10.Shit
«Ecco fatto! Questa volta la fasciatura dovrebbe tenere, se non te la togli come stanotte!»
Appoggio il suricato nella cassetta della frutta trovata tra i bidoni dei rifiuti in cortile appena sono rientrata a casa. L'ho foderata con erba e foglie per renderla più confortevole.
Il mio piccolo amico è ancora molto spaventato e forse anche il fatto di averlo portato qui, strappandolo alla savana, non lo mette di certo a suo agio.
Ma era necessario: se l'avessi lasciato lì sarebbe morto. Gli ho applicato un nuovo impacco, dopo quello di stanotte, con le foglie fresche di Sedum telephium, detta anche erba della Madonna, un rimedio erboristico per uso topico: è perfetta per curare le ferite perché ha proprietà detergenti, cicatrizzanti, antinfiammatorie, analgesiche e riepitelizzanti. Una pianta straordinariamente utile, oltre che bellissima con i suoi fiorellini rosa a forma di stella.
Il suricato si sta strofinando con le zampe anteriori il suo dolce musino bianco-grigio dalla caratteristica sottile striscia scura che si estende dalla fronte fino alla base delle orecchie, rotonde e brune. Forse si sente osservato: infatti si blocca con la zampa a mezz'aria e mi guarda con i suoi occhioni neri come la notte. Non resisto e, con un sorriso rassicurante, lo prendo in braccio e avvicino il suo muso al mio. Ci fissiamo per alcuni secondi, il mio blue verde incastrato nel suo nero inchiostro.
«Tra qualche giorno starai meglio e potrai tornare a scorrazzare libero nella savana, Mr Blueyes.»
Mr Blueyes... il nome che gli ho dato.
E di certo non l'ho chiamato così per il colore dei suoi occhi.
È stato l'incontro davvero bizzarro di stanotte col vero occhi blu a destabilizzarmi: ormai vedo iridi celesti ovunque, ne sono così ossessionata, maledizione! Inoltre sono perseguitata dall'immagine di Samuel che, nel cuore della notte sfreccia in moto nella savana per andare a vegliare il nonno moribondo del suo amico e che girovaga nei pressi di un inquietante fortino nascosto in mezzo alla boscaglia in cui piange un bambino. Non riesco a togliermi dalle orecchie il piagnucolio di una creatura indifesa, fatico a credere che Samuel sia estraneo a questa strana e delicata faccenda.
Durante il tragitto in moto ho tentato di chiedere al mio ex sequestratore, Johnny l'orsetto, che cosa nascondesse quella specie di muraglia nella boscaglia.Ma lui continuava ad affermare di non avere visto nessun muro e nessun edificio, che forse avevo avuto un'allucinazione e che, se anche non lo fosse stata, avrei dovuto dimenticare muraglia e compagnia bella e soprattutto non avrei dovuto farne parola con nessuno. Non sono riuscita a estorcergli nulla.
Una volta arrivati nei pressi del casale, che è la mia abitazione qui in Sudafrica, mi sono fatta scaricare a una certa distanza per non destare sospetti tra le mie due consorelle: avrebbero potuto insospettirsi sentendo in rumore della moto.
Dopo aver salutato il mio nuovo amico peloso Johnny, sono rientrata di soppiatto nella mia stanza con un'idea fissa: tornare la notte successiva nella zona del fortino a indagare.
Però ora devo andare a lezione, sono già in ritardo. Così corro in bagno a darmi una sistemata veloce e torno sui miei passi.
Ma un urlo isterico e prolungato mi blocca a pochi centimetri dalla mia stanza: suor Elisa deve aver trovato Mr Blueyes!
«Mira! Mira! Tu mi ucciderai! Se non lo faccio prima io!»
Mi fiondo giù per le scale trattenendo le risa e mi precipito fuori, al riapro dalle maledizioni della mia consorella. Corro a rotta di collo lungo la strada che mi conduce all'università ma, dopo una decina di minuti, non ho più fiato e mi devo fermare. Con le mani sulle cosce e la schiena piegata in avanti, cerco di recuperare un respiro regolare. Ormai sono fuori pericolo. Così mi incammino con più calma verso la mia lezione d'inglese. Arrivo nei pressi delle scale che conducono alle segrete dell'UCT, ma noto che alcune compagne di corso risalgono, invece che scendere, i gradini che conducono all'aula.
Ne blocco una a caso: suor Ilona.
