Friends and Pillows
Mi recai in camera mia e mi misi a studiare un po'.
Nonostante fosse il primo giorno, ero già sommersa di cose da imparare e fu devastante: studiai per ben quattro ore.
Dopo che ebbi finalmente finito, chiusi il mattone con cui studiavo; dopodiché, esausta, mi buttai sul letto e presi la "chiave del piacere", leggendone qualche capitolo.
Rimasi a divorarne le pagine per molto ma, ad un certo punto, stravolta dalla stanchezza, lasciai cadere il libro sulle gambe e, distrattamente, mi addormentai.
—Rosalie? Rose?—aprii gli occhi, vedendo John scuotermi il braccio.—Ben svegliata, bell'addormentata!
—Non chiamarmi così, non c'è stato nessun principe azzurro a svegliarmi.—ironizzai io, alzandomi dal cuscino.
—Oh, andiamo. In fondo non sarei così male come principe.—scoppiai a ridere, rifilandogli qualche offesa.—Smettila, ochetta.
—Ochetta io?—gli tirai un cuscino.
—Ti sei perfino dimenticata della cena, stupida!—fu allora che fu come fossi caduta in un burrone.
—Cazzo!—mi alzai e andai in cucina, seguita da John.
Aprii la credenza.—Dunque, abbiamo la pasta, quindi credo che un bel piatto di spaghetti non ce lo toglie nessuno. Poi avevo pensato al pollo, abbiamo ancora quello di ieri, dici che è buono?
—Beh, in fondo non l'abbiamo proprio aperto, quindi credo sia commestibile. Ti aiuto?
—Tu che dici?—gli risposi.
Così io mi occupai del pollo e del sugo di pomodoro, mentre lui cucinava gli spaghetti e, mentre l'acqua bolliva, apparecchiava.
Nel momento in cui scolammo la pasta, bussarono alla porta.
Andammo ad aprire io e John insieme.—Ciao!—rispondemmo in coro a mamma e a Sid.
—Ragazzi!—mamma si buttò letteralmente addosso John, e nel contempo Sid si degnò di darmi un bacio sulla fronte, mentre ridevamo.
Purtroppo dopo fu il mio turno: mia madre assalì anche me.—Rose! Com'è andato il primo giorno d'università?
—Eccetto il fatto che non sia stato il primissimo, abbastanza bene. Ora entrate.—li facemmo accomodare in cucina.
—Avete preparato da mangiare? Volevamo portarvi ad un ristorante.—guardai John, che mortificato cercava di scusarsi con lo sguardo, ma io lo stavo letteralmente fulminando.
Avevamo trascorso l'ultima mezz'ora a preparare qualcosa in fretta e furia praticamente per niente.
Cercai di non pensarci, e io e John facemmo sedere gli ospiti.
La cena andò più che bene. Raccontammo ai due tutto sulla prima giornata di scuola.
Se ne andarono verso le nove e mezza passate, così, dopo aver sparecchiato, ce ne andammo a dormire.
La mattina dopo ritornammo in facoltà.
Mi sedei nuovamente vicino Veronica, entusiasta del mio ritorno.
La giornata fu estenuante ma allo stesso tempo interessante e la mia sete di imparare fece sì che io rimanessi attenta per tutta la durata delle lezioni.
Quella mattina Roger era più preso a seguire ciò che dicevano i docenti che fissarmi, e questo ovviamente mi fece molto piacere.
Terminate le lezioni, mentre ci avviavamo all'uscita, Veronica mi fermò:—Senti, Rose. Ti va di pranzare insieme? Magari ci andiamo anche a fare un giro nei negozi.
Pensai che fosse una magnifica idea, inoltre credevo che John mi avrebbe lasciata sicuramente andare.—Okay, aspettami fuori il cancello, vado ad avvisare mio fratello.
Così mi avviai dove avevamo lasciato la macchina e fortunatamente John era già arrivato, così non avrei dovuto far aspettare molto Veronica.
—Ciao, John. –lo salutai.
—Ciao, Rose. Andiamo?—disse, aprendomi cordialmente lo sportello.
—Johnny, una mia amica mi ha invitata a pranzare insieme, ti dispiace tornare a casa da solo?—gli dissi.
—No, non preoccuparti, a che ora ci vediamo?—fortunatamente non aveva nulla in contrario alla mia uscita.
—Mh, credo di tornare a casa per le cinque. Ci vediamo più tardi.
—Okay, sorellina.—e tornai da Veronica.
Pranzammo in un ristorante italiano poco distante dal college.
Ordinammo entrambe due pizze.—Allora, come ti trovi qui a Londra?—mi chiese, avviando la conversazione.
—Oh, la amo! Sì, l'ho già visitata tante volte, ma non avrei mai creduto che abitarci sarebbe stato così favoloso.—le risposi.
—Mi fa piacere. Che peccato che non abbiamo invitato tuo fratello. Poverino, l'hai completamente abbandonato!
—Non credo che si sarebbe divertito molto inseguendo due ragazze per i negozi, non trovi?
Scoppiammo entrambe a ridere—In effetti è vero. Comunque, un giorno me lo dovrai presentare. Sai, tu sei davvero una persona simpatica, figuriamoci tuo fratello.—intanto era arrivata l'ordinazione, servitaci da una cameriera bionda e formosa, che non aveva molta voglia di lavorare.
—Le pizze?—chiese, reggendo due pizze identiche.
—A noi, grazie.—rispose cordialmente Veronica.
—Ma è scema o cosa? Siamo solo noi, di chi vuoi che siano?—le bisbigliai quando la cameriera se ne andò.
—Ci devi fare l'abitudine. Comunque, mi stavi parlando di John.
—Anche lui è molto simpatico, ma a differenza mia è molto più introverso. Diciamo che non siamo molto uguali.
—Sarà, ad ogni modo dopo andiamo a Piccadilly. Voglio portarti in un posto fantastico, ci sono tantissimi vestiti e oggetti per la casa.—non trovai un collegamento logico tra i due tipi di merce, ma capii subito che doveva essere un negozio importante.
—Non vedo l'ora. Senti, tu che sai più di me, potresti parlarmi di Roger?—le chiesi. Dovevo capire chi era questo ragazzo che si era un tantino fissato con me. L'incontro di ieri, difatti, mi aveva completamente scombussolata.
—Guarda, non vale la pena stare con lui. Come ti ho già detto, è uno sciupa femmine di prima categoria. Oggi è con una, domani con un'altra, in più credo si sia portato a letto la maggioranza delle nostre compagne di corso. Te lo consiglio vivamente di tenerti alla larga da lui. Sarà anche bello, ma ti tradirebbe in meno di cinque minuti.
—Non mi metterò con lui neanche sotto tortura, è solo che ieri al parcheggio ci siamo incontrati...—e le raccontai tutto ciò che successe il giorno precedente.
Dopo alcuni secondi di riflessione, Veronica mi rispose:—Mi sa che gli piaci, ma non credo sia un amore quello che prova per te, perciò dimenticatelo all'istante.—con quest'ultimo mi convinse.
—Hai ragione. Ora basta parlare di Roger Taylor, parlami di te. Sei fidanzata?—lei rise.
—Pff, no! Purtroppo non ho ancora trovato nessuno. E tu, invece?
—Non credo che in una settimana abbia avuto il tempo di pensare ai ragazzi.
Chiacchierammo per altri venti minuti, dopodiché andammo a pagare.
Ci dividemmo il conto, così non avremmo dovuto discutere su chi avrebbe dovuto pagare, e uscimmo dal ristorante.
—Prendiamo la metropolitana. L'autobus è superaffollato.—così scendemmo nella metropolitana.
Mi pagai il biglietto, visto che non usavo mai la metropolitana.
Nel treno il viaggio fu abbastanza lungo, anche perché dovemmo salire e scendere più volte da un treno a un altro.
Finalmente giungemmo a Piccadilly.
Lei mi fece strada e dopo cinque minuti ci trovammo di fronte ad un negozio davvero molto grande.
—Dunque, al piano terra c'è l'abbigliamento donna, al primo quello per uomo e al secondo oggetti per la casa, ma credo che questi due non ci serviranno.—mi venne in mente però qualcosa che avevo assolutamente bisogno.
—Io in realtà dovrei andare al secondo piano, devo comprare un cuscino.—Veronica spalancò gli occhi.
—Un cuscino?
—Sì. Quello che ho adesso è scomodissimo, è come dormire sulla paglia, ne avrei bisogno di uno più duro.—Sid aveva pensato a me per tutto, tranne per il cuscino.
Era John quello che amava dormire sui cuscini morbidi, io preferivo di gran lunga quelli duri.
—Ok. Che ne dici se prima diamo un'occhiata qui?—annuii.
In quel negozio c'erano davvero bei vestiti.
Scelsi un jeans nero a zampa d'elefante e un gilet sempre di jeans dello stesso colore.
Veronica scrutava tutta la merce come se la conoscesse a memoria.—Trovato niente?—le chiesi.
