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Capitolo 12

~ Luna ~

Dopo tanto tempo sento qualcosa di diverso dentro di me. Sta succedendo e non ho idea di come fermare lo tsunami pronto a travolgermi. Conosco bene il suo nome. Quello di una catastrofe annunciata.
Non cerco un amico, una spalla su cui piangere, un punto di riferimento, e non voglio che sia in grado di farmi sentire così sciocca, tanto piccola.
Eppure è successo proprio sotto i miei occhi e non ho saputo evitarlo. È stato come un fulmine che scuote il buio tra nubi ammassate, un tuono che ha squarciato il silenzio nella mia vita.
Marcio a testa bassa in direzione del giardino.
La festa, proprio come avevo previsto, si è ingrandita e gente mai vista adesso si affolla in corridoio, in cucina, ovunque.
Qualcuno ha portato da bere e da mangiare.
Di pessimo umore, ancora scossa, cerco Alissa per avvisarla che non ho voglia di stare con tutti questi estranei a farmi guardare come una volta. Che me ne torno a casa.
Avrei potuto mandarle un messaggio, ma ormai mi trovo qui.
La avvisto, se ne sta seduta comoda su una delle sdraio bianche e sta ridendo di gusto circondata da alcune ragazze. Summer si trova al suo fianco con un bikini rosso fiamma e una minigonna in denim. Lei a differenza delle altre però non sembra a proprio agio, nonostante il sorriso stampato in faccia si vede che vorrebbe trovarsi altrove.
Rio e JonD sono a poca distanza da loro, impegnati in una conversazione con altri tre ragazzi del posto. Sembrano tesi.
«Eccoti! Ce ne hai messo di tempo. Passeggiata lunga».
Anche se mi sta sorridendo, Alissa appare contrariata dal mio gesto.
Prima le avevo detto che stavo andando a fare quattro passi perché non volevo rovinare l'umore a loro quattro. Ma cinque minuti, a quanto pare, sono diventate ore e lei ha trovato tutt'altra compagnia con cui divertirsi. O meglio: sapeva già chi sarebbe venuto.
Non ha invitato gente a caso. Sembra proprio che questa non sia una semplice festa, ma una sorta di salto di qualità della sua nuova immagine.
«Mi sono persa per strada», dico abbattuta, prendendo il bicchiere che mi sta porgendo.
Solitamente non berrei senza essermelo versata da sola, ma questa volta faccio un'eccezione prendendo un generoso sorso di quella che sembra vodka.
Arriccio il naso fissando il fondo del bicchiere.
«Va tutto bene?», domanda Summer raggiungendoci.
È una ragazza molto bella, gentile e solare. Non mi dispiace averla attorno. Compensa le enormi mancanze di Alissa, un po' troppo impegnata a sollevarsi il davanzale sotto il costume giallo che ha indossato, per farsi notare dai ragazzi che affollano il barbecue e la piscina, piuttosto che parlarmi.
È strano da dire, ma non merita tutta questa attenzione di cui si nutre. La conosco e so che il suo è soltanto l'ennesimo capriccio. Un po' come lo erano: l'auto per i diciotto anni, lo yacht per i venti, e tante altre avventure in cui mi ha trascinata anni prima. In molte delle quali ci siamo ritrovate in grossi guai.
Lei colleziona vittorie. Da qualche ora ho capito con chi ha sempre gareggiato, nascondendosi dietro l'etichetta di "migliore amica". Con me.
«Sì. Sono solo un po'...», smetto di parlare, mi lascio cadere su una delle sdraio bianche appena Alissa si allontana, disinteressata, quando due ragazze arrivano alla festa salutandola allegramente.
Summer mi si siede accanto, osserva attonita Alissa. «Allora... tu e Tor?»
Sono precipitosa, me ne rendo conto, ma ci tengo a precisare: «Non siamo niente. Dovevamo solo parlare della mia auto». Dentro di me sto spazzando via la delusione generata dal comportamento di Alissa.