«Che succede?»
«Ah, ciao Mira! Oggi niente lezione, il professor Montero non è venuto sembra per problemi di salute. Mancherà per tutta la settimana.»
Problemi di salute, eh? Ma che bugiardo!
«Ehm, ho capito... allora ne approfitto per studiare un po' in biblioteca.»
«Mi piacerebbe tanto farti compagnia, ma nella mia missione sono arrivati alcuni bambini orfani e preferisco andare a dare una mano con l'accoglienza.»
«Se vuoi posso venire ad aiutare anch'io!» dico entusiasta. Quando si tratta di bambini abbandonati il mio cuore mi porta verso di loro, non posso farci niente. E poi magari potrei cogliere indizi e informazioni riguardo un fortino in mezzo alla boscaglia.
«Grazie, Mira, è molto gentile da parte tua! Andiamo!» e ci incamminiamo insieme chiacchierando del più e del meno.
Ma non facciamo in tempo ad arrivare alla fine del marciapiede per svoltare a destra, quando mi imbatto in un fagotto cencioso, seduto a terra, che piange. I suoi singhiozzi attirano prepotentemente la mia attenzione. Così mi fermo e mi inginocchio accanto a lui.
Un dolce ragazzino di si è no dieci anni mi guarda tra le lacrime e mi trattiene per un braccio.
«He's dying! Oh shit! Please, help me!»
Di tutta la frase ho capito solo shit. Chissà perché le parolacce si memorizzano immediatamente! Ipotizzo che abbia un attacco di mal di pancia o che sia già pieno di shit in ogni dove.
Ma non vedo chiazze strane e non sento odori rivelatori.
Così ripeto:
«Shit?»
Cala il silenzio, un silenzio davvero imbarazzante. Il bimbetto mi guarda confuso, suor Ilona mi fissa incredula. Poi sospira rumorosamente e sibila:
«Hai appena dato della merda a una creatura innocente, sorella, ti rendi conto?»
«Eh... lo so... lo ha detto prima lui, però! O ho capito male?»
«Non hai capito male, solo che il discorso è un po' più complesso, sorella!»
Quando mi vuole tenere testa, la mia amica si rivolge a me chiamandomi sorella e enfatizza l'appellativo in modo parecchio fastidioso.
«E ti dispiacerebbe rendere partecipe anche me di ciò che sta succedendo, o chiedo troppo, sorella?» chiedo stizzita.
«Ha detto che sta morendo... o forse è già morto... sorella!»
«Ma mi sembra in perfetta salute, non pensi, sorella?»
«Non lui!»
«E allora chi? Maledizione, Ilona, la smetti di tradurmi le cose a rate!»
«Non lo ha ancora detto!»
«Che cosa?»
«Chi sta morendo!»
«Ci penso io! Ma chi sta mordendo? Tuo nonno?» dico di getto rivolgendomi al ragazzino che singhiozza disperato.
Suor Ilona mi guarda di sbieco: non capisce come possa aver associato il moribondo a suo nonno. Se sapesse...
Schiarisco la voce e sussurro:
«Se mi dici chi sta male forse posso aiutarti.»
Suor Ilona interviene in mio supporto e traduce ciò che dico al piccolo che, evidentemente, non capisce l'italiano.
Il bambino spalanca gli occhi e dice con un filo di voce:
«Really? Can you help my green chlorocebus?»
«E che cos'è? Una malattia? Non so come tradurlo...» esclama suor Ilona in evidente difficoltà.
Ma io ho capito! Ho capito! So esattamente cos'è un chlorocebus!
E così, gonfia d'orgoglio e con gli occhi che brillano, dico in tono solenne:
«Il chlorocebus è un cercopiteco!»
Ilona mi guarda ancora più confusa.
«Una scimmietta! Il cercopiteco è una deliziosa scimmietta che vive in queste zone.»
«Meno male, non si tratta di suo nonno, ma di una scimmietta!» esclama con enfasi la mia consorella. Poi riprende a tradurre ciò che dico e le risposte del ragazzino.
«Se mi dici cosa è successo al tuo chlorocebus, forse posso fare qualcosa. Sai, io sono molto brava a guarire con piante magiche. Proprio stanotte ho curato un suricato che era stato morsicato da un serpente!»
Sgrana gli occhi.
«Davvero?»
