First Day
Una settimana dopo, John ed io affrontammo il nostro primo giorno d'università.
Quella mattina, come al solito da quando c'eravamo trasferiti a Londra, fu John a svegliarmi.
Bussò alla porta chiusa della stanza e vi entrò:—Sveglia, dormigliona! Oggi si comincia!—presi il cuscino sotto la mia testa e glielo lanciai, mancandolo.
—Ah, sì?—me lo ritirò, facendo centro sulla mia faccia.
Mi alzai e aprii l'armadio.—Vai a prepararti.—dissi, prendendo una t-shirt a lunghe maniche bianca e un pantalone nero.
—Ma non lo vedi che sono già vestito?—disse, mentre venivo nella sua direzione per andare in bagno.
—Beh, prepara la colazione, renditi utile!
—Già fatto!—sentii dalla porta chiusa del bagno.
Mentre mi vestivo stavo letteralmente morendo d'ansia. Poteva non sembrare, anche perché di solito sono tranquilla, ma già da piccola il primo giorno di scuola ero sempre in agitazione.
E se non fossi piaciuta? Se sarei stata una frana nello studio?
Tutto dipendeva da me.
Uscii dal bagno pronta e andai in cucina, dove vidi seduto John intento a versare del tè in due tazzine.—Ho fatto il tè perché ho pensato che con un solo goccio di caffè saresti morta di infarto.—disse, vedendomi arrivare e sedere al tavolo.
—No, tu hai fatto il tè perché è la tua bevanda preferita, di' la verità!—lo minacciai con un coltello che stavo usando per spalmare la Nutella su una fetta di pane.
—Ringrazia che non sia la Vodka. Di' tu la verità, sei emozionata?—sospirai.
—E allora? Chi non è emozionato il primo giorno in una nuova università?—gli risposi, sorseggiando il tè, che mi si rovesciò un po' sui pantaloni a furia di tremare.—Cazzo!—John mi diede un fazzolettino che tamponai sulla gamba.
—Rilassati, andrà tutto bene.—sgranai gli occhi.
—Ma se eri tu quello che continuava ad assillarmi con frasi tipo "non ce la faremo mai" o "siamo spacciati!"—John continuò a sorseggiare dalla tazza diffidente.
—Ora sta' zitta o fai rovesciare anche a me il tè.—fu la sua risposta.
Continuammo la colazione e poi ci mettemmo in macchina, anche se era praticamente inutile, ma quel giorno c'era un bel po' di traffico.
Più ci avvicinavamo alla tappa e più non riuscivo a controllare la mia ansia, talmente che mi tremavano le mani in un modo terribile.
John mi sembrava abbastanza tranquillo, e questa cosa mi preoccupava molto.
Cinque minuti dopo arrivammo finalmente a destinazione.
Indicai a John un luogo dove parcheggiare la macchina, ricordandomi di quella specie di tour che avevo fatto con quel ragazzo di nome Brian.
A proposito, mi chiedevo in continuazione se lo avrei rivisto.
John parcheggiò ed entrambi scendemmo dall'autovettura.
—Allora, tu devi andare in quell'edificio bianco, lo vedi?—gli indicai con il dito dove sarebbe dovuto andare.
—Ok, ricevuto. Tu sai dove andare?—annuii.
—Sì, non preoccuparti per me. Ci vediamo all'uscita.—ed entrambi andammo per la nostra strada.
Io dovevo andare in un posto non molto lontano da dove avevamo parcheggiato. In base a ciò che ci avevano detto, la mia aula era la C5 del terzo piano del mio edificio.
Mi avviai a passo svelto, ma sentivo che prima o poi sarei svenuta.
Nonostante tutto, arrivai all'aula e vidi che un ragazzo prima di me stava entrando, almeno non avevo fatto ritardo.
Tanti ragazzi si sedevano al loro posto. Cercai un posto vuoto, finché non ne vidi uno qualche gradino più alto vicino a una ragazza mora dai capelli lunghi e mossi.
