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Giorno 432 - Di morte e dolore, che non sono mai la stessa cosa

Il mio mondo si era capovolto.

Da quando avevo compreso gli sbagli madornali che avevo commesso per un anno intero, quella patetica imitazione di vita a cui ero condannata aveva preso a muoversi secondo regole tutte nuove: continuava a esserci il mio morire ogni singolo giorno, certo, ma le similitudini con ciò che era accaduto nei trecentosessantasei giorni precedenti finivano lì.

Laddove io ero divenuta calma e posata, la Signora delle Perle sembrava aver perso ogni controllo sulle proprie emozioni e sulle proprie azioni.

Era diventata brutale; era diventata crudele.

Era diventata la maschera orribile con cui l'intero genere umano la identificava.

Per un po', i suoi tentativi si erano concentrati sul fiaccare la mia mente e la mia anima; sapeva – come lo sapevo io – che il nocciolo del problema e della mia resistenza indefessa si concentrava lì.

Non aveva funzionato.

La nuova consapevolezza che avevo dei miei errori passati mi metteva al riparo dal rischio di commetterli una seconda volta; e mettendomi al riparo da quelle reazioni viscerali dettate da rabbia e orgoglio, mi teneva al sicuro anche dai trucchi della Signora delle Perle.

Le ci erano volute cinque settimane e tre giorni per capire che quell'approccio non avrebbe portato a nulla.

La sua ira era stata terribile; peggio delle morti strazianti, peggio dei suoi colpi bassi.

Era stata bruciante.

Era stata esplosiva.

Era stata travolgente.

Eppure, per quanto grande e violenta, non mi aveva intimorita. Se ero stata capace di sopportare le sue pugnalate al mio spirito, per quale motivo la sua rabbia avrebbe dovuto sortire un diverso effetto?

Centinaia di volte aveva devastato il mio corpo in modi quasi inimmaginabili; mi aveva strappato a viva forza energia e speranza; mi aveva lacerato l'anima; tutto senza risultato.

Cos'avrebbe potuto farmi di peggio?

Credo davvero che la mia disperazione fosse passata a lei, che il bisogno insopprimibile di vincere che avevo provato avesse lasciato la mia mente per stabilirsi nella sua come un parassita.

Credo che si sentisse senza più alternative, senza più risorse; aveva un compito da portare a termine e non sapeva più che mezzi impiegare.

E così regredì all'approccio più semplice, più lineare, più rozzo e privo d'eleganza.

Tornò ad accanirsi sulle mie carni.

Erano ormai quattro settimane che lo faceva.

Erano ormai quattro settimane che s'ingegnava a rifilarmi una morte orribile dopo l'altra senza ottenere da me alcuna reazione.

Quattro settimane bagnate letteralmente dal mio sangue.

Quando iniziò il quattrocentotrentaduesimo giorno, avevo smesso di chiedermi già da un po' cosa mi avrebbe riservato di nuovo la Signora delle Perle.

Perché non era importante.

Non era determinante.

Quel mattino mi alzai ben decisa a uscire: per quanto fossi indifferente al tipo di morte che mi sarebbe spettata quel giorno, non avevo nessuna intenzione di languire in casa troppo a lungo e rischiare che una seconda ondata di depressione mi travolgesse.

Lasciai il mio appartamento e salii sul primo autobus che trovai.

C'era qualcosa di estremamente tranquillizzante nello stare abbandonata su quel sedile, con gli occhi fissi sul finestrino mentre il moto regolare del mezzo mi cullava; lo scarso via vai dei passeggeri e le chiacchiere occasionali che alcuni di loro scambiavano aggiungevano il sottofondo ideale alla mia attesa.

E quell'attesa non fu certo lunga.

Da quando ero salita sull'autobus, non era passata che mezz'ora; in quel momento – soprattutto grazie al fatto che era molto presto e non c'era traffico – procedeva a velocità sostenuta lungo una delle strade principali della città, diretto a una fermata distante meno di un chilometro.

Non ci arrivammo mai.

