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7. supermassive black hole

Glenn gettò la testa all'indietro. Cercava di rimanere il più fermo possibile. La polvere che Lance stava cercando di sistemare in una riga perfetta sul suo petto gli faceva bruciare la pelle, ed erano entrambi così su di giri che ogni frase veniva lasciata a metà, smozzicata da versi e risatine che non portavano da nessuna parte. Al Mandrax e alle pastiglie eccitanti che vendevano al Flux non ci pensava più. Lance passava tutto il giorno a sniffare coca, e ogni tanto gli concedeva di fargli compagnia. Era più che sufficiente.
Lance non riusciva nemmeno ad arrotolare una banconota, e alla fine si ridusse a tirare fino all'ultimo granello così, semplicemente tappando l'altra narice e passando il naso sullo sterno arrossato di Glenn.
-Andiamo al casinò?-
A Glenn tremavano le mani. Cercava di passarle tra i riccioli di Lance, ma dovette arrendersi, e lasciare che gli baciasse il collo e il petto proprio dove aveva tirato, senza nemmeno poterlo invitare a spingersi un po' più in là. Non ne aveva mai abbastanza dei suoi baci, delle sue carezze, di tutto quello che gli aveva fatto scoprire. Ma a volte era così fatto che se ne stava semplicemente fermo, tutto energizzato e sveglio ma incapace di fare alcunché. Guardava Lance fare cose mondane, chiamare anche per dieci volte consecutive lo stesso numero di telefono, agitandosi e alzando la voce quando parlava di denaro; quando invece telefonava un avvocato, lui si faceva subito evasivo, e spesso quando riconosceva la sua voce riattaccava subito. Scriveva lettere ad una velocità impressionante, con le mani grassocce che si sbiancavano da tanto teneva forte la penna, e poi chiamava i maggiordomi del servizio in camera per farle recapitare a questo o a quello, ma comunque tutte a New York.
Glenn non capiva nulla di tutto quello, ma quando era sotto coca lo trovava affascinante, quando si destreggiava tra tutti quegli affari da uomo importante.
-Non vuoi rimanere qui? Mi vesto bene, te lo succhio, faccio tutto quello che vuoi tu-
Lance gli aveva morso il lobo dell'orecchio. Poi notò di aver lasciato indietro della coca nella piccola conca dello sterno infossato, la raccolse con le dita e se la passò sui denti.
-Quello dopo, dopo splendore, dopo, voglio andare a giocare, lo sai quanto mi è costata tutta questa roba? Devo riprendermi quei soldi, sì, dobbiamo andare al casinò, però vestiti bene lo stesso, fammi fare bella figura, se proprio vuoi succhiarmelo puoi farlo in macchina, ma non posso perdere tempo così, il tempo è denaro tesoro, lo sai?-

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Lance pagò una fiche per giocare. Mille dollari sull'unghia, con una probabilità altissima di perdere. Se voleva intascare di nuovo i suoi soldi doveva vincere quella mano. Non poteva ritirarsi, non poteva fare niente, se non continuare a scommettere.
Non solo quei mille dollari, ma tutti quelli che aveva già perso fino a quel momento. Gli ultimi risparmi che la finanza reclamava con insistenza.
La croupier fece scivolare con un gesto esperto due carte a tutti i giocatori. Uomini ben vestiti, per la maggior parte. Le loro donne vagavano per il casinò, oppure sedevano su divani foderati di velluto in attesa che il gentleman portasse a casa una grande vincita. Glenn era rimasto per un po' ad osservare, e poi se n'era andato. Era mezz'ora buona che non lo vedeva più intorno ai tavoli del poker, ma non poteva permettersi di staccare gli occhi dal tavolo. Se fissava quelle carte ancora coperte con abbastanza intensità, forse gli sarebbe andata bene. Coppia di re, di fanti, o addirittura di assi. E poi una buona mano sul tavolo.
Contò fino a tre, come una formula magica, e poi sollevò appena l'angolo delle carte per vederle.
L'attaccatura dei capelli iniziò a bagnarsi di sudore acre e la camicia sembrava essersi ristretta sotto la giacca buona. L'ultima che gli era rimasta.
Due di picche, cinque di quadri. Lance desiderò di morire con tutta la forza di cui era capace.

