Capitolo Ventitré - Imparare a dimenticare
«Tanti auguri a te. Tanti auguri a te. Tanti auguri a Willow, tanti auguri a te» nell'esatto momento in cui aprii la porta del Roxy Bar, venni investita da quel coro di voci.
Il locale all'interno non era caratterizzato dalle luci chiare e dalla calca di gente che era solita aggirarsi tra quei tavoli in legno. L'atmosfera era totalmente diversa.
Festoni e lucine colorate erano state appesi come decorazioni. Alcuni palloncini si trovavano legati al bancone e davanti a quest'ultimo vi erano tutti i miei amici.
Brandi era subito corsa da me, stringendomi in un abbraccio e lasciandomi un bacio sulla guancia. «Mi hai ingannata, stronza» le dissi, per poi sorriderle.
«Se ti avessi detto quello che avevamo in mente, non ti saresti mai presentata» puntualizzò lei. E in effetti aveva ragione, non mi piacevano le feste di compleanno, di nessun tipo. Forse perché, quando ero piccola, i miei genitori tendevano a voler sempre strafare.
Organizzavano delle feste alle quali invitavano tutto il quartiere e io mi ritrovavo puntualmente con una miriade di gente sconosciuta che vagava per il giardino e per tutta la casa. Erano feste che si protraevano per ore e ore, dove quasi non vi erano bambini.
Perché, chi stava al di fuori di quella comunità hippie, tendeva a non vedere proprio di buon occhio le nostre abitudini molto sbarazzine e il nostro voler sempre agire in totale libertà. Perciò i genitori dei miei compagni di scuola non permettevano spesso ai loro figli di far visita nel mio quartiere.
In più non avevo mai sopportato i compleanni in generale. Li trovavo alquanto tristi, la maggior parte delle volte. Insomma, cosa c'era da festeggiare? Il fatto che fosse passato un altro anno che ti aveva spinto sempre più vicina alla vecchiaia?
Era un po' come il capodanno, per me. Solo una scusa per fare casino e ubriacarsi. E poi non mi piaceva essere al centro dell'attenzione in quel modo, tutti che mi fissavano e si aspettavano che facessi chissà che cosa.
No, era decisamente impegnativo per me.
Solo che Brandi la vedeva in modo diverso. Lei adorava i compleanni, soprattutto il suo. Perché amava essere il centro dell'attenzione di ogni invitato. Le piaceva che le cantassero "Tanti auguri", le piaceva scartare la miriade di regali che riceveva, ma soprattutto le piaceva avere quella scusa per bere e non doversi preoccupare delle conseguenze.
Perché era la festeggiata. E come diceva sempre: "La festeggiata non ha responsabilità. Deve solo pensare a divertirsi."
Ogni anno quindi dovevo far fronte alla festa che Brandi organizzava per me. Siccome era la mia migliore amica, sapevo l'impegno che ci metteva per far venire tutto al meglio e sapevo quanto ci tenesse, evitavo di lamentarmi.
Lanciai poi uno sguardo verso quel bancone, scrutando velocemente tutte le facce degli invitati. Per fortuna, quella volta, Brandi, non aveva esagerato, facendo venire mezzo staff dell'aeroporto, come aveva fatto l'anno prima.
Salutai Cara e Simon con un bacio sulla guancia. Per poi passare a fare lo stesso con la sua collega dai capelli biondi, di cui non ricordavo il nome. Ma che mi stava simpatica perché concordava con me sul fatto che l'uomo più sexy e perfetto sulla faccia della terra fosse Chris Evans.
«Ciao, Sofia» dissi a quella che, invece, era una collega mia e di Brandi. La stessa ragazza che si era preoccupata di avvisare il capitano quando quel passeggero scorbutico mi aveva fatto battere la testa. Ringraziai il cielo del fatto che la mia migliore amica non si fosse sognata di invitare Lexy, come invece aveva fatto gli anni precedenti.