Mi avvicinai vicino a lei, che intenta a scrivere qualcosa sul suo quaderno.—Scusa. È occupato qui?—le chiesi. Lei alzò immediatamente la testa e mi sorrise.
—No, non preoccupati. Prego, siediti.—feci come aveva detto.—Ciao, mi chiamo Veronica Tetzlaf, tu sei...?—disse, porgendomi la mano.
—Rosalie Deacon, ma tu puoi chiamarmi Rose, non sopporto Rosalie. Sono nuova, mi sono trasferita qui a Londra da poco.—dissi io.
—Invece io trovo il tuo nome molto bello. Comunque puoi rimanere qui quanto vuoi.
Mi considerai molto fortunata: mi ero seduta vicino ad una persona gentile e socievole.
Le lezioni cominciarono. Ovviamente mi dovei presentare a tutti i santissimi professori. Spiegare la pronuncia del cognome ai docenti è una delle cose più angoscianti e stressanti che esistano al mondo.
—Signorina Deacan?
—Deacon.—rispondevo scocciata ogni santa volta.
A metà giornata scolastica, all'uscita di un insegnante, mi guardai un po' intorno.
Lo stanzone era veramente enorme e gigantesco.
Continuavo a buttare un occhio un po' dappertutto, finché non notai un ragazzo dai capelli biondi che mi fissava.
Solo pochi secondi dopo mi resi conto che era quell'amico di Brian, quello che mi guardava nello stesso identico modo.
—Chi è quel ragazzo?—chiesi a Veronica, dandogli una leggera gomitata sul braccio.
Lei alzò la testa e decifrò il mio sguardo.—Chi, quel biondo? Quello è Roger Taylor. Viene da Truro, Cornovaglia. Fa parte di una band molto famosa tra i vari college di Londra ed è batterista. È uno sciupa femmine di prima categoria.—anche lei notò che mi fissava: allora non era mia impressione.
—Wow, ti ha messo su gli occhi. Ti do un consiglio, non averci niente a che fare, è abbastanza maschilista.
—mi guardò negli occhi, come stesse dicendo sul serio, e infatti diceva sul serio.
—Ci siamo visti una volta, abbiamo un amico in comune, tutto qui.—gli spiegai. Dopo mi sembrò più tranquilla.
Inutile dire che non vedevo l'ora che fosse finita la giornata.
All'ultima ora uscii dall'aula insieme a Veronica.—Tu dove abiti?—le chiesi.
Lei si mise a ridere.—Io sto in un dormitorio a Earl's Court.—mi spiegò.
—Un po' lontanuccio, no?—dissi.
—Com'è, ti sei trasferita da poco e già conosci Londra?
—No, io vengo da Dublino ma ci venivo spesso qui a Londra—le spiegai, a differenza di quello che dissi a Brian, tutto.
Della morte di mio padre, del trasferimento deciso da mia madre, del suo matrimonio con Sid e gli parlai anche di mio fratello.
—Quindi tuo fratello frequenta l'Imperial?—io annuii.
—Corso di tecnologia.—gli spiegai.
—Senti, io devo andare alla metropolitana.
—Ti accompagno fino a dove ho la macchina.—lei rimase sorpresa.
—Avete anche una macchina?!—urlò, stupita.
—In realtà guida mio fratello, lui è senz'altro più bravo di me.
Raggiungemmo l'auto, che era a qualche decina di metri prima dell'entrata.—Sono arrivata, mi stupisco che mio fratello ancora non ci sia. Senti, ci sentiamo domani?—lei annuì.
—Okay, io vado. Ciao!—mi diede un bacio sulla guancia e iniziò a correre verso il cancello.
Era strano che John non fosse ancora arrivato, purtroppo le chiavi dell'auto le aveva lui, per cui non potevo nemmeno aspettare dentro.
Mi isolai al mondo guardando a terra, quando una figura mi comparve davanti, ma non era mio fratello.
