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Il gatto e le cornamuse

Quando sono nata diluviava , era la notte del quattro di ottobre. Mio padre lavorava da alcuni anni come sacerdote presbiteriano babbano in un villaggio vicino a Caithness , nelle Highland scozzesi e mia madre Isobel mi diede alla luce nella nostra piccola casetta dietro la canonica, immersa nella compagna verde e tempestosa. Mia madre era una strega, anche se questo a papà non avevo avuto il coraggio di dirlo. Non mi sento di giudicarla, dopo tutti questi anni: so cosa vuol dire essere giovani e innamorati. Mia madre aveva 18 anni, aveva appena terminato gli studi ad Hogwarts, forse non aveva previsto di innamorarsi, forse non aveva previsto di fare un colpo di testa, ma lo fece e per amore rinunciò alla sua bacchetta, la chiuse in una scatola e per tutta la gravidanza finse che non fosse mai esistita.

Il mondo magico le mancava terribilmente, così quella notte quando mi guardò negli occhi per la prima volta decise di chiamarmi Minerva, come sua madre. Ciò che mia madre non aveva pensato era che io dessi segni di magia prima ancora di riuscire a capire. La magia era così forte in lei che, anche se repressa, era passata a me e in barba alle leggi che avrei seguito per tutta la vita, da neonata lasciavo che quella forza magica fluisse fuori di me senza chiedermi perché , senza domandarmi se fosse giusto o sbagliato. Papà aveva una grande collezione di cornamuse e vi giuro che sentirle suonare era così totalizzante che davvero non potevo resistere. Non riesco ad immagine la mia povera mamma , imbarazzata che cercava di spiegare a mio padre babbano perché le cornamuse non smettevano mai di suonare. Per non parlare del gatto che continuava a portarmi oggetti e giochi nella culla senza il minimo ordine da parte dei suoi padroni. A volte lo trovavano sdraiato con me nella culla. Adoravo quell'animaletto dal pelo morbido e setoso che si muoveva agilmente sulla credenza: penso che il mio amore per i gatti sia nato insieme a me.

Mio padre credeva che la mamma avesse frequentato un collegio femminile, credeva che fosse solo una ragazza come tante del suo villaggio babbano, ma Isobel era molto di più: una strega che per amore aveva lasciato la magia. Aveva così paura che mio padre ci abbandonasse che non trovava il coraggio di dirgli la verità, così mi prendeva dalla mia culla e spariva, lacerata dall'orgoglio e dal terrore. Mio padre diventava pazzo a venirci a cercare, chiedendosi dove poteva essersi rifugiata ogni volta , con una bambina così piccola. Alla fine, un giorno, dopo un paziente interrogatorio di mio padre, scoppiò in lacrime, tirò fuori da sotto il letto la bacchetta che teneva chiusa a chiave in una cassa, e mostrò al marito quel che lei era veramente. Era come se a parole non riuscisse a parlarne, doveva fargli vedere.

Mio padre fu molto scosso da quella rivelazione, più che la magia in sé, si sentì tradito dalla mancanza di fiducia di mia madre nei suoi confronti. Non smise mai di amarla, ma non la perdonò mai del tutto e quella storia permase tra di loro, offuscando il loro amore. Proprio lui che si vantava di essere un uomo retto e onesto, ora veniva trascinato in una vita di segreti decisamente estranea alla sua natura e il sapere che io e mamma eravamo tenute al segreto da una pomposa legge magica di certo non lo tranquillizzava più di tanto.

Caithness era un villaggio di gente semplice , spesso austera, rigida e convenzionale, legata a valori e tradizioni babbani di fine 800: come si sarebbero sentiti a scoprire che il loro reverendo aveva sposato una strega? Papà aveva paura che la gente del posto non ci capisse, che vedessero qualche evento fuori dal comune e perciò cominciassero a parlare di noi. La segretezza sulle nostre doti magiche venne imposta in famiglia come un dogma e appesantiva molto la nostra vita, specie dopo la nascita dei miei due fratelli, Malcolm e Robert Jr.

Per quanto io e mia madre continuassimo a spiegare loro la necessità di essere prudenti e attenti, capitavano incidenti uno dietro l'altro e mio padre ogni volta veniva preso dal terrore, per cui alla fine cercavamo di nascondergli gli episodi più gravi. Non lo facevano apposta , ma per un motivo o per l'altro finivano sempre per usare involontariamente la loro magia.

Crescere in un villaggio babbano per un piccolo mago o una piccola strega non era semplice all'inizio del 1900. Ogni singolo sospetto io o i miei fratelli venivamo additati come strani, diversi, chiamati con appellativi cattivi e poco rispettosi: continuare a fare buon viso era difficile, non reagire era difficile. Ho capito fin da subito che ci sono due tipi di babbani. Quelli come papà che per quanto spaventati dalla magia, sono brave persone disposte al perdono e alla comprensione e poi ci sono babbani per cui la magia è un peccato e tu in quanto peccatore non hai diritto ad alcuna pietà o rispetto. Con queste persone è inutile discutere o perdere tempo. Semplicemente non vogliono aprire gli occhi, non vogliono vedere che il mondo è molto più grande del loro villaggio, dei loro ideali presbiteriani e delle loro idee retrograde. Per quanto tu possa insistere otterrai da loro solo paura ed ostilità. E' un vero peccato perché io ho sempre creduto che la magia faccia parte del mondo, di ogni persona che vive al suo interno, che faccia parte di come siamo, che sia una forza primitiva e naturale che chiede solo di essere rispettata e preservata.

Infondo, io, Malcom e Robert eravamo solo bambini che giocano e ridono e crescono. Fino agli undici anni frequentammo una comunissima scuola babbana, andavamo al catechismo e in chiesa la domenica dove papà leggeva la bibbia e teneva il suo sermone, come una famiglia qualsiasi e davvero non chiedevamo altro. Il giorno che un gufo si appollaiò alla finestra del salotto mio padre semplicemente si alzò da tavola e se ne andò in chiesa a pregare. Pensò avesse paura a lasciare andare la sua bambina in un mondo irto di pericoli, misterioso e oscuro di cui non conosceva le regole. Tuttavia, mi lasciarono libera di scegliere e io scelsi di non nascondere più la magia.

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