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XXX

Zen

Dolore.

Fu quella la prima cosa che sentì. Un intero mondo sembrava gridare e spingere per uscire dal suo cuore.

Quelle grida però, quelle voci disperate, erano parte di lei e diedero vita alle sue corde vocali che emisero un suono che mai aveva creduto di essere in grado di emettere.

Non era abbastanza, non aveva abbastanza fiato per esprimere ciò che la stava dilaniando nel tentativo di uscire allo scoperto. Sentiva degli artigli affilati che le graffiavano l'anima. No. Era l'anima stessa ad avere gli artigli, si dimenava dentro al suo corpo e lottava per uscire.

Per troppo tempo era stata messa in catene, per troppo tempo aveva covato odio e vendetta, e ora non sembrava più avere il controllo, era una belva impazzita che nulla avrebbe più potuto fermare.

Gridò. Gridò più forte che poté, ma non era abbastanza. Non per quello che aveva subito. Non sarebbe mai stato abbastanza.

Per tutto quel tempo era stato come osservare la propria vita da oltre un vetro, sbatteva forte i pugni nel tentativo di liberarsi, di ribellarsi a quello che le era capitato, ma il vetro rimaneva intatto e lei era costretta a vedere ciò che il suo corpo faceva senza il suo permesso.

Con il passare degli anni si era sentita sempre più debole, sfinita. La sua vita era stata prosciugata del tutto, aveva quasi ceduto completamente, le sofferenze erano troppe per poter continuare, era troppo per lei.

Ma poi era comparso Louid. Erano cinquant'anni che non lo vedeva, un tempo che le era parso infinito. Seppure di aspetto fosse molto diverso da come lo ricordava, lo aveva riconosciuto immediatamente.

Era stato come se un angelo fosse giunto dal cielo per darle la grazia dopo tante pene, si era sentita più forte, più viva e aveva ripreso a lottare contro quel vetro che la separava da lui.

Aveva gridato nel vederlo crollare a terra, ucciso a tradimento da quel vigliacco. Aveva gridato quando gli occhi di lui si erano posati sui suoi con sguardo sconfitto. Louid vedeva solo il vetro, vedeva solo la prigione che li teneva lontani, e se ne era andato per sempre prima di poterla vedere libera, prima di poter posare le pupille sullo sguardo felice della persona che amava.

Zen gridò ancora, la sua era una sofferenza che non aveva pari. Era giusto così, era colpa sua se tutto quello era successo. Era colpa sua se Louid era morto.

Non lo aveva ascoltato, aveva seguito Nauìya, e ne aveva pagato il caro prezzo.

Era morta. Giorno dopo giorno; i suoi colpi sul vetro erano diventati più deboli, lei era diventata più stanca, e a ogni colpo la sua prigione sembrava più forte, come se traesse energia da lei, risucchiandole ogni forza vitale.

Fece un passo avanti controllando di nuovo il suo corpo dopo tanto tempo. Era insicuro e debole, non era più ciò cui era abituata, non c'era più niente di giovane e agile in lei, solo una vecchia stanca della vita, stanca della sofferenza che aveva dovuto patire giorno dopo giorno, stanca del rimorso per aver abbandonato la persona che più amava al mondo, stanca dei rimpianti, stanca della realtà che a ogni ora che passava le ricordava gli errori che aveva commesso e le straziava il cuore con un'altra lama di sofferenza.

Fece un altro passo, e poi un altro ancora, voleva raggiungere Louid, voleva andare da lui e toccarlo per un'ultima volta.

Voleva dirgli che si pentiva per ciò che aveva fatto, voleva dirgli che non aveva mai smesso di amarlo, voleva chiedergli perdono per tutto ciò che gli aveva fatto patire.

Louid era tornato da lei, dopo tutti quegli anni. Aveva tentato di salvarla, aveva sacrificato la sua vita quando lei non aveva fatto nulla per meritarlo.

Voleva solo poter tornare indietro e rimediare ai suoi errori, voleva che lui fosse ancora vivo, voleva rivedere di nuovo i suoi occhi, voleva raggiungerlo per dirgli tutto ciò che provava, per dirgli che era la sua vita e che lei non poteva esistere senza di lui.

Inciampò e cadde, non doveva arrendersi, doveva andare da lui, doveva ringraziarlo per non aver mai perso la speranza, doveva ringraziarlo per tutto ciò che aveva fatto per lei. Doveva riabbracciarlo.

Proseguì a tentoni, gattonando lentamente verso l'uomo ormai freddo a terra, il braccio ancora proteso come in attesa della sua stretta.

Poi una delle sue mani affondò nel vuoto. La voragine sul pavimento. Un'altra barriera che li divideva, l'ennesimo ostacolo per il loro amore. Crollò senza forze tenendo il braccio proteso verso quello dell'uomo.

Forse avrebbe davvero dovuto farla finita molto tempo prima quando aveva perso la sua famiglia, avrebbe sofferto meno, avrebbe fatto meno danni e forse il mondo sarebbe stato diverso. Ma ormai era troppo tardi.

Lei e Louid non si sarebbero toccati mai più, non avrebbero potuto dire quanto si amassero.

Era morto e lei non poteva vivere senza di lui.

Non c'era più nemmeno un sorriso dentro al ciondolo che le aveva dato Zing, le erano stati portati via tutti, uno a uno. Le rimanevano solo le lacrime, lacrime per tutto ciò che aveva perso.

Era troppo per il suo cuore spezzato, troppa sofferenza per la sua anima stanca.

Era finalmente libera, ma lui non avrebbe mai potuto vederla, era morto pensando di aver fallito. Eppure l'aveva salvata, ma lei non poteva andare avanti senza di lui.

Il suo cuore cedette, non aveva più la forza di continuare a soffrire.

Era finita.

-

Aaris

Quel che si ritrovò davanti era stravolgente. Seppure in un primo momento fosse stata felice delle grida degli arconti, segno che erano stati liberati dalle loro maschere, ben presto si rese conto che c'era qualcosa che non andava. La loro sofferenza era ben superiore a quella che avevano provato lei e Kollh quando si erano tolti il rivestimento.

Aaris non ci aveva pensato, ma gli arconti dovevano aver vissuto sofferenze indicibili, tutte represse dall'esagonite, ma ora che si stavano risvegliando le stavano provando tutte insieme.

Osservò senza fiatare la morte di Zen. Si era trascinata con le sue ultime forze il più vicino possibile a Louid senza tuttavia riuscire a raggiungerlo a causa della voragine che spezzava in due la sala.

Gridava il suo nome, gridava parole incomprensibili, chiedeva perdono.

L'aveva liberata, ma era troppo tardi, ormai Louid era morto, non si sarebbero potuti dire tutto ciò che in cinquant'anni si erano tenuti dentro, non avrebbero potuto confortarsi a vicenda, non avrebbero potuto sorridersi di nuovo.

Ad Aaris si strinse il cuore nel vedere la sofferenza della vecchia, che con le sue ultime forze tendeva il braccio verso il suo amato senza poterlo tuttavia raggiungere. Le loro mani si cercavano come le loro anime avevano fatto per anni, eppure, anche ora che tutto era finito, non erano libere di raggiungersi, perché, come in tutta la loro vita, c'era un baratro a separarli.

Si sentì tremendamente in colpa, lei aveva dato delle false speranze al povero Louid, che era morto vedendo i suoi sogni infrangersi davanti ai suoi occhi. Aveva causato la morte di Zen, le emozioni dovute alla morte di Louid erano state troppo da sopportare. Aaris non riusciva a capacitarsi di quale terribile sofferenza potesse essere in grado addirittura di fermare il cuore di una persona.

Quello che Nauìya aveva fatto era spietato e crudele. Aveva causato la morte delle persone che più le erano state vicine, le persone che le avevano voluto bene.

Si voltò verso gli altri arconti. Anche loro gridavano tutte le loro sofferenze, grida che Aaris pensò non sarebbero mai finite, grida che le straziavano il cuore.

Lei non voleva quello, voleva solo che tutti fossero liberi.

Guardò fuori, la città sottostante era in subbuglio. Le persone erano piccolissime e indistinguibili, eppure riusciva a vedere chiaramente i loro movimenti allarmati, udiva persino delle grida lontane.

Dominava il caos più totale.

La tempesta stava imperversando sulla città, le strade si stavano allagando, gli oggetti volavano a causa del vento impetuoso, e gli alberi si si erano spezzati rivelando i loro interni marci e morti.