«Ehi, festeggiata, lo sai che porta sfortuna non avere un bicchiere tra le mani ad un compleanno» la voce di Harold attirò la mia attenzione, facendomi voltare verso di lui. Come sempre era raggiante, vestito con quel costosissimo completo elegante e i capelli biondi perfettamente pettinati.
Un sorriso genuino stampato sul volto, mentre mi stringeva in un abbraccio e successivamente mi passava un calice di champagne.
Lo lasciai a conversare con Simon, nel momento in cui notai le facce famigliari di Edwin e Benjamin. Mi avvicinai a loro, volendo salutarli, felice di vederli lì, alla mia festa. Dopotutto potevo ormai considerarli dei miei buoni conoscenti.
«Ciao, Willow, buon compleanno» mi disse Edwin, facendo scontrare delicatamente il suo boccale di birra con il mio flûte.
«Grazie» risposi, mentre facevo lo stesso gesto anche con Benjamin.
«Ashton sta arrivando, purtroppo è stato chiamato inaspettatamente nell'ufficio del Colonnello» mi spiegò lui, rassicurandomi. Nella foga del momento, presa da quella festa inaspettata, non avevo fatto subito caso ad ogni persona che fosse lì presente.
Avevo dato solo un sguardo generale, assicurandomi che non vi fossero strani sconosciuti e poi mi ero preoccupata di iniziare a salutare tutti.
Ma la mancanza di Ashton mi era saltata subito all'occhio. E sentire quella spiegazione, da parte di Benjamin, aveva fatto svanire ogni mia paranoia riguardo al fatto che non fosse voluto venire.
Ormai avevo imparato che con lui ogni cosa era imprevedibile. Perciò ero sempre più preoccupata del previsto sul fatto che magari avessi potuto dire o fare qualcosa di sbagliato. O che il suo carattere estremamente volubile gli avesse fatto decidere di mandare tutto all'aria e mollarmi lì da sola, come già aveva fatto.
Non ebbi il tempo di domandarmi come mai fosse stato chiamato dal Colonnello, perché Brandi fece partire la musica e Jim, il proprietario, aprì ufficialmente il bar, che quella sera era stato riservato solo per noi.
Tre bicchieri di champagne e due cosmopolitan dopo, ero abbastanza brilla per salire sul palco del karaoke assieme a Brandi. La mia migliore amica si era tolta i tacchi, volendo evitare di cadere a terra. E mentre cercava di non inciampare nel lungo vestito blu che indossava, intonava la sua strofa preferita della canzone "Last friday night" di Katy Perry.
Cara, la sua collega e Sofia erano intente a ballare e poco dopo vennero raggiunte anche da Benjamin. Mentre Edwin si era congedato presto da noi, perché aveva un volo da prendere per raggiungere la sua fidanzata a Chicago.
Harold e Simon, invece, si erano accomodati sugli sgabelli alti, davanti al bancone, godendosi l'esilarante spettacolino che tutte noi gli stavamo offrendo.
Era quasi mezzanotte quando Ashton fece il suo ingresso da quella porta. Dei pantaloni eleganti beige, una larga camicia bianca lasciata un po' dentro e un po' fuori da quegli stessi pantaloni e un blazer che si adattava perfettamente alle sue spalle larghe.
Esitò qualche secondo, fermo sulla soglia di quella porta, con lo sguardo fisso nel mio. Ipotizzai che forse nemmeno a lui dovevano piacere molto le feste, perché i muscoli del suo corpo si erano tesi, nell'esatto momento in cui aveva notato la presenza di quelle altre persone intente a divertirsi in modo spensierato.
Così mi avvicinai a lui, abbandonando la conversazione che stavo avendo con le mie amiche. Vederlo vestito in quel modo così elegante e al contempo particolare mi rese difficile trattenere un sorriso compiaciuto.
«Auguri, Willow» mi aveva detto semplicemente, quando gli fui davanti. Il ciuffo, ormai un po' troppo lungo, gli ricadeva morbidamente sulla fronte. E non so se fosse per l'effetto dell'alcol, ma le sue labbra mi sembravano più carnose del solito.
