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La musica che gira intorno.

Da quando glielo aveva fatto notare Simone, Manuel non riusciva quasi a focalizzarsi su altro.

Un sacco di tempo trascorso in quel benedetto locale e c'era voluto un ventenne sbarbato e i suoi occhioni sempre intenti a guardarsi attorno per fargli vedere che sulla pista, proprio dal perfetto centro del soffitto, una enorme palla stroboscopica scendeva luminescente a dare colore alla stanza.

Altrimenti perché mai chiamarlo Mirrorball sto posto? - gli aveva detto - e lui non s'era mai sentito cretino come allora.

Sebbene avesse un'indole abbastanza sfrontata, che lo portava anche ad enfatizzare eventi solo per mettersi in mostra, quando c'era da interagire con l'altro avvertiva una sorta di accortezza inedita prendere possesso del suo carattere.
Non un particolare impaccio, ma piuttosto un anomalo desiderio di dimostrarsi meritevole di quella fiducia che Simone gli concedeva giorno per giorno.

Svolgere il mestiere di barista si era da subito rivelato un'ottima palestra per il suo ego smisurato, istruendolo a mantenere un ruolo di contorno e ricordandogli che lui lì non era un confidente prescelto, ma solo quello capitato sotto tiro.

Eppure per Manuel tale ridimensionamento, poiché dovuto, comportava comunque una certa fatica, che la personalità forte di cui era sempre stato orgoglioso, spesso fremeva per palesarsi e tenerla a bada si rivelava alquanto complicato.

Tranne con Simone.

Con Simone era tutto diverso.

Non gli pesava ascoltarlo, né tantomeno inserirsi nei suoi discorsi rendendoli i loro e adoperando sempre la massima cura possibile, con il desiderio di intervenire certo, ma con la consapevolezza di non volerlo sovrastare.

A parlare con lui, a guardare il mondo attraverso il suo sguardo così sensibile, Manuel sentiva l'indolenza alla quale si era costretto scivolargli via dalle membra per lasciar posto ad un sincero interesse e anche - di questo se ne stava accorgendo poco per volta - ad un'inevitabile infatuazione.

Era magnetico Simone e, in ogni circostanza in cui aveva modo di osservarlo, questo dettaglio si imponeva subito come evidente.
Che stesse spiegando un progetto campato in aria sul momento con cui, a detta sua, far emergere meglio le potenzialità nascoste del locale o che gesticolasse dopo tre gin tonic per raccontare in modo sconnesso la trama dell'ultimo film visto, per Manuel risultava impossibile distogliere l'attenzione.

Per questo motivo si sorprese da solo, in un'anonima sera d'autunno, nel trovarsi a discutere tanto amabilmente con una graziosa signorina entrata per la prima volta nel bar.

Era un po' difficile in verità seguirne bene le parole.
Troppo sottili le labbra da cui provenivano per prendere una forma che fosse completa e chiara in mezzo all'assurdo caos che li circondava, ma lui era ostinato e a costo di perderci l'udito avrebbe portato avanti il discorso.

Neanche sapeva poi Manuel come ci fosse finito ad essere il fulcro della situazione e a raccontarle cosa lo aveva spinto ad aprire il Mirrorball, e poi pure della sua fantomatica casa a centro città, e ancora della laurea in filosofia conseguita a pieni voti.
Quella rideva impressionata con la sua bocca piccola e assottigliando gli occhi nerissimi che parevano pistilli di anemoni schiuse e lui si rimbambiva a guardarla.

E più guardava lei e meno notava quanto gli accadeva intorno.
Ubriaco delle sue stesse menzogne, rispondeva in stato catatonico alle ordinazioni ricevute, preparando come un automa i vari cocktail e ignorando tutto il resto.

Ad un certo punto contò addirittura di aver servito ben quattro whiskey sour di fila, ma ci fece poco caso - preso com'era a vaneggiare di un prodigioso bolide parcheggiato appena fuori dal locale - finché uno dei bicchieri appena consegnati non gli tornò indietro a gran velocità, sbattendogli sulla mano e rovesciandosi sopra il polsino arrotolato della sua bella camicia.

"Ma che cazzo fai ao" ringhiò prima ancora di intercettare il destinatario della collera.
"Il drink era annacquato" e lo sentì bene nonostante un mezzo singhiozzo ad interrompere la frase e la musica che continuava a propagarsi a volume altissimo.

Nulla negli occhi che aveva davanti pareva ricondurlo alla figura a cui erano sempre appartenuti.
Così apatici da diventare due gusci svuotati e tristi di un dispiacere che Manuel non aveva nemmeno idea potessero provare.

"Qualcosa qui davanti ti avrà distratto..." lo sguardo a saettare tra lui e l'interlocutrice "e ci hai messo di nuovo troppo ghiaccio..." fu l'ultimo mormorio al quale le sue scuse farfugliate giunsero quando ormai Simone s'era mosso curvo e sconsolato verso la pista da ballo.

Improvvisamente, a guardarla meglio, sotto la luce diventata più forte nella stanza, quella signorina che continuava a ridacchiare senza motivo non aveva poi chissà quale bellezza.

Le dita aguzze con cui si sporgeva a carezzarlo gli ricordarono sul momento dei rami rinsecchiti dal freddo che curvandosi su se stessi intrappolavano il suo polso al loro interno.
Anche il sorriso poi ampio e largo non trovava una giusta misura sul quel viso tanto scavato e diventava anzi pian piano una smorfia deforme.

Nulla a che vedere con l'espressione dolce di Simone.
Lui non era mai sgraziato o goffo, ma aveva sempre un'armonia nei movimenti del volto e del corpo ad ingentilirlo e a renderlo - almeno per Manuel - un centro di attrazione costante.

Ecco perché, quando si accorse di averlo perso di vista, il panico prese il sopravvento fino a quasi paralizzarlo.

La musica gli rimbombava nelle orecchie senza pietà e anche la voce stridula della donna si tramutava in uno spillo conficcato nel punto più profondo del cervello.

State zitti! - avrebbe voluto urlare come quella sera di qualche mese prima - state zitti tutti quanti e se possibile andatevene pure!

E solo dopo essersi messo a gridare come un folle e aver ottenuto la tanto agognata stanza vuota e silenziosa si sarebbe accorto degli ultimi due superstiti rimasti a ballare sotto la maledetta palla stroboscopica.

Li avrebbe scrutati con faccia torva e disgusto a risalirgli dallo stomaco in fiamme per il dolore che ci avvertiva dentro.
Sotto i suoi occhi sconvolti si sarebbero poi consumati dei contatti non necessari fra corpi estranei intenti solo a ballare e persino un allineamento di visi e bocche sempre più vicini, sempre più vicini, sempre–

Sempre meglio non sapere come sarebbe andata a finire.

Mancava poco alla chiusura ormai e, liquidando la giovane disturbatrice che ancora sostava attorno al bancone come una mosca fastidiosa, Manuel poté cominciare a ripulire lo schifo di posto in cui era costretto a lavorare.

Oltre la pezza lercia con la quale aveva appena spolverato l'orribile vetrina dei liquori il suo riflesso distorto lo guardava perplesso.

Non ti ci mettere anche tu, pensò passandoci ancora una volta lo straccio sopra nella stupida convinzione di cancellarlo, per ritrovarsi invece non più solo una, ma due sagome a puntargli gli occhi addosso.

I capelli gonfi e il volto contrito di quella più distante, riconoscibili pure dallo specchio sporco davanti a sé.

"Me lo dai un whiskey sour..." biascicò "senza ghiaccio però!" e nella risata seguente non ci fu nulla che assomigliasse a contentezza.

Si guardò attorno Manuel prima di girarsi.
I pochi clienti ancora in sala si erano tutti posizionati sui tavolini in legno ricordando una desolazione tipica dei quadri del realismo americano e anche il baccano di sottofondo pareva essersi acquietato.

"Io penso che te ne devi solo annà a casa stasera... sei pure ubriaco" inutili furono gli sforzi di nascondere una punta di rabbia nella voce.
"Non sono ubriaco..."
"Simò hai bevuto tanti di quei cocktail che non so manco io come fai a reggerti in piedi!"
"Perché erano tutti annacquati! Tu pensavi solo a ridere con quella vecchia e io nel frattempo mi dovevo bere litri di ghiaccio!"

"Sai che facciamo allora?" la mano che colpì il bancone fece spaventare il più piccolo "la prossima volta tu continui a farti i cazzi tuoi ballando con tutto il locale e io sto qui come un coglione ad aspettare i tuoi ordini, okay?"
"Non- non ho ballato con tutto il locale, solo-"
"Solo con un damerino del cazzo che ti metteva le mani addosso e tu lo lasciavi fare, è vero?" e ormai lo sapeva da sé che non aveva più freni a inibirlo, come se quello davvero ubriaco fosse lui e non Simone che continuava a guardarlo con i suoi maledetti occhi tristi e delusi.

"A proposito" insistette evidentemente non soddisfatto dei danni che stava già facendo "se n'è andato il tuo cavaliere della notte? Non vai via con lui?"
"Non vedo perché devo dare spiegazioni su quello che faccio a te- a te che-"
"A me che cosa Simò?"

E nella foga mostrata nel chiederlo in realtà mancava ogni desiderio di saperlo, che nulla di quella frase interrotta faceva presagire qualcosa di simile ad un elogio, eppure Manuel non lo avrebbe mai ammesso, preparandosi piuttosto ad uno sconforto silenzioso che ad una mortificazione palese.

"A me cosa, mh? Che cosa sono io?" incalzò esasperato e gli sembrò di vedersi dall'alto mentre prendeva la mano di Simone con un coltello già puntato verso di lui e lo intimava di affondarglielo in corpo.
Colpisci - gli diceva impavido - falla a modo sta vigliaccata se proprio devi.
E Simone gli dava ascolto.

"A te che non sei niente per me!, che sei solo il barista da cui mi ubriaco e manco quello sai far bene!"

Tintinnavano tutti assieme i bicchieri nella vetrina sulla quale Manuel finiva ad appoggiarsi dopo il colpo, quasi che tremassero anche loro sconvolti per la scena appena avvenuta.

"E tu sei proprio uno stronzo" e già stava dicendo troppo, che solo degnarlo di un appellativo - per quanto sgradevole - al momento era dargli una conferma di esistenza ai suoi occhi, un privilegio che non meritava.

"Manuel..." lo avvertì nello sguardo dell'altro lo shock per quanto detto, la mortificazione che da lì scendeva repentina verso la bocca e che però non gli avrebbe permesso di esternare.

Se c'era anche un minimo senso di colpa ad attanagliarlo, Manuel voleva che lo avvertisse tutto, che si sentisse male come male stava facendo sentire lui.
"Lascia perdere Simò... famo solo che mo te ne vai e da domani non ti fai più vedere."

A testa bassa prendeva poi la porticina che dava sul retro del locale continuando ad ignorare i vari richiami che pigolati cercavano di intenerirlo.

"Manu, Manu, Man-"

"Mani in alto, questa è una rapina!"

L'ultima cosa che Manuel vide, prima che l'anta della sala si chiudesse del tutto, fu una figura incappucciata con una pistola puntata dritta verso la figura di Simone.

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