Aaris sentì, per la prima volta nella sua vita, il freddo accapponarle la pelle. Quella tempesta avrebbe spazzato via tutta l'esagonite più in fretta di quanto si fosse immaginata. E poi? Cosa sarebbe accaduto?

Quelle persone avrebbero smesso di gridare? Avrebbero provato finalmente la felicità?

I suoi genitori erano là sotto da qualche parte; Aaris pensò che cosa potessero aver visto loro: il cielo era diventato rosso ed era esploso riversando sulla città la distruzione e la sofferenza. Dovevano essere in preda al terrore, tutti lo erano, per colpa sua.

Si voltò ancora una volta a osservare gli arconti, le loro grida le straziavano l'anima. Guardò Louid e Zen, distesi morti sul pavimento. Guardò più in là il cadavere della persona che aveva amato, il cadavere di Wayll.

Era tutta colpa sua. Era stata avventata e stupida. Che cosa si aspettava di cambiare completamente sola come era?

Come poteva il mondo riprendersi da un disastro del genere?

Sentì le lacrime salirle agli occhi e bruciare sulla ferita che le aveva causato Wayll.

Era tutta colpa sua. Aveva sbagliato tutto.

Si voltò verso Aurel che stava osservando il corpo di Nauìya, l'esagonite c'era ancora ma si stava lentamente disgregando a causa di tutte le emozioni di cui ormai la città era completamente ricoperta, lasciando visibili alcune rughe prima celate dalla maschera di perfezione.

Aaris corse via da quel luogo, aveva bisogno di non sentire più quelle grida, aveva bisogno di rimanere sola con la sua sofferenza.

Aprì la prima porta che incontrò e andò a rinchiudersi dentro una piccola stanzetta buia.

Cadde in ginocchio e pianse. Era troppo da sopportare.

Chissà quante persone là fuori stavano morendo per la paura, le maschere sarebbero cadute lentamente come stava avvenendo con quella di Nauìya, mostrando rughe e deformazioni, mostrando le sofferenze subìte per tanto tempo. Sarebbero morti tutti per il terrore, degli sconosciuti, dei loro cari, del loro stesso riflesso.

Non potevano sapere quello che era stato, non potevano conoscere la verità e per questo avrebbero avuto paura, e quella paura li avrebbe uccisi proprio come la sofferenza aveva fatto con Zen.

Era tutta colpa sua, avrebbe dovuto spiegargli prima che cosa stava succedendo, avrebbe dovuto fare qualcosa, qualunque cosa per porre fine a tutto quello. Ma, ormai, era troppo tardi.

Non sapeva che cosa poteva fare per quelle persone se non dispiacersi per loro, sperando che tutto finisse al più presto. Sperando che le loro sofferenze si concludessero e lasciassero spazio alle altre emozioni.

Era tutto troppo per lei, non aveva neanche avuto ancora il tempo di metabolizzare tutto quello che era accaduto.

Wayll aveva tentato di ucciderla, le aveva mentito. Interpretò diversamente le lacrime nei suoi occhi quando si erano baciati per la prima volta, erano lacrime di sofferenza per ciò che sapeva avrebbe fatto, l'aveva baciata solo per indurla a fidarsi di lui, per indurla a portarlo da Louid. Doveva aver raccontato a Nauìya del libro e lei gli aveva chiesto di portarle il suo vecchio amico.

Tutto ciò che aveva detto e fatto, era per ordine di Nauìya. Poteva anche essersi innamorato di lei come aveva detto l'arcontessa, ma la sua fedeltà per la nonna era più forte.

Posò la mano sulla propria gola, nel punto in cui il pugnale aveva iniziato a scavare un solco per porre fine alla sua vita. Sentì un forte bruciore ma non se ne curò e seguì il taglio fin sopra il mento, sulle labbra, poi accanto alla narice destra e infine sullo zigomo poco sotto l'occhio dove finalmente si concludeva lo squarcio.

Doveva avere un aspetto terribile, era il simbolo della sua sofferenza, ogni millimetro di pelle tagliata rappresentava la voragine che si era ingrandita nel suo cuore nel momento in cui aveva deciso di abbandonare completamente la vecchia sé e uccidere Wayll.