Mi venne spontaneo lasciargli un bacio sulla bocca, che riuscii a dargli inaspettatamente e senza che lui si dovesse abbassare, solo grazie ai vertiginosi tacchi a spillo che indossavo. Non era per niente una persona avvezza a quel tipo di contatti fisici in pubblico -a dire il vero non era avvezzo a nessun tipo di contatto fisico e in nessuna situazione- perché sgranò gli occhi e le sue gote si colorarono leggermente di rosso.
Pensai che fosse così carino quando si imbarazzava e quella fu la conferma che ormai i cosmopolitan avessero fatto il loro effetto.
«Grazie» gli risposi semplicemente, prendendolo per mano e trascinandolo nel mezzo del locale. Salutò Simon e poi si scambiò un mezzo sorriso con Harold.
«Ehi, amico, ce l'hai fatta finalmente» Benjamin ci aveva subito raggiunti, lasciandogli una pacca sulla spalla. «Cosa voleva il Colonnello?» gli domandò curioso, dando voce, inconsapevolmente, alla domanda che ronzava nella mia testa sin dal momento in cui avevo scoperto la ragione del suo ritardo.
«Oh... ehm... nulla di importante» sviò così quella conversazione, ingoiando una buona quantità del contenuto del bicchiere che aveva tra le mani. L'espressione di Benjamin era diventata sospettosa per un attimo, ma poi aveva portato lo sguardo su di me, decidendo che non era il momento adatto per mettersi a fare indagini sul perché Ashton stesse palesemente mentendo.
Brandi riuscì ad attirare l'attenzione di tutti, nel momento in cui uscì dalla cucina, con un vassoio di cestini al cioccolato, ripieni di mousse al cioccolato fondente e lamponi spolverati con dello zucchero a velo.
Uno dei miei dolci preferiti e lei lo sapeva bene.
«Ho fatto un'ora di coda nella migliore pasticceria della città per riuscire a ordinarteli e altre due ore di coda per andare a ritirarli. Solo per te» confessò scherzosamente, mentre posava quelle candeline raffiguranti un due e un sei sul dolcetto più grande.
«Vorrai dire che hai aspettato ore in macchina, a cantare a squarciagola, mentre io mi facevo la fila fuori da quel locale» puntualizzò Harold, ridendo e facendo ridere anche gli altri.
«Ho comunque aspettato pazientemente però» rispose, accendendo quelle candeline e facendogli alzare gli occhi al cielo in modo divertito.
Era incredibile come, non solo il rapporto tra me e Harold fosse migliorato, da quando non stavamo più insieme. Ma era migliorato anche il suo rapporto con la mia migliore amica, che prima quasi non lo sopportava.
Spensi quelle candeline, senza esprimere alcun desiderio, perché non credevo a quelle cose. Ma come diceva sempre il saggio Sheldon Cooper: "Ci sono convenzioni sociali alle quali non puoi sottrarti".
ꨄꨄꨄ
«Oddio, non mi sento più i piedi» ammisi, nell'esatto momento in cui varcai la soglia della porta del mio appartamento. Mi tolsi quelle scarpe infernali, abbandonandole sul pavimento all'entrata.
«Perché te le metti, se poi tanto sai che ti faranno male?» domandò Ashton in modo retorico.
«Ehi, le scarpe con il tacco non sono un optional, sono una necessità che va indossata. Anche se sai che ti distruggeranno i piedi, te le metti, perché sono bellissime» risposi con tono scherzoso, anche se in realtà ero estremamente seria. Lui sorrise divertito, scuotendo la testa.
Mi tolsi il blazer oversize di pelle, buttandolo sullo schienale del divano e liberai le mie gambe da quegli stretti pantaloncini eleganti. «Finalmente» commentai, sentendomi più comoda.
Rimasi vestita solo di quel body nero dal profondo scollo a V. E non ci volle molto prima che lo sguardo di Ashton ricadesse sul mio corpo. «Vuoi qualcosa da bere?» gli domandai, mentre mi dirigevo in cucina e recuperavo una bottiglia di vino rosso dalla cantinetta.