—Ciao!
Alzai la testa e vidi Roger Taylor di fronte a me.
—Tu sei quella nuova, vero? Rosalìe?—portava un jeans quasi completamente strappato e una maglia a mezze maniche nera con una spaccatura a V.
—Rosalie, ti aggiungi anche tu ai professori?—lo corressi io.—Tu invece sei il famoso Roger Taylor?—lui annuì.
—Sì, molto famoso. Al tuo servizio, madame.—ci stringemmo la mano.
Notai i suoi occhi azzurri che guardavano intensamente i miei occhi verdi.
Perché tutte quelle attenzioni?
—Saremo compagni universitari, allora?—tagliai corto.
—Mh, Sì.—si grattò il capo ornato dai suoi capelli biondo arancio e tornò a guardarmi.—E perché no, anche qualcosa di più.—spalancai gli occhi un po' troppo, perché gli scappò una risata.
—Intendevo essere amici, cosa hai capito?—
Mi stava ancora stringendo la mano quando il suo sguardo cadde sulla macchina.—E' tua?—cominciò ad accarezzarne delicatamente la portiera.
—Sì.—dissi a braccia conserte mentre continuava ad osservare l'esterno del veicolo.—Sembra che non abbia mai visto un'auto.—mi scappò una risatina.
—Forse perché non posso ancora permetterlo.—Tornò a riguardarmi intensamente, stavolta ancora più da vicino.
—E' davvero bella. Una ragazza così carina e dolce non dovrebbe guidare un' auto del genere.—a quelle parole rimasi un po' spiazzata.
—Qual è il problema se la guida una donna? E si dà il caso che io non sia poi così tanto dolce.—lui a quelle parole rise.
—Cosa saresti allora? Una Bad Girl?—rise.
—Sei anche simpatica, perché non lasci la guida ad un esperto?—disse maliziosamente.
—Mi dispiace, ma non mi fido subito delle persone, specie da uno che non sta facendo altro che prendermi per il culo.—risposi sfacciatamente.
Lui si avvicinò ancor di più a me.—Non ti stavo prendendo per il culo. E vacci piano con i termini, tesoro. E poi non sai che io sono un esperto di vetture... —si avvicinò a me come se volesse rivelarmi un segreto.—e ragazze come te.—io inarcai un sopracciglio.
—E meno male che non hai una macchina. Credo di essere spacciata, allora. Sono una ragazza e ho un'autovettura. –dissi, in finto tono drammatico.
—Io non userei proprio il termine "spacciata", Deacon.—rispose, strizzandomi l'occhio e allontanandosi leggermente da me.
—Quale dovrei usare, fottuta?—risposi nuovamente decisa.
—Oh, stai sicura che non ti deluderò, "Rosalie". Ci si vede—quindi, mi diede le spalle.
Continuava a guardarmi, girandosi ogni tanto, e decisi di ignorarlo, anche se vederlo andarsene mi sentii decisamente più sollevata.
Che ragazzo decisamente strano.
Uno solo era il mio obiettivo dopo quell'incontro: non avrei avuto niente a che fare con Roger Taylor, altro che amici.
Rimasi senza far niente per altri buoni cinque minuti, finchè non vidi arrivare John.—Alla buon'ora.—gli urlai, mentre cercava le chiavi della macchina.
—Scusa, ho avuto dei problemi, tutto bene?—mi diede un bacio sulla guancia. Almeno era di buon umore.
—A me sì, credo non ci sia il bisogno di chiederlo a te.—dissi, mentre entravamo in macchina.
—Oh, infatti è andata bene.—mi rispose mentre avviava il motore.—Ho una fame che non ci vedo.
Mi misi una mano sulla testa.—E il tuo problema in questo momento è il cibo?—lui annuì.
—Concentrarsi tanto nello studio fa venire fame. Si vede che tu non hai fatto nulla.—disse, nel bel mezzo del traffico.
