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Giorno 365 - Giro di boa

Una tristezza soffocante fu la mia compagna di risveglio nel giorno trecentosessantacinque.

Un anno. Ormai da un anno arrancavo in quella non-vita, stretta nella morsa di un'esistenza fatta solo di morte e incompiutezza.

Quel pensiero mi lasciò in bocca un gusto tanto amaro da rivoltarmi lo stomaco.

Com'è possibile che sia già passato così tanto tempo? mi chiesi, sgomenta. Se ripensavo a quell'incontro con la Signora delle Perle e alla mia prima morte, era come rivedere gli eventi attraverso il lato sbagliato di un cannocchiale, tanto lontani e indefiniti da sembrare storia antica; eppure tutte quelle parole e quelle sensazioni le ricordavo in modo così netto e vivido da poter quasi dare loro una dimensione fisica, reale.

Erano accadute innumerevoli cose e non una aveva lasciato un segno su qualcosa o qualcuno all'infuori di me: un pezzo della mia vita vuoto come una lavagna scarabocchiata e cancellata di continuo da una mano capricciosa.

Un anno andato via così, come fosse stato spazzatura: superfluo, privo di qualsivoglia rilevanza.

Come fosse stato nulla.

Il peso di quel pensiero mi spinse fuori dal letto e alla finestra, alla disperata ricerca d'aria. Mi aggrappai alla soglia come se quel semplice gesto potesse restituirmi la stabilità che in quel momento tanto mi mancava e lasciai vagare lo sguardo sulla strada sottostante. Fu un pensiero banale, ma il primo concetto che mi si affacciò alla mente fu comunque quello: tutto scorreva, tutto fluiva, tutto cambiava – tranne me.

Sei una roccia nel fiume, mormorò una voce nella mia mente. Sei una roccia immersa nel fiume, destinata a non cambiare mai ma solo a essere erosa grano a grano dal costante fluire di quel tutto di cui non fai più parte.

Ergiti fuori dall'acqua, o arriverà il giorno in cui non resterà più nulla di te.

Mi staccai dalla finestra di scatto prima ancora di potermi rendere conto di cosa stessi facendo. Ma non era quello che tentavo di fare da un anno? Liberarmi dalla tortura contro Natura che la Signora delle Perle aveva imposto su di me non era stato il mio obiettivo sin dagli esordi di quella singolare guerra a due?

Per la primissima volta mi fermai a riflettere su ogni giorno, ogni morte, ogni conversazione in modo ordinato e schematico, senza tralasciare nulla.

Alla fine delle mie riflessioni avevo compreso con chiarezza una sola cosa, immensa e terrificante nel suo essere incontrovertibilmente vera.

Io non avevo mai cercato di sottrarmi al gioco della Signora delle Perle.

Io avevo cercato di sconfiggere la Signora delle Perle.

Non riuscivo a capacitarmi di come mi fosse potuto sfuggire un errore tanto grossolano. Mai, prima di quell'incontro al pub, avevo pensato di poter sconfiggere la Morte; ero pronta ad accettarla, accoglierla addirittura, ma nella mia visione dell'esistenza mai, mai, mai mi ero permessa un pensiero tanto arrogante come quello di beffare la Morte.

Eppure, nel momento in cui mi ci ero ritrovata faccia a faccia, l'unica cosa che avevo percepito era stata la sfida che mi si metteva davanti; e, inesorabile, il desiderio di prevalere si era imposto con violenza su tutto il resto.

Incredibile ma vero, per tutto quel tempo avevo affrontato la questione nel modo sbagliato: avevo confuso il rifiuto di essere sconfitta con l'immutabilità delle mie convinzioni, l'ostinazione con la perseveranza, l'istinto a schiacciare l'avversario con la difesa della mia persona.

Avevo steso un velo sui miei stessi occhi senza neanche rendermene conto.

Mi vergognai profondamente di me stessa.

Avevo buttato al vento un intero anno senza trarne nulla di utile: col mio comportamento, con la mia ottusità, non avevo fatto un solo passo lungo la strada che mi avrebbe condotta a riappropriarmi della mia vita.

Dovevo assolutamente cambiare rotta, e cambiarla in fretta.

Dovevo smettere di scontrarmi con la Signora delle Perle al solo scopo di frustrare le sue aspettative; dovevo iniziare a scontrarmi con la Signora delle Perle unicamente per comprendere ed essere compresa, per apprendere da lei il più possibile e mostrare a lei, senza il biasimo e l'astio che mi accompagnavano ormai da mesi, cosa io realmente fossi e sempre sarei stata.

Dovevo ricominciare a rispettarla.

Non era passata mezz'ora da quando avevo preso atto del mio errore, che già avevo deciso che quel giorno avrei fatto di tutto per avere una morte dolce.

La volevo.

Me la meritavo.

E per ottenerla, scelsi di seguire quel pensiero fugace che aveva dato inizio alla mia epifania.

Mi precipitai all'armadietto dei medicinali e presi a svuotarlo con gesti febbrili, fino a quando le mie dita non si serrarono su quel che cercavo: una boccetta ancora sigillata piena di un forte sonnifero a cui non ero mai voluta ricorrere.

Almeno fino a quel giorno.

Andai in cucina a prendere un bicchiere d'acqua e in camera da letto per cambiarmi; e fui talmente rapida che, solo cinque minuti aver deciso come morire, mi trovavo di nuovo in bagno mentre riempivo la vasca di acqua tiepida.

Per un attimo mi sentii incredibilmente stupida, immobile accanto al lavandino di casa mia con indosso il costume da bagno; ma poi la vasca fu piena e quel momento passò.

Aprii la boccetta di sonnifero e versai nel bicchiere il quadruplo della dose massima consigliata.

Mandai giù il tutto senza un solo rimpianto.

Posato il bicchiere sul lavandino, entrai con cautela nella vasca da bagno, con la nuca appoggiata al bordo di ceramica, e mi misi comoda in attesa che il narcotico facesse effetto.

In breve tempo scivolai nel sonno.

E anche se non lo rammento, di certo scivolai anche nell'acqua, e l'acqua scivolò nei miei polmoni spingendone fuori una volta per tutte ogni molecola d'ossigeno.

Ebbi la mia morte dolce; e fu persino più delicata e impalpabile di quanto avessi immaginato.

Quando riaprii gli occhi, senza più il controllo del mio corpo e con l'acqua che mi premeva sul petto allo stesso tempo dall'interno e dall'esterno, vidi attraverso quello schermo liquido esattamente ciò che mi aspettavo: la sagoma distorta della mia nemesi che, con le braccia fasciate da una giacca color tortora incrociate sul petto, scrutava il mio corpo senza vita sul fondo della vasca da bagno piena fino all'orlo.

Un attimo più tardi le sue mani si immersero senza esitazioni e mi afferrarono per le spalle; poi, con uno strattone deciso, la Signora delle Perle mi tirò fuori la testa dall'acqua; il movimento brusco fece tracimare il liquido trasparente oltre la ceramica, creando una cascata che si riversò sul pavimento.

«Vedo, Rose, che non impari mai» disse gelida. Incurante dell'acqua che le aveva inzuppato le scarpe eleganti mi adagiò con la schiena sul bordo della vasca, in modo che restassi in posizione seduta, prima di tornare a scrutarmi corrucciata. «Perseveri nel trattare con noncuranza la tua vita. Quando la smetterai con questo tuo futile e inconcludente esercizio?»

Sputai una boccata d'acqua.

«Consideri futili e inconcludenti i miei suicidi soltanto perché ognuno di essi è un giorno sottratto al tuo dominio sulla mia esistenza» replicai.

La Signora delle Perle mosse la mano in un gesto stizzito e un basso sgabello apparve accanto alla vasca. Sedette impettita, con le caviglie incrociate e le mani appoggiate in grembo, senza mai staccare gli occhi da me.

«Futile e inconcludente è ciò che non ti porta alcun risultato utile» intonò con voce monocorde. «I tuoi suicidi non mi fanno recedere dal mio compito; si limitano a prolungarlo e questo non serve che a far sprecare tempo prezioso ad entrambe. Ergo, queste tue azioni sono, come ho già detto, futili e inconcludenti».

«Prima, forse» concessi. Vidi il suo sguardo affilarsi e alzai il mio al cielo per un breve momento. «Prima, quando lo facevo per i motivi sbagliati».

«Non esiste un motivo giusto per opporti al cambiamento che si pretende da te» sbottò la Signora delle Perle.

«Non condivido». Tacqui per qualche istante: dovevo trovare le parole giuste a ogni costo, oppure anche quella giornata – anche quella morte – non sarebbe servita a nulla. «Mi rendo conto ora di aver trascorso ogni giorno dell'ultimo anno a farti la guerra; una guerra, te lo ribadisco, giusta, ma che ho condotto mossa dalle motivazioni sbagliate. Ciò che più mi preme – ciò per cui combatto – è il diritto a conservare la mia identità esattamente così com'è; ma la rabbia crescente che ha finito per guidare entrambe aveva, almeno per me, sostituito quel fine con uno molto meno nobile e utile».

La Signora delle Perle prese un breve respiro attraverso il naso.

«E quale sarebbe?» mi chiese infine.

Chiusi gli occhi. «Sconfiggerti per il puro gusto di vincere».

Con le palpebre sempre serrate, la sentii muoversi sullo sgabello; per un lungo minuto, il silenzio fu totale.

«Rose, la Morte non si può sconfiggere» disse in tono piatto.

«Lo so». Riaprii gli occhi e li puntai dritti sul suo volto di pietra. «Non ho mai voluto sconfiggerti né evitarti e lo sai benissimo, altrimenti ora non saremmo qui; quello di te che voglio battere a ogni costo è quel mio cambiamento che tu ritieni tanto necessario e io so essere impossibile». Sospirai mio malgrado. «Una guerra fatta solo per lottare è la cosa più stupida e inutile che si possa immaginare. Futile e inconcludente, per usare le tue parole».

La Signora delle Perle mi rivolse uno dei suoi sguardi calcolatori che ormai conoscevo tanto bene: stava cercando di capire, di conoscere ciò che mi si annidava nel cervello.

Esattamente quello che volevo.

«Cosa speri di ottenere continuando a contrastarmi, allora?» mi incalzò.

«Non voglio ottenere nulla» risposi con assoluta sincerità: ormai era vero, ormai avevo capito che non si trattava affatto di conquistare qualcosa. «Voglio capire. Voglio capirti ed essere capita. Voglio conoscere».

«Impossibile» ribatté lei all'istante. «Io non devo capire perché tu sia come sei, né tu hai bisogno di conoscere più di quanto già non sappia. Tutto quello che devo fare è spingerti a cambiare fino a quando non ti deciderai a obbedire».

L'oscurità iniziò ad addensarsi sulle pareti e io non potei fare a meno di sorridere.

«Impossibile, dici?» commentai allegramente quando i primi viticci bui mi strisciarono su per le le braccia e verso il volto. «Ma se tu stessa mi hai mostrato come, in realtà, nulla sia davvero impossibile!»

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