—Nah, tutta roba già vista. Tu? Preso qualcosa?—le mostrai i due capi che avevo tra le mani.—Carini. Vai a pagarli?
—Dovevo prendere anche il cuscino.—le ricordai.
—Dai a me i soldi, vado a pagare questi. Sopra c'è un'altra cassa.—così le diedi i vestiti.
—Sei sicura?—non volevo disturbarla.
—Ma sì, non preoccuparti. Ci vediamo dopo.
Così salii al secondo piano-anche quello immenso come quello terra-e trovai un cuscino abbastanza duro.
Lo andai a pagare e tornai giù.
Veronica era già uscita dal negozio, perché era fuori che agitava la mano.
Corsi da lei.—Credo che mio fratello mi ucciderà.—le dissi, mentre mettevo la busta di carta dei vestiti in quella del cuscino.
—Perché?
—Perché se ora viene a sapere che ho speso tutta questa roba non mi fa mangiare per una settimana.—ridemmo entrambi, ma non stavo scherzando.
Mi ricordai che una volta avevo speso talmente tanto che per punizione si tenne metà della mia spesa nel suo armadio per evitare che la mettessi.—Sì, mio fratello è pazzo. Cosa devo farci?—lei rise ancora più forte.
—Senti, vuoi che ti accompagni fino a casa?—mi chiese.
Guardai l'orologio, che segnava le cinque meno un quarto.—No, scendiamo in metropolitana insieme, poi ci dividiamo.—mi ricordai che lei abitava lontano da Chelsea.
—Va bene. Dai, andiamo.
Così scendemmo in metropolitana insieme e ci dividemmo.
—E' stato davvero un bel pomeriggio, sarebbe bello rifarlo.—commentai.
—Hai ragione. Grazie per avermi tenuto compagnia, ci vediamo domani.—mi diede un bacio sulla guancia e si dileguò.
—Ciao!
Tornai a casa alle cinque e cinque.
Bussai alla porta e mi venne ad aprire ovviamenteJohn.—Ah, eccoti qui. Entra, voglio mostrarti una cosa, anzi, parecchie cose.
Fortunatamente era allegro. Guardò a terra e vide la busta che tenevo in mano.—Abbiamo fatto acquisti, eh?—io gli sorrisi imbarazzata.
—No, avevo bisogno di un cuscino decente. Comunque, cos'è che volevi farmi vedere?
—Oh, nulla. È che anche io ho fatto acquisti, vieni in cucina.
Sul tavolo della cucina c'erano quattro dischi:"Let it Be" dei Beatles, "Let's Be Friends" di Elvis, "Signed, Sealed, and Dilevered" e"Heaven Help Us All" di Stevie Wonder.
—Oddio! Dove cazzo hai trovato un negozio di dischi?—dissi, mentre esaminavo "Let it Be".
—Mentre tornavo a casa ho visto la vetrina. Non è molto lontano. È a qualche isolato più lontano dalla scuola.—rispose John.
—Buono a sapersi. Grazie!—gli diedi un bacio sulla guancia e corsi in salotto per mettere su l'album dei Beatles che mi mancava.
Partì subito "Two of Us" e mi sedetti sul divano.
Subito mi raggiunse John, che si mise accanto a me.
—Io non so cosa ci troviate voi ragazze nei Beatles, anche ora che si sono sciolti. Sono bravi, ma...
Non gli diedi il tempo di finire che gli urlai.—Come osi? Ci sarà una ragione se la fottuta regina d'Inghilterra li abbia nominati baronetti. E poi tengo ad alcune loro vecchie canzoni in particolare perché mi ricordano la mia infanzia.
—Beh, diciamo che se evitassero di proporre ogni giorno alla radio un nuovo singolo, sarebbe meglio.
Sbuffai.—Si può sapere che hai contro di loro? Io non dico mai niente su Stevie Wonder, per cui cerca di fare lo stesso con me e con i Fab Four.
—Va bene, provo a smetterla.—si arrese,—Comunque devo riparare l'amplificatore, credo abbia dei problemi quando attacco la chitarra.
John aveva costruito da solo un amplificatore: regalava alla chitarra e al basso un suono e un'amplificazione diversi dai comuni amplificatori reperibili in giro, per questo era formidabile.
—Vacci ora.—gli proposi.
—Mh, bella idea. Vado nel mio covo, ci vediamo dopo e non ti addormentare.—si alzò.
—Non lo farò. A più tardi, divertiti a simulare uno scienziato pazzo!
Rimasi ad ascoltare tutto l'album- che in quel momento considerai essere uno dei migliori del quartetto-, poi andai a scaricare tutte le tensioni sul rullante e sui tom.
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