«Ho già bevuto abbastanza al Roxy» rispose per tanto, raggiungendomi velocemente. «E anche tu» aggiunse poi, togliendomi la bottiglia e il cavatappi dalle mani. Poggiò quei due oggetti sull'isola della cucina e poi rimase a fissarmi, sovrastandomi con la sua altezza e facendomi sentire così piccola in confronto a lui.
«Pensavo di dormire qui, visto che l'altra volta i nostri piani sono saltati» mi disse, poggiandomi una mano sul viso.
«Per colpa tua» puntualizzai, quasi in un sussurro, mentre mi attirava più vicina a lui.
«Per colpa mia» ripeté, cogliendomi completamente alla sprovvista e sollevandomi. Il mio sedere si poggiò sul marmo freddo di quell'isola e i nostri nasi si trovarono a pochi millimetri.
Deglutii rumorosamente, quando la sua mano si insidiò tra i miei capelli, tirandoli leggermente e facendomi piegare di poco la testa all'indietro. In un attimo la sua bocca fu sulla mia, vogliosa e famelica, come mai prima l'avevo sentita.
Non era da lui prendere in mano la situazione in quel modo. Non era da lui iniziare a far scaldare l'ambiente. Di solito ero sempre io quella che giocava sporco per arrivare poi a fare sesso.
Ma in quel momento, per la prima volta, mi aveva fatto capire di volermi sentire in quel modo così intimo tanto quanto io volessi sentire lui.
Le nostre lingue avevano ormai intrapreso quella danza erotica, cercando di sopraffarsi a vicenda. Fu un bacio appassionato, uno di quei baci capaci di toglierti il fiato e farti aumentare il battito cardiaco in modo esponenziale.
Le mani di Ashton avevano preso a vagare lungo la mia schiena, coperta dal tessuto sottile di quel body. Strinse la presa sui miei fianchi, facendomi emettere un gemito sommesso, causato da quel contatto così rude e allo stesso tempo piacevole.
Gli tolsi la giacca elegante, facendola cadere sul pavimento lucido. Portai poi le mie dita sui bottoni della camicia, pronta per togliergli anche quell'indumento di troppo.
Come già temevo però, Ashton mi fermò, interrompendo il nostro bacio e poggiando la sua fronte sulla mia. «Non qui, andiamo in camera» mi disse, vedendo la mia espressione dispiaciuta.
Prontamente saltai giù da quell'isola, dandogli le spalle e sorridendo tra me e me, mentre iniziavo a sfilarmi quel body con disarmante lentezza.
Rimasi nuda sotto i suoi occhi e anche se non potevo vederlo, sentivo il suo sguardo bruciarmi sulla schiena. Mi voltai appena, sorridendogli in modo ammiccante e camminando poi velocemente verso camera mia.
Sentii i suoi passi dietro di me. Le suole dei suoi mocassini eleganti, che venivano a contatto con il mio pavimento, mi avvisarono che non aveva perso tempo per seguirmi.
Schivò abilmente il bagaglio a mano che ero solita usare per il lavoro e mi afferrò prima che riuscissi a lasciarmi ricadere sul letto.
Incatenò i suoi occhi nei miei e notai subito come le sue pupille fossero dilatate allo stremo, ma poi la mia attenzione venne attirata dal suo indice. Aveva iniziato a toccarmi leggermente la spalla nuda, scendendo lungo tutto il braccio destro, per poi risalirlo.
Un semplice contatto che, però, mi provocò dei brividi che scossero tutto il mio corpo accaldato. Le sue dita passarono poi sulle mie clavicole, disegnando il contorno di quell'osso sporgente e scendendo sui seni.
I miei capezzoli si tesero sotto il suo tocco leggero, spezzandomi, per un attimo, il respiro già irregolare. Non serviva alcuna parola in quel momento, bastavano i nostri occhi, che non ne volevano sapere di abbandonare quel contatto visivo, per farci capire quanto ci desiderassimo.
