Side B
Non è che di punto in bianco fosse nata un'amicizia con Simone, piuttosto ci trovammo piano piano a gravitare uno attorno all'altro senza però dare a vedere che entrambi volessimo farlo.
Lui si limitava a punzecchiarmi a modo suo, bonariamente, passava dal negozio e si intratteneva lì solo per darmi il tormento.
Ora sconsigliava il mio lavoro a chi domandava playlist romantiche – no, con quelle non è capace, lascia perdere, fidati! – ora gongolava se Rossana faceva notare l'incremento di vendite da quando avevo adottato il nuovo nome.
Ma comm t'è venut Manue'? Tu c'hai un cervellone, aggia semp ritt! e io le davo corda, mi inventavo un colpo di genio improvviso, noi artisti siamo fatti così, che posso dirti.
Simone allora sollevava la testa dai vinili su cui era concentrato e partiva con un coro di pernacchie, a' cazzaro, Rossana non gli creda!, diceva, è grazie a me se fa ancora sto mestiere, altroché, ma subito dopo chiariva che scherzava, le faceva un occhiolino e quella gli mandava baci da dietro il bancone.
Ogni tanto poi mi chiedeva una compilation, mi parlava di questo o quel ragazzo a cui dedicarla, ne descriveva i gusti per aiutarmi a capire, voleva qualcosa che lasciasse senza parole, così chiedeva.
A me tutte le volte pareva di prendere una cannonata dritta in petto, cercavo di ignorare la sensazione e non per una qualche forma di orgoglio dietro cui nascondermi: ero geloso marcio e pure perfettamente consapevole, però finiva lì.
Il coraggio di ammettere quello che volevo non lo trovavo nemmeno chiuso nella solitudine della mia camera e non sarebbe stato giusto, nell'attesa che si palesasse, importunare Simone col rischio di ferirlo.
Ciò comunque non significava nemmeno che mi ero messo a fare il cupido della situazione, sia chiaro.
Le cassette le lasciavo pronte nelle mani di Chicca o Matteo, offrendo, come a tutti i clienti, l'ascolto prima della vendita.
Simone sentiva alcune canzoni, annuiva da sotto le cuffie, questa va benissimo, poi la metteva sul bancone e aspettava che Rossana la battesse in cassa.
Io arrivavo in tempo per sorridergli, chiedevo come da rito se fosse tutto apposto e, con un talento acquisito in giovane età e mai dimenticato, invertivo il nastro con qualche porcheria piena di brutta musica che avevo montato per fargli dispetto.
Proprio come gli avventori del porto a cui sfilavo sigarette, Simone non se ne accorgeva mai prima che fosse tardi, prima che da uno di quei tipi fosse già andato tutto speranzoso, salvo tornare da me per dirmi "Manuel, ho risentito la cassetta, ma che è successo? Quando l'ho presa era diversa!"
Non aveva perso la pazienza come la prima volta, magari era annoiato, talvolta persino incerto se farmelo presente o meno – quasi che preferisse mettere in dubbio la propria capacità uditiva che non il mio lavoro – altre sembrava addirittura divertito.
Io mi scusavo lo stesso, non so come sia potuto capitare, giuravo, gli regalavo vinili appena usciti di artisti che ricordavo apprezzasse, togliendomi il costo dallo stipendio e schivando gli sguardi indagatori di Rossana, o peggio Chicca e Matteo.
Andammo avanti così per un po' e gli altri me lo dicevano spesso che prima o poi dovevo finirla di giocare, fare i conti con me stesso.
Tentavo di sfuggire a quella paternale, la buttavo sul ridere, ripetevo battute vacue che avrebbero dovuto deviare il discorso, ma che su di loro non sortivano effetti.
Ad un certo punto se ne venne con una richiesta precisa, accennò ad un ragazzo con cui andava in classe, ma fu diverso dal modo adoperato in precedenza, aveva gli occhi a cuore quando ne parlava e "deve essere una playlist fatta bene Manu, lui è importantissimo per me", chiarì.