—Chi ha detto che non ho fame? Comunque credo che preparerò un paio di uova, oppure hai bisogno di altre calorie?—scherzai.
—Wow, e io che credevo che avresti preparato un bel pollo arrosto.—mi rispose.
—Smettila di fare il coglione. Dimmi un po', hai conosciuto qualcuno o qualcuna?—gli diedi una gomitata.
—Beh, ho conosciuto qualcuno, mi ci sono seduto vicino, ma non è che ci abbia parlato molto. Tu, invece?
—Io ho legato molto con la mia vicina, si chiama Veronica.—per un momento pensai a Roger, ma decisi che era meglio non raccontargli di lui.—Abita ad Earl's Court. Sai dov'è, vero?—lui annuì.
—Sono contenta per te.—fu la sua unica sua risposta.
Entrammo in macchina. Questa volta il tragitto fu veramente breve.
Entrammo in casa e John andò in bagno. Io mi avviai in cucina per farci qualcosa.
Decisi di preparare delle semplici uova sbattute e insalata.
Il tempo di agitare le uova in padella che John ritornò.
—Sai, sei così sexy quando sbatti le uova, sorellina.—mi prese in giro.
Mi girai verso di lui e gli diedi la frusta che avevo in mano sul braccio.
—Sai, a volte mi chiedo se sia realmente mio fratello. Se diciannove anni fa non ci abbiano scambiato la culla, se tu fossi il figlio di due squilibrati. Chissà, magari avrei potuto avere un fratello più intelligente.—scherzai a mia volta.
—E se fosse il contrario?—chiese, mentre mi si avvicinava.
—Probabilmente sarei nata da una famiglia di intellettuali.—ci guardammo e non trattenemmo una risata.
—Tu un'intellettuale? E io chi sono? Einstein?
—Idiota, invece di scherzare apparecchia!—gli diedi un calcio sulla gamba e prese una tovaglia dalla credenza, stendendola.
Lo aiutai a sistemare il resto sul tavolo e poi cominciammo a mangiare.
—Mi è venuta voglia di andare in un negozio di dischi.—mi disse John, mentre aveva la bocca piena di uova.
—Anche a me. Purtroppo fino ad ora non ne ho visto nemmeno uno. Tu non ricordi se, quando venivamo in vacanza qui a Londra, ne abbiamo mai visto uno?—gli chiesi. Anche io avevo voglia di vedere le novità del mondo musicale.
—Uff. Io ora non so proprio che fare.—disse, reggendosi la testa con il palmo della mano.
—Ti metti a studiare qualcosa.—lo rimproverai come faceva nostra mamma e, non so come, capì che stavo imitando lei. Non volevo ammetterlo, ma è mio fratello.
—A proposito, stasera viene a cena da noi.—John si infilò un altro boccone in bocca.
—Chi?—stavo pregando tutti i santi dell'universo che non fosse lei.
—Mamma, che domande. Stamattina ha telefonato qui mentre tu ancora sonnecchiavi beatamente.— spiegò.
Mi misi le mani sulla faccia.—Che palle! E che cosa dovrei preparare?—lui rise, come se la cosa non angosciasse anche lui.
—Beh, tu sei Rosalie Deacon, figlia di due intellettuali, ti verrà prima o poi l'ispirazione!
—Bravo, sì. Intanto sparecchi tu!—dissi alzandomi e dirigendomi in camera mia.
—Vaffanculo, Rose!—sentii dalla cucina.
Eccomi qui!!
Oggi giornata libera!
Ho avuto tempo per fare tante cose, incluso correggere quest'altro capitolo.
So wonderful!
So benissimo che Deaks non ha mai frequentato l'Imperial (come Roger, del resto), ma questa rimane comunque una storia di pura fantasia.
I nostri due eroi hanno studiato rispettivamente al Chelsea College e al London Hospital Medical College (no, Roger. Fare il medico non fa per te...).
I don't know what else to say. Ci si vede presto!! ;)
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