Summer beve un sorso del suo cocktail alla frutta leccandosi le labbra carnose, coperte da uno strato di lucida labbra. «Non stavo alludendo. Sappi però che ha molti problemi e non ne merita altri».
«Non lo avevo notato», ribatto sarcastica ripensando a suo padre, alla paura che ho provato quando ha tentato di fargli male. So che Tor non si sarebbe mai fatto sottomettere, ma è stato orribile vedere Ben colpirlo e sua madre lì immobile.
Quante volte Tor si è trovato nella stessa situazione? Perché nessuno li ha mai aiutati?
Rabbrividisco e mi abbraccio ricacciando di nuovo indietro le lacrime.
«Tor a volte è come un lupo ferito. Spesso se ne sta in solitaria, altre in branco. Be', questo solo quando le situazioni lo richiedono. Ma quando è ferito o c'è qualcosa che lo tormenta, nega a se stesso il dolore, ignora il problema fino a ridurlo a un semplice fastidio che può sfogare con il suo carattere scontroso. E rivolge tutto sulle persone. La sua vita è come un campo minato, Luna».
Appoggia il bicchiere ai suoi piedi raccogliendo i capelli mossi in uno chignon alto. «Ti starai chiedendo come faccio a sapere tutto questo. Quei tre sono così perché sono stati feriti in passato. Ognuno di loro in maniera diversa. E quando qualcuno adesso gli si avvicina sono diffidenti e tendono ad allontanarlo o a fare in modo che esca allo scoperto. Non vogliono essere usati e se lo sono, succede sempre qualcosa di spiacevole. Non lasciarti abbindolare, chi è stato morso, sa come mordere».
«Ti piace molto Rio».
Lei lo guarda e sorride, anzi ridacchia teneramente arrossendo. «Dietro quello strato c'è un animo buono. Ma lo ammetto: non mi sarebbe piaciuto senza il suo lato oscuro. Forse mi ha attratto proprio per quello. Ma non sono ancora entrata del tutto nel suo cuore».
So cosa sta cercando di suggerirmi. Quando ho rivisto Tor, è stato strano e intenso. Sapevo che l'astio nei confronti della mia famiglia non si era spento e in qualche modo ho sperato che si alimentasse per riuscire a vedere la sua vera natura. Ma stasera è stato diverso. Non mi aspettavo di vedere una persona capace di difendere la sua famiglia e al contempo di distruggere una potenziale tregua con me solo perché mi sono trovata dall'altra parte della barricata: la sua.
Summer ha ragione. Toren Connor è un campo minato e io, purtroppo, non sono un artificiere. Ho solo piazzato il piede su una mina pronta a esplodere.
«A ogni modo, non prendertela troppo se ti tratta male. È il solo modo che conosce per dimostrarti qualcosa che tiene gelosamente dentro».
Mi stupisce che sia proprio lei a parlarmi di Tor. Mi rendo conto di non sapere molto sulla sua vita. Di essere ignara di ciò che ha vissuto negli ultimi anni. Anche se era il migliore amico di mio fratello, Peter cercava di tenerlo lontano da me. Quando la loro amicizia si è rovinata, in seguito a qualcosa di cui non sono a conoscenza, la situazione è peggiorata.
Non ho mai avuto modo di avvicinarmi a lui. Non che ci sarei riuscita, vista la mia assurda timidezza quando lo vedevo.
Una punta di gelosia mi pizzica la pelle e avverto un fastidio che cerco di nascondere con un lieve sorriso. «Grazie, per avermelo detto».
Adagia la mano sulla mia spalla. «Tra ragazze ci si aiuta», guarda in direzione di Alissa con una smorfia. «Be', non con tutte è possibile».
«Non è cattiva», la giustifico.
«Dici? Perché a me sembra che abbia in mente qualcosa. Non ti ha trattata bene. Tienila d'occhio, Luna. Quelle come lei covano risentimento come fuoco sotto la cenere. Adesso se vuoi scusarmi, cerco di andarmene da qui», alzandosi raggiunge Rio bisbigliandogli qualcosa all'orecchio. Io rimango immobile a osservare la scena, sentendo un peso che mi sta schiacciando lentamente.