Gliela feci accecato dalla rabbia, maledissi questo tipo dal primo all'ultimo secondo di lavoro, mi superai nell'astio e dentro la compilation inserii Cornutone degli Squallor, presa direttamente dalle classifiche partenopee tanto care alla mia titolare, e pure Cervo a primavera di Cocciante appena entrata in hit parade.
Volevo lanciare un messaggio palese.
Simone come al solito non si accorse di niente, trotterellò via dal negozio tutto contento, un po' mi sentii in colpa, ma non abbastanza per fermarlo e dirgli del misfatto.
Riapparse circa due ore dopo, un ragazzo stralunato al seguito e la stessa rabbia feroce che aveva avuto nel nostro primo incontro.
Ignorò i clienti che aspettavano il turno, scavallò chiunque, pure Rossana che si spaventava, maronn e che è succiess? Simo' chi è stat? Manuele? Non ti pigliare collera, ja, quello fa gli scherzi, o' ssaje com'è fatto!
A Simone di come fossi fatto io importò ben poco sul momento, scaraventò la cassettina sul bancone e mi prese dalla maglietta, tirandomi in avanti con una forza che nemmeno sapevo avesse per scuotermi come un pupazzo.
"Ma ti diverti a fare così? Cos'è per te questo? Un gioco, un passatempo?"
Misi su la migliore espressione di stupore che riuscii a fare, accennai pure un sorriso innocente, non so di che parli, dissi.
Per un lungo secondo temetti mi avrebbe dato una testata, glielo lessi negli occhi il desiderio di deviarmi il setto nasale, poi però si fece indietro, mi lasciò gli abiti e si rivolse al suo accompagnatore, il tono improvvisamente dolce, comprensivo che trovai insopportabile.
"Lo vuoi dire tu cos'è successo?"
Quello annuì, ma pareva più spaventato di me e tutti i clienti messi insieme.
Prima di mettersi a raccontare, mi porse la mano e con una ritualità e un garbo quasi ridicoli per il frangente "io sono Giulio" si presentò.
Disse poi che era un mio ammiratore, anche se non mi aveva mai visto, sapeva tanto di me, a Roma ormai sei un nome importante, non c'è nessuno che non abbia una tua cassetta e che pure a scuola da loro, soprattutto le ragazze, erano fissate con le mie playlist.
Io non ci stavo capendo nulla, ma chi era questo? Che voleva da me?
Glielo chiesi, fui diretto, non usai le sue formule pompose, non ne avevo mai sapute.
Lui sembrò ricordarsi solo allora del perché fosse lì, si scusò per lo sproloquio, "mi piace una mia compagna di classe e volevo regalarle una compilation delle tue... lei ti adora."
Ah.
Avvertii subito la vergogna e il senso di colpa mangiarmi da dentro come dei parassiti, divenni timido, borbottai parole confuse, parlai di un errore assurdo, mai successo prima, ma in fondo mi sentii pure rasserenato.
Non era qui per Simone questo tipo, non era venuto per portarmelo via.
Di colpo lo trovai simpatico, gli diedi la cassetta giusta, quella con i brani d'amore richiesti, ci mettemmo anche a chiacchierare un po', mi scusai ancora, risi esageratamente alle sue battute, volevo stargli simpatico, speravo che uscito dal negozio dicesse all'amico che bravo quel Manuel! Dovresti passare più tempo con lui, uscirci insieme, innamorartene alla follia!
Insistetti per regalargli pure il disco nuovo dei Simply Red, "se non piace a te, piacerà sicuro a lei", dissi e Giulio se ne andò contento, lasciandomi con un Simone ammutolito, forse ancora arrabbiato.
Non sapevo bene cosa dire, temevo volesse parlare mentre non potevo dargli retta, avevo ancora dei clienti a cui prestare attenzione.
