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Mio padre


Ricordo di quando camminavamo scalzi d'estate nel campo di granturco davanti a casa. Ci dondolavamo su di un'altalena che ci aveva costruito lui. La mamma ci guardava giocare, serena, prendendosi cura della casa. Indossava sempre abiti larghi e grandi stivali logori che un giorno avrei voluto indossare anche io. La aiutavo come potevo, anche con il piccolo Jerome, che era nato quattro anni prima.

Non pioveva quasi mai, ma c'era una settimana almeno, in cui le nubi non davano tregua al sole. Mia madre vedeva il buono in tutto e ci spiegava che le piante avevano bisogno di quell'acqua piovana. Se i frutti erano buoni era perché gli alberi avevano bevuto in abbondanza. Lei era una donna strega e voleva insegnarci la saggezza tramite i suoi gesti quotidiani. A volte andavamo a visitare i nonni, ci mettevamo in macchina e dopo quattro interminabili ore arrivavamo alla fattoria nel nord. Là, era più facile incontrare animali selvatici, come volpi, procioni e puzzole. Una volta il mio fratellino era stato accerchiato da cinque di quegli animali maleodoranti. Lui era arrivato, l'aveva preso in braccio asciugando i suoi occhi rossi. Mia madre aveva preparato una vasca di succo di pomodoro e loro si erano lavati in quel brodo rosso. Io li avevo spiati, gelosa di mio fratello che poteva avere quell'intimità con nostro padre. Lui era come un orso. Aveva grandi braccia come tronchi, un petto peloso e una grande cicatrice su di un fianco. Quando si era spogliato avevo visto che teneva un enorme rosario attorno al collo muscoloso. Era alto, ma accucciato con mio fratello nella vasca sarebbe potuto essere un bambino, se non fosse stato per la barba bionda rossiccia, come un animale selvatico.

Aveva un cuore d'oro, io lo sapevo, lo vedevo nel sorriso della mamma. Si prendeva cura di lei e tornava sempre con la spesa. Qualcosa doveva averlo turbato perché era molto silenzioso e non riusciva a mostrare i suoi sentimenti, era vivo, pulsava, ma come circondato da una corteccia impenetrabile.

Quand'ero piccola scrivevo storie che avevano come protagonista questa bestia inavvicinabile dal pelo rosso che aiutava gli uomini, ma non si faceva mai prendere, né ringraziare. Era la mia ossessione quand'ero sola, sapevo che lui andava a lavorare, ma io fantasticavo di trovarlo nei boschi dietro casa. Come un'ombra di fumo era inafferrabile e se parlava, parlava poco e lo faceva con la mamma. Lei era comprensiva, dolce e innamorata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Anche nella malattia, anche negli ultimi suoi istanti i suoi occhi stanchi lo cercavano e lo aspettavano. Io la invidiavo perché aveva avuto la fortuna di trovare un uomo così buono, come uscito da una favola.

Quando la mamma era stata male ci eravamo avvicinati, lo avevo visto addirittura piangere. Mio fratello non capiva cosa stava accadendo, ma io e mio padre si. Questo ci legò molto. Come mi aveva insegnato la mamma aspettai, e lui decise di parlare un giorno. Da quel momento, come un fuoco timido che si accende, le nostre parole scoppiettarono per scaldare quel luogo dove c'era anche la mamma ed eravamo felici.

L'inverno era davvero noioso. Solo quando iniziai ad andare a scuola conobbi altri bambini della mia età. Era un mondo nuovo dove non sapevo come muovermi. Litigavo, non sopportavo le prepotenze. Improvvisamente pensai qualcosa di scuro. Se avessero dovuto chiamare a casa, mio padre sarebbe dovuto venire a parlare con gli insegnanti. Allora trovai un pretesto e mi misi a litigare con una bambina fino ad arrivare a tirarle i capelli. Come previsto chiamarono a casa e venne la mamma.

"Emma si può sapere cosa ti prende."

Io mi misi a piangere. Non era così che volevo che andasse. La preside elencò le mie malefatte come fossi stata una criminale ad un processo.

"Non so cosa le prenda, a volte si comporta come una selvaggia."

Sorrisi quando lei disse quelle parole.

"Ne parlerò stasera con mio marito e prenderemo provvedimenti." Rispose la mamma.

Sorrisi di nuovo.

Quella sera stringevo le ginocchia al petto nella mia cameretta. Sentivo i discorsi al di là della porta e aspettavo il momento in cui mio padre sarebbe entrato a sgridarmi a urlarmi contro, ma almeno mi avrebbe rivolto la parola, uno sguardo. La porta si aprì lentamente e la luce entrò illuminando la stanza buia dove mi trovavo. L'attesa mi stava facendo sudare le mani, le asciugai sulle coperte. Lui entrò e si sedette sul bordo del letto senza dire niente. Aveva un odore buonissimo. Indossava una maglia a maniche lunghe e dei pantaloni rossi. Come una scimmia che si avvicina ad un albero, mi avvicinai timidamente, felina, attenta a non farmi accorgere, per paura si potesse alzare.

"Emma..." Disse.

Io non ci pensai due volte e lo abbracciai forte alla vita. Le mie braccia erano troppo corte per toccarsi, sembrava di stare abbracciati ad un tronco di qualche pianta secolare. Rimasi così non so quanto tempo, respirando profondamente, cercando di assorbire tutto di lui, come un fungo simbionte. Lui dopo un po' di tempo mosse il braccio e temetti si volesse alzare, invece posò la mano sulla mia testa e iniziò ad accarezzarmi.

"Scusa papà." Dissi mentre le lacrime calde mi scivolavano sulle guance.

Lui non disse niente, come un albero, lo sentivo vicino ma non eravamo sullo stesso stato di esistenza. Potevo godere della sua ombra, respirare il profumo dei suoi fiori, ma dovetti aspettare molti anni prima di sapere quanti cerchi conteneva il suo fusto o che colore sarebbero diventate le sue foglie in autunno.

Molto tempo dopo ci vedemmo tutti insieme per il pranzo del giorno del ringranziamento. Lui era sempre carismatico nel suo silenzio e possente come una quercia inarrestabile verso il cielo. Non aveva ripreso moglie mentre io e mio fratello ci eravamo sposati. La tavola era piena di risate e bambini. Mio fratello Jerome era arrivato in ritardo come il suo solito. Lo aspettai fuori sulla veranda dove giocavamo negli infiniti pomeriggi d'estate.

"Come sta papà?" Chiese lui quando mi vide.

Lasciai mio figlio che corse incontro i suoi cuginetti. Ci abbracciammo forte.

"Bene." Dissi spondandomi e lasciando passare sua moglie che aveva la pancia gonfia aspettando un nuovo figlio a breve.

Entrammo e ci sedemmo a tavola.

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