Aveva definitivamente distrutto la sua maschera di perfezione, e quel taglio sul volto rappresentava tutta la sofferenza che provava dentro di sé, l'imperfezione che la rendeva realmente viva.

Quel giorno si era trasformata in un'assassina.

Aveva ucciso Wayll, sua madre, Nauìya, Zen, e chissà quante altre persone che al momento erano là fuori a soffrire a causa sua.

Gridò per la rabbia e la frustrazione, rompendo il silenzio della piccola stanzetta buia e lontana dal mondo esterno.

Non era quello che voleva, non voleva uccidere nessuno, voleva solo fare in modo che tutti si risvegliassero e capissero ciò che gli era stato tolto per tutto quel tempo. Invece, aveva causato solo un grande disastro.

Doveva tornare in città, doveva dire alle persone che cosa stava accadendo, doveva spiegargli in modo che avessero meno paura di quel cambiamento drastico. Prima avrebbe potuto usare il suo Cordiale, gli schermi a distanza, qualunque cosa, ma ormai era troppo tardi. Erano tutti dispositivi che funzionavano grazie all'esagonite, ma ora questa si stava lentamente dissolvendo, rendendo tutti quei meccanismi solo degli oggetti inutili.

Prima di agire non si era resa conto del grande cambiamento che stava causando al suo mondo, non si era resa conto del grande passo che aveva compiuto, non si era resa conto di tutte le conseguenze che le sue azioni avrebbero comportato.

Come poteva la città riprendere a funzionare, come poteva tornare ordine dopo che tutto si era complicato in quella maniera? Aretem andava avanti come un meccanismo perfetto, ma lei aveva tolto il pezzo fondamentale, la chiave di tutto, e ora le rimanevano solo ingranaggi inutilizzabili e di cui non conosceva neanche il funzionamento.

Aveva fatto un passo più lungo della gamba, chi avrebbe rimesso le cose a posto adesso? Chi avrebbe salvato Aretem dall'autodistruggersi? Chi avrebbe mai saputo creare qualcosa con quei resti malridotti e distrutti?

Forse sarebbe stato meglio lasciare che Wayll la uccidesse, il mondo avrebbe continuato a vivere beato nella sua ignoranza, le persone sarebbero morte spente e vuote e, generazione dopo generazione, la vita si sarebbe accorciata sempre di più fino a che non ci sarebbe più stato spazio per essa all'interno della cupola, fino a che tutti fossero diventati come gli alberi, fino a che il nero e il marcio che c'era sotto la superficie non fosse uscito allo scoperto lasciando soltanto morte dentro a quella cupola di perfezione.

Sarebbe stata una fine lenta e triste, le persone però non si sarebbero accorte di nulla, non si sarebbero rese conto della loro fine imminente fino a quando non sarebbe stato troppo tardi.

Forse era così che doveva andare, forse aveva sbagliato a credere di poter cambiare realmente qualcosa, forse aveva solo peggiorato la situazione.

Si era liberata, sarebbe potuta uscire e fuggire fuori dalla cupola e lasciare gli altri al loro destino, ma non poteva abbandonarli in tale maniera, aveva sentito il bisogno di aiutarli e aveva fatto tutto il possibile. Avrebbe ricompiuto le stesse scelte se ne avesse avuta di nuovo la possibilità. Malgrado la sofferenza, malgrado la morte, malgrado tutto, sentiva di aver fatto la cosa giusta.

Come poteva però la cittàriprendersi dopo un cambiamento del genere? Come poteva lei riprendersi, dopo tutto ciò che aveva perso, dopo tutto ciò cheaveva vissuto, dopo tutto ciò che aveva fatto?

Bene, un capitolo abbastanza disperato...

Prima che lo chiediate: sì, era necessario far morire Zen, non potevo farla vivere senza Louid, sarebbe stato troppo crudele...

Del resto... beh... la situazione è abbastanza complicata, Aaris è arrivata oltre tutte le sue previsioni e ora non sa più cosa fare. Togliere le maschere ha causato più danni di quanto avesse immaginato...

Non temete però, le cose andranno meglio, mancano ormai solo più due capitoli e l'epilogo e poi potrete fare un sospiro di sollievo😅 (No scherzo, l'ultimo capitolo finisce bene, davvero)

Bene, vi auguro un buon fine settimana, ci vediamo lunedì con il capitolo di Auleen!

NediFo

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