Lui però rimase tranquillo nel negozio, senza dire una parola si sistemò nel solito angolino dedicato alle nuove uscite e attese che finissi il mio turno.
A chiusura si avvicinò, propose di fare due passi nei dintorni, "magari poi ti accompagno a casa visto che sono in vespa?", feci segno di si con la testa, non ci stavo capendo granché.
Pensai che mi avrebbe tempestato di domande, perché hai fatto questo, perché quest'altro, invece come sempre mi sorprese.
Partì alla lontana, ma in qualche modo cominciò a raccontarmi di lui, della sua infanzia, i genitori separati, la difficoltà nel farlo – che di sti tempi è ancora un tabù – e nell'affrontarlo, ancora gli anni a casa con la nonna, il rapporto all'inizio travagliato con il padre, professore di filosofia, di cui continuava a dire io sarei stato l'alunno prediletto, la prima fidanzatina, il malessere ogni volta che doveva anche solo passarle un braccio attorno alle spalle, la presa di coscienza della propria omosessualità, qualche coglione che lo offendeva a scuola, la fortuna di una famiglia e di amici che lo amavano incondizionatamente.
Lo ascoltai assorto, le parole mi travolsero come onde leggere, mi vidi al suo posto, cosa avrebbe detto mamma di me? E Chicca, Matteo, Rossana? Mi guardai bene dal pensare a mio padre, era una cosa che avevo disimparato a fare.
Simone forse capì che stavo facendo un viaggio tutto mio, si azzittì, ma me ne accorsi solo dopo un po'.
Non sapevo in che modo uscirmene, chiesi allora perché avesse voluto raccontarmi tutte quelle cose e mi imbarazzai per la mia evidente inadeguatezza.
"Perché mi fido di te Manuel" disse come fosse la cosa più semplice del mondo.
Una volta in moto guidò pianissimo, ma volle comunque che mi stringessi a lui e prima di andare "quando ti va" sussurrò "puoi raccontarmi pure tu qualcosa di te."
Corse via prima che potessi replicare.
*
Poche settimane dopo caddi in una crisi nera non preventivata.
I miei diciott'anni erano alle porte, non mi aspettavo nulla e invece ricevetti una festa a sorpresa che mi scaldò il cuore.
La giornata mi volò sopra la testa in velocità: una tavola colorata, dei palloncini appesi al muro da Chicca e Matteo, una tortina al cioccolato da un imbarazzato Simone il quale conquistò il cuore di mia madre in tempo record, e infine un mixer della Pioneer su cui piansi di gioia, regalato dallo sforzo collettivo di tutti quanti, Rossana in primis.
Fui contento, di una felicità così totalizzante che mi prevaricò, mi indusse a pensare che fosse tutto bellissimo, certo, ma che sicuro c'era anche un inganno, qualcosa che sarebbe dovuto andare giù prima che io me ne rendessi conto e la sensazione si mantenne anche nei giorni successivi.
Mamma ci impiegò un po' di tempo a fugare i miei dubbi e, quando lo fece, si pose come se avessi dieci anni e di nuovo dovesse inventare parole nuove per non turbarmi.
Mi sentii tradito, avevamo un accordo tacito noi: io non chiedevo di alcuni argomenti e lei non diceva, invece quella volta non fu così.
"Ora sei grande, certe cose le devi sapere", attestò, era evidente che fosse dispiaciuta.
Disse che papà stava ancora in carcere, non più nello stesso posto degli inizi perché pure là dentro aveva fatto danni, mi parlò di accordi strani, brutti giri, usò termini tecnici – la sua posizione si è aggravata, aumentati i capi di imputazione, indubbi legami con la malavita – capii che si era confrontata con qualcuno che ne sapeva più di lei.
