Giorno 290 - Perdere la testa
La risalita sarebbe stata dura.
Sfidare la Signora delle Perle non aveva reso, neanche per un istante, meno chiaro quel concetto: tornare a essere quella di sempre era un cammino pieno d'ostacoli, lo riconoscevo senza problemi. Non solo dovevo ancora rimettermi in sesto; era anche necessario trovare un nuovo modo per resistere ai suoi trucchi e, cosa più importante, elaborare un metodo ancora più efficace per farle saltare i nervi e batterla al suo stesso gioco.
Perciò la risalita sarebbe stata molto, molto dura.
Quel mattino decisi di fare il punto della situazione in maniera più ordinata e razionale: non potevo permettere che la mia mente si offuscasse di nuovo.
Quando mi svegliai non era ancora l'alba; armata di un caffè fumante, sedetti sulla soglia della finestra della cucina e guardai il sorgere del sole mentre ripensavo agli ultimi sei mesi. Una parte di me si sentiva sfinita, come se avessi nuotato controcorrente ogni singolo minuto da quando, per la prima volta, avevo posato lo sguardo sulla Signora delle Perle; l'altra – piccola, residuale, ma c'era – era galvanizzata dal fatto di aver resistito fino a quel momento, di non aver ceduto alla pressione.
Ma una cosa accomunava ogni singola fibra del mio essere: la frenetica ricerca del punto da cui ricominciare la ricostruzione del mio spirito.
Col secondo caffè della giornata tra le mani, cercai di capire cosa avevo e cosa, invece, ancora dovessi procurarmi per riuscire nel mio intento.
La volontà c'era, era evidente; e così c'era il primo passo – quello, forse, più difficile da muovere – lungo il nuovo corso che andavo programmando. C'era anche, almeno sembrava, la razionalità che tanto m'era stata amica e fedele compagna negli anni passati; e la rabbia verso la Signora delle Perle era tornata in tutto il suo bruciante splendore, pronta a darmi l'ultima, fondamentale spinta verso l'azione.
Erano poche risorse, sì, ma comunque molte più di quanto mi fossi aspettata solo un paio d'ore prima; il resto, mi convinsi, sarebbe venuto da sé.
Ciò che ancora mi mancava – come avevo dovuto constatare dolorosamente soltanto il giorno precedente – era il necessario distacco dalle persone che amavo: non che volessi smettere di provare affetto nei loro confronti o, peggio ancora, dimenticarle... ma dovevo escluderle dalla mia esistenza fino a quando non mi fossi liberata della Signora delle Perle: era un passo duro ma inevitabile.
E, soprattutto, dovevo uscire di casa, fare qualcosa – qualsiasi cosa – per riempire il tempo tra una morte e l'altra.
Magari senza che la Signora delle Perle riuscisse a intuire i miei piani.
Una cosa da nulla, Rose, disse una voce sarcastica nella mia mente. E che ci vuole!
Già, proprio da nulla. Anche se, a pensarci bene, forse quel che serviva era solo un'abbondante dose di quell'ostinazione che aveva dato tanto fastidio alla Signora delle Perle sin dai primissimi giorni della nostra bizzarra guerra.
Ostinazione? Si può fare!
Be', almeno qualcosa era deciso. Questo mi rinfrancò: l'ostinazione la conoscevo, mi riusciva bene, era parte di me così come lo era la mancanza di paura nei confronti dell'aldilà. Potevo averne in abbondanza senza particolare sforzo; e anche il passo successivo – stare lontana dalle persone a me più care – non sarebbe stato difficile. In fondo, quanto poteva essere complicato evitare qualcuno, se sai in anticipo dove sarà e cosa farà? Non era difficile, non lo era per niente.
E lo sarebbe stato ancor meno se avessi trovato una soluzione all'ultimo punto della mia breve lista.
Quando mi fermai a rifletterci, mi resi conto che la cosa era più intricata del previsto. Che genere di attività potevo inventarmi, visto che anche nel migliore dei casi non avevo più di quindici – sedici ore a disposizione?
Ci voleva qualcosa di ben preciso. Qualcosa che non necessitasse di lunghe preparazioni; qualcosa che fosse semplice, immediato, rapido da iniziare e mandare a compimento.
Qualcosa di impulsivo, aggiunse la voce di prima, stavolta del tutto priva di sarcasmo. E pericoloso.
L'idea mi solleticò. Forse era quella, la chiave; forse, se avessi fatto volutamente qualcosa di pericolo e letale, se avessi reso inutile il ruolo della Signora delle Perle, se mi fossi tolta la vita, lei avrebbe desistito.
Già. Forse.
Ma da dove cominciare?
Internet fu la scelta più logica: così accesi il portatile e iniziai a navigare su svariati siti che parlavano di attività estreme, mandando a memoria quelle più promettenti e a cui mi fosse possibile accedere – o almeno tentare di farlo – nelle brevi finestre temporali a mia disposizione.
La lista si allungò in fretta, ma c'erano dettagli che avrei verificato meglio di persona; così, vestirmi e uscire fu il passo successivo.
La mia impazienza s'intensificò non appena oltrepassai il cancello del condominio; adesso che ero fuori dalle mura di casa il desiderio, anzi, il bisogno di agire e mettere in atto le mie idee si fece prepotente.
Andai a passo spedito verso il centro, attenta a non commettere l'errore del giorno precedente: guardai scrupolosamente oltre ogni angolo prima di voltare e prestai grande attenzione alle auto in transito ogniqualvolta mi trovai a dover attraversare una strada. Volevo quantomeno finire di raccogliere le informazioni che mi servivano, prima di morire!
La visita alla scuola guida in cui avevo preso la patente fu molto più lunga di quanto mi aspettassi, ma mi chiarì ogni dubbio. Quando ne uscii era ormai ora di pranzo; e anche se mangiare in realtà non aveva molto senso, avevo una gran voglia di cibo spazzatura. In fondo, che importava se anche avessi divorato cibo sufficiente a sfamarmi per un'intera settimana? In quel limbo in cui m'aveva scaraventata la Signora delle Perle, non potevo certo ingrassare!
Il fast food che scelsi non era molto distante dalla scuola guida; neanche due isolati, e grazie a una scorciatoia che conoscevo bene, non ci avrei messo più di cinque minuti ad arrivare.
Ho detto che conoscevo bene quella scorciatoia; ed era così, ma non perché la usassi di frequente. Da ragazza mi era capitato di servirmene parecchie volte, quando ero in compagnia dei miei amici; ma con l'età adulta e un maggiore senso di responsabilità mi ero resa conto di come quel viottolo lungo e tortuoso, largo due metri scarsi e incuneato tra due alti palazzi degli anni Quaranta, fosse una nicchia perfetta per malintenzionati di ogni tipo, e non ci avevo più messo piede.
Fino a quel giorno.
Morire non era più un problema; essere aggredita poteva diventarlo, ma avevo già sopportato un certo numero di morti orribili, quindi cosa rischiavo?
Con queste considerazioni ancora fresche nella mente mi inoltrai in quella via angusta.
Magari non mi aspettavo che la Signora delle Perle potesse essere così banale; aveva dimostrato di possedere una certa vena creativa e, sebbene capissi che non poteva mantenere costantemente quello standard così alto, ero certa che non sarebbe mai scesa tanto in basso.
Era chiaro che avevo ancora molto da imparare, su di lei.
Mi trovavo più o meno a metà del viottolo quando un'ombra si staccò da dietro un cassonetto e mi si fece incontro.
«Dammi i soldi e non ti faccio niente» mi intimò lo sconosciuto.
Automaticamente i miei occhi saettarono dal suo volto al coltello che stringeva in pugno. E io sapevo che era stupido, sapevo che era inutile e che in realtà non avevo niente da perdere, ma certe abitudini sono dure a morire.
Anche l'istinto di autoconservazione lo è.
Senza neanche pensarci feci una finta a sinistra; l'uomo ci cascò, si mosse per bloccarmi e io lo superai scattando verso destra.
Andò bene.
Per i primi sette metri.
Ero sicura di avercela fatta. Sicura. Il cuore mi batteva a un ritmo forsennato e mi pompava l'adrenalina nelle vene, simile a fuoco liquido: ero persa nella foga del momento, cieca e sorda a qualunque cosa non fosse la mia corsa.
E non lo sentii.
Non sentii lo sconosciuto arrivarmi alla spalle; ma sentii il coltello.
Quello stesso coltello che avevo guardato poco prima e che adesso mi affondava nella gola.
È bizzarro come un atto tanto rapido possa essere percepito al rallentatore da chi ne è la vittima. Per me fu così; sentii la mano libera dell'uomo afferrarmi i capelli e il taglio sottilissimo della lama appoggiarsi alla pelle sottile del collo, proprio sotto l'orecchio sinistro.
E poi spinse.
L'acciaio si aprì un varco prima attraverso i vari strati di pelle e poi nella carne tenera con la stessa facilità con cui un attizzatoio rovente si fa strada nel ghiaccio.
Dopodiché fu il turno della giugulare. Il coltello la recise di netto e una cascata di sangue zampillò dal mio corpo sui vestiti e sull'asfalto, portandosi con sé la mia vita.
Fu tutto finito in una manciata di secondi.
Anche se non potevo più percepirlo con i sensi, sapevo che il coltello stava continuando la sua marcia di morte lungo la mia gola, fino ad arrestarsi sotto l'orecchio destro. Non che avesse importanza; per quel giorno ormai era andata.
Udii i passi frettolosi dell'uomo allontanarsi e il clangore del coltello gettato da qualche parte; e poi altri passi, leggeri, misurati, familiari.
«Vedo, Rose» disse maligna la Signora delle Perle, «che in un modo o nell'altro rischi sempre di perdere la testa».
Il suo volto comparve sopra il mio, ma ai margini del mio campo visivo, stranamente distante.
«Scusa, sai, se non mi avvicino» proseguì in un tono amabile che non m'ingannò neanche per un momento. «Non vorrei sporcarmi le scarpe: il sangue è terribilmente difficile da pulire».
Non potevo parlare, ma stavo fumando di rabbia.
All'Inferno tu e le tue scarpe! berciai all'interno della mia mente. Che tu possa annegarci, nel mio sangue!
«Le buone maniere proprio ti sfuggono» ribatté lei, stizzita. «Forse è il caso che ti inculchi anche quelle, insieme alla paura di me». Sorrise; e a me, quel suo sorriso non piacque affatto. Perché quando sorrideva – quando mi sorrideva – qualcosa di peggio della solita morte stava per abbattersi su di me. «Magari è arrivato il momento di farti vedere, per una volta, il frutto del mio operato».
Mi si avvicinò: a quanto pareva, non si preoccupava più per le sue preziose scarpe. Tra le mani stringeva un grosso specchio e ne teneva il lato riflettente premuto contro le proprie gambe.
«Pronta, Rosie?» domandò in tono fin troppo giulivo.
Girò lo specchio dritto verso di me e il mio riflesso mi colpì come un pugno nello stomaco.
Inorridii.
Ma che schifo! pensai, osservando la mia immagine. Lo sconosciuto aveva affondato il coltello nella mia gola tanto da intaccare l'osso del collo. Mi ha quasi staccato la testa!
Non era neanche lontanamente una delle morti peggiori che la Signora delle Perle mi avesse riservato nel tempo, ma vedermi in quelle condizioni era disgustoso e destabilizzante.
Morire era una cosa; vedersi morta era tutta un'altra storia.
Se fossi stata ancora in grado di respirare, con ogni probabilità sarei andata in iperventilazione.
Non cedere, mi ripetei come un mantra. Non crollare. Non impazzire.
«Che ne pensi, Rose? Non è una vista orribile?» disse la Signora delle Perle. «Certo che quell'uomo ha affondato parecchio il coltello: solo un po' di più e ti avrebbe decapitata!»
Avrei voluto replicare, ma non ne ero in grado: la vista della mia gola sgozzata e del sangue – tutto quel sangue, tutto il mio sangue – che mi impregnava i vestiti rendendoli irriconoscibili, mi aveva mandato in blackout il cervello.
Non riuscivo più a formulare un solo pensiero coerente.
La mia razionalità si era dissolta come nebbia al sole.
La Signora delle Perle batté le mani. «Direi proprio che per oggi può bastare» decretò. «Ci vediamo domani, Rose... o magari non ce ne sarà bisogno».
Non risposi; non m'importava. L'unica cosa che desideravo era che l'oscurità mi accogliesse nel suo ventre e mi desse rifugio, anche solo per un po'.
E l'oscurità mi accontentò.
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