Capitolo 25. Ti ho aspettato una vita intera
Dedicato a te
Che mi hai raccolto con le ossa rotte
Che mi hai gonfiato l'anima di botte
Ma l'hai difesa senza in cambio niente
***
Un venticello tiepido mi sposta i capelli dalla fronte. Chiudo gli occhi, ispirando con la bocca ed espirando subito dopo con il naso. E poi lo faccio ancora. E ancora.
Sta andando tutto bene.
Sono fuori dal tribunale, fermo sulle scale; è appena finito il processo di mio padre. Sono stato chiamato alla sbarra per testimoniare contro di lui. Non ho voluto nessuno all'infuori di Valerie, ero già abbastanza nervoso di mio e so per certo che se fosse anche solo venuto Jamie, mi sarei innervosito ancora di più. Adesso posso finalmente mettere la parola fine a questo capitolo della mia vita. Adesso è tempo per altro.
«Eccoti qui!» mi sento dire. Girandomi, abbozzo un sorriso. Valerie si avvicina a me, infilando nella borsa una cartelletta. «Tutto bene?» mi chiede, prendendomi per le spalle. Io annuisco, tirando fuori le mani delle tasche dei pantaloni e sporgendomi in avanti, così da poterla abbracciare.
«Ti va di venire da me? Sì, insomma, è tutto un casino, però possiamo starcene un po' in giardino a prendere il sole, ordiniamo la pizza per cena e ci guardiamo un film», mi propone.
«Devo proprio andare», dico, declinando il suo invito. «Grazie di tutto, Val...non sarei mai riuscito ad entrare in quell'aula di tribunale senza di te», ammetto con un sussurro. «Non sarei mai riuscito a guardare negli occhi mio padre e raccontare ad alta voce quello che ha fatto a me e a mia madre. Non senza di te al mio fianco». Valerie mi stringe un po' più forte, accarezzandomi la schiena con il palmo della mano.
«Sono più tranquilla adesso che so per certo che rimarrà dietro alle sbarre per i prossimi trent'anni», dice lei, sospirando. «Non devi ringraziami Chase, farei questo e altro per te. A cosa servono gli amici, se non a sostenersi l'un l'altro nel momento del bisogno?» chiede retorica. «Sei circondato da persone che ti vogliono bene, non dimenticartelo mai».
Sciogliamo l'abbraccio, prendendoci le mani mentre restiamo a guardarci con un sorriso. Lo so che Valerie ha ragione, so che posso sempre contare sui miei amici e sono stato così stupido a pensare il contrario! La saluto, dicendole che la chiamerò e che andrò in settimana a cena da lei, magari anche insieme a Jamie. Ci dividiamo, prendendo strade diverse, però quando mi giro noto che lei mi sta ancora guardando. Alza un braccio, facendomi un cenno con la mano, che ricambio poco prima di girare l'angolo.
Ho preso una macchina a noleggio quando sono arrivato a Londra, tre giorni fa. Questa è decisamente una novità, considerando che la patente l'ho presa quando avevo diciott'anni ma poi non ho praticamente mai guidato. Il fatto che non abbia ancora investito nessuno credo sia positivo...vero? Salgo in macchina, accendendo il motore e allacciandomi la cintura. Prima di partire controllo il cellulare, trovandomi svariati messaggi. La maggior parte sono di Jamie, che più ansioso del solito, vuole sapere com'è andata. Gli rispondo subito, dicendogli che è finalmente finita e che gli racconterò tutto dopo, perché adesso ho da fare.
Mi hanno scritto anche Andy ed Evie, sul gruppo che abbiamo insieme. Abbiamo ripreso a sentirci mentre ero in clinica, ho raccontato loro tutto quello che mi è successo e sono stati davvero gentili, come sempre d'altronde. Mi vedrò con loro domani a pranzo e sono un po' teso all'idea, mi sembra passata una vita dall'ultima volta che ci siamo visti!