Disse pure che essendo ormai maggiorenne potevo decidere io cosa fare, se volevo vederlo o continuare come avevamo sempre fatto, che se avesse potuto non mi avrebbe raccontato nulla, non mi avrebbe mai messo un'angoscia del genere addosso, io ti volevo dare solo cose belle, giurò.
Mi chiesi allora per quanto tempo avesse tenuto tali informazioni per sé, per quanto tempo si fosse stretta quel dolore come un cappio senza esternarlo con nessuno.
La abbracciai mentre ancora si scusava, le promisi che andava tutto bene, "noi facciamo la nostra vita come sempre, per me non cambia proprio nulla."
Volevo sembrare quell'adulto che tanto le sarebbe servito avere accanto, però poi mi agitai, piansi sulla sua spalla.
Lei non si fece impressionare, passa tutto, mi consolò, adesso passa tutto amore di mamma.
*
Con quei pensieri in testa mi ritrovai carico di un nervosismo del quale non riuscivo a scorgere la fine.
Me lo faceva notare pure Simone, perché hai sto muso lungo, Manu? me lo fai un sorriso?, e cominciava a tormentarmi in modo diverso, sembrava non volesse lasciarmi mai solo.
Seguiva le mie attività con attenzione, a volte chiedeva se mi sarei mai deciso a fargli una playlist come si deve, altre si metteva seduto sul bancone senza fare nulla, sebbene lo rimproverassi che non poteva stare lì, Rossana invece ha detto che posso, replicava impettito e io mi arrendevo, me lo tenevo vicino intanto che lavoravo.
Nello stesso periodo mi diplomai.
Fu una grande soddisfazione, non credevo ci sarei riuscito a dire il vero, non tanto per il poco studio, quanto per le troppe cose da fare.
Le cassette stavano diventando un impegno serio, mi tenevano occupato per ore interminabili, la vendita si era sparsa oltre il quartiere, venni a sapere in seguito, pure oltre Roma.
Aprimmo un piccolo laboratorio accanto al negozio con Chicca e Matteo, anche se a Simone quella parola non piaceva, mica c'è uno scienziato con le ampolle lì, puntualizzava, non aveva tutti i torti.
Il botto vero comunque lo feci qualche tempo dopo, quando scoprii che Rossana era una grande appassionata del Festival di Sanremo.
Pensai che della kermesse nessuno aveva mai fatto una compilation, mi sembrò assurdo, si parlava dell'evento più seguito alla televisione!
Lo proposi ai ragazzi, mi dissero annoiati che fare una raccolta con i brani dello scorso anno non era tutta sta grande idea.
Li guardai come fossero scemi.
"Di questo anno" chiarii "del festival del 1988."
"Di quest– di quello che comincia stasera?"
"Eh, proprio quello."
"Ma tu sei pazzo! E come vuoi fare?"
Non fu proprio entusiasta Rossana della pila di macchinari che le portai in casa, un salotto intero circondato di cavi e registratori, tutti pronti con cassette vuote su cui incidere le canzoni della prima serata.
"Allora Manué io t'avviso, è la prima e l'ultima volta ca fascim sta tarantella perché a me non mi piace stu burdell! Fa troppa polvere!"
Mi venne da ridere, le promisi che l'anno prossimo mi sarei organizzato meglio, volevo raccontarle le idee che avevo in mente, con Simone avevamo tutto un piano preciso.
Lei mi fece cenno di tacere "sta 'ccuminciann, parliamo dopo, mo arriva Massimo Ranieri!"
Ranieri alla fine quel festival lo vinse pure, il pezzo divenne un tormentone ancora insuperato e le mie cassette con il suo e gli altri brani, vendettero più degli album dei vari artisti messi insieme.
Iniziò a girare una quantità di soldi spaventosa nel negozio, per la prima volta in vita mia li dovetti portare alle poste, aprire un libretto, firmare documenti di cui capivo poco.
