore in casa. Mi passa un trancio su un tovagliolo e portando i piedi sotto il sedere si gode il suo dopo averlo annusato con aria estasiata.
«Non pensavo che una pizza ti avrebbe portato tanto in fretta all'orgasmo».
Ridacchia nascondendo la bocca ancora un po' piena con il palmo. Mi stupisce che non abbia ancora deglutito e non si sia strozzata. «È che non mangiavo una pizza così buona da tempo».
Inarco un sopracciglio. «Lo vedo».
Scelgo un film Horror, lei non batte ciglio, si mette comoda e si limita a guardare sempre più presa dalla storia. Abbraccia persino il cuscino, e quando è il momento delle scese in cui qualcosa sta per accadere, anticipate dalla musica usata per creare la giusta dose di ansia, nasconde il viso per poi ridere allegramente di se stessa.
Non mi chiede di cambiare e scegliere qualcosa di diverso. Affronta la paura. Ne sembra quasi attratta.
Comodo e quasi stravaccato sul divano, mi godo la pizza, la compagnia e il film come non facevo da mesi, se non da anni.
Portando un braccio sullo schienale, per errore le sfioro la nuca con le dita.
Lei si inarca lievemente, stringe il cuscino in grembo e tenendo il labbro inferiore tra i denti, in quel modo che mi fa ottenere un'erezione imminente, si lascia accarezzare.
Continuo a solleticarla. Mi piace quando socchiude gli occhi lasciando uscire un sospiro. Per non parlare del tenue rossore che le affiora sempre sulle gote.
A un certo punto però il suo respiro si spezza e scatta in piedi. «Ti prendo un'altra birra», dice con voce stridula, correndo in cucina.
Mi alzo e metto in pausa il film per avvicinarmi a lei e capire la ragione della sua fuga.
Si volta e sussulta trovandomi di fronte. Mi premo al suo corpo sinuoso facendola indietreggiare fino a bloccarla contro il ripiano della cucina. Le tolgo le bibite dalle mani adagiandole sul bancone e abbasso il viso cercando la sua attenzione.
«Non dovevi coprirli. Io già li ho visti», indico i succhiotti sfiorandone uno. Si nota appena sotto lo strato di trucco che ha spalmato sulla pelle. «E mi piacciono da impazzire su di te».
Prendo un fazzoletto di carta, lo bagno e glielo passo sul collo sorridendo.
Luna mi ferma. «Ti importa di questo?»
«No, non direi», getto il fazzoletto.
Incrocia le braccia al petto creando una sorta di barriera tra noi. «Allora qual è il problema? Se non sono i succhiotti...»
«Ti interessa davvero quello che dice la gente?», viro l'argomento verso un terreno meno insidioso.
Pronuncia le labbra. «Non è la gente il mio problema. La mia famiglia lo è», scivola sotto il mio braccio e torna a sedersi.
Quando mi lascio cadere sul divano, ho la brillante idea di adagiare la testa sulle sue ginocchia incrociate. Afferro le sue dita e giocherellandoci le porto sulla mia cute.
«Per questo continui a scappare da loro e a rintanarti qui con me?», lascio andare i suoi polsi. «Vuoi fargli un torto usandomi?»
Le sue dita affondano tra i miei capelli scuri in disordine, ma non smette un solo istante di toccarli mentre parliamo. «Non sono scappata da loro stasera. Non sanno nemmeno che riesco a parlarti per più di un minuto senza correre a nascondermi», si lascia sfuggire agitandosi. «Dubito si accorgeranno di qualcosa. Sono sempre così impegnati».
Nota la mia espressione accigliata e aggiunge: «Alissa voleva portarmi a cena da Declan, il tutto dopo essersi comportata da stronza. Per questo le ho rifilato una bugia».
Chiudo gli occhi concentrandomi sulle sue mani e non sulla faccia di Decilcazzone che prenderei volentieri a pugni.
Vorrei domandarle che tipo di rapporto ci sia tra loro. Un forte senso di protezione continua a farsi strada dentro di me. Ma non è solo quello. La mia, mi accorgo, che si tratta di gelosia.