Allungai le braccia verso di lui, invertendo le posizioni e facendolo sedere sul mio letto sfatto. Mi accomodai a cavalcioni sulle sue gambe, mentre un lampo di malizia attraversava le sue iridi scure.
Avvertii la sua crescente erezione premere sul mio interno coscia e se fosse dipeso solo da me, in quel momento lui si sarebbe già ritrovato senza vestiti.
Ma sapevo che aveva bisogno del suo tempo.
Perciò mi piegai, andando a baciargli dolcemente il collo. Lasciai una scia di umidi baci anche lungo tutta la sua mandibola, per poi soffermarmi sulla bocca e intrappolare il suo labbro inferiore tra i miei denti. Ashton emise un gemito gutturale e io ne approfittai per far scivolare nuovamente le mani sui bottoni di quella camicia.
Lasciò ricadere un po' la testa all'indietro, mentre le mie labbra scendevano di nuovo sul suo collo esposto e arrivavano fino al suo petto, ormai quasi del tutto scoperto.
«Io... non-» provò a protestare, ma le parole gli morirono in gola nel momento in cui riportai i miei occhi nei suoi. Mi stava fissando con un'espressione preoccupata, quasi impaurita, ma non potevo lasciar perdere ancora una volta. Volevo che capisse che di me si poteva fidare.
«Non sono qui per giudicarti. Qualsiasi cosa ci sia sotto questa camicia a me non importa. Io voglio te, indipendentemente dal tuo passato» provai a rassicurarlo. Ashton pose le mani sopra le mie, indugiando per qualche secondo. Gli sorrisi e ciò bastò per convincerlo, perché lentamente mi guidò nei movimenti, fino a quando quella camicia bianca cadde, abbandonata sul pavimento della mia stanza.
Prese un profondo respiro, chiudendo gli occhi, mentre io lasciavo ricadere i miei sul suo busto perfettamente scolpito. Notai subito una lunga cicatrice, appena sotto i pettorali, che partiva dal fianco destro e arrivava fino allo sterno. Mentre un'altra, decisamente più piccola e dalla forma circolare, si trovava su quello sinistro, proprio sopra l'elastico dei pantaloni.
«Ehi» sussurrai, cercando di attirare la sua attenzione e sperando che potesse reggere al meglio quella situazione per lui così stressante. Quando si decise ad aprire gli occhi però, faceva di tutto per evitare il mio sguardo.
«Guarda» gli dissi, alzandomi in piedi di scatto. Mi girai su di un lato, indicando con le dita una parte del mio sedere. «Vedi questo segno? Me lo sono fatta a sedici anni, scivolando da uno scoglio» piegò leggermente la testa di lato, aggrottando le sopracciglia, non capendo probabilmente dove volessi andare a parare.
«E queste, sono smagliature» ammisi, voltandomi anche sull'altro lato e indicandogli la parte alta della mia coscia. «So che non sono la stessa cosa, che non provocano lo stesso dolore e gli stessi brutti ricordi. Ma tutti noi abbiamo dei segni sulla pelle che sono frutto del nostro passato» parlai mostrandomi estremamente calma e sicura. In realtà dentro di me avvertivo un'agitazione inaudita.
Sentivo i palmi delle mani sudare e speravo davvero che non avessi peggiorato le cose con i miei gesti. Perché già mi immaginavo una miriade di possibili scenari in cui Ashton se ne andava, mollandomi lì come una cretina.
Io non mi sentivo in soggezione, completamente nuda sotto il suo sguardo, nemmeno dopo aver mostrato alcune delle mie imperfezioni. E volevo che per lui fosse lo stesso con me.
Dopo interminabili secondi, finalmente si decise a dire qualcosa. «Per me... sei bellissima così» mi afferrò la mano, attirandomi verso di sé.
«Anche tu lo sei. È questo che voglio farti capire» aggiunsi, guadagnandomi un sorriso da parte sua. Ma non credo che concordasse con me anche nella sua testa, non ancora almeno.