Comprai strumentazioni nuove per lavorare, regalai una vacanza al mare a mamma, un'insegna scintillante al negozio di Rossana, una vespetta nuova a Simone, nonostante lui non volle nemmeno vederla.
"Ce l'ho già una moto Manuel, ma come ti viene in mente?"
"Perché ti arrabbi? E' solo un pensiero Simo'... per ringraziarti di quello che fai per me!"
"Ma io non lo faccio per ricevere qualcosa! A me piace stare con te e basta!"
Non ci fu verso di convincerlo, dovetti ridarla indietro, mi ripresi i soldi, pensai di portarlo a cena fuori in un ristorante di lusso, fargli recapitare un mazzo di fiori enorme.
Ognuna di quelle idee mi fece vergognare.
Nel frattempo, a mia insaputa, stavo diventando un nome molto popolare, al punto che ogni tanto qualcuno entrava al negozio, si guardava attorno e insoddisfatto chiedeva a Rossana di me per vedermi.
Non voleva cassette o consigli musicali, voleva il mio autografo.
Mi ritrovai persino a non poter più presenziare dietro al bancone, venivo accerchiato, un sacco di ragazze mi chiedevano di uscire, in un paio di occasioni pure dei ragazzi. Ne ricordo uno in particolare, bellissimo, alto, somigliava un poco a Simone, solo forse più adulto, più rude.
Mi sentii lusingato, scoprii un sorprendente talento nel flirtare, fui tentato di dire di si, gli regalai pure la cassetta che – immagino come banale tecnica d'approccio – aveva richiesto, poi distolsi per un attimo gli occhi da lui e ne incontrai un paio a me familiare che ci osservavano incupiti.
Fu come prendere uno schiaffo in faccia, ma che cazzo combino?, mi dissi, lo liquidai allora in fretta, feci finta di non vedere proprio il foglietto con tanto di numero di telefono che mi aveva lasciato sul bancone.
Appena il tipo fu andato via Chicca lo prese tra le mani, lo guardò con finto interesse e poi lo buttò nel cestino accanto.
Simone quel pomeriggio fu intrattabile, non diede spettacolo o esasperò toni e modi, però, per quanto mi riguarda, fece peggio.
Non mi rivolse la parola se non necessario, non mi guardò più, né sorrise.
Pensai che sarei impazzito lì nel negozio, tra la gente che s'affannava a chiedermi cose e io che volevo solo buttare un urlo e cacciare tutti.
Riuscii ad intercettarlo verso la chiusura e, non ne vado fiero di come mi comportai, ma stavo perdendo la testa, dovevo parlarci.
Gli presi un polso, già quel contatto bastò a stordirmi, lui protestava, mi diceva di mollarlo, però appresso a me veniva comunque.
Chiusi la porta del laboratorio con un tonfo, lo lasciai e partii subito a parlare prima che la vergogna prendesse il sopravvento.
Ammisi che ero dispiaciuto, non seppi spiegare bene per cosa, alla fine non avevo fatto nulla, né dovevo qualcosa a lui.
Volevo però che mi capisse, sebbene non mi capivo nemmeno io, meglio di Simone non mi conosce nessuno, ragionai, e pure in quel caso ci sarebbe arrivato come sempre prima di me.
Tenne le braccia al petto tutto il tempo e gli occhi bassi, ma era chiaro che mi stesse ascoltando, lo vedevo dalla faccia, dalle espressioni che cambiava mentre parlavo.
Nel mio sproloquio ad un tratto mi persi, ero partito per assicurargli che non avrei mai cercato quel ragazzo, finii per raccontargli di quanto avessi paura delle mie stesse emozioni, delle mille volte che mi ero represso, di mamma che invece mi voleva libero, dello spettro di papà sempre addosso, non so mai quando potrei sparire io e apparire lui, lagnai.
Simone non ebbe reazioni di sconforto come temevo, anzi si addolcì, sembrava quasi sollevato e lo confermò pure a voce.