Mi chiedo se Luna si rende conto del guaio in cui si sta cacciando. È entrata nella mia mente diventando ossessione. Ancora peggio: mi domando se sarò in grado di non mandare tutto a puttane, perché il pensiero di non vederla, di non percepire il suo profumo, di non toccarla o peggio: di vederla con qualcuno, mi manda già alla deriva.
«La verità invece qual è? Poi perché non dirle in maniera diretta di no?»
Mi fissa come se fossi stupido. Non conosco il codice tra ragazze, eppure riesco ad arrivare da solo alla risposta, ancora prima che sia lei a vuotare il sacco.
«Perché lei avrebbe fatto troppe domande alle quali non avrei saputo rispondere. E non mi andava di trovarmi con gente che fino a un po' di tempo fa mi sorrideva grazie a mio fratello e alle spalle mi insultava», fa una smorfia.
In pochi istanti mi accorgo che tiene dentro ancora quella ragazzina a disagio, spaventata dalla cattiveria. C'è ancora quella parte di lei che ha imparato presto che bisogna difendersi costruendo recisioni fatte di spine e veleno. Si è convinta di stare bene, ma dai suoi occhi verdi traspare tutta la sua fragile essenza.
«Tecnicamente nel tuo straordinario piano di fuga c'è una grossa falla».
«E sarebbe?», ci casca.
«Io».
Spalanca gli occhi. Quelle sue preziose biglie chiare e così trasparenti da sembrare il fondo di un ruscello incontaminato. Le scosto una ciocca dal viso. «Anch'io non sono stato propriamente un santo con te».
Le sue dita continuano a massaggiare la mia testa e vorrei soltanto chiudere gli occhi e permetterle di trascinarmi altrove con quelle mani.
«Ma in qualche modo non lo hai nascosto».
«No. Non l'ho mai fatto, vero».
«Le pensavi quelle cattiverie su di me?»
«Miele...»
«Non ti sto chiedendo di non farlo più e di comportarti decentemente. Ti ho solo chiesto se pensavi davvero quelle cose di me. Per te sono viziata? Ho bisogno di una lezione?»
Mi sollevo e le afferro il viso tra le mani. «Respira, cazzo! Vai in apnea quando ti agiti!»
Le sue guance prendono il colore di una pesca matura. Mi viene voglia di strofinarmici per farla arrossire maggiormente e poi avventarmi sulla sua bocca.
Tenere a freno l'istinto è dura. Non voglio che mi si ritorca contro. Perché tutto quello che finora ho fatto per questa ragazza, nel tentativo di spezzarle il cuore e arrivare alla sua famiglia, mi ha condotto verso una strada lastricata da cattive intenzioni e poca scelta di redenzione.
Accorgendomi di tenerla ancora ferma la lascio andare e mi alzo dal divano, smanioso di trovare una distrazione. Floppy si è già appisolato al piano di sopra e non posso disturbarlo.
«Porti sempre da mangiare ai tuoi vicini?», guarda fuori dalla finestra.
«I Jenkins, anche se lo nascondono, sono contenti quando lo faccio. Mi permettono di viziarli solo una volta a settimana. Non mi dispiace. Ho un grosso debito con loro».
Sorride. «Ti vogliono bene».
Soffio aria dal naso. «Che stronzata».
«Dico sul serio. Ti guardavano come se fossi il loro eroe. Come se avessi cambiato la loro serata. È stato bello».
La guardo e Dio, sono così tentato da arretrare come un vigliacco.
«Puoi metterti a dormire nel mio letto e prendere una mia maglietta», le dico. «Io dormirò sul divano».
«Va bene», prova a togliere i cartoni vuoti. Le faccio cenno di lasciare stare e lei ammassa tutto sul ripiano della cucina per poi salire di sopra.
Rimane sul soppalco solo pochi istanti prima di tornare in fretta da me. Tamburella con le dita sul ripiano osservandomi mettere in ordine il mio ambiente.
«Non possiamo fare un giro?»
💜
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