Ma non è il bimbo a parlare. Mi giro in direzione della voce e vedo una suor Ilona trasfigurata dallo sbigottimento.
«Chiudi la bocca che poi ingoi qualche insetto di passaggio! É vero, ho curato la sua zampetta con l'erba della Madonna.»
«L'erba della Madonna? Sei davvero un'inviata di Dio sulla Terra», mi dice sognante, «sono molto onorata ad essere amica di una creatura ultraterrena come te!»
Ora sono io quella trasfigurata per lo sbigottimento.
«Ma per così poco, Ilona? Mi sembri un tantino invasata, eh! Comunque...ne parliamo dopo. Ora occupiamoci del mio piccolo amico.»
Lui, piagnucolando ma tenendo salda la stretta sul mio braccio, comincia a raccontare.
«È stato investito da un motorino e ora è ferito gravemente, povero il mio Hulk!» e i singhiozzi sono inarrestabili.
Hulk? Ah, sarà la scimmietta: questa specie ha delle striature verdi sulla schiena, forse è per questo che le ha dato questo strano nome.
«Facciamo così: ora tu mi porti da Hulk e io vedo cosa riesco a fare, va bene?»
Il bambino si asciuga le lacrime con la maglietta e sfodera un sorriso bellissimo.
«Thanks, Mira!» e mi abbraccia fortissimo.
Che ragazzino dolce e affettuoso.
Ma poi mi sorge un dubbio.
Così mi scosto da lui e gli chiedo:
«E tu come fai a sapere il mio nome?»
«Ti ha chiamato così la tua amica» risponde impacciato «ho pensato che quello fosse il tuo nome...»
«Già, la mia amica... il mio nome. Bene, allora facciamo le presentazioni. Piacere, io sono Mira. Lei è Ilona e tu sei?»
«Nelson!»
«Piacere Nelson! Fammi salutare Ilona e poi andiamo.»
Ci stringiamo le mani in un patto di mutuo soccorso.
Poi mi rivolgo a Ilona:
«Ilona, io vado con lui dalla scimmietta ferita, se mi libero presto ti raggiungo. La tua è la missione nella periferia nord, giusto?»
Noto che lei guarda il bambino con aria confusa, poi prova a dire:
«Sì sì, la missione ... a nord... ma senti, Mira... io non ti ho mai chiam... »
Una stretta al braccio destro seguito da grida festanti la interrompono.
Saluto Ilona con uno sguardo rassicurante e seguo il ragazzino che non si tiene più per l'entusiasmo di offrire una possibilità al suo cercopiteco verde ferito.
Dopo pochi passi, Nelson alza il pollice verso il lato opposto della strada. Guardo in quella direzione ma ci sono solo auto, motorini e biciclette che sfrecciano velocissimi sulla carreggiata, sul marciapiede opposto non noto nessuno. Bah, i bambini: ogni occasione è buona per inventare un gioco!
Dopo una camminata di una decina di minuti, svoltiamo in un viottolo sterrato che si perde tra sterminati campi di mais. Ci fermiamo lungo la stradina apparentemente immersa nel nulla. A bordo strada, poco più avanti, c'è un furgoncino bianco, come quelli per il trasporto del latte: è talmente malconcio che sembra abbandonato.
«Nelson, dov'è la tua casa?» chiedo in un inglese stentato.
Ma mi capisce, perché indica con l'indice un punto in mezzo alle spighe.
Stringo gli occhi per cercare di scorgere qualche edificio.
Sono così concentrata che non mi accorgo dei passi alle mie spalle fino a che due enormi mani mi coprono la bocca e mi bloccano le braccia contro il corpo. Un odore di benzina mi stordisce e, prima di svenire, riesco a sentire qualcuno dire:
«Good job, Charlie!»
Charlie? Ma non si chiamava Nelson quel piccolo imbroglione?
Poi vengo inghiottita dall'oscurità e dal silenzio.
Shit!
Fonte immagine: https://www.google.it/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fit.wikipedia.org%2Fwiki%2FFile%3ACercopiteco_verde_%2528Chlorocebus_pygerythrus%2529%2C_parque_nacional_Kruger%2C_Sud%25C3%25A1frica%2C_2018-07-25%2C_DD_40.jpg&psig=AOvVaw2wmrEsAvrUGMsU63mhc7zz&ust=1718638596028000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBEQjhxqFwoTCIiA9O254IYDFQAAAAAdAAAAABAE
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro