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1. big man, pig man

Si dimenava al centro della sala da ballo come se fosse il suo ambiente naturale. Muoveva i fianchi e le braccia sotto le luci colorate, e ogni tanto una ragazza si avvicinava per ballare un po' con lei. Una ragazza forte, senza vergogna, io non ce la farei mai, si dicevano. Poi la guardavano bene in faccia quando un fascio di luce rossa o verde le illuminava il viso, e facevano un passo indietro, tornando a essere inglobate dalle altre persone.
Non c'era poi così tanto spazio per ballare, ma le due pastiglie che era riuscito a pagarsi lo facevano sentire in capo al mondo. Non sapeva nemmeno cosa gli avessero rifilato, ma non gli interessava davvero. Riusciva anche a ignorare gli sguardi delle persone che, guardandolo da vicino, si chiedevano, e tu cosa sei?
Che fosse nella lounge del Bellagio o nell'ultima delle bettole non faceva più differenza. Il quadrato circondato da tavoli da poker dove stava ballando era il posto più bello al mondo. Era il primo gradino di quella scala dorata che lo avrebbe portato in capo al mondo. Magari un giorno, camminando sul tappeto rosso all'entrata del Mirage, un ammiratore si sarebbe avvicinato, e lei avrebbe potuto raccontare la sua storia di ascesa al successo. Avrebbe raccontato dei pochi soldi che aveva da giovane, di come doveva arrangiarsi con quello che aveva - sottolineando così che lei aveva una marcia in più rispetto a tutti, proprio perché, anche con poco, era riuscita a passare dalle squallide sale del Flux a quelle lussuose della Las Vegas che contava.
"Mi ricordo di quando avevo vent'anni, o giù di lì, e andava in questo locale fuori dalla città. Da lì è iniziato tutto, sai? La gente già lo sapeva che quello non era il posto adatto a me. Tu dovresti stare con le star della strip, mi dicevano. Ed eccomi qui, adesso". Lo avrebbe detto con un sorriso affabile, mentre teneva per mano l'uomo che pagava per tutto quel ben di dio che aveva addosso.
Aveva deciso di chiamarsi Mary, quella sera. Anche se nessuno gli aveva ancora chiesto il nome. Era felice di poter ballare ascoltando i Depeche Mode, e di poter giocare al buon vecchio far finta.

L'uomo distinto sedeva a gambe larghe, con una sigaretta appesa all'angolo della bocca e due carte tenute strette sotto la mano sinistra, come se avesse paura che un'improvvisa folata di vento potesse portargliele via. Cravatta fantasia ben lisciata che rifletteva sotto le luci stroboscopiche della pista, giacca elegante, scarpe tirare a lucido. Era largo e dava tutta l'impressione di essere un borghese. Un borghese in un luogo sbagliato, perché Glenn sapeva che in quei posti non girava la gente che contava. Loro stavano al Flamingo, al Bellagio, non certo al Flux, vecchio casermone industriale abbandonato riconvertito in locale quando alla Casa Bianca era arrivato Reagan, proprio per tenere fuori dalla città la feccia indesiderata.I ragazzi delle baracche fuori dal raccordo per l'aereoporto, i junkie delle roulotte come Glenn, le madri single con i mariti carcerati, i vecchi che avevano perso tutto al gioco nei casinò di lusso e ora spendevano gli ultimi dollari nell'unico locale che non li spediva fuori a calci nel culo.
Quando Glenn guardava da quella parte ogni tanto intercettava il suo sguardo. Per un istante distoglieva l'attenzione dal tavolo verde e bianco e sapeva esattamente dove guardare. Incrociava gli occhi truccati di Glenn, e poi spostava altre due fiches verso il banco.
Quando gli passò di fronte solo per guardarlo meglio - e forse usarlo come oggetto di fantasie delle prossime miserabili seghe - quello allungò il braccio oltre il tavolo, senza distogliere lo sguardo dalle carte che il croupier stava distribuendo.
Teneva una banconota piegata fra il medio e l'indice.
-Me lo vai a prendere un Martini, splendore? Prenditene uno anche per te. Poi torna qui, eh? Ti faccio vedere come si vincono un mucchio di soldi. Che ne dici?-