"Ce ne hai messo di tempo, ma alla fine qualcosa di te me l'hai detta."
Poi mi colse alla sprovvista e mi baciò appena sulla bocca, una carezza veloce che servì ad annebbiarmi la vista e sciogliermi le gambe.
Fu solo un attimo prima di allontanarsi, gli occhi enormi e il fiato corto, non ricordo ad ora un'immagine più bella di quella.
Lo travolsi senza premure, adesso che conoscevo le labbra di Simone, il suo sapore, adesso che sapevo cosa voleva dire toccarlo, sentirlo, non pensavo avrei più vissuto allo stesso modo.
Nella foga andò a sbattere contro gli scaffali alle spalle, una pioggia di cassette ci finì sopra la testa, mi scusai, ma non smisi di baciarlo, né lui mi chiese di farlo.
Trovò la maniera, nonostante la situazione, di pretendere di nuovo la benedetta cassettina che non gli avevo mai fatto, guarda quante ne hai, pigolava, le fai a tutti, meno che a me.
"Te ne faccio cento, mille, Simo', un milione" promisi ed ero sincero, magari non proprio in quel momento, ma tanto posso farle quando voglio, pensai.
Due minuti dopo, dei pugni contro la porta e la voce concitata di Rossana, mi informarono che non era affatto così.
*
Nemmeno sapevo di cosa si occupasse la guardia di finanza prima di quel giorno, ma loro, da mesi e mesi, sapevano bene di cosa mi occupassi io.
Non fu il momento di dolcezza interrotto brutalmente a turbarmi, né il trattamento da peggiore feccia del pianeta che mi venne riservato dalle guardie, ma la telefonata che dalla questura dovetti fare a mamma.
Intanto che parlavo sentii scorrermi in corpo lo stesso veleno nero di mio padre, rividi tutto il dolore che lui le aveva provocato ricominciare da me per stremarla, non lasciarle speranza.
Lei ebbe paura, quella volta non riuscì a nasconderlo, si mise a piangere, ma non si arrabbiò, io lo so che tu non hai fatto niente di male, disse, tu sei buono amore mio.
Volevo tantissimo crederle.
Aspettai un po' che succedesse qualcosa, ero in balia degli eventi, mi chiamarono dopo qualche ora dal corridoio nel quale ero stato parcheggiato, a quanto pare li avevo fatti innervosire, perché hai voluto il difensore d'ufficio se hai il tuo?, chiesero, non capii.
Arrivò in quel momento un signore distinto, l'aria severa, ma anche di chi sa il suo posto nel mondo, portava occhiali sottili sul viso e aveva un completo elegante addosso.
Mi salutò come se mi conoscesse da sempre, fece un occhiolino veloce e per una volta in vita mia misi in funzione le sinapsi, finsi altrettanta confidenza.
Si presentò poi alle guardie e in quel modo scoprii pure io il suo nome.
"Avvocato Palmieri" disse "sono il legale di Manuel Ferro."
Patteggiamento, questa fu la strategia che il papà di Giulio adottò nei mesi a seguire, il che significa che io pagai tanti soldi, i giudici non mi spedirono in galera e le mie cassette furono sequestrate col divieto di farne di nuove.
Terminò cosi «l'impero della pirateria romana», come lo avevano denominato i giornali e qualunque cosa significasse.
Da quella esperienza uscii distrutto, avendo rafforzata in me la convinzione che per quanto ci provassi, non potevo essere nient'altro che il figlio di mio padre.
Ripresi a lavorare da Rossana, non fosse altro perché lei non volerle sentire ragioni.
"Qua la cazzata l'abbiamo fatta tutti quanti, mica solo tu, Manue'! Non fare sempre il protagonista!" mi diceva benevola tirandomi prima una guancia e poi pure l'altra "fila a faticare, muoviti!"
Anche Simone si comportò come se niente fosse, non mi mollò mai, si attrezzò per starmi vicino il più possibile, nonostante avesse i primi esami universitari a impegnarlo, gli amici che lo cercavano, una vita da mandare avanti.
Temevo che a stare con me sarebbe diventato come mia madre, mi venne un'angoscia inspiegabile, peggio di tutta quella avvertita fino ad allora.
La mia vita è destinata a questo, riflettevo, io non posso fare altro, ma lui no, lui è diverso.
Lo lasciai qualche giorno dopo, con la morte nel cuore e una fermezza assoluta che mi imponevo addosso.
Su una cosa mamma aveva sempre avuto ragione: cattivo non lo sapevo essere, ma mi ci inventai, lo divenni per tenerlo lontano, Simone non si faceva convincere, mi diceva tu non sei così, io non ti riconosco più, gli rispondevo che forse non mi aveva saputo mai.
Andò via dal negozio come era arrivato la prima volta, con la stessa rabbia implacabile, non versò neanche una lacrima, mi dissi col mio solito fare drammatico che tanto le avrei piante io per entrambi.
*
Nello stato disastroso in cui stavo, cercai di andare avanti, non mi sentivo capito da nessuno, nemmeno dagli affetti più cari, tutti dovevano mettere bocca sulla mia scelta, giudicarmi, volevo solo azzittirli.
Quella che la prese più male però fu mia madre, sembrò impazzire quando lo seppe, mi diede pure una sberla, proprio in piena faccia, rimasi sconvolto, non mi aveva mai sfiorato prima.
Iniziò a girare per la casa come una furia, si portò le mani ai capelli, mi chiamò imbecille, un figlio solo e pure imbecille, non mi sentivo di darle torto.
Poi si placò manco fosse stata sedata, cadde sul divano a peso morto, Manuel io sono stanca, e io le lessi sul volto tutta la delusione che le stavo arrecando.
Mi convinsi allora che se le avessi spiegato il motivo di quella scelta, mi avrebbe capito, o almeno si sarebbe rassegnata.
Finii invece per fare peggio.
Mamma, infatti, dopo il mio sfogo parve ritrovare nuove energie, come se, senza manco saperlo, le avessi offerto io stesso la soluzione al problema e lei doveva solo applicarla.
Si rialzò, mi venne vicino, non ti voglio menare, chiarì quando feci per scansarmi.
Dal nulla si mise a raccontare della sua giornata al lavoro, pensai ecco, è impazzita del tutto!, glielo sussurrai, mi ignorò.
Disse che quella mattina avevano lavorato tantissimo in bottega, in particolare c'era stata una signora che aveva comprato un sacco di cose, si era trattenuta a lungo nel negozio e aveva portato con sé il figlio – avrà avuto dieci anni, dovevi vedere quanto era caruccio – che si annoiava a morte a starle dietro.
Mamma allora gli aveva dato retta, anche solo per distrarlo dalla fila che c'era da attendere, ne aveva chiesto il nome, se andasse a scuola, che voleva fare da grande, insomma le solite domande che se fanno ai pischelli.
Non colsi la direzione del discorso, lei se ne accorse e si fece serissima.
"Il dj" tagliò corto "il ragazzino questo m'ha detto, vuole fare il dj come mixed be Emme."
Non mi diede neppure il tempo di commuovermi per quella informazione, di cullarmi nel pensiero che agli occhi di un bambino fossi una persona da apprezzare, addirittura imitare, che subito mi mise fretta, mi spinse a manate fuori casa, mo vedi come farti perdonare da Simone o te lo giuro Manuel, io ti ho messo al mondo e io ti levo.
Per mia fortuna, sapevo benissimo cosa fare.
*
A Rossana, un po' per la sua indole pettegola, un po' perché continuava ad essere arrabbiata con me, dovetti spiegare tutto nei dettagli, solo così la convinsi ad aiutarmi.
Si attivò appena sentì il piano e tramite i suoi artifici magici a me ignoti riuscì a convincere Simone nell'impresa impossibile di venire al negozio dopo giorni che mancava.
Mi spaventò la scaltrezza e la velocità con cui, un secondo dopo averlo fatto entrare, uscì dal locale e chiuse a chiave la porta.
Lui impallidì, Rossana ma sei impazzita?, si dimenò contro la maniglia serrata e io colsi il momento per far notare la mia presenza.
Devo ammettere che non la prese bene.
"Lo sapevo, lo sapevo!" ripeteva senza manco guardarmi "lo sapevo che andava a finire così! Fatemi uscire da qua dentro! Questo è sequestro di persona!"
Mi sembrò ridicolo agitato a quel modo, i capelli arruffati e i piedi che sbatteva a terra come un bambino capriccioso.
Gli arrivai affianco, ma non troppo vicino, temevo qualche colpo che in effetti cercò di sferrarmi.
Si lasciò andare ad una serie di minacce colorite, precise nelle azioni e pure nei contenuti, che sempre dei modi più disparati per tagliarmi il cazzo finiva per disquisire.
Non volevo alterarlo più di quanto già fosse, mi misi perciò a distanza di sicurezza e provai a chiedergli di ascoltarmi qualche minuto, non oltre, tanto Rossana finché non facciamo pace non ci apre, spiegai.
"Oh e allora mi sa proprio che moriremo qui!" rispose sarcastico, ma smise di tormentare la povera maniglia e, con un movimento rapido della mano, mi incitò a parlare.
Presi un respiro profondo, non mi ero preparato un discorso, fui anzi di poche parole, anche lì mi scusai, gli dissi che ero un coglione, avevo sbagliato tutto, non era vero quello che gli avevo detto l'ultima volta, non è vero che non ti voglio, facevi bene a non crederci, guardami ora, una settimana senza di te e già mi sento pazzo.
Simone tentennò, sciolse pure la solita posizione difensiva, Manuel lo capisci che non puoi tagliarmi fuori solo perché sei spaventato?, ammonì, altrimenti mi spieghi io che ci sto a fare?
Mi venne da sorridere, parlava al presente, parlava di noi, volevo saltargli addosso, baciarlo dappertutto, scusarmi ancora, giurargli che non l'avrei ferito mai più, ma mi limitai ad allungare una mano sul bancone, lui mi seguì con gli occhi, si illuminò pur non volendolo dare a vedere.
Tremavo un po' mentre gli offrivo la piccola cassetta preparata la notte precedente, ma anche lui, nel leggere la dedica, non fu da meno.
A Simone.
Amore mio, è per te che io faccio il dj.
Mixed by EMME.
——————————————————————
nota dell'autrice:
Questa storia l'ho sentita pulsare in testa da un momento all'altro, con un'urgenza di buttarla giù che mi ha sfibrato regaz.
E', come al solito una fetecchia, ma quando ho visto il film al cinema me ne sono innamorata e forse da qualche parte ho sempre conservato l'idea di rielaborarlo in chiave Simuel.
Ho cercato di farlo in versione cinematografica, prendendomi licenze dalla trama effettiva, ma spero di non aver fatto troppi danni, soprattutto di non aver reso patetiche situazioni che invece volevo descrivere più verosimilmente possibile.
Due precisazioni forse inutili: il libro che Manuel legge da ragazzino è di Elena Ferrante e la playlist inserita alla fine contiene gli stessi brani citati nel film da Erry e dalla sua amata Teresa, (più qualche mia aggiunta casuale).
Grazie sempre alle paffute per la pazienza e a voi per l'affetto, non so dirvi a parole quanto mi scalda il cuore ♥️.
P.s: per chi fosse interessatə, potete trovare la playlist "New Romantic." dedicata a Simone nell'account Spotify "MixedbyEMME"
P.p.s: grazie Matteo per il meraviglioso disegno ♥️
Ciao! 🧚♀️
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro