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Giorno 2 - Avere uno scopo rende la morte tollerabile

Mi svegliai di soprassalto, sudata e confusa. La signora incrociata al pub la sera precedente doveva aver avuto un brutto effetto sulla mia psiche: prova ne era l'incubo che avevo avuto, in cui mi vedevo saltare in aria a causa di una perdita di benzina nella mia automobile. Sbuffai tra me. Come se fosse possibile! Avevo fatto la revisione solo due mesi prima ed era tutto a posto!

La doccia mattutina lavò via la notte agitata che avevo appena trascorso, ma non il nodo che mi attanagliava lo stomaco: quello non voleva saperne di andarsene, così rinunciai alla colazione. Poco male, avrei guadagnato tempo e non sarei rimasta bloccata nel traffico.

Passando di fronte allo specchio dell'ingresso gli lanciai un'occhiata veloce, e per un attimo mi aspettai di trovarci l'immagine della signora del pub invece del mio riflesso. Alzai gli occhi al cielo, seccata che le scene dell'incubo mi stessero condizionando a tal punto, e mi sbattei alle spalle la porta d'entrata.

Dopo aver miracolosamente trovato libero l'ascensore, attraversai la strada deserta e aprii la macchina. Prima di salire a bordo, però, non potei trattenermi dall'accovacciarmi e sbirciare sotto il telaio: l'asfalto era pulito e non c'era puzza di benzina.

Meglio così, mi dissi mentre mi mettevo alla guida e mi avviavo verso il lavoro. Quell'incubo era stato così realistico – potevo ancora sentire la sensazione della mia stessa carne che si liquefaceva a contatto col calore intenso – che una parte di me non aveva potuto fare a meno di controllare che l'auto fosse a posto, prima di salirci.

Mentre procedevo lungo le strade ancora libere dagli ingorghi che si sarebbero formati entro un quarto d'ora, non potei fare a meno di ripensare alla conversazione della sera precedente e all'incubo che ne era seguito. Per quanto atrocemente realistico e sconvolgente, c'era qualcosa di intrigante, in quell'incubo, che non potevo ignorare: la possibilità di morire e tornare in vita, con la prospettiva di morire ancora, e ancora, e ancora, cui equivalevano altrettante possibilità di scoprire cosa e com'era l'aldilà! Una parte di me trovava quella prospettiva elettrizzante.

Mi venne da ridere pensando a come, nel sogno, avevo etichettato la signora del pub, alias Morte: Signora delle Perle. Per mantenere un filo logico, avrei potuto considerare l'aldilà come un'ostrica.

Sì. L'Ostrica e la Signora delle Perle; la Signora delle Perle che ti accompagna nell'Ostrica. Ridacchiai tra me.

Il tragitto fu rapido e tranquillo, e in poco tempo arrivai sul posto di lavoro. La mattina trascorse senza intoppi e dopo pranzo parlando con Mara, una collega, ci trovammo a dover fare delle fotocopie di un comunicato interno dell'azienda. Mi incaricai di provvedere al posto suo – Mara odiava le fotocopiatrici e non riusciva mai a farle funzionare – e mi armai di santa pazienza.

La fotocopiatrice era vecchiotta, ma finché avesse deciso di funzionare, di sicuro non sarebbe stata sostituita. Aveva un paio di difetti e tendeva a dare problemi quando era necessario fare più di cinquanta copie tutte insieme, motivo per cui, quando ce n'era la possibilità, si decideva di fare solo alcune fotocopie alla volta. Purtroppo per me quel giorno non avevo tempo da perdere facendo avanti e indietro dalla sala fotocopie a intervalli regolari, quindi mi rassegnai a fare i conti con quell'aggeggio che sicuramente mi avrebbe fatto passare un brutto quarto d'ora.

Le prime trentasette copie andarono vie lisce come l'olio; a quel punto la fotocopiatrice decise di fare le bizze e incepparsi, ma dopo un paio di minuti si sbloccò da sola.

Le copie dalla trentotto alla sessantadue videro solo due brevi tentennamenti della macchina; il primo si risolse da solo, per il secondo bastò un calcetto nel punto giusto.

Fu alla copia ottantaquattro che la fotocopiatrice decise di smettere di collaborare: la scritta ERROR sul display mi informò che era appena successo proprio quello che speravo di evitare, una noia elettronica. Dopo aver smanettato per un po' con i comandi – ormai ero un'esperta nel combattere contro quel vecchio mostro – e aver provato a spegnerla per tre volte senza successo, passai all'ultima risorsa, la terapia d'urto: andare alla spina e staccarla, togliendo la corrente alla fotocopiatrice.

L'avevamo fatto tutti decine di volte, negli ultimi mesi, quindi non so perché toccò proprio a me: magari era la mia giornata no. Fatto sta che non appena afferrai la spina, una scarica elettrica da 220volt si propagò nel mio corpo per parecchi lunghissimi secondi, dandomi così tutto il tempo di sentire che effetto l'elettricità stesse facendo al mio corpo.

La prima sensazione sgradevole fu quella sulle dita a contatto con la spina: bruciavano come se le avessi appoggiate a un pezzo metallo incandescente, e potevo sentire la puzza di carne che si arrostiva.

La seconda sensazione fu quella all'interno del mio corpo: ero certa di poter sentire ogni singolo atomo che lo componeva contorcersi impazzito, mentre l'elettricità sovraccaricava gli elettroni, alterando il loro l'equilibrio.

La terza sensazione era bizzarra: mi sembrava che il mio intero organismo fosse diventato un enorme filo conduttore, sentivo il modo in cui l'elettricità si incanalava nelle mie dita, scorreva lungo muscoli, nervi e ossa per poi scaricarsi nelle scarpe, la cui suola doveva avere qualcosa che non andava, visto che a quanto pareva non mi isolava da terra come avrebbe dovuto.

La quarta sensazione riguardava alcuni organi di cui ero improvvisamente molto più consapevole: come il cervello, che sembrava stesse andando in tilt, o il cuore, che per effetto della scarica improvvisa, intensa e prolungata, dapprima aveva accelerato il proprio battito al massimo, salvo poi spaccarsi a metà per lo sforzo eccessivo.

Fu a quel punto che finalmente la mia mano si staccò dalla spina e finii schiena a terra: il pavimento freddo era un sollievo, dopo il calore intenso generato dall'elettricità, e anche se poteva rinfrescare soltanto l'esterno del mio corpo e non anche l'interno, era sempre meglio di niente.

Che razza di morte indignitosa, pensai fiaccamente. Capelli dritti in testa, occhi sbarrati e bocca spalancata. Chi di dovere avrà un bel daffare per restituirmi un aspetto decente.

«Davvero questo è tutto quello a cui riesci a pensare?» disse una voce stranamente familiare: la Signora delle Perle era in piedi accanto al mio corpo e mi guardava come se fossi stata completamente pazza.

Arricciai il naso, infastidita. Lei era elegante e perfetta: avrei voluto vedere come avrebbe reagito, se fosse stata ridotta nelle mie attuali condizioni!

«Buon punto. In effetti credo che mi darebbe fastidio» concesse. Considerai distrattamente l'assurdità della situazione: ero distesa senza vita su un pavimento scomodissimo e stavo parlando con la Morte. O meglio, io pensavo e lei rispondeva ad alta voce.

Direi proprio che la scena di me che saltavo in aria non era un incubo, riflettei con un pizzico di amarezza.

«No, Rose, non era un sogno: era la tua prima morte» confermò la Signora delle Perle.

Ricordai quello che mi aveva detto il giorno precedente, poco prima di lasciarmi andare: non mi aveva forse assicurato che non tutte le mie morti sarebbero state lente e atroci? Eppure finora avevo avuto due morti schifose su due. Cominciavo a dubitare un po' della sua parola.

«Sto solo cercando di insegnarti a temermi in tempi brevi» rispose la Signora delle Perle. «Credi forse che ci trovi gusto, a massacrarti così?» aggiunse, offesa.

, fu la risposta che mi si affacciò istantaneamente alla mente. Che si offendesse pure: tanto che poteva farmi di peggio?

«Posso fare molto peggio di così, Rose, non mi provocare» mi avvertì.

La sua minaccia non mi toccò: tanto immaginavo già che avrebbe fatto del suo peggio in ogni caso! Adesso che mi aveva arrostita per la seconda volta in due giorni, soddisfacesse almeno la mia curiosità!

«Sei proprio cocciuta» sibilò la Signora delle Perle. «Possibile che gli avvenimenti degli ultimi due giorni non abbiano avuto alcun effetto su di te?».

Neanche un po', pensai compiaciuta. Per quanto fosse la Signora delle Perle, ad avere il controllo della situazione, in un certo senso il punteggio era di 2 a 0 per me. Sono troppo curiosa. Fammi vedere qualcosa dell'Ostrica!

«Ostrica? Che ostrica?» replicò confusa la Signora delle Perle. Le mostrai il ragionamento che avevo fatto quel mattino e per un attimo gli angoli della sua bocca si incurvarono verso l'alto, ma fu rapida a mascherare il divertimento dietro una smorfia infastidita.

«Niente risposte» scattò. «Devi aver paura di me, non stare qui, morta ma comunque eccitata come un cucciolo di fronte a un nuovo giocattolo! Non ti rivelerò nulla, non è per questo che siamo qui!».

Se avessi avuto ancora il controllo dei muscoli facciali, mi sarei imbronciata. Così non era giusto! Non solo mi toccava morire – e pure male – ma non avevo diritto neanche a un piccolo risarcimento danni!

«Risarcimento danni?» mi fece eco la Signora delle Perle. «Tu sei completamente matta, ragazza! Io non sono qui per farti un torto, ma per risolvere un'anomalia – te – che potrebbe turbare gli equilibri e sconvolgere il regolare corso del mondo e della storia! Quindi non hai diritto a nessun risarcimento!» disse esasperata.

Questione di punti di vista, pensai scocciata. Secondo me qualche rispostina me la merito eccome!

«Sei senza speranza. Se non fossi io, avrei già rinunciato a ricondurti alla ragione» sbottò la Signora delle Perle. «Per oggi basta così. Va' nell'Ostrica... volevo dire, dall'altra parte. Ci riproviamo domani» decretò mentre l'oscurità mi avvolgeva di nuovo, cullandomi nel suo ventre prima che tutto svanisse.


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