I miei occhi si spostano sulla mia amica, sta civettando insieme ad alcune ragazze, circondate dai giocatori di basket. È così a suo agio in loro compagnia.
Quelle ragazze facevano le cheerleader al liceo e, pur conoscendo mio fratello, non si avvicinavano mai, trattandoci come se avessimo la peste.
Che cosa è cambiato?
Mi sollevo e le raggiungo mettendola alla prova. In qualche modo le parole di Summer hanno fatto scattare un allarme dentro di me. C'era già da tempo, ma adesso è come se si fosse azionato del tutto.
Lei mi sorride mostrando i denti come se fosse imbarazzata del mio arrivo.
Ne ho la certezza quando squittisce: «Luna», mette un braccio intorno al mio. Si irrigidisce quando lo sguardo delle due ragazze, Barbie in miniatura, si spostano su di me.
«Diane e Lesley mi stavano dicendo che daranno una festa questo fine settimana. Siamo invitate anche noi. Non è bello?»
«Oh, davvero?», domando a denti stretti.
«Sì, ci saranno i ragazzi della squadre di football e basket. Vogliono conoscerci».
Merda. Declan sarà lì. Non posso andarci e lei lo sa che non sono ancora pronta ad affrontarlo. Non dopo quello che gli ha detto.
Era questo il suo piano sin dall'inizio? Mettermi in cattiva luce per potere salire su quel gradino invisibile della popolarità?
«Certo», replico insicura, consapevole che inventerò una scusa per sottrarmi a un'altra umiliazione pubblica.

***

Dopo la festa a sorpresa di Alissa, il giorno dopo, assonnata, di malumore e ancora leggermente scossa per la storia di Tor e le sue parole fredde, mi ritrovo con una busta di carta bianca con il logo della pasticceria di Vivienne in mano, ad avanzare lungo la passerella per raggiungerlo dentro uno dei box, dove si trova impegnato ad aggiustare una moto.
Sono l'unica persona presente, data l'ora. In parte non mi dispiace. So come reagirà vedendomi arrivare e non sopporterei di essere umiliata di fronte uno dei suoi amici e colleghi di lavoro.
«Che ci fai qui?», domanda brusco non appena si accorge di me, impalata sulla soglia.
Non mi avvicino più di tanto, non voglio invadere il suo spazio. Consapevole di essere io quella di troppo, mi ingobbisco un po' su me stessa.
Prima ero convinta di ciò che stavo facendo, mentre adesso sono agitata e spaventata da quello che potrebbe dire.
Il fatto è che mi sono sentita un po' in colpa per come mi sono comportata.
Ho cercato di risollevargli l'umore quando l'ho visto esasperato e arrabbiato con suo padre. Un tentativo maldestro e mal riuscito, visto che mi ha chiesto di non presentarmi nel suo posto di lavoro e di non farmi più vedere.
Quando poi Summer mi ha confermato che ha una vita incasinata, non ho fatto altro che riflettere su quanto sia forte e rischioso questo suo senso di protezione verso la sua vita privata.
«Sono venuta a vedere come stanno andando i lavori. Notevole, è di nuovo in piedi la mia Mustang», la indico.
Ovviamente non se la beve. «Perché sei qui?»
Mi aspetto che mi cacci dall'officina. Anche se da quando sono arrivata non è ancora entrato nessuno, il pensiero del gesto mi fa strizzare lo stomaco. «Eri arrabbiato ieri e...»
«E credevi che facendoti vedere avresti risolto tutto?», replica aspro. «Be', ti sbagli. Con me non attacca. Quindi adesso tornatene alla tua meravigliosa vita e lasciami lavorare in pace».
Intravedo uno sgabello in fondo al box, proprio sotto una serie di mensole piene di pezzi da ricambio perfettamente in ordine. Lo raggiungo e mi ci siedo.
Sono circondata dall'odore di olio, vernice, gomme bruciate. Pizzica alle narici, ma qui dentro, come nell'ufficio a qualche metro di distanza, è sopportabile.