«Non è tutto» rivelò poi, lasciandomi abbastanza stupita del fatto che volesse mostrarmi altro di sé. Si tirò in piedi, voltandosi e regalandomi una visuale delle sua schiena muscolosa. Un'altra cicatrice, questa volta in rilievo e dai bordi irregolari, campeggiava sulla sua spalla destra.
Sospirai leggermente, aggirando il suo corpo e mettendomi davanti a lui, in ginocchio sul materasso. «Va bene, Ashton. Non mi importa dei segni sul tuo corpo, a me importa dell'uomo che sei ora e di come mi fai stare bene» puntualizzai, non muovendo un muscolo. Non volevo più forzare la mano, ero fiera di lui e del fatto che avesse finalmente deciso di fidarsi di me e mostrarmi quei segni del suo passato burrascoso.
Perciò volevo aspettare che compisse la prossima mossa di sua spontanea volontà, senza sentirsi costretto a fare nulla. E come se mi avesse letto nel pensiero, mi afferrò il viso tra le mani, iniziando a baciarmi.
Prima che ce ne potessimo accorgere, eravamo già finiti distesi su quel letto, i pantaloni di Ashton erano volati in un punto indefinito della mia stanza e le sue mani vagavano vogliose lungo tutto il mio corpo.
Due dita erano velocemente scivolate dentro la mia intimità, mentre io avevo preso a donargli piacere con la mia mano. Con l'altra libera, invece, tastavo la superficie del comodino, alla ricerca della maniglia del cassetto.
Dove cavolo si sono ficcati quei dannati preservativi?!
Solitamente amavo i preliminari, ma in quel momento avevo così un disperato bisogno di sentirlo dentro di me.
Di sentirlo un po' mio e di sentirmi un po' sua.
E poi abbiamo ancora tutta la notte davanti.
Qualche secondo dopo anche i suoi boxer avevano lasciato il letto. Ora potrò sembrarvi banale, ma vederlo così, completamente nudo, per la prima volta, mi provocò davvero una fitta di piacere nel basso ventre. Fitta che si espanse nel momento in cui scivolò dentro di me senza preavviso.
Lui sopra di me, io sotto di lui. Dettava il ritmo delle spinte, un ritmo sempre più incalzante.
La sua pelle bruciava contro la mia.
Quel contatto così intimo aveva fatto sì che la mia camera si riempisse presto dei nostri gemiti di piacere. Mi aggrappai ai suoi bicipiti allenati, lasciandogli il segno delle unghie. Inarcai leggermente la schiena e voltai la testa, mentre mi abbandonavo all'orgasmo.
Pochi secondi dopo, venne anche lui, riversandosi dentro il preservativo. Si lasciò ricadere accanto a me, mentre entrambi cercavamo di riprendere fiato e regolarizzare i nostri respiri.
Mi voltai verso di lui, andando a poggiare la testa sul suo petto e incrociando una gamba con la sua. Lo sentii sorridere, mentre mi posava un tenero bacio sulla testa e avvolgeva il mio fianco con il suo braccio, attirandomi ancora più vicina.
«Grazie» mi disse semplicemente. E in quel momento, quella semplice parola, valse più di mille, sopravvalutati, "ti amo".
🌟🌟🌟
Eccomi qui con il nuovo capitolo!
La nostra Willow sembra avercela fatta, finalmente Ashton ha deciso di mostrarle quelle cicatrici che segnano parte del suo corpo.
Secondo voi questo gesto segnerà una svolta nella loro relazione?
Ma ora abbiamo un altro mistero, cosa mai avrà voluto dire il Colonnello ad Ashton? E perché lui sembrava cosi restio a rivelarlo?
Se volete trovare un risposta non vi resta altro che continuare a leggere.
Lasciate una stellina nel caso il capitolo dovesse esservi piaciuto e non dimenticatevi di commentare facendomi sapere cosa ne pensate.
Per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi.
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XOXO, Allison 💕
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