Presa com'ero a osservare la strada alla mia sinistra, non vidi il camion della nettezza urbana che sbucava a tutta velocità da una strada laterale alla nostra destra.

Non lo vidi; ma lo sentii.

E poi, di colpo, il mio mondo si capovolse.

Lo stridore dei freni e il suono orribile, assordante, di metallo contro metallo durò a stento un secondo; poi la forza dell'impatto rovesciò l'autobus e io mi ritrovai a volare come un uccellino in mezzo a una tempesta. Non riuscivo a mettere a fuoco nulla e le mie mani tentavano invano di aggrapparsi a qualcosa, qualsiasi cosa, per ritrovare una vaga stabilità.

L'unica cosa che riuscii a fare fu continuare a rimbalzare contro l'interno del mezzo e gli altri passeggeri. Non percepivo neanche il dolore: i colpi erano così tanti, così ravvicinati, e tutto era così caotico che la mia mente non riusciva a stare al passo col mio corpo.

Quando ogni cosa si fermò, mi ci volle qualche minuto – o almeno credo – perché riuscissi a recuperare un po' di lucidità.

E insieme alla lucidità, anche i miei sensi tornarono a pieno regime.

Il dolore arrivò tutto insieme, simile a un fiume in piena, e mi travolse. Non c'era una singola parte del mio corpo che non fosse bersagliato da fitte lancinanti; era come se ogni centimetro della mia carne, tanto all'interno quanto all'esterno, fosse stato preso a martellate.

Presi un respiro spezzato e sentii un dolore acuto e bruciante irradiarsi nel torso e nell'addome, tanto violento da sovrastare qualsiasi altro malessere.

Tentai di sollevarmi su un gomito, ma le forze iniziavano a mancarmi; dovetti provarci quattro volte per riuscire a tirare su la testa quel tanto che bastava per controllare i danni che avevo riportato.

Non posso dire che rimasi sorpresa quando mi accorsi che una delle aste metalliche dell'autobus, di quelle con le estremità solitamente imbullonate a pavimento e soffitto, era stata divelta dall'impatto.

Così come non fui stupita da fatto che quell'asta aveva finito per trapassare il mio corpo da parte a parte, all'altezza dello stomaco.

Mi lasciai ricadere e attesi con calma che dolore e vita svanissero per lasciarmi cadavere.

«Sei ancora certa di volere tutto questo, Rose?» disse di punto in bianco la voce della Signora delle Perle, vicinissima. «Sei ancora certa che la tua mente sia più importante?»

Cercai di girare il collo per guardarla; invano. Ma fu comunque abbastanza cortese da spostarsi, in modo che ci trovassimo faccia a faccia.

Soltanto allora le risposi.

«Sono certa».

La Signora delle Perle incrociò le braccia sul petto e mi scrutò attentamente. «Anche se l'unico risultato che ti porta è la sofferenza?»

Sbuffai mio malgrado. «La sofferenza e il dolore che mi rovesci addosso non hanno niente a che vedere con la situazione in cui mi trovo; sono unicamente un esercizio – un tuo esercizio – di crudeltà: banale e fine a se stessa. Come può qualcosa di tanto arbitrario avere un impatto duraturo su qualcuno?»

«Tramite l'esperienza» replicò lei, pronta. «Un bambino che si avvicini al fuoco per troppa curiosità e ne rimanga scottato, impara così a conoscere il pericolo e ad evitarlo; ne fa un piccolo tesoro che conserva gelosamente nella memoria». Inarcò un sopracciglio. «È un concetto che dovrebbe esserti familiare; non eri tu, mesi e mesi fa, a parlarmi dell'importanza della memoria?»

Non potei trattenere un sorriso. «Tu parli di un rapporto causa-effetto: un bambino non sa che il fuoco brucia, lo tocca, si scotta e la sua mente compone questa associazione. Ma qui – qui siamo di fronte a qualcosa di radicalmente diverso, non trovi?». Tacqui per un istante e guardai la Signora delle Perle per assicurarmi che mi stesse ascoltando con attenzione. «Tu vorresti farmi associare la morte con il dolore in un rapporto causa-effetto che non starà mai in piedi. E sai perché non starà mai in piedi?»

La Signora delle Perle digrignò i denti. «Illuminami» sibilò.

«Quel rapporto causa-effetto non starà mai in piedi perché cerchi di farmi temere il momento del trapasso e non è questo, di cui gli uomini hanno paura» spiegai. «Il momento della morte non è altro che un confine da varcare; in sé, non dura che un momento. Ciò che l'essere umano davvero teme è quel che si trova al di là di quel confine; e lo teme perché non lo conosce».

Vidi gli occhi della mia compagna assottigliarsi e il suo corpo fremere di rabbia a stento trattenuta: sapevo che non le sarebbero piaciute le mie parole, sapevo che scoprirmi consapevole di questa sottigliezza l'avrebbe fatta infuriare. Perché era un ulteriore passo indietro, per lei.

La Signora delle Perle allungò una mano verso di me.

«Ciò che dici è vero, Rose... eppure gli uomini si preoccupano dell'ignoto che li attende dopo la morte solamente quando ormai vi sono molto vicini. Quel che fanno per la quasi totalità della loro vita è evitare il dolore. Sai perché?»

«Perché spesso il dolore lascia impressioni più durature di qualunque altra cosa» mormorai.

«Esatto».

La sua mano afferrò il palo che mi sbucava dallo stomaco e lo torse con violenza.

Il dolore mi esplose di nuovo nel petto e nella schiena, più intenso di quanto non fosse stato in precedenza; si irradiava ovunque mentre sentivo la carne pulsare rabbiosa intorno al metallo, quasi volesse spingerlo fuori.

Urlai mentre il mio corpo si ribellava a quelle sensazioni orribili.

«È curioso, come io possa decidere se e quali parti di te siano effettivamente prive di vita» commentò la Signora delle Perle in tono leggero. «Non ci ho mai provato nel normale esercizio delle mie... funzioni, ma sono propensa a credere che questa regola valga in qualsiasi morte». Torse di nuovo il palo che mi trafiggeva e non riuscii a trattenere un altro grido. «Vedi? Le uniche parti di te che sto tenendo in vita in questo momento sono la testa e le terminazioni nervose. Tutte le terminazioni nervose. Non puoi muovere un dito per fermarmi, eppure puoi percepire ogni sensazione come se fossi viva a tutti gli effetti. Curioso» ripeté.

Mi sforzai di non pensare al dolore. «Inutilmente crudele» la corressi.

Per la terza volta, il palo venne ritorto nella mia carne. «Credi davvero che sia inutile?»

«Non lo credo; lo so e tu stessa me l'hai confermato» sputai tra i denti. La Signora delle Perle fermò la sua tortura, chiaramente in attesa che io mi spiegassi. «Hai detto poco fa che puoi tenere in vita quelle parti di me che preferisci, e tramite quelle parti ancora vive mi infliggi dolore. Invece, quando finalmente mi lasci morire, il dolore – che sia fisico o mentale – svanisce». Esitai per un momento. «Non è per questo, che tante persone si suicidano? Perché sanno che il tipo di dolore che provano è indissolubilmente legato alla vita ed è tanto forte da superare persino il timore di ciò che li attende oltre la morte?»

La Signora delle Perle lasciò andare l'asta con un gesto secco, come se il metallo fosse diventato incandescente di colpo.

«Le sofferenze che mi infliggi non hanno niente a che vedere con ciò che sei» conclusi con un filo di voce.

Per un istante ci fissammo in silenzio; poi la Signora delle Perle si chinò su di me fino a portare il volto a un soffio dal mio, una mano di nuovo stretta intorno al palo di metallo per sostenersi.

«Hai le idee molto chiare su ciò che non sono, Rosie» sibilò mentre l'oscurità ci circondava. «Prega solo di non scoprire mai cosa io sia, o rischi di perdere davvero quella tua mente a cui tieni tanto».

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