Inebriata dall'alcol, dai residui di coca, e dalle luci stroboscopiche, Glenn vagava senza meta tra le slot. Disegni di cuori, spade, monete, e qualsiasi altra cosa potesse immaginare scorrevano sugli schermi arrotondati, mentre le persone sedute lì ridevano e si disperavano e battevano contro la macchina ogni volta che inserivano dei soldi. Era la loro formula magica, il loro personale rituale per vincere. Lance contava fino a tre e si mordeva l'interno delle guance, mentre quegli automi picchiettavano le dita contro le figure inanimate.
Passò le mani sulla collana di perle che Lance le aveva dato quella mattina. Lo amava davvero. Aveva scambiato la miseria del suo container, la sabbia, le urla di Nina per perle, tappeti sontuosi e un uomo viziato che la chiamava principessa, tesoro, splendore come nei migliori sogni.
Camminava lentamente sulla moquette psichedelica, facendo scivolare i piedi fuori da quei sandali col tacco che le andavano troppo piccoli. Si era chiesta a chi appartenessero, poi si era fatta una striscia e non ci aveva più pensato. Camminava senza una meta, tra corridoi di slot alte due volte lei che non sembravano portare da nessuna parte, se non ad altre macchine colorate e a sale con lampadari così bassi che sembravano lambire le teste dei giocatori. Tutta si curvava verso di lui, chiedendogli una moneta, una banconota, un attimo del suo tempo per diventare ricco. Anche il bar, con i suoi divani ricoperti di velluto colorato e le sue morbide linee invitava ad accomodarsi. Dietro il bancone il Lloyd di turno avrebbe spinto un povero Jack Torrance a bere solo un altro bicchiere, questa volta non per uccidere moglie e figlio, ma per continuare a buttare fiches sul banco o inserire un altro gettone nella slot.

Le altre donne che si intrattenevano nella lounge le lanciavano occhiate che Glenn interpretava come ammirazione, invidia, forse anche gelosia. L'avevano vista entrare lì con l'uomo migliore di tutta Las Vegas, con indosso un vestito che doveva valere come la loro stessa vita e una collana degna di una regina, non potevano non essere gelose.
Mise mano agli spicci che le aveva lasciato Lance, e si diresse al bar, per soffocare in un Martini la voce nella sua testa che le diceva: "tutti sanno cosa c'è sotto a quel vestito".

Lance rilanciò per tremila dollari. Non poteva più tirarsi indietro. Ora doveva solo sperare che il suo bluff andasse a buon fine. Scommettere più degli altri, inducendoli a ritirarsi, e intascare tutto il piatto con una delle mani più brutte che avesse mai visto.
"Solo un'altra fiche" si diceva "Solo un'altra scommessa e ho vinto"

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Spazio autore
Ragazzoni, mi sono guardato un documentario di un'ora su come sono progettati i casinò per scrivere questo capitolo. Oltre ad essere il male in terra, hanno delle architetture davvero interessanti. Apprezzate lo sforzo.
Anyway, non avete idea di che ventata di aria fresca sia scrivere questa storia. E' la prima volta che mi cimento nello scrivere qualcosa che va del tutto contro la mia moralità. Penso che abbiate intuito da che parte dello spettro politico sono, e avere due protagonisti che esaltano il sogno americano, la ricchezza e la bellezza è qualcosa di atroce. Atroce ma estremamente divertente, perché uscire dalla mia zona di comfort ogni tanto fa bene.
Ah, spero abbiate colto la citazione clamorosa a Shining. Se non lo avete fatto andate a fustigarvi. Ci si vede, scrivetemi tanti commentini vvb

- Francis Folly

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