Le pareti e il pavimento sono color acciaio. È un ambiente abbastanza pulito per essere un'officina.
«No, non credevo niente. Ti ho solo portato la colazione e sto controllando la mia auto».
Scuote la testa continuando ad avvitare un pezzo della moto. L'intelaiatura è rosso vino. Ci sono molti pezzi sparsi su una sorta di telo di plastica.
Sto cercando di tenere a bada il respiro, ma è inutile. Toren Connor si nutre della mia difficoltà e ne approfitta per creare un'altra crepa sulla mia corazza. «Sono serio, Miele. Dovresti andartene da qui. Non sono dell'umore per le tue scenate da ragazzina».
Incasso la frecciatina. «Nemmeno io ho così tanta voglia di farmi trattare male da te, direi che siamo d'accordo», incrocio le braccia lasciando oscillare le gambe.
Pulisce le mani nel piccolo lavello di fianco e mi si avvicina. Raddrizzo le spalle ma non mi ritraggo. «Se mi hai portato la colazione hai qualcosa da chiedermi in cambio».
Gli passo il sacchetto. «Ti sbagli».
Scarta l'involucro osservando la ciambella con il doppio fondente e la granella al cocco. Il bicchiere di caffè nero con un po' di panna e "Terminator" scritto sulla confezione. «Come hai fatto?»
«Vivienne conosce i gusti dei suoi clienti meglio di chiunque altro. Quando le ho detto che era per te, ha fatto tutto da sola, senza chiedere spiegazioni», racconto. «Alla cassa mi ha chiesto di mandarti i suoi saluti e di farle sapere quando vi rivedrete».
Da un morso alla ciambella avvicinandola subito alle mie labbra per condividerla. Sto pensando all'espressione di Vivienne. Aveva gli occhi carichi di eccitazione quando ho pronunciato il nome di Tor.
Mi sono sentita un po' in competizione, lo ammetto, ma non ho nessun diritto su di lui.
«Non dovresti stare qui lo stesso».
Lecco le labbra. «Lo so. Forse avrei dovuto mandare lei al posto mio», lascio uscire dalla bocca senza riflettere.
Sono infastidita. La sua espressione quando ho pronunciato il nome di quella donna mi ha scoccato una fitta in direzione del petto. Soprattutto quando ha sollevato l'angolo del labbro.
Tor ha sempre avuto un vantaggio su di me. Mentre io sono più fragile, lui è come il ferro, puoi piegarlo ma non si spezzerà facilmente. Sa come farti male.
La verità è che non so perché mi trovo qui. Non ne potevo più di starmene in casa. Ho sentito il bisogno di allontanarmi e, dopo essere passata da Vivienne, mi sono avvicinata a questo posto.
Sono giorni che vengo rincorsa dai pezzi della mia vita ormai in frantumi. Tutti stanno andando avanti, io invece non ci riesco. È come se fossi bloccata in un ascensore angusto. Un senso di claustrofobia inizia a farsi strada e a mandare in tilt il mio cervello. Ogni giorno, sento che qualcosa mi scivola dalle mani e non sono abbastanza forte da evitarlo.
«Ti farai male».
«Credi che non lo sappia?»
Beve un sorso di caffè. «Torna a casa».
«E se volessi restare?»
Gli sfugge una risata malvagia, carica di derisione. «Non sei qui per restare. Sei qui per ottenere risposte soddisfacenti ai tuoi dubbi. Perché hai bisogno di capire. Non è così, Miele?»
Arrossisco nel vederlo così tanto vicino e nel sentire il suo odore avviluppare i miei sensi in una morsa stretta. «Non mi è piaciuto come ci siamo salutati», ammetto. «Anche se è stata colpa mia, tu ti sei comportato comunque da stronzo. Stavo solo cercando di mettere da parte per un po' l'astio che c'è tra noi».
Da un altro morso alla ciambella e torna ad avvicinarla alla mia bocca, osservandomi masticare. «Non è possibile», biascica.
«Perché?»