Scorrendo le chat, noto di avere dei messaggi anche da parte di Daniel e di Sofia, ma decido di rispondere dopo, con calma.
Facendo retro, con l'agilità di un'ottantenne, esco dal parcheggio. Metto la freccia a destra, aspettando pazientemente allo stop e mettendomi in carreggiata senza spegnere la macchina nemmeno una volta. Sorprendente!
La prima cosa che devo fare è la spesa. Trovandomelo sulla strada, mi fermo al supermercato dove andavo sempre, quando abitavo nello stesso palazzo di Jamie. Entro dentro con un po' di timore, credendo di poter essere riconosciuto, però è praticamente vuoto. Meglio così! Mi tolgo gli occhiali da sole, trascinandomi dietro un cestino. Guardo tra gli scaffali, prendendo le cose che mi servono. Tengo a mente i consigli che mi ha sempre dato Jamie: evito il cibo spazzatura, preferendo frutta e verdura.
Mentre cammino, attraversando la corsia dei sottaceti, mi vibra il telefono nella tasca dei pantaloni. Controllo chi è, abbassando lo sguardo sullo schermo e fermandomi di colpo, non appena vedo il nome di Lando. Il mio cuore perde un battito, o forse un centinaio. Va avanti così da un mesetto a questa parte, da quando abbiamo ripreso a sentirci. Mi ha scritto lui per sapere come stava andando in clinica, lasciando però passare dieci lunghi giorni da quando ha ricevuto la mia lettera. Della lettera non abbiamo mai parlato.
Come due adolescenti alle prime armi, non abbiamo fatto altro che scambiarci messaggi, chiacchierando di tutto, di ogni cosa, anche fino alle tre del mattino. Di ogni cosa...all'infuori di noi. Non so bene a che punto siamo e affrontare l'argomento mi spaventa molto, ho paura di rovinare quello che abbiamo adesso. Qualsiasi cosa sia!
Sono così concentrato sul cellulare da non rendendomi nemmeno conto che qualcuno sta arrivando dalla parte opposta.
«Chase?» Alzo la testa non appena mi sento chiamare. Capisco che è Lando ancor prima che i nostri sguardi si incontrino. Mi guarda con un sorriso, che finisco per ricambiare. Ma che..?
«Ciao Lando», lo saluto, mettendo via il cellulare. Lui mi si avvicina velocemente, passandomi un braccio attorno al collo e abbracciandomi. Ricambio all'istante, incastrando la testa nell'incavo del suo collo e strusciando il naso contro la sua pelle. Quanto mi è mancato!
«Ti ho appena scritto», mi fa sapere, staccandosi da me. Quando succede, anche se ci divide nemmeno un metro di distanza, mi sento strano e la tentazione di ributtarmi tra le sue braccia è enorme. «Com'è andato il processo?» chiede.
«Bene. Sì, tutto bene», lo rassicuro e lui appoggia una mano contro il mio braccio, accarezzandomelo.
«Ti trovo bene», dice. «Intendo...bene davvero», precisa.
«Sto bene», ammetto.
«Bene, sono contento», sussurra e subito dopo cala il silenzio tra di noi. Questo fa scemare tutto il mio entusiasmo. Davvero non abbiamo niente da dirci? Ma com'è possibile, se fino a ieri non abbiamo fatto altro che scriverci?!
«Io devo andare», sospiro, fingendo un sorriso. Faccio per spostarmi in avanti, ma Lando è più veloce di me e mi si para di fronte, fermandomi. I nostri petti finiscono a contatto, il suo respiro invece lo sento caldo contro le labbra.
«Quando me la farai sentire la canzone che hai scritto per me?» chiede, facendomi avvampare.
«Quindi la lettera che ti ho scritto l'hai letta?» chiedo a mia volta, mordendomi il labbro.
«Sì, certo che sì», mi fa sapere. «Io...io credevo fosse meglio parlarne di persona. Della lettera e tutto il resto».