Le fiches erano bianche, rosse, verdi, gialle. Glenn osservava rapito quell'arcobaleno di soldi girare attraverso il tavolo, tra carte, alcolici e posacenere strapieni. Ora un rosso andava di fronte all'uomo con gli occhi vacui, ora gli venivano requisite tutte dalla mano fortunata dal ragazzo che beveva Paulaner.
Lance alzò leggermente le carte. Asso di cuori, donna di quadri.
-Quanto puntiamo?- gli rivolse un sorriso complice da dietro la coltre di fumo che si raccoglieva intorno alla sigaretta appesa alle labbra. Doveva già essersene fumato cinque o sei, da quando aveva lasciato che Glenn si sedesse lì con lui.
Tentennò. Non sapeva giocare a poker. Fece finta di pensarci su, poi posò l'indice smaltato sulla pila più bassa, quella delle fiches gialle, cercando approvazione.
Gli altri al tavolo non la degnavano di uno sguardo. La saliva si raccoglieva sui filtri delle sigarette, sui bordi dei boccali e dei bicchieri, in attesa che Lance facesse la sua mossa. Lei era solo un inconveniente, una minore perdita di tempo che li separava dalla possibile vittoria.
-Ti piace rischiare?-
Prese un sorso dal suo drink. L'alcol mischiato a quelle pastiglie che lo avevano fatto ballare fino a quel momento producevano un mix di reazioni fantastico. Un po' gli bruciava la bocca dello stomaco, ma la testa pesante mischiato ai brividi di eccitazione nelle braccia e lungo le gambe nude lo rendevano più che sopportabile.
-Ogni tanto-
Lance spinse le fiches gialle verso il croupier. Il sudore si raccoglieva intorno all'attacatura dei capelli, unendo i riccioli in ciocche pesanti e viscide. Scorrevano dietro le orecchie, e si infrangevano dove la nuca strabordava dal collo della camicia troppo stretto.

Lance peccava un po' in altezza. L'uomo giusto per accompagnare una diva doveva per forza essere alto. Un po' Rocky e un po' James Bond. Con muscoli e capelli scuri, tirati indietro con la brillantina come in Grease.
Non ci diede davvero tanto peso, però. Fuori dal Flux aveva parcheggiato una Rolls Royce azzurra, e in tasca aveva duecento dollari appena ritirati dalla cassa del casinò. Glenn pensò che gli sarebbe potuta mancare anche una mano, o l'intero braccio, ma se ne sarebbe innamorato lo stesso. A prima vista, come nei migliori film.

-Tu non ti chiami Mary- assottigliò gli occhi, e Glenn si sentì improvvisamente svestito. Lance si appoggiò al cofano insabbiato della macchina, e, con un gesto esperto, si accese una sigaretta mettendo ben in mostra l'orologio pacchiano che aveva al polso.
Glenn incrociò le gambe, ciondolando alla ricerca di una risposta. Non era mai arrivato a quel punto, con un uomo. Non era sicuro di cosa prevedesse il copione. Doveva scappare? Doveva dire la verità? Insistere che invece lui sul serio era una Mary?
Lo sapeva che la gente come lui non piaceva a nessuno. Travestiti e altri mostri. Se avesse insistito magari l'uomo distinto non si sarebbe comportato nel modo che il suo aspetto suggeriva, e se avesse detto la verità avrebbe reagito ancora peggio. Nel migliore dei casi l'avrebbe lasciato solo come un cane abbandonato nel parcheggio del locale. Nel peggiore, non volevo nemmeno immaginarlo.
-Non sono nato ieri- Lance gli porse una sigaretta.
-Perché credi che ti abbia chiamato?-
Glenn accettò con una certa riluttanza. Era chiaramente un pervertito. Lasciò anche che la accendesse per lui.
Tossì, e poi disse: -Mi chiamo Glenn- lasciando finalmente uscire la sua vera voce. Parlare era una tortura che evitava il più possibile, quando si vestiva da donna. Aveva imparato a modulare la voce proprio come quella di una qualunque Isabel o Anastasia, ma il dolore alla gola che ne conseguiva e lo sforzo mentale nel mantenere quella farsa lo prosciugavano di ogni voglia di continuare.
Lance gli afferrò il mento, squadrandolo come se volesse effettivamente provare quello che stava dicendo.
-Brava-
Glenn sorrise appena. -Mi fai fare un giro?- indicò con un cenno il bolide dietro di lui. Forse era un pervertito che faceva al caso suo.

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