«Controlla la tua carta d'identità e renditi conto di chi sei», ribatte prontamente.
«Sai, ti credevo diverso. Ma sei esattamente come tutti gli altri», mi sollevo dallo sgabello e infuriata mi allontano. I miei passi riempiono il silenzio rimbombando intorno alle pareti dell'officina. Sento un rumore secco, quello di una chiave inglese che viene schiantata contro altri attrezzi.
«Mi spieghi che cosa vuoi?»
Mi fermo e mi volto. C'è distanza, non abbastanza perché comprenda quanto io sia agitata e mi stia battendo forte il cuore. «Volevo solo accertarmi che stessi bene. Vedo che sei il solito scontroso. Adesso me ne vado, tolgo il disturbo».
Tor mi raggiunge, mi fa voltare e restiamo sospesi nel silenzio che aleggia intorno, tra i nostri respiri che iniziano a cambiare ritmo.
Sento le gambe deboli. Il mio corpo risponde con il pilota automatico a Tor. Come se si stesse risvegliando al suono del suo richiamo dolce e letale.
«Non hai dormito», constata.
Odio il modo in cui riesce a notare tutto.
«Ci proverò adesso. Non ho poi così tante cose da fare. I ricchi pagano gli altri per avere quello che vogliono».
Mi sto comportando da ragazzina ferita, e mi sento stupida a ogni singola parola che pronuncio.
Tor mi passa un mazzo di chiavi. «Prendi mio pick-up e va' a casa mia. Potrai dormire lì un paio d'ore. Nessuno ti disturberà».
Corrugo la fronte. «Perché lo fai?»
«Tu sei ricca. Io non lo sono. A te è toccato essere altezzosa, a me essere gentile», mi sorride prendendomi in giro. «Muoviti. Non c'è nessun perché».
Indietreggio. «Ne sei sicuro?»
«Non viziare il mio cane. Se puoi cambiagli l'acqua. Adora averla sempre pulita e fresca. Puoi fargli fare un giro mettendogli il collare verde, di quello non si spaventa e come ricompensa dagli un biscotto. Trovi tutto nel suo angolo della cucina».
È come se il mio cuore stesse suggerendo che è giusto così. Che devo accettare. Mi sta spingendo verso di lui.
Non so dove ci porterà tutto questo. C'è solo una strada e conduce all'inferno. E se proprio devo scontrarmi col peccato, tanto vale avvicinarmi al diavolo che ho davanti.
A ogni boccata d'ossigeno è come se avessi conficcate nel petto grosse spine velenose. Ma il suo sguardo caldo allevia la sensazione.
Le nostre dita si sfiorano quando mette sul mio palmo le chiavi. «Mi stai davvero dicendo che non posso abbracciarlo? Ma è così tenero e morbido», smetto di parlare. «Grazie», sussurro con il cuore che mi batte a mille.
Dandomi le spalle torna al lavoro e io seguendo il suo consiglio, salgo nel suo pick-up e raggiungo la sua graziosa villa.
Non appena entro in casa il piccolo cane mi salta addosso.
«Ehi, non ti dispiace se ti faccio un po' di compagnia, vero?»
Lo coccolo, cambio la sua acqua ricevendo una generosa leccata sulla gamba, lo faccio uscire e insieme facciamo una bella passeggiata intorno al vicinato.
Dopo essere rientrati, sentendomi sfinita mi guardo intorno. «Perché sono qui?»
Potevo tornare a casa, farmi una doccia, una lunga dormita nel mio letto...
La voce dentro la mia testa suggerisce il contrario. Non è lì che voglio stare.
Salgo sul soppalco trovando il letto in ordine, nessun indumento femminile nei paraggi che mi suggerisca come Tor abbia passato la serata.
Mi spoglio per non sgualcire i miei indumenti e anche se non dovrei, infilo una sua maglietta, accoccolandomi sotto le sue lenzuola fresche, morbide e pulite.
Succede. Dapprima sono sveglia a giocare con Floppy saltato sul letto, poi sto dormendo così profondamente e così bene da non notare la figura che entra in casa.

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