«Okay. Quando?» chiedo.
«Non so, adesso?» propone lui. «Possiamo andare da me».
«Oh, io...no, adesso non posso», dico, guardandolo desolato, mentre lui alza un sopracciglio. «Sto andando da mia madre, vorrei prepararle qualcosa da mangiare e stare un po' insieme a lei oggi», gli spiego. La sua espressione cambia all'improvviso: mi sorride, annuendo.
«E cosa vuoi cucinarle?»
«Zuppa di legumi», dico. «Sono diventato bravissimo a fare le zuppe, eh!» Lando ride, sentendo le mie parole. Ed il mio cuore sta per esplodere seriamente! «Lando, io comunque non ho mai pensato di poter risolvere tutto con una lettera e dei fiori», ammetto.
«Oh, quindi era solo...uhm...la prima mossa. Cosa pensi di fare adesso?» chiede curiosamente.
«Ancora non lo so», dico con una risata nervosa, grattandomi la testa.
«Sono sicuro che ti verrà in mente qualcosa», azzarda sorridendomi. Si sposta di poco in avanti, trascinandosi dietro il cestino. Prima di andarsene, si avvicina al mio orecchio, dicendomi qualcosa.
«Allora aspetto la tua prossima mossa. Ti ho aspettato una vita intera, credo di poter aspettare ancora, però non metterci troppo», sussurra, lasciandomi un bacio sulla guancia. Spalanco gli occhi, sentendomi andare a fuoco.
«Ciao Chase», mi saluta, andandosene. Quando mi giro, con un sorriso stampato sulle labbra, lui non c'è più e potrebbero anche sembrare un sogno, però sento ancora il suo profumo addosso.
«Ciao amore», sussurro con un sospiro, ricomponendomi subito dopo e incamminando verso la fine della corsia, con il mio cestino appresso.
***
Per arrivare a casa di mia madre ci metto più del dovuto. La verità è che mi hanno sorpassato tutti, e mi sono pure beccato qualche clacsonata. Ma perché hanno sempre tutti fretta?!
Apro con il mio mazzo di chiavi, attento a non fare rumore quando mi chiudo la porta alle spalle. Dopo aver lasciato le buste con la spesa in cucina, scacciando via ogni tipo di ricordo su quello che è successo qui dentro, raggiungo mia madre fuori, in giardino; è seduta sul dondolo, all'ombra del pesco.
«Ciao mamma», la saluto, attirando la sua attenzione su di me. Mi saluta a sua volta, sorridendo e facendomi subito segno di mettermi a sedere vicino a lei. Non me lo faccio ripetere due volte, finendo tra le sue braccia, in una stretta forte, fortissima.
«Mamma, non respiro!» mi lamento. Lei mi lascia dei baci tra i capelli, facendomi ridere. Anche lei finisce per ridere, e lo sento: è una risata vera la sua.
«Il mio bambino», sussurra, accarezzandomi i capelli, mentre io mi appoggio al suo petto, tenendo lo sguardo fisso sulle mie dita, che giocano con l'orlo della camicia che indosso.
«Mamma», la chiamo, facendola mugolare. «Oggi c'è stato il processo di papà», le faccio sapere. Ho pensato al lungo se dirglielo o meno e credo che lo debba sapere. Anche lei era stata chiamata a testimoniare, però Valerie è riuscita ad esonerarla, spiegando la sua situazione alla giudice. Sicuramente non avrebbe potuto sostenere il processo, ma so che ancora ci pensa a mio padre, per com'è fatta sta pure in pensiero per lui!
«Ho testimoniato contro di lui», le dico, mettendomi composto vicino a lei e prendendole la mano, che sento tremare tra le mie. «Non è stato semplice. Ho raccontato tutto, non solo quello che è successo l'inverno scorso. Ho raccontato di quando ci picchiava e ci insultava. Ho- ho raccontato di quella volta, quando sono rientrato da scuola e tu eri a terra, priva di sensi. Lui era tranquillamente seduto sulla poltrona, a bersi una birra. Mi disse che te lo eri meritato, perché gli avevi detto che beveva troppo e che se non avesse smesso, te ne saresti andata. Insieme a me. Mentre mi parlava, con la voce ferma, lo sguardo vuoto, io ero a terra vicino a te. Eri così fredda...mi sono spaventato tanto, ho creduto ti avesse uccisa e ho pensato che se fossi rimasto da solo con lui, avrebbe ucciso anche me», sussurro con gli occhi lucidi. Girandomi, mi rendo conto che anche lei è nella mia stessa situazione.
«Sono questi i ricordi che hai della tua infanzia? Dio, sono stata una madre pessima. Credimi, avrei davvero voluto poter fare di più, ma sono sempre stata una debole», dice, facendomi scuotere la testa. «Avrei dovuto prenderti e andare via da lui alla prima sberla, ma credevo di non poterlo fare. Credevo di non esserne capace».
«Non dire cavolate, non sei stata una madre pessima. Mai! Sei la persona che preferisco di più al mondo. Sei dannatamente forte, altrimenti come si spiega il fatto che sei ancora qui, nonostante tutto quello che è successo? Sei una guerriera, ti sei rialzata ancora e ancora ed è da te che ho imparato a reagire. Non ti cambierei per nessuno al mondo», le dico, prendendole il viso tra le mani e appoggiando la fronte alla sua. Le lacrime scivolano sulle sue guance, mentre le palpebre le tremano. «Ho tanti bei ricordi insieme a te», la rassicuro con un sorriso. «La prima volta che mi hai fatto suonare la chitarra me la ricordo bene. Avevo cinque anni; io stavo dipingendo...o almeno ci provavo, mentre tu suonavi qualcosa. Me lo ricordo ancora il motivetto. Faceva così...» Lo intono e lei mi guarda sorpresa, accennando un sorriso. «Io mi sono arrabbiato perché il dipinto non mi veniva, mi sono avvicinato a te e ho toccato il manico della chitarra, facendola vibrare. E quella vibrazione me la sono sentita in ogni parte del corpo, e poi dritta al cuore. Mi desti la chitarra in mano, mettendoti dietro di me e facendomi vedere alcuni accordi».
«L'ho capito subito che la musica facesse per te», dice. «Ti veniva così naturale prendere la chitarra in mano, pizzicare le corde e imparare nuovi accordi».
«Quel motivetto...è una tua canzone?» chiedo.
«Sì, è una mia canzone. Però...non so se mi ricordo ancora il testo».
«Proviamoci, dai!» dico, alzandomi e andando in casa, a prendere la sua chitarra. «Ti accompagno io», le propongo, incominciando ad intonare le note e provando così a spronarla. Lei mi guarda un po' titubante, ma poi comincia a cantare. La mamma ha davvero una voce bellissima ed è palese che se il destino non fosse stato così bastardo con lei, in questo momento sarebbe da tutt'altra parte e tutti saprebbero quanto è meravigliosa.
Ma non è mai troppo tardi.
***
«Qui invece voglio fare la cabina armadio», ci dice Valerie, facendoci vedere un'ampia stanza che sta imbiancando. Io e Jamie ci guardiamo attorno, mentre la nostra amica continua a farci sapere come sarà la casa una volta finita la ristrutturazione.
Per il momento è tutto un casino; si salva solo la cucina e infatti andiamo lì. Valerie prepara per lei e Jamie dei Margarita, mentre io declino e mi butto su una Coca-Cola Zero.
«Ho incontrato Lando ieri», dico di punto in bianco, attirando la loro attenzione su di me. Sono entrambi curiosi di sapere di più, ma nessuno dei due ha il coraggio di chiedermi cos'è successo. «Ci siamo incontrati al supermercato», esordisco allora io. «Quando mi ha visto mi ha abbracciato, mi ha detto che mi trova bene e...mi ha chiesto quando ho intenzione di fargli sentire la canzone che ho scritto per lui».
«Hai scritto una canzone per lui? Oh mio Dio, ma quindi il romanticismo non è morto! Potresti per favore dirlo a Carlos?!» chiede Valerie, facendomi ridere.
«Sai che novità, tutte le canzoni che scrive parlano di Lando», dice invece Jamie con una mezza smorfia, beccandosi un'occhiataccia da parte mia. «Beh, quindi? Vai avanti!»
«Quindi niente, in realtà», sbuffo. «Voleva parlare di noi, lo voleva fare subito ma lo sapete, ieri ero da mia madre...dopo il processo. Quando gli ho detto che non mi aspettavo di risolvere tutto con una semplice lettera e dei fiori, lui mi ha risposto "Quindi era la prima mossa" e poi mi ha fatto capire che si aspetta qualcosa da me adesso. Ed io non so che cosa fare!»
«Vai da lui e parlaci», propone Jay. «Magari potresti metterti un cappotto lungo...e sotto assolutamente niente! Vedrai che fai colpo, l'ho provato personalmente». Valerie aggrotta la fronte, guardandolo contrariato. Io invece scuoto la testa, non riuscendo a trattenere una risata.
«Voglio fare qualcosa di...grande, qualcosa che gli faccia capire che lo amo e che è l'amore della mia vita. Ma non voglio che sia banale».
«Potresti semplicemente suonare per lui, non credi?» chiede Valerie, giocherellando con il bordo del suo bicchiere. Penso bene alle sue parole, facendomi venire in mente un'idea per niente banale, solo un po' folle e che ha bisogno di tempo, ma spero davvero Lando mi sappia attendere.
Lo racconto subito ai miei amici, che approvano. Travolti tutti e tre da un improvviso entusiasmo, facciamo un brindisi, decidendo subito dopo di ordinare sushi e metterci a guardare Una mamma per amica sul divano.
***
Oggi è il solstizio d'estate e non potevo scegliere data migliore per iniziare il mio tour. Ho sempre amato l'estate, il sole, la leggerezza delle giornate passate a non fare niente. Sono elettrizzato, il che è normale considerando che è il mio primo concerto. Ma non sono agitato solo per il concerto...
La prima parte del tour sarà in Europa e si inizia dalla mia città, Londra. The O2 Arena ancora vuota, mentre sto facendo le prove, mi sembra enorme. Chissà come sarà una volta che si riempirà. Man mano che il tempo passa, che la sera si avvicina e il sole lascia spazio alla luna, il mio nervosismo continua ad aumentare.
Sono nel mio camerino, intento a fare avanti e indietro, mentre scrollo le mani e mi ripeto che andrà tutto bene. Improvvisamente qualcuno bussa alla porta, poi vedo Jamie far capolino. Mi precipito da lui, abbracciandolo e facendogli sapere che sono felice di vederlo.
«Sto morendo di ansia Jay!» ammetto. «C'è tanta gente?»
«Beh...sì».
«Sì?» chiedo conferma, facendogli aggrottare la fronte. Mi prende per le spalle, guardandomi con un sorriso, che in qualche modo riesce a tranquillizzarmi subito.
«Tutte quelle persone là fuori sono qui per te! Pe te, Chasey! Credono in te, credono nella tua musica e non aspettano altro che vederti salire sul palco».
«E- e lui c'è?» chiedo con un filo di voce. Jamie capisce a chi mi sto riferendo, senza che io faccia il suo nome.
«Sì, lui c'è», dice, dandomi una pacca sulla spalla. «Sembri quasi più preoccupato per questo che per il concerto...o sbaglio?»
«No, non sbagli affatto», ammetto. Senza dire una parola Jamie mi tira a sé, in un abbraccio che mi conforta, lasciandomi poco dopo da solo per cinque lunghi minuti. finché non mi vengono a chiamare.
Le gambe tremano mentre salgo le scale, le mani mi sudato attorno al microfono e sento come se la voce non volesse uscire. Quest'ultima cosa mi spaventa, ma non appena si accendono le luci e sento tutti urlare il mio nome, qualcosa dentro di me si sblocca. Comincio a suonare e le parole della prima canzone in scaletta riempiono l'intera arena, rafforzate dai miei fan, che cantano insieme a me.
Non mi rendo nemmeno conto di quanto velocemente passi il tempo, non mi accorgo di aver suonato quasi tutte le canzoni e che manca solo quella finale. Le luci si abbassano, mentre un riflettore bianco mi illumina. Appoggiandomi contro l'asta del microfono, mi lascio sfuggire una risata nervosa.
«Essere qui stasera, insieme a tutti voi, è davvero bellissimo», esordisco. «Mi sono divertito un sacco e spero che anche voi vi siate divertiti». Sentendo queste parole, il pubblico esplode in un boato affermativo. «Manca una sola canzone e...questa canzone voi non la conoscete, perché l'ho scritta pochi mesi fa, l'ho scritta per una persona davvero importante, che è qui stasera». Si alza un vociferare improvviso, che mi fa sorridere. «Questa persona ha dato senso alla mia vita, e lo so quanto può sembrare scontata questa frase, ma credetemi...è la pura verità. Prima di lui non vedevo niente, non riuscivo a vedere quanta bellezza mi stesse attorno». Faccio una pausa, inumidendomi le labbra. «La prima volta che siamo usciti insieme ero nervosissimo! Siamo andati al mare insieme, mi ha fatto suonare, dopo tanto tempo che non lo facevo, ed è da quel giorno che ho capito di non voler più smettere. E sapete cos'altro non voglio più smettere di fare? Forse perché non ci riesco, o forse perché è la cosa più naturale del mondo e mi riesce bene. Non voglio smettere di amare questa persona...ehi Lando, non so dove sei, da qua su non riesco a vedere niente, però se ti va potresti raggiungermi. Voglio cantare per te».
I miei fan cominciano ad urlare il nome di Lando, incoraggiandolo a salire sul palco, ma di lui nemmeno l'ombra. Continuo a tenere lo sguardo fermo in direzione delle scale, e quando ormai credo che lui non verrà, eccolo che sbuca fuori, raggiungendomi visibilmente imbarazzato.
«Tu sei pazzo Chase Jones!» mi dice, buttandomi le braccia al collo e baciandomi. Non posso che ricambiare, mentre attorno a noi l'intera arena applaude. Siamo in mezzo a centinaia di persone, eppure io riesco a sentire solo il cuore di Lando battere, perché va allo stesso ritmo del mio e questo dovrà significare qualcosa. Ne sono più che certo.
«Io sono semplicemente innamorato di te, solo questo», gli sussurro all'orecchio. «Adesso lascia che canti per te». Lando annuisce, quindi io mi allontano leggermente, cominciando a pizzicare le corde della chitarra.
Mi trema la voce mentre canto le prime parole, complice anche il fatto che Lando adesso ha gli occhi lucidi. La situazione peggiora quando arrivo al ritornello; anche lui lo sussurra sottovoce, facendomi capire che questa canzone la sa a memoria.
You're perfectly wrong for me
And that's why it's so hard to leave
Yeah, you're perfectly wrong for me
You're perfectly wrong for me
All the stars in the sky could see
Why you're perfectly wrong for me
Arrivo alla fine della canzone con un filo di voce, ritornando tra le braccia di Lando un secondo dopo. Ci abbracciamo ancora, al centro del palco, venendo travolti da una pioggia di coriandoli.
«Ti amo così come sei, perfettamente sbagliato», mi dice.
Le luci si rialzano nuovamente e il pubblico ci applaude mentre li saluto, prendendo poi per mano Lando e scendendo insieme dal palco.
Di tutto quello che succede dopo non capisco niente, non sento una parola e mi limito ad annuire come un cretino. Ho occhi solo per Lando e non riesco a lasciargli più andare la mano.
«E quindi...adesso?» gli chiedo, quando siamo nel mio camerino. Lui è seduto sul divano, mentre io sono impegnato a raccogliere la mia roba. Si alza, raggiungendomi e prendendomi per le spalle. Mi lascia un bacio tra i capelli, stringendomi in un abbraccio contro il suo petto.
«Adesso andiamo a casa», sussurra.
«A casa tua?» domando.
«A casa nostra», mi risponde.
***
«Devo ammetterlo, è stata una gran bella mossa», fa sapere Lando di punto in bianco. Siamo seduti al tavolo in cucina, davanti alle nostre colazioni. Dopo la nottata che abbiamo passato insieme, direi che c'è proprio bisogno di una bella colazione sostanziosa! Mentre lui parla, da dietro il bordo della mia tazza di tè, mi lascio sfuggire un sorriso. «Però mannaggia, quanto ti sei fatto aspettare!»
«Ho odiato ogni attimo di questa lunga attesa, credimi», dico sospirando. «Io...domani devo partire per la seconda tappa del tour», sussurro. Lando allunga la mano sul tavolo, prendendo la mia e intrecciando le nostre dita.
«Ehi, che ti prende? Dovresti essere felice! Insomma, stai per andare in tour».
«Sì, sono felice», dico. «Sono felice...» ripeto a voce un po' più bassa. «Però ci siamo appena ritrovati e già ci dobbiamo lasciare!»
«Amore, avremo un sacco di tempo per stare insieme quando saremo vecchi», dice Lando ed io gli sorrido scuotendo la testa. «Io tra due giorni devo partire per la Germania. Dove sarai la settimana prossima?» domanda.
«A Parigi, credo».
«Romantico! Beh, potrei venire a trovarti, ho una settimana libera prima dell'Ungheria».
«La settimana in cui corri in Ungheria sono libero, potrei venire a vederti correre, che dici?» chiedo e in tutta risposta Lando ride, facendo cenno di sì con la testa.
«Vedrai, non sarà così difficile», mi rassicura, alzandosi dalla sua sedia e spingendo anche me a fare la stessa cosa. Mi prende per mano, trascinandomi fuori dalla cucina.
«Che stai facendo?» chiedo confuso.
«Domani partirai e abbiamo ancora un sacco di sesso arretrato da recuperare!» mi fa sapere. Rido, tirandolo però per il braccio e fermandolo. Si gira, guardandomi in cerca di una spiegazione.
«Ma quindi...noi, insomma alla fine non abbiamo parlato delle lettera e tutto il resto», bisbiglio, inghiottendo a vuoto non appena lui mi si avvicina, accarezzandomi il viso.
«Non c'è bisogno di parlarne», dice. «Ogni cosa è al posto giusto: i miei occhi sono nei tuoi, le mie mani sono su di te e...» sussurra, appoggiando le labbra sulle mie, «le mie labbra sono sulle tue. Sono qui con te, non m'importa di quello che è stato, di quello che sarebbe potuto essere, di quello che sarà. Mi importa solo di te». Accenno un sorriso sentendo le sue parole. Mi butto su di lui e lo costringo così a prendermi in braccio.
«Sono pronto per il recupero», gli dico, dandogli un bacio.
Lando mi stringe forte a sé, camminando fino ad arrivare alla stanza da letto. Appena entriamo si chiude la porta alle spalle con un calcio.
E siamo solo io e lui.
Non importa del resto del mondo.
Non importa di quello che succederà domani.
Ma sono certo di una cosa: nel mio domani ci sarà per sempre Lando.
***
Angolo autrice: A prestissimo con l'epilogo